La rivolta dei lavoratori immigrati a Rosarno

(«il comunista»; N° 116; Aprile 2010)

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Il 7 gennaio scorso, due dei lavoratori agricoli africani venuti in Calabria per la raccolta delle arance sono stati feriti da colpi di fucile sparati da un’auto in corsa. Questo ennesimo episodio razzista provocò la collera di centinaia di proletari immigrati; essi si riunirono spontaneamente per manifestare a Rosarno, centro agricolo di 15.000 abitanti in provincia di Reggio Calabria che produce agrumi grazie al loro lavoro. I manifestanti si scontrarono con le forze dell’ordine, incendiarono cassonetti della spazzatura, vetture  e spaccarono vetrine.

L’indomani, vere rappresaglie furono organizzate dagli abitanti contro i lavoratori immigrati: rovesciarono delle loro auto, e li presero a bastonate. Un centinaio di persone armate di bastoni e di spranghe di ferro alzarono barricate intorno agli edifici fatiscenti di vecchie fabbriche dove alloggiavano gli immigrati, trasportando bidoni di benzina e mazze. Ma almeno 2000 proletari immigrati continuarono a manifestare la loro rabbia nel paese, senza scontrarsi questa volta.  Alla fine, le numerose forze di polizia inviate evacuarono più di mille immigrati africani, molti dei quali, accettando di andarsene per non rischiare la vita, non furono nemmeno pagati dai loro padroni...

I fatti di Rosarno hanno avuto molta risonanza in Italia, e anche all’estero. I partiti al governo hanno incolpato l’immigrazione «clandestina», utilizzando questi fatti per indurire ancor più le leggi xenofobe; il loro obiettivo è evidentemente quello di acutizzare la divisione fra proletari italiani e proletari stranieri, accusando questi ultimi di rappresentare una minaccia per l’ordine, la pace civile e la collaborazione di classe. Certa stampa ha descritto questi fatti come uno «scontro fra due eserciti di poveri diavoli» (1), altra stampa addossa la colpa di questi fatti alle organizzazioni mafiose presenti capillarmente nella regione.

In realtà si tratta di una autentica rivolta proletaria contro un bestiale sfruttamento applicato regolarmente nel settore agricolo da sempre, quali che siano le implicazioni delle organizzazioni legali o illegali della borghesia: l’obiettivo è comune, imporre lo sfruttamento capitalistico.

 

LE REAZIONI DEI GRUPPI DETTI DI «SINISTRA COMUNISTA»

 

   Se la gran parte dei partiti o gruppi di estrema sinistra hanno dato la loro solidarietà ai proletari africani di Rosarno, l’hanno fatto quasi sempre con spirito democratico, o umanitario; ciò non stupisce, visto che molti di loro provengono da gruppi che hanno abbandonato nei fatti ogni principio classista per immergersi nella via democratica borghese. Ma quali sono state le reazioni delle organizzazioni che reclamano origini da «Sinistra Comunista»?

Per la CCI, gli avvenimenti di Rosarno sono «un prodotto della disperazione» (2), essendo stati secondo lei dei «violenti scontri fra lavoratorti immigrati e locali»! Dopo avere ripreso, come poi ha confessato, questa analisi del tutto menzognera dalla stampa borghese internazionale, la CCI rimane perplessa: «La miseria non basta a spiegare» perché una parte della popolazione si sia lanciata in una vendetta razzista «né d’altra parte perché questi immigrati attaccati se la siano presa con i beni degli abitanti dei dintorni»!!!. Da buona social-pacifista, la CCI non arriva a comprendere perché supersfruttati, attaccati, trattati come cani, continuamente soggetti ad estorsioni razziste, i lavoratori immigrati non hanno saggiamente protestato rispettando scrupolosamente  la proprietà privata dei borghesi e dei piccoli borghesi razzisti...

Non vi sarebbe che una spiegazione a questi comportamenti  incomprensibili: «la disperazione, l’assenza totale di prospettive»; e la CCI cita come prova la testimonianza di un africano, pubblicata da un giornale borghese (il Corriere della Sera), che afferma di «avere avuto vergogna» della violenza che è scoppiata dopo la manifestazione. Ma si possono trovare altre testimonianze nella stampa. Per esempio quella dei leaders spontanei del movimento che ha lasciato la città con 70 centesimi in tasca: «Voi sapete quante volte mi hanno trattato senza ragione come Marocchino di m...? Noi siamo degli uomini e non degli animali, non hanno il diritto di spararci contro. Ora basta, noi chiediamo dei diritti!» (3).

Rivoltarsi contro l’ingiustizia e le condizioni disumane non è una manifestazione di disperazione e di assenza di prospettive; la rivolta è al contrario il primo passo necessario per combattere la disperazione e l’assenza di prospettive. E’ così che il progetto di uno sciopero nazionale dei lavoratori immigrati per il primo marzo è stato lanciato sull’onda della rivolta di Rosarno. Quali che siano i limiti di questa iniziativa e le manovre delle organizzazioni collaborazioniste, è un fatto che i lavoratori immigrati, grazie alla loro rivolta, si trovano di fronte alla prospettiva della rinascita della vecchia tradizione delle lotte dei lavoratori agricoli italiani.

