La donna e il socialismo (3)

Di August Bebel

La donna nel passato, nel presente e nell’avvenire

(«il comunista»; N° 114; Ottobre 2009)

(continua dal n. 112)

 

I.  La donna nel passato

 

 

La precedente puntata terminava con una frase che vale la pena riprodurre per comprendere meglio il seguito dello scritto di Bebel; eccola:

 

L’oppresso ha bisogno di chi lo stimoli e lo animi; perché gli manca la forza e la capacità dell’iniziativa. Così è stato della schiavitù, del famulato (36) e della servitù; così è stato ed è nell’agitazione del proletariato dell’epoca moderna, e così è anche nella lotta per la libertà e l’emancipazione della donna, lotta intimamente connessa con quella che si combatte dai proletari.

 

Il testo continua così:

 

Persino nella lotta della moderna borghesia, comparativamente in condizioni migliori, per la sua emancipazione, i primi ad aprire la breccia furono oratori nobili ed ecclesiastici.

Quali che fossero i vizi e gli errori che il medio evo riteneva conformi alle leggi di natura, è in ogni modo cosa certa che possedeva una sensualità sana derivante dalla natura stessa del popolo, vigoroso e amante del lieto vivere, che il cristianesimo non poté soffocare, come è certo che al medio evo erano ignoti gli ipocriti pudori, le debolezze e le mascherate libidini del nostro tempo che si vergogna e rifugge dal chiamare le cose col loro nome e di parlare con linguaggio naturale delle cose che sono naturali. (...).

La sana sensualità del medio evo trovò il suo classico interprete in Lutero (37). Qui noi non abbiamo a che fare con Lutero riformatore quanto con Lutero uomo. Ed è qui appunto che la schietta e forte natura di Lutero si manifestò in tutto il suo vigore, fu la natura che lo costrinse ad esprimere senza riguardi il suo bisogno di amare e godere. La sua posizione di vecchio sacerdote romano gli aperse gli occhi, facendogli comprendere in pratica, per sua propria esperienza, quanto vi era di contrario alle leggi di natura nella vita dei monaci e delle monache. Di qui il calore ond'egli combattè il celibato dei preti e dei monaci. Le sue parole valgano anche oggi per tutti quelli i quali credono di poter peccare contro la natura, e ritengono di potere conciliare coi loro principi di morale e di costumatezza, gli ostacoli con cui le istituzioni della società e dello stato impediscono a milioni di esseri di raggiungere i fini della natura.

Lutero diceva: «Una donna non può, senza una speciale grazia, far senza di un uomo, come non può fare a meno di mangiare, di dormire, di bere e di altri bisogni naturali. Alla sua volta anche l'uomo non può stare senza una donna. E la ragione è questa: che è profondamente radicato in natura il bisogno di generare dei figli, come è quello del mangiare e del bere.

«Perciò il signore ha fornito il corpo di membra, di vasi, di liquidi e di tutto ciò che serve a tale scopo. Ora chi vuole opporsi e non lasciar fare quel che la natura comanda, che fa egli se non impedire che la natura sia natura, che il fuoco bruci, l'acqua bagni, e l'uomo mangi, beva e dorma?». E nel sermone sulla vita matrimoniale egli dice ancora: «Come non è in mio potere che io non  ia uomo, così non è in tuo potere che tu stia senza uomo, poiché non dipende dal libero arbitrio e da un calcolo, ma è cosa necessariamente naturale che ogni maschio debba avere una femmina e ogni femmina debba avre un maschio».

Senonché Lutero non si esprimeva così energicamente soltanto per la vita coniugale e per la necessità dell'accoppiamento sessuale, ma neppure ammetteva che matrimonio e chiesa avessero qualche cosa di comune. Egli si fondava perciò interamente sull'antichità, la quale considerava il matrimonio come un atto di libera volontà dei contraenti in cui la chiesa non c'entrava per nulla.

Dice Lutero: «Sappi, dunque, che il matrimonio è come ogni altra funzione umana. Come io posso mangiare, bere, dormire, camminare, cavalcare, contrattare e parlare coi pagani, giudei, turchi ed eretici, così posso altresì unirmi con essi in matrimonio. E non badare alle leggi dei pazzi che lo vietano [corsivo di Bebel, ndr]. I pagani sono uomini e donne creati da Dio, né più né meno di san Pietro, san Paolo e santa Lucia; taci, dunque, cattivo e falso cristiano». Lutero si dichiarava contrario, al pari d'altri riformatori, a qualsiasi limitazione del matrimonio e volle permettere anche il secondo matrimonio dei divorziati, al che la chiesa era riluttante (38). (...).

