Ci si difende solo sulla via indipendente e autonoma di classe, contro la concorrenza fra proletari, contro il collaborazionismo sindacale e politico

(«il comunista»; N° 115; Novembre 2009 - Gennaio 2010)

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I proletari, abbandonati sempre più a se stessi, hanno urgente necessità di riprendere la via indipendente e autonoma della lotta di classe, pena lo sprofondare in condizioni di miseria salariale, di disoccupazione, di precarietà, di fame e disperazione crescenti, sotto i pesanti colpi della crisi economica che padronato, governo e forze del collaborazionismo politico e sindacale si apprestano con più determinazione a scaricare sulle loro spalle, in vista di una timida ripresa della produzione che significherà soprattutto: salari sempre più bassi, disoccupazione in aumento, precarietà generalizzata del lavoro, condizioni di lavoro in drastico peggioramento, concorrenza spietata tra lavoratori.

 

Alla manifestazione nazionale di sabato 14 novembre dello scorso anno a Roma, il segretario della CGIL affermava: «si sono già persi 570.000 posti di lavoro, le ristrutturazioni vanno avanti e la disoccupazione aumenterà» (anche perché ci sono 1 milione e 110 mila cassaintegrati per molti dei quali la cassa integrazione è semplicemente l’anticamera del licenziamento). Si dice che,  mediamente, un lavoratore in cassa integrazione prende 300 euro in meno di salario al mese, che i lavoratori «atipici» stanno molto peggio e che se va bene prendono il 20% di quanto guadagnato l’anno prima, che l’indennità di disoccupazione è una miseria e andrebbe «raddoppiata», che i giovani licenziati con i contratti a termine difficilmente troveranno lavoro. Si criticano CISL e UIL per aver accettato la triennalizzazione dei contratti che equivale all’allungamento della miseria contrattuale da erogare proprio quando la crisi economica colpirà più duramente i lavoratori, ma qual è l’alternativa proposta per difendere i lavoratori da subito?

Di sciopero generale non se ne parla; infatti le manifestazioni più importanti si indicono per il sabato. Si chiede al governo di ridurre genericamente la pressione fiscale per le famiglie dei lavoratori dipendenti e  dei pensionati di 1.200-1.500 euro all’anno (cfr. la Repubblica 29.11.09), cioè intorno a 100 euro mensili. Si chiede il prolungamento dei periodi di cassa integrazione attualmente stabiliti dalla legge e il raddoppio dell’indennità di disoccupazione oggi mediamente intorno al 40% del salario per 4- 6 mesi. Nel frattempo, la FIOM CGIL sembra muoversi di più con qualche sciopero frammentato in situazioni di crisi e tensione di lavoratori che evidentemente premono in qualche modo sia sulla questione del salario, sia sulla difesa del posto di lavoro; essa afferma che la rottura con CISL e UIL, manifestatasi con due accordi separati consecutivi (uno a gennaio sulla riforma della contrattazione, il secondo a ottobre sul contratto di categoria dei metalmeccanici) è per ora irrecuperabile e che presenterà una legge di iniziativa popolare con tanto di raccolta firme a partire da gennaio 2010, dove, tra le altre cose, si chiede allo Stato di certificare chi ha la maggioranza degli iscritti e quindi il «potere» democratico di «firmare» i contratti.

Ma, mentre il bonzume sindacale si gingilla a chiedere «tavoli» per discutere con il governo che non si «renderebbe conto» della reale crisi del paese e dei lavoratori, il padronato parla chiaramente - come la Federmeccanica - sostenendo in una sua analisi che il 30% delle imprese prevede una prossima riduzione del personale, dopo che l’occupazione comunque è già scesa nelle grandi imprese del 3,6% (cfr. il manifesto 19.11.09) o – come la Confindustria – ammettendo che i salari sono sì bassi ma che per ottenere un loro aumento bisogna legarli ancora di più all’incremento della produttività!