Ma Lutero ed i riformatori andarono in tale questione anche più in là per ragioni soltanto di opportunità e per compiacenza verso quei principi che vi si trovavano implicati con la propria persona e dei quali cercavano di guadagnarsi e conservare la protezione o la benevolenza.

Filippo I, langravio di Assia (39), amico della Riforma, aveva, oltre la legittima moglie, una amante, la quale non voleva acconsentire alle sue voglie che sotto la condizione ch'egli la sposasse. Il caso era scabroso. Una separazione dalla moglie avrebbe prodotto grave scandalo, e il matrimonio di un principe cristiano con due donne sarebbe stato un fatto inaudito e avrebbe suscitato scandalo non minore. Tuttavia Filippo, spinto dalla passione, si decise per quest'ultimo passo. Ora si trattava soltanto di dimostrare ch'esso non era in contrasto colla Bibbia ed ebbe il consenso dei riformatori e specialmente di Lutero e Melantone (40). Il langravio avviò le prime pratiche con Butzer (41) che si dichiarò d'accordo nel piano e si impegnò di guadagnarvi Lutero e Melantone. Butzer motiva la sua opinione in questo senso: possedere più donne ad un tempo - egli dice - non è contrario al vangelo di S. Paolo, che pure ha fatto menzione di molti che non avrebbero acquistato il regno di Dio, non fa alcuna menzione di quelli che hanno due donne; inoltre S. Paolo dice che «il vescovo deve avere una donna e lo stesso i servi». Ora, se fosse stato necessario che ognuno avesse una donna, egli lo avrebbe prescritto e vietato di averne di più. Questi erano sofismi, ma Lutero e Melantone si unirono a lui e approvarono il doppio matrimonio avendo anche la prima moglie del langravio consentito al secondo matrimonio di lui a condizione che egli «soddisfacesse verso di essa ai doveri coniugali ancora più di prima» (42). (...).

Non si viveva più nel nono secolo, in cui le tradizioni ancora fresche delle condizioni precedenti rendevano tollerabile senza scandalo la poligamia. I rappoprti sociali erano frattanto notevolmente cambiati; non solo la costituzione gentilizia era tramontata da un pezzo, ma anche il consorzio delle Marche aveva dovuto cedere alla potenza della nobiltà, dei principi e della chiesa, ed era sparito, meno pochi residui, che dopo l'esito infelice della guerra dei contadini [1525, ndr] fuorno pure completamente distrutti. La proprietà privata era divenuta il fondamento generale della società. Vicino alla popolazione agricola era cresciuta una classe di operai forte, guidata dal suo interesse di ceto e corrispondentemente organizzata. Il commercio aveva assunto grandi proporzioni, e creò una classe di mercanti che mediante le ricchezze, lo splendore esterno della loro posizione e la potenza materiale destò l'invidia e l'inimicizia della nobiltà che affondava sempre più nell'ignavia e nella miseria.

In tali condizioni, la monogamia era divenuta la sola base naturale dei rapporti sessuali, e un passo come quello del langravio d'Assia urtava contro la morale e gli usi dominanti, che sono sempre l'espressione delle condizioni economiche del tempo. Al contrario, si trovavano benissimo con la prostituzione, come istituzione complementare necessaria della monogamia, e la tolleravano senza restrizioni.

Mentre Lutero riconosceva che la soddisfazione dell'istinto sessuale era un precetto di natura, significava ciò che gli uomini di quel tempo pensavano e pretendevano apertamente per loro, ma egli, anche mediante la Riforma che metteva capo all'abolizione del celibato dei preti e alla soppressione dei conventi, mirava a porgere a dei milioni la possibilità di disciplinare l'istinto naturale sotto forme legittime. Altri milioni rimanevano certo ancora esclusi a causa dell'esistente ordinamento della proprietà e delle sue leggi. Ma la Riforma rappresentò appunto la prima protesta della borghesia grassa, colpita in sul nascere, contro la lega degli stati feudali nella chiesa, nello stato e nella società; tendeva a sciogliere i vincoli imposto dal diritto delle corporazioni, della corte e della chiesa, all'accentramento della vita dello stato, alla semplificazione della vita della chiesa scialacquatrice, a togliere da molti posti uomini infingardi ed oziosi collocandoli in professioni pratiche. Abolita la forma feudale della proprietà e degli impieghi, doveva prenderne il posto la forma borghese della proprietà libera, cioè in luogo della protezione sociale corporativa di piccoli circoli chiusi, doveva spiegarsi la libera lotta delle forze individuali fra loro concorrenti.