Il governo, da parte sua, per bocca del ministro del lavoro, prevede di introdurre forme di flessibilità del lavoro ancora più elastiche e precarie (staff leasing, voucher: cioè l’affitto a tempo indeterminato di squadre di lavoratori, il pagamento di lavoratori attraverso «buoni lavoro» tutto compreso) e di riformare gli ammortizzatori sociali in modo che siano basati su due pilastri: una indennità di disoccupazione su base generalizzata e una cassa integrazione «privata», cioè gestita direttamente dalle parti sociali (cfr. la Repubblica 21.12.09). Come a dire che lo Stato si faccia carico di dare una miseria ai disoccupati in maniera più certa purché si riduca il costo della cassa integrazione attuale.

Ma, i lavoratori, su quale sostegno concreto possono contare da parte delle organizzazioni sindacali tricolore? Praticamente nessuno, solo pallide parole di comprensione e di protesta verbale… mentre nei fatti svendono continuamente la pelle dei proletari.

I lavoratori, sempre più in crisi per l’abbattimento del salario, per salari e stipendi che non arrivano alla fine del mese, per i posti di lavoro che saltano senza che si intravedano prospettive di altri posti di lavoro facendo così scomparire anche il misero salario che percepivano prima, si trovano sempre più soli a difendersi contro il peggioramento della loro condizione di vita e di lavoro. Alcuni salgono sui tetti, altri sulle gru, altri si incatenano ai cancelli della fabbrica, altri presidiano per mesi la fabbrica che dava loro lavoro: le forme di lotta di questo genere se, da un lato, dimostrano che gli operai non si piegano totalmente alle pressioni di ogni genere che padroni e istituzioni esercitano sulla loro vita quotidiana, e che hanno la forza di resistere nel tempo, dall’altro lato, esprimono ancora il perdurare di forti illusioni sul “potere di convincimento” che possiederebbero solo dimostrando di essere uniti e determinati ma rispettando, nei confronti dei padroni e delle istituzioni, la «civile discussione» e le «esigenze dell’azienda» e  rendendosi disponibili a sacrificare buona parte delle «conquiste» salariali e normative ottenute nelle lotte di anni fa.

Di colpo, di fronte alla perdita del posto di lavoro, scompare la memoria di tutti i sacrifici fatti finora a vantaggio dei padroni e fatti passare anno dopo anno dalla sistematica azione antioperaia dei sindacati tricolore; di colpo non ci si ricorda più della nocività e dell’estrema insicurezza degli ambienti di lavoro, passano in secondo piano i milioni di infortuni sul lavoro, le malattie contratte, gli assassinii che continuano a chiamare «morti bianche»! In una società dove anche l’aria che si respira ha un costo, dove il disprezzo della vita dei proletari raggiunge livelli che nessuna società precedente ha mai raggiunto, dove la legge del profitto e quindi del denaro comanda su tutto, ai proletari è stato fatto credere per lunghissimi decenni che l’operaio e il padrone hanno «lo stesso interesse», che l’operaio e il padrone sono «alleati di fatto» perché entrambi interessati a che l’azienda sia concorrenziale sul mercato e che se questa «alleanza» viene tradita la colpa è del padrone.

In realtà, ogni discorso sull’interesse comune tra capitalisti e operai e ogni azione a sostegno di questo interesse comune hanno un unico obiettivo: rafforzare il dominio del capitalismo sul lavoro salariato, il comando dei capitalisti sui lavoratori, a beneficio totale dei capitalisti!

Le organizzazioni sindacali tricolore, quando non hanno la forza di incanalare il movimento dei lavoratori nel solco di quella stramaledetta «alleanza» tra capitale e lavoro, abbandonano i lavoratori al loro destino! Con il pretesto della debolezza degli operai in tempi di crisi nei confronti dei padroni, invece di rafforzare la loro difesa unificando le lotte e gli obiettivi immediati, li isolano, li tengono frammentati e divisi, e alimentano le illusioni che in pochi, azienda per azienda, si hanno più probabilità di «salvare» il posto di lavoro e quindi …il salario anche se sempre più misero! Con il pretesto della crisi del capitale, i bonzi sindacali, attraverso i loro discorsi sulle «compatibilità» da trovare fra esigenze dei padroni ed esigenze dei lavoratori e con le loro cosiddette «piattaforme di lotta» condizionate dalla salvaguardia degli interessi aziendali, non fanno che sprofondare sempre più la classe operaia nelle condizioni di totale sudditanza dai profitti capitalistici: se le condizioni di concorrenza sul mercato lo consentono l’azienda prosegue la sua attività e i lavoratori mantengono il posto di lavoro, magari a salari più bassi; ma se le condizioni di concorrenza sul mercato sono sfavorevoli, l’azienda taglia l’organico, spedisce in cassa integrazione o in mobilità parte o tutta la manodopera, licenzia, delocalizza o chiude! E’ quello che succede sistematicamente in tutti i settori produttivi, e in tutti i paesi!