Lutero fu nel campo religioso il rappresentante di queste aspirazioni borghesi. Combattendo per la libertà del matrimonio, egli non poteva ammettere che il matrimonio civile come si è sviluppato in Germania solo ai tempi nostri mediante la legge sul matrimonio civile e la legislazione civile ad esso legata, la libertà di domicilio, la libertà dell'industria e la libertà di connubio. Quanto, con ciò, sia mutata e migliorata la condizione della donna, vedremo poi. Intanto le cose non avevano ancora fatto molto cammino al tempo della Riforma.

Siccome, giusta i precetti e le norme dei riformatori, molti poterono contrarre matrimonio, così, d'altra parte, vennero perseguitati ferocemente i rapporti sessuali liberi. Avendo il clero cattolico mostrato una grande rilassatezza contro gli eccessi sessuali, così ora il clero protestante, dopo avere bene provveduto a se stesso, inveiva tanto più energicamente contro di essi. Venne dichiarata guerra ai lupanari, e furono chiusi come «antri di Satana»; le prostiture vennero perseguitate come «figlie del Diavolo» e ogni donna la quale commettesse un «passo falso» veniva posta alla berlina come sentina di ogni nequizia.

Dal piccolo borghese gioviale del medio evo che viveva e lasciava vivere, sorse un cittadinuzzo bigotto, rigido e tetro, che risparmiava il più possibile, affinché i grossi borghesi suoi successori potessero vivere nel nono secolo tanto più spensieratameante e scialacquare di più. L'onesto cittadino dalla cravatta rigida, dalle idee piccine, dalla morale povera, fu il prototipo della società.

La moglie legittima, alla quale specialmente la sensualità medioevale tollerata dalla chiesa cattolica non era piaciuta, andava pienamente d'intesa con lo spirito puritano del protestantesimo. Ma sopravvennero altre circostanze, le quali, come influirono sinistramente sulle condizioni generali in Germania, influirono pure sinistramente sulla condizione della donna. La trasformazione dei rapporti della produzione, del credito e del commercio, che si fecero sentire specialmente in Germania in seguito alla scoperta dell'America e alla via di navigazione alle Indie Orientali, produsse anzitutto una grande reazione nel campo sociale.

La Germania cessò di essere il centro del commercio e del traffico europeo. La Spagna, il Portogallo, l'Olanda, l'Inghilterra presero a vicenda il primo posto e l'ultima lo conservò fino ai nostri tempi. L'industria e il commercio della Germania decaddero. Nel tempo stesso la Riforma ecclesiastica aveva distrutto l'unità politica della nazione. La Riforma fu il manto sotto il quale il principato cercò di emanciparsi dall'impero. D'altra parte, il principato sottomise la nobiltà, colmando di favori - per raggiungere più facilmente lo scopo - le città alle quali prodigò diritti e privilegi d'ogni maniera.

Oltre a ciò non poche città, in vista dei tempi sempre più torbidi, si diedero spontaneamente ai principi. Ma di ciò la conseguenza ultima fu questa, che la borghesia spaventata dalla diminuzione dei suoi guadagni, innalzò barriere sempre più alte per difendersi dalla poco gradita concorrenza. Ottenne in tal modo che le condizioni a suo favore si rassodassero maggiormente, ma la miseria aumentò.

In seguito, la Riforma provocò le guerre e le persecuzioni religiose che servirono sempre a mascherare gli scopi politici ed economici dei principi; guerre e persecuzioni che infuriarono in Germania, se pure con delle interruzioni, per più d'un secolo e finirono per fiaccarla del tutto con la guerra dei trent'anni (43). La Germania era divenuta un immenso cimitero, un campo pieno di rovine. Paesi e province devastate, centinaia, migliaia di città e villaggi arsi e distrutti, molti di essi scomparsi per sempre. In altri la popolazione fu ridotta di un terzo, d'un quarto, d'un quinto, perfino di un ottavo e di un decimo. Commercio, traffico, industria non solo languirono in questo lungo periodo, ma rovinarono così da non potersi riavere che stentatamente. Una gran parte della popolazione era demoralizzata e disavvezza da ogni disciplinata operosità. Se, durante le guerre, erano gli eserciti mercenari che saccheggiavano, spogliavano, profanavano e trucidavano trascorrendo la Germania da un capo all'altro, taglieggiando e atterrendo egualmente amici e nemici, dopo le guerre erano i malandrini e le schiere dei mendicanti e dei vagabondi, le quali gettarono lo spavento e l'angoscia nelle popolazioni, e impedirono od arrestarono il normale sviluppo dell'industria, del commercio e dei traffici.

E specialmente per il sesso femminile era spuntata un'epoca di miseria e di patimenti. Il disprezzo per la donna aveva fatto grandi progressi in questo tempo di dissolutezza; la generale mancanza di guadagni pesava enormemente sulle sue spalle. Al pari dei vagabondi le donne popolavano a migliaia le strade e le foreste e riempivano le case dei poveri e le carceri dei principi e delle città. A tutte queste sofferenze e tribolazioni si aggiunse l'espulsione violenta di molte famiglie di contadini operata da una nobiltà affamata. Questa aveva dovuto, fino dai tempi della Riforma, piegarsi sempre di più sotto il giogo dei principi, e con gli impieghi di corte e i gradi militari era aumentata la sua dipendenza, per cui andava ora cercando di risarcirsi dei danni recati dai principi, rubando il doppio o il triplo dei beni dei contadini. I principi, durante e dopo la Riforma, avevano preso di mira il ricco patrimonio della chiesa, che si appropriarono in un numero infinito di jugeri di terreno (44). (...)

Le mal riuscite sollevazioni dei contadini nel secolo XVI vi porsero il migliore pretesto. Una volta riuscito il tentativo, non mancavano ragioni per andare più innanzi in modo egualmente violento. Ma dove questo sistema non andava in nessun modo, si mettevano in opera ogni sorta di cavilli, di vessazioni, di sofismi - e in ciò il diritto romano, che nel frattempo s'era generalmente naturalizzato, offriva un comodo appoggio - per comperare i contadini o cacciarli e arrotondare i possessi della nobiltà. Interi villaggi, mezze province vennero in tal modo atterrati. (...). La trasformazione compiuta nell'economia rurale durante il secolo XVII fu un altro stimolo ad intraprendere la espropriazione dei poderi dei contadini ed in ispecie a convertire in possedimenti della nobiltà gli ultimi avanzi del territorio comune.

Venne introdotta l'economia libera la quale permetteva che in certe epoche si mutasse il sistema di coltivazione dei fondi. Terreni da biade vennero tramutati temporaneamente in pascoli artificiali, favorendo con ciò l'allevamento del bestiame, il quale a sua volta, fu causa della diminuzione delle braccia [da lavoro, ndr]. Con ciò divenne quindi sempre più grande l'esercito dei mendicanti e dei vagabondi, e i decreti succedevano ai decreti per diminuirne il numero con l'applicazione di pene severissime.

Né migliore aspetto presentavano le città. Un tempo le donne erano state ammesse nei più svariati rami dell'industria, sia in qualità di operaie, sia quali imprenditrici. C'erano, per esempio, delle pellicciaie a Francoforte e nelle città della Svevia, delle fornaie nelle città Renane, delle ricamatrici d'insegne e delle cintolaie a Colonia e a Strasburgo; delle correggiaie a Brema, delle cimatrici a Francoforte, delle conciatrici a Norimberga, delle filatore e battiloro a Colonia (45).

Ora invece esse venivano sempre più rifiutate.

L'abolizione del culto cattolico così fastoso, aveva gravemente danneggiato, ed anzi rese impossibili, moltissime industrie, e specialmente le artistiche, e perciò privato del pane un grande numero di operai e operaie. E, come avviene sempre, quando rovina una determinata condizione sociale, i suoi difensori prendono delle misure che finiscono per aggravare il male. Sorto il timore ridicolo di un eccesso di popolazione tutti gli sforzi più energici tesero ad impedire che aumentasse il numero delle persone indipendenti e dei matrimoni. Sebbene città una volta fiorenti, come Norimberga, Augusta, Colonia ed altre, scemassero di popolazione fin dal secolo XVI, perché il commercio ed i traffici avevano cercato altre vie, e sebbene la guerra dei trent'anni avesse spopolato la Germania in modo spaventoso, tuttavia non vi era città, non vi era corporazione che non fosse in angustia per l'aumento dei suoi addetti; nè andavano meglio le cose per i soci delle corporazioni allora esistenti.