Ma gli operai, di fronte a questo attacco concentrico dei capitalisti e delle istituzioni che li sostengono, su chi possono contare? SOLO SU SE STESSI E SULLA PROPRIA COMBATTIVITA’ E VOLONTA’ DI LOTTA!

E’ tempo che gli operai si rendano conto che la difesa minimamente efficace delle proprie condizioni di vita e di lavoro dipende esclusivamente dalla loro combattività, dalla loro volontà di reagire agli attacchi della classe dominante, dalla loro azione per riorganizzare le proprie forze intorno ad obiettivi immediati del tutto indipendenti e antagonisti agli interessi dei padroni. La riorganizzazione operaia sul terreno della lotta classista deve mettere al centro rivendicazioni a esclusiva difesa degli interessi operai, e gli interessi immediati operai sono tutti incentrati sul SALARIO!

La difesa del salario, nella società capitalistica in cui ogni minuto secondo di vita dipende dalla possibilità di pagare per mangiare, per dormire, per curarsi, insomma per vivere, è assolutamente prioritaria. I proletari, nella società in cui dominano i padroni e i loro servi, sono obbligati a sputare sudore e sangue per un misero salario e quando la concorrenza sul mercato mette in difficoltà l’attività aziendale dei padroni essi sono automaticamente bersaglio di una serie interminabile di ricatti: diminuzione del potere d’acquisto del proprio salario, abbattimento del salario, aumento dell’intensità di lavoro, aumento delle ore lavorate ogni giorno, aumento dell’insicurezza del posto di lavoro e della sicurezza sul posto di lavoro, precarizzazione sempre più diffusa, aumento della concorrenza fra proletari, crescente rischio di infortuni e di morte sul lavoro! Questo già è accaduto e accade per centinaia di migliaia di proletari, e con gli effetti della crisi capitalistica queste conseguenze sono destinate ad allargarsi sempre più a tutti gli strati sociali, non solo agli operai meno specializzati o meno istruiti ma anche agli strati fino a pochi anni fa più «sicuri» del proprio posto di lavoro e del salario fino a erodere le certezze degli strati anche di piccola borghesia, coltivatori diretti, artigiani, piccoli imprenditori.

La difesa del salario operaio non deve essere lasciata in mano a coloro che hanno dimostrato in tutti questi decenni di operare a favore delle aziende e della santificata economia nazionale; le forze del collaborazionismo sindacale e politico, se hanno «ottenuto» dei miglioramenti nelle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori l’hanno ottenuto soltanto per la combinazione di due fattori fondamentali: la forte spinta alla lotta da parte della classe operaia e la disponibilità da parte del padronato e delle istituzioni pubbliche nel fare concessioni non solo normative ma anche economiche a favore degli operai. Ma ad ogni crisi del capitale, ad ogni difficoltà di concorrenza nel mercato nazionale e mondiale, la disponibilità del padronato e delle istituzioni pubbliche si è inevitabilmente ristretta, mentre aumentavano a dismisura le forme della concorrenza fra proletari. La sete di profitto capitalistico non è mai diminuita, semmai più la concorrenza di mercato aumentava e più i capitalisti erano spinti a torchiare i propri proletari per ottenere dallo sfruttamento del loro lavoro quote maggiori di plusvalore. Le difficoltà dei padroni ad intascare gli stessi profitti dei periodi di espansione capitalistica si ripercuotono sulle forze del collaborazionismo sindacale e politico come delle tremende scosse elettriche, paralizzandole. I bonzi sindacali, i politicanti dei diversi partiti che si sono riempiti la bocca di democrazia, di discussioni parlamentari, di proposte di legge, quando la situazione economica precipita nella crisi non sanno far altro che balbettare confusamente nei riguardi del padronato e del governo sulle necessità di «pensare» non solo ai profitti ma anche alla vita quotidiana dei lavoratori… senza organizzare nessuna lotta degna di questo nome!