Gli sforzi dei prìncipi assoluti, per aumentare la popolazione dei loro paesi in parte spopolati, non poterono resistere a cotesta corrente più di quello che a suo tempo le leggi romane che premiavano i matrimoni non abbiano impedito la diminuzione del numero dei cittadini romani. Luigi XIV stabilì delle pensioni per quei genitori che avessero dieci figli; pensioni che venivano aumentate se i figli salivano a dodici. Un suo generale, il maresciallo di Sassonia, andò anche più in là, proponendo di permettere i matrimoni per la durata di soli 5 anni. Federico il Grande scriveva quindici anni più tardi nello stesso senso: «Io considero gli uomini come una mandria di cervi nel parco di un gran signore, ai quali non incorre altro obbligo che quello di popolare il parco e riempirlo» (46). Federico scriveva queste parole nel 1741. Più tardi egli ha spopolato assai il «parco di cervi» con le sue guerre.

In tale stato di cose la condizione delle donne era insopportabile al di là di ogni immaginazione.

Escluse dal matrimonio come «istituto provvidenziale», impossibilitate di appagare i loro istinti naturali, tenute il più possibile lontane dai guadagni per effetto del peggioramento delle condizioni sociali, perché non facessero concorrenza ai maschi che avevano già paura di se stessi, dovettero vivere miseramente disimpegnando servizi e lavori bassissimi, pagate in modo irrisorio. Siccome però l'istinto naturale non si lascia soffocare e una parte del sesso maschile viveva in condizioni simili, così sorsero i concubinaggi malgrado tutte le vessazioni poliziesche, e il numero dei figli naturali non fu mai così grande come in quel tempo in cui sotto la forma della cristiana semplicità dominava il «regime paterno» dei principi assoluti.

La donna maritata viveva ritiratissima; il numero dei suoi lavori e delle sue funzioni era così grande che da coscienziosa massaia essa doveva restare al suo posto da mane a sera per compiere i suoi doveri; ciò che le era possibile soltanto mercè il concorso e l'aiuto delle figlie. Poiché non aveva da sbrigare solamente le faccende domestiche quotidiane, a cui anche oggi la massaia borghese deve accudire, ma un'infinità di altre dalle quali oggi la donna è liberata completamente per effetto dello sviluppo e del progresso delle industrie. Allora doveva filare, tessere e imbiancare le tele; curare la biancheria e confezionare i vestiti; cuocere il sapone, fabbricare candele, fabbricare la bitta; era insomma né più né meno della Cenerentola; unica ricreazione l'andare in chiesa la domenica.

I matrimoni si contraevano solamente fra persone dello stesso ceto sociale; lo spirito di casta rigido e ridicolo regnava dappertutto; e non tollerava trasgressioni. Le figlie venivano educate nello stesso spirito, tenute in casa in clausura severissima, la loro educazione intellettuale era affatto nulla, e non andava al di là delle pure faccende domestiche.

A ciò si aggiunga una sequela di formule vuote che dovevano fare le veci dell'educazione e dell'intelligenza, e rendevano tutta l'esistenza, specialmente quella delle donne, un vero automatismo.

Così lo spirito della Riforma degenerò nella peggiore pedanteria, e si cercò di soffocare nell'uomo le sue più naturali inclinazioni e le espansioni della vita sotto un viluppo di regole e di abitudini, proclamate «rispettabili», ma che erano letali allo spirito. Nelle campagne e anche nelle città minori si erano mantenute, durante tutto il medio evo, usanze proprie e caratteristiche, che scomparvero sotto il puritanesimo rigido, nemico del piacere, che dominò tutto il periodo della Riforma. Fra queste c'erano delle solennità che ricordavano le antiche condizioni del tempo del diritto materno; e possono quindi trovare menzione a questo punto. Tali feste venivano preparate tutti gli anni dalle donne tra loro, e gli uomini ne erano esclusi del tutto. Se fosse comparso un uomo, male gliene sarebbe incolto. Tali feste, in uso specialmente nei paesi della Germania meridionale e occidentale, sede delle vecchie razze, stando a quanto narrano i contemporanei, dovevano essere, di regola, molto allegre e sbrigliate, ed avevano ed hanno evidentemente lo stesso significato dei Saturnali romani. Questi ultimi ricordavano la tradizione popolare del tempo di Saturno, in cui, giusta la leggenda, regnavano gioia e pace generali, libertà e uguaglianza tra gli uomini. In tali giorni, che occupavano a Roma un'intera settimana, tutte le classi diventavano eguali, gli schiavi erano pari ai padroni, i quali giungevano fino a servirli durante i banchetti e gli altri sollazzi popolari. Evidentemente anche i Saturnali ricordavano il tempo del diritto materno, magnificato come un tempo di pace, di tranquillità e di giustizia. A simili ricordi servivano pure le feste femminili preaccennate, sebbene il senso caratteristico ne fosse andato perduto.

Come il papato lasciò sopravvivere i Saturnali romani sotto forma di carnevali, così la chiesa cattolica nulla ebbe ad opporre contro quella festa femminile. Il papato, che guarda sempre con attento occhio le antiche usanze del popolo, se ne giovò nell'interesse proprio. Così anche nel carnevale cristiano, lo schiavo, il servo, prima che cominciasse la lunga quaresima fino alla settimana di passione, diventava per tre giorni padrone di sé. Era permesso a tutto il popolo di godere fino alla sazietà tutti i piaceri, di cui aveva libera scelta; di dileggiare e profanare le disposizioni e i decreti dell'autorità e le cerimonie della chiesa. Anzi il clero si lasciava andare quasi al punto di prestarsi al gioco e di tollerare e favorire profanazioni, che in ogni altro tempo avrebbero avuto per conseguenza le più severe pene da parte dell'autorità religiosa e civile. E perché no? Il popolo, che si sentiva padrone per così breve tempo e si riposava in questo giubilo del cuore, provava della riconoscenza per tale libertà, e diventava tanto più arrendevole, rallegrandosi al pensiero della festa che si sarebbe rinnovata l'anno prossimo.

Altrettanto avvenne della festa femminile a cui si è accennato. Lo spirito ascetico puritano dei tempi che seguirono la Riforma la soffocò.

Con l'espandersi del commercio mondiale, col poderoso sviluppo dei mercati, le arti manuali furono sconvolte; sorse la manifattura e da essa la grande industria. Anche la Germania, per effetto delle guerre religiose e della sua impotenza politica, uscita dalla sua miseria, rimasta indietro per tanto tempo nel suo sviluppo materiale, fu spinta, alla fine, nella corrente del progresso generale. Le macchine, l'uso delle scienze naturali nei processi di produzione, nel commercio e nel traffico, distrussero gli ultimi avanzi delle vecchie istituzioni. I privilegi delle corporazioni, il vincolo personale, i diritti di fiera e di bando e tutto ciò che vi era connesso furono messi tra i ferri vecchi. Siccome a soddisfare il crescente bisogno di braccia non bastava l'uomo, ma si rendeva necessaria anche l'opera della donna, così le condizioni divenute insopportabili dovettere cadere, e caddero. Questo momento, ch'era da gran tempo una necessità, si maturò quando la Germania raggiunse la propria unità politica.

La borghesia, sorta nel frattempo, pretendeva il libero svolgimento di tutte le forze sociali a profitto dei suoi interessi capitalistici, che in quel momento erano anche, fino a un certo grado, gli interessi della generalità. Di qui la libertà delle industrie, la libertà di domicilio, l'abolizione delle limitazioni al matrimonio e tutta la legislazione che viene caratterizzata con una parola come la legislazione liberale della borghesia (47).

 

(3 – continua. Seguirà il capitolo intitolato: La donna nel presente)

 

 


 

(36) Famulato: la condizione del servo nella Roma antica; nel Medio Evo indicava il contratto di lavoro e di servizio. Si usa ancora oggi per indicare la condizione o l’entità delle persone di servizio.

(37) Martin Lutero, 1483-1546, noto riformatore religioso tedesco. Di origine contadina, fattosi monaco agostiniano studiò teologia e nel 1513 divenne professore a Wittenberg. La prima stesura organica del suo pensiero riformatore è contenuta nelle Novanticinque tesi che lui stesso affisse sulla porta della chiesa di Ognissanti a Wittenberg in cui egli impugnava la pratica delle indulgenze promossa nel 1517 dall'arcivescovo di Magdeburgo per la fabbrica di S. Pietro in Roma. Nella religione cattolica l'indulgenza era la remissione totale o parziale delle pene temporali dovute a Dio da parte dell'uomo che ha peccato. L'indulgenza è concessa attraverso un atto giurisdizionale ecclesiastico sia ai vivi, a titolo di assoluzione, che ai morti a titolo di suffragio a condizione di preghiere o opere buone da parte dei fedeli. Tale pratica andò incontro ad una degenerazione, nel secolo XV, quando le indulgenze erano concesse dalla chiesa cattolica  in cambio del versamento di denaro, degenerazione contro cui si scagliò Lutero. I principali fondamenti teologici del luteranesimo sono l'affermazione della sola possibilità di salvezza nella grazia che fu dono della fede indipendentemente dalle buone opere, il riconoscimento della Bibbia come unica base delle norme di fede del credente e la garanzia della corretta interpretazione della Bibbia grazie all'assistenza dello Spirito Santo; ne discende il non riconoscere la legittimità della chiesa e dei suoi concili, mentre il luteranesimo è strutturato in comunità guidate da un pastore che ha il compito della predicazione della parola di Dio (attraverso la Bibbia) e l'amministrazione degli unici sacramenti riconosciuti, il battesimo e la santa cena.