Sarebbe d’altra parte del tutto illusorio che gli stessi arnesi del collaborazionismo interclassista si svegliassero una mattina barricadieri alzando la bandiera degli esclusivi interessi dei proletari. Ecco perché i lavoratori salariati devono rendersi conto che possono contare esclusivamente sulle proprie forze, sulla propria combattività e che questa spinta a lottare in difesa della propria vita quotidiana deve essere organizzata sul terreno dell’antagonismo fra interessi padronali e interessi operai, di un antagonismo che lo stesso Stato borghese e gli stessi padroni dimostrano ogni giorno di praticare: allo sfruttamento sempre più duro dei proletari occupati si accompagna la mano sempre più libera nei licenziamenti, alla precarizzazione sempre più spinta del lavoro sia dei giovani che dei cinquantenni si accompagna lo sfruttamento schiavistico di masse sempre più numerose di proletari immigrati, alla repressione delle manifestazioni di protesta operaie si accompagna la repressione più dura e la cosiddetta «tolleranza zero» nei confronti di proletari che fuggono dalla miseria e dalle guerre – portati dalla concorrenza mercantile e imperialistica dei paesi più industrializzati – in  cui sono precipitati i loro paesi d’origine, al ricatto costante del posto di lavoro si accompagna la mancanza sempre più generalizzata di ogni anche minima misura di sicurezza sui posti di lavoro. Queste sono le forme in cui si concretizza l’antagonismo di classe da parte della borghesia, e contro le quali le parole dei bonzi sindacali e dei politicanti «di sinistra» sono solo una colossale presa in giro!   

In questi ultimi tempi i proletari hanno mostrato il proprio disagio protestando, manifestando, occupando e cercando anche soluzioni lavorative alternative. La crisi capitalistica è stata sì lenta ma inesorabile e inesorabile è anche l’azione dei capitalisti, e dei governi che li sostengono, attraverso la quale scaricare sulle condizioni di vita dei lavoratori tutto il peso delle conseguenze economiche negative della stessa crisi. Gli stessi economisti borghesi prevedono che la disoccupazione inevitabilmente aumenterà e con essa aumenterà anche la precarietà del lavoro. Intanto il governo sta pensando a forme ulteriori di flessibilità del lavoro, mentre dall’altro lato, per evitare una sollevazione generalizzata dei proletari impoveriti, sta pensando a qualche piccolo ritocco del sussidio di disoccupazione. Ma nessuna misura che i governi borghesi prenderanno per conto proprio potrà risolvere il problema del salario di ogni proletario!

Dunque, se non c’è lavoro, per i lavoratori non c’è salario e la loro vita precipita nella miseria, nella disperazione. Il futuro visibile per centinaia di migliaia di proletari è questo!

L’assenza dei sindacati dall’organizzazione sistematica della lotta operaia non ha però fatto mancare la loro influenza negativa sulle abitudini dei proletari. Pur muovendosi nelle proteste e nelle occupazioni dei tetti, delle torri, delle gru, essi chiedono né più né meno di essere ascoltati e di trattare sulla linea dei vecchi metodi e obiettivi del collaborazionismo che non li rafforzano ma al contrario li indeboliscono; illusi che basti far ragionare i padroni e il governo nel tenere le produzioni in Italia e apportare innovazioni per trovare nuovi mercati. Insomma, i proletari pensano che basti avere buon senso e «collaborare» tutti per trovare una «soluzione». Si assiste, dunque, ad una presa in carico più diretta da parte dei lavoratori della politica riformista che hanno assorbito per anni dal collaborazionismo sindacale e politico, mentre in realtà lo scontro degli interessi tra lavoratori-proletari e padroni-capitalisti diventerà sempre più duro e serrato. Queste illusioni, prima o poi, sono destinate a frantumarsi di fronte all’esigenza dei padroni e della classe  borghese di recuperare i profitti perduti con la crisi economica..