(38) Dr. Carlo Hagen: Condizioni della religione e della letteratura in Germania al tempo della Riforma (Nota di A. Bebel).

(39) Langravio, dal tedesco Land, paese, territorio, e Graf, conte. Nel periodo carolingio, era il titolo dei conti delle regioni interne (Alsazia, Assia e Turingia), mentre quelli delle terre di confine erano detti "mangravi".

(40) Filippo Melantone, 1497-1560, umanista e riformatore tedesco; professore di lingue antiche a Tubinga e a Wittenberg, nel 1519 aderì al movimento di riforma della chiesa avviato da Martin Lutero. Successivamente tese a conciliare le posizioni del luteranesimo con quelle della chiesa di Roma.

(41) Butzer (Bucero) Martin, 1491-1551, riformatore tedesco, ex-domenicano, scomunicato dalla chiesa di Roma, nel 1523 si trasferì a Strasburgo dove per 25 anni continuò la predicazione riformatrice che influenzò notevolmente anche Calvino; tentò la conciliazione tra le varie correnti riformatrici (Zwingli, Ecolampadio, Capito, Kolb, Zell) e il cattolicesimo; riparato poi in Inghilterra, presso l'arcivescovo di Canterbury, dove trovò l'apprezzamento anche del re Edoardo VI, e finì i suoi giorni come professore di teologia a Cambridge, dover contribuì alla stesura del Book of Common Prayer, il libro delle funzioni religiose anglicane.

(42) Giansenio: Storia del popolo tedesco, 1525-1555 (Nota di A. Bebel).

(43) La guerra dei Trent'anni, fu un conflitto combattuto nell'Europa continentale dal 1618 al 1648, ebbe origine in Boemia in seguito a contrasti tra l'impero cattolico e i principi protestanti che assunsero aspetti religiosi. La guerra ben presto si trasformò nello scontro tra i Borbone e gli Asburgo per il dominio sull'Europa continentale. Questa guerra conobbe diverse fasi in cui si coinvolsero tutte le poteze europee dell'epoca. Una prima fase (boemo-palatina) vide le forze dell'imperatore cattolico Ferdinando II di Boemia ottenere l'alleanza della Spagna e del papato, sconfiggere i principi boemi sollevatisi contro l'assolutismo politico e religioso dell'imperatore, ed estendere il conflitto ai principati tedeschi protestanti. I nobili boemi sconfitti furono espropriati e le loro proprietà date a una nuova nobiltà straniera di confessione cattolica (spagnola, tedesca e italiana). In questo modo gli equilibri furono spostati a favore degli Asburgo che estesero i loro domini fino al Baltico. La seconda fase della guerra vide l'entrata in campo di Cristiano IV di Danimarca che non poteva accettare l'espansione degli Asburgo, ma fu sconfitto. Immediatamente si aprì la fase svedese della guerra, con Gustavo II Adolfo di Svezia che si mise a capo della coalizione dei principi protestanti tedeschi contro l'imperatore; alleato con la Sassonia e con la Francia, penetrò in Germania fino in Baviera, sconfisse l'esercito imperiale, ma fu ucciso in battaglia; gli imperiali ripresero la controffensiva e, sostenuti sempre dalle truppe spagnole, sconfissero a loro volta gli svedesi e i loro alleati tedeschi. La Germania fu distrutta continuamente ed enormemente immiserita a causa delle continue guerre degli eserciti europei sul suo territorio. La Francia, potenza emergente, non poteva accettare il predominio asburgico a scala europea, e così si apre la fase francese della guerra (1635-1648); i francesi sconfissero gli imperiali e i loro alleati spagnoli; gli svedesi invasero nuovamente Boemia e Baviera, l'imperatore dovette riconoscere la sconfitta e accettare la perdita dell'egemonia sugli stati tedeschi. La Francia estese i suoi confini ad est impossessandosi dell'Alsazia e accrescendo il suo ruolo nella politica europea; la Svezia stabilì il suo predominio sulle coste tedesche del Baltico mentre l'indipendenza della Svizzera fu sancita definitivamente. La Spagna risultò indebolita ma proseguì la sua guerra contro la Francia fino al 1659; sconfitta, dovette cedere alla Francia i territori pirenaici del Rossiglione e della Cerdagna, e i territori confinanti con le Fiandre, sulla Manica, come l'Artois.