E’ evidente per tutti i proletari la necessità di superare la frammentazione in cui i sindacati tricolore e anche i vari sindacati di base li costringono con la loro politica che tende alla negoziazione e al corporativismo; per questo ci vogliono obiettivi di lotta unificanti le varie categorie, i vari settori del lavoro, sia pubblico che privato, e che escano sopratutto dall’ambito angusto dell’azienda in crisi, che diano una prospettiva di sostegno reale a tutti i proletari.

Ciò significa innanzitutto:

1)    un salario dignitoso per vivere, quindi forti aumenti salariali a partire dai livelli retributivi più bassi, salario pieno sia per i cassintegrati che per i disoccupati;

2)    lotta contro l’aumento dei ritmi di lavoro, contro l’aumento delle mansioni, contro l’aumento dell’orario di lavoro, contro l’aumento della precarietà del contratto di lavoro, e riduzione della giornata di lavoro a parità di salario;

3)    imposizione e difesa delle condizioni di sicurezza sul posto di lavoro per prevenire le morti e gli infortuni sul lavoro e i morti per le malattie professionali.

Per mettere in pratica questi obiettivi si deve combattere soprattutto la concorrenza che continuamente a tutti i livelli il padronato, la borghesia, con la complicità attiva del collaborazionismo sindacale, alimentano tra i proletari: dividendoli per livelli salariali, settori di lavoro, condizioni di lavoro, sesso, nazionalità, luoghi e aziende in cui lavorano in modo da mantenerli costantemente divisi e impedire che quella forza possa, solidarizzando, creare tensioni sociali tali da porre seri ostacoli alle manovre dei governi e dei padroni nel difendere e portare avanti le loro misure a salvaguardia dei loro capitali e dei mercati da cui ricavano i loro profitti.

Perché questa lotta abbia un qualche effetto positivo deve però rompere nettamente con le pratiche, i metodi, la politica del collaborazionismo sindacale che fa dipendere tutto dai negoziati con i padroni e il governo, dalla condivisione della difesa dell’economia nazionale, quindi del buon andamento delle aziende, del mercato e dei profitti padronali.

I proletari, i lavoratori tutti possono ottenere un qualche risultato sul piano della difesa dei loro interessi immediati di vita ma anche per un loro prossimo futuro e dei loro figli se lottano con metodi efficaci contro quell’impostazione politica che per anni i sindacati tricolore hanno loro imposto, e che è il motivo principale per cui tutta una serie di conquiste fatte nel passato dalla classe operaia - non senza lottare - sono state svendute.

Gli obiettivi imposti dall’alto dai bonzi sindacali per portare i proletari a collaborare con le aziende, con le esigenze del mercato, dell’economia nazionale, hanno contemplato ad un certo punto la cancellazione della  scala mobile, lasciando i salari senza difesa a fronte dell’aumento dei prezzi (e legando sempre più il salario per contratto all’aumento della produttività e alla presenza sul lavoro), l’introduzione dei contratti a termine e la flessibilità sugli orari di lavoro, nonché l’abbandono della lotta diretta per difendere le condizioni di sicurezza e nocività sul lavoro: in questo modo non solo i bonzi sindacali hanno in realtà difeso le esigenze di un maggior sfruttamento da parte dello Stato e dei padroni, ma hanno dimostrato in pratica a tutti i proletari, nonostante i sindacati tricolore dicessero il contrario, che le aziende hanno continuato a chiudere e licenziare, i salari a diminuire fino a dimezzarsi come potere d’acquisto, che si continua a morire nei posti di lavoro e a rimanere invalidi a causa delle condizioni che peggiorano continuamente, che la precarietà del posto di lavoro diventa sempre più la regola, mentre la disoccupazione ormai riguarda centinaia di migliaia di lavoratori dai più giovani ai meno giovani e soprattutto donne e immigrati.

La via che i proletari devono imboccare è diametralmente opposta alle compatibilità di questo tipo, gli interessi sono materialmente antagonisti, i proletari, per sopravvivere, devono lottare unificandosi e organizzandosi per strappare un salario più alto possibile e un orario e condizioni di lavoro che permettano una vita più dignitosa. Il padronato, i capitalisti, tendono ad aumentare lo sfruttamento dei proletari tramite l’allungamento della giornata di lavoro e l’intensificazione del lavoro dando, in cambio, un salario sempre più basso, perché è da questo che il capitalista ricava il suo profitto: non ci si può aspettare nulla di diverso dai padroni, i quali concederanno condizioni diverse solo se obbligati dalla pressione della lotta operaia.

Il livello di un salario dignitoso in cambio di condizioni di sfruttamento meno bestiali è determinato dal livello di lotta che i proletari mettono in campo per difendersi dalla pressione dei padroni. Ecco perché essi devono riprendere in mano l’arma dello sciopero che per anni, diretto dai vertici del sindacato tricolore, è stato reso una semplice valvola di sfogo della rabbia operaia quando la tensione era troppo alta, senza mai portarlo fino in fondo secondo le esigenze che quella tensione della base operaia esprimeva. Lo sciopero così veniva spezzato per categorie o settori, usato con il contagocce, annunciato con lunghi preavvisi per permettere ai padroni di prendere le loro «precauzioni» e, con l’autoregolamentazione, si blindava anche il settore pubblico per garantire i servizi minimi.

In un periodo in cui le aziende utilizzano a piene mani gli ammortizzatori sociali esistenti, lo sciopero che ha efficacia sui loro profitti è solo quello senza preavviso di inizio e senza preavviso di termine, diversamente si dà la possibilità ai padroni di neutralizzarlo o sminuirne la portata.

La lotta deve essere unificante su obiettivi precisi che partono dalle esigenze reali dei lavoratori. La lotta deve uscire dai limiti dell’azienda e da quelli territoriali per incidere più a fondo sui profitti padronali, quindi deve bloccare efficacemente la produzione.

I padroni in quanto classe sfruttatrice della classe operaia, sempre in lotta per estorcere maggior lavoro contro un salario sempre più misero, non si fanno certo convincere dalla «bella» parlantina dei sindacalisti della FIOM CGIL che, di fronte agli operai, continuano a chiedere dialogo, più democrazia, un tavolo negoziale con i padroni e le istituzioni sapendo benissimo che non li otterranno e che, anche se li ottenessero, le priorità non sarebbero mai le esigenze dei lavoratori!

Se i proletari vogliono difendere la possibilità di avere un salario da lavoro o da disoccupati, ma soprattutto un salario dignitoso e non da fame come si è ridotto oggi, devono incidere ancora più duramente sui profitti dei padroni per far ascoltare le loro esigenze di vita. Dovranno allora  rispolverare l’arma dello sciopero senza preavviso di inizio e senza preavviso di fine, seguendo gli esempi più recenti degli Autoferrotranvieri a Milano e degli operai della Fiat di Melfi di qualche anno fa.

E’ evidente a tutti gli operai che lo sciopero è un sacrificio salariale necessario, perché è l’unica arma che essi possiedono per difendersi dagli attacchi dei padroni alle loro condizioni di vita e di lavoro, quindi se questa arma non è tale, e cioè non incide sugli interessi dei padroni, se non è unificante per tutta la classe proletaria come fosse un solo uomo, diventa semplicemente un’arma spuntata come da anni la direzione dei sindacati tricolore ha dimostrato nei fatti, facendo così perdere la fiducia degli operai nello sciopero perché non hanno visto alcun risultato concretizzarsi a loro favore ma solo un costo da pagare.

I proletari devono «osare», cioè lottare fuori dalle linee che prevedano in anticipo una conciliazione con le esigenze dell’economia o del mercato e mettere come prioritaria la propria vita, le proprie esigenze di sopravvivenza in quanto classe che non possiede nessuna riserva, se non la propria forza lavoro che può essere valorizzata maggiormente se quella forza si unifica e colpisce direttamente a fondo l’interesse dei padroni e dei capitalisti. Solo così i proletari saranno presi in considerazione e le loro rivendicazioni avranno un peso, sicuramente molto di più che nelle migliaia di manifestazioni fino ad ora condotte sopra qualche tetto o arrampicati su una torre nelle aziende in cui lavorano.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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