(44) Jugero: unità di misura di superficie usata nell'antica Roma, equivalente a un rettangolo di 240x120 piedi romani, ossai a circa 2.500 metri quadri.

(45) Dr. C. Bücher: La questione della donna nel medio evo (Nota di A. Bebel).

(46) Karl Kautsky: L'influenza dell'aumento della popolazione sul progresso della società (Nota di A. Bebel). Lo scritto di Kautsky, del 1880, è in italiano in un'unica edizione esistente, intitolato: Socialismo e Malthusianismo. L'influenza dell'aumento della popolazione sul progresso della società, F.lli Dumolard, Milano 1884.

(47) Reazionari pedanti si aspettavano il naufragio della morale e dei costumi da queste disposizioni. Ketteler, vescovo di Magonza, ora defunto, si doleva già sin dal 1865, e quindi prima che la nuova legislazione avesse preso piede, «che la demolizione dei freni imposti alla conclusione dei matrimoni importava la dissoluzione del matrimonio, essendo ormai possibile ai coniugi di separarsi a piacere». E' questa una confessione preziosa la quale prova che i vincoli morali del matrimonio sono oggidì così deboli, che solo la forza può tener uniti i coniugi.

Il fatto che i matrimoni, oggi naturalmente più numerosi, producevano da un lato un rapido aumento di popolazione, e che, d'altro lato, il sistema industriale svolgentesi gigantesco nella nuova era creò incongruenze d'ogni maniera, un tempo ignote, fece apparire di nuovo lo spettro dell'eccesso di popolazione. Gli economisti borghesi conservatori e liberali tirano la stessa fune. Noi dimostreremo il vero significato di tali timori e ne additeremo le ragioni. Anche il prof. A. Wagner appartiene a coloro i quali si crucciano al pensiero dell'eccessiva popolazione, e domandano limitazione e freni alla libertà dei matrimoni, in ispecie fra gli operai. Questi contraggono matrimonio troppo presto comparativamente al medio ceto sociale. Ora questo ceto profitta e si vale preferibilmente della prostituzione, e se si nega all'operaio il matrimonio, anch'egli userà la prostituzione. Ma allora si taccia, e non si mandino alte grida sulla "rovina della morale" e non si facciano le meraviglie se le donne, che hanno gli stessi istinti e stimoli dell'uomo, cercano di appagarli con relazioni "illegittime". (Nota di A. Bebel).

(45) Dr. C. Bücher: La questione della donna nel medio evo (Nota di A. Bebel).

(46) Karl Kautsky: L'influenza dell'aumento della popolazione sul progresso della società (Nota di A. Bebel). Lo scritto di Kautsky, del 1880, esiste in italiano in un'unica edizione, intitolato: Socialismo e Malthusianismo. L'influenza dell'aumento della popolazione sul progresso della società, F.lli Dumolard, Milano 1884.

(47) Reazionari pedanti si aspettavano il naufragio della morale e dei costumi da queste disposizioni. Ketteler, vescovo di Magonza, ora defunto, si doleva già sin dal 1865, e quindi prima che la nuova legislazione avesse preso piede, «che la demolizione dei freni imposti alla conclusione dei matrimoni importava la dissoluzione del matrimonio, essendo ormai possibile ai coniugi di separarsi a piacere». E' questa una confessione preziosa la quale prova che i vincoli morali del matrimonio sono oggidì così deboli, che solo la forza può tener uniti i coniugi.

Il fatto che i matrimoni, oggi naturalmente più numerosi, producevano da un lato un rapido aumento di popolazione, e che, d'altro lato, il sistema industriale svolgentesi gigantesco nella nuova era creò incongruenze d'ogni maniera, un tempo ignote, fece apparire di nuovo lo spettro dell'eccesso di popolazione. Gli economisti borghesi conservatori e liberali tirano la stessa fune. Noi dimostreremo il vero significato di tali timori e ne additeremo le ragioni. Anche il prof. A. Wagner appartiene a coloro i quali si crucciano al pensiero dell'eccessiva popolazione, e domandano limitazione e freni alla libertà dei matrimoni, in ispecie fra gli operai. Questi contraggono matrimonio troppo presto comparativamente al medio ceto sociale. Ora questo ceto profitta e si vale preferibilmente della prostituzione, e se si nega all'operaio il matrimonio, anch'egli userà la prostituzione. Ma allora si taccia, e non si mandino alte grida sulla «rovina della morale» e non si facciano le meraviglie se le donne, che hanno gli stessi istinti e stimoli dell'uomo, cercano di appagarli con relazioni «illegittime». (Nota di A. Bebel).

 

 

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