La CCI non condanna forse così apertamente la rivolta degli immigrati di Rosarno, ma la denigrano quanto possono, il chè porta allo stesso risultato. Una volta ancora questa organizzazione che si pretende rivoluzionaria assume un’attitudine apertamente anti-proletaria (4) di fronte ad un episodio di rivolta violenta. Come caratterizzare altrimenti, in effetti, il fatto di mettere sullo stesso piano i lavoratori che si rivoltano contro il supersfruttamento e le bande lanciate alla caccia del nero (5). Ignoriamo se vi fossero autentici proletari tra le centinaia di pogromisti, ma se fosse anche il caso, essi agivano esclusivamente come scagnozzi dei proprietari e dei borghesi locali. Rifiutare di vedere la realtà, nasconderla di fatto, non è possibile che passando dall’altra parte della barricata, a fianco degli avversari del proletariato.

 

*   *   *

 

Vediamo ora le organizazioni che affermano di essere nella continuità del nostro partito.

Sanza cadere in un’attitudine ripugnante come quella della CCI, e affermando al contrario una solidarietà retorica con la rivolta di Rosarno, sia il nuovo « programma comunista» che «il Partito Comunista» (6) hanno ritenuto importante di aggiungervi immediatamente la condanna di principio per uno sciopero dei lavoratori immigrati.

«Il Partito Comunista» scrive: «Colui che, oggi, proclama di voler lottare al di fuori della lotta sindacale (...) proponendo scioperi dei soli lavoratori immigrati, impossibili a realizzare, è condannato in partenza alla sconfitta, contribuisce unicamente al disorientamento e ad una confusione supplementare ancora più grave. La via obbligata è quella della ricostruzione dell’organizzazione sindacale di classe, organizzata territorialmente come nella tradizione delle Borse del Lavoro (...). Un movimento che non prende le distanze da rivolte come quella dei lavoratori agricoli di Rosarno e la loro sacrosanta reazione alle fucilate padronali, ma le fa sue e che si pone seriamente l’obiettivo di un movimento di lotta sempre più vasto, culminante nello sciopero generale per imporre i veri obbiettivi immediati della classe operaia: - Riduzione del tempo di lavoro senza riduzione di salario! - Salario garantito ai disoccupati! - Aumento dei salari, più alto per le categorie peggio pagate! - Diritto di cittadinanza per i lavoratori immigrati!» (7).

Le rivendicazioni immediate dei lavoratori immigrati di Rosarno e di altri luoghi (stessi salari ai proletari italiani e immigrati, regolarizzazione dei sans-papiers, no alle vessazioni poliziesche e padronali, alloggi decenti ecc.) non sembrano dunque far parte dei veri obiettivi immediati della classe operaia secondo i fiorentini del «Partito Comunista» che hanno soltanto accennato a degli equivoci e generici «diritti di cittadinanza» al posto delle rivendicazioni classiche dell’«eguaglianza di diritti» per tutti i proletari!

Inoltre, opporre la prospettiva dello sciopero dei soli lavoratori immigrati - giudicato impossibile! - alla necessità di ricostruire prima il sindacato di classe che potrà un domani organizzare lo sciopero generale, porta molto semplicemente a opporsi alle lotte - senza alcun dubbio locali, parziali, ma reali -  che si fanno già oggi. L’esempio della Francia mostra che i lavoratori immigrati - per di più sans-papiers - sono perfettamente in grado di fare da soli scioperi anche duri e di lunga durata, anche in assenza di sindacati di classe o della solidarietà effettiva dei lavoratori francesi.

Bisogna condannare questi scioperi e in generale queste lotte perché sono «al di fuori della lotta sindacale» (?), perché non seguono la via obbligatoria decretata dal gruppo che pubblica «il partito comunista»?

L’organizzazione proletaria per la lotta immediata - il sindacato di classe - non potrà nascere e svilupparsi che al fuoco delle lotte e degli scioperi che scoppieranno spontaneamente contro il peggioramento dello sfruttamento, e non sulla base di uno schema astratto che rigetta tutto ciò che non rientra nella sua forma ideale. Lo schematismo de «il partito comunista» lo condanna a mettersi di traverso rispetto al corso reale della lotta di classe.

«Il programma comunista» attuale ha preso in sostanza la stessa posizione del «partito comunista»: opposizione ad uno sciopero dei lavoratori immigrati, ma in maniera più netta e violenta: «Lanciare la parola d’ordine dello “sciopero dei lavoratori immigrati” significa mettersi sulla via del tradimento» (!), si trova scritto in un piccolo articolo intitolato «Sì allo sciopero generale dei proletari di ogni origine, località, categoria! No allo sciopero dei soli lavoratori immigrati!» (8). E spiega: «Per essere vincente, anche solo sul piano immediato, la risposta [al peggioramento delle condizioni proletarie, ndr] non può essere che la ripresa della lotta di classe aperta e intransigente, opposta ad ogni separazione e ghettizzazione, ad ogni divisione all’interno di questo enorme esercito, che non fa che crescere in maniera smisurata con l’avanzare della crisi, che si chiama proletariato mondiale!».

«Il programma comunista» attuale afferma così che tutte le lotte parziali, ogni lotta di un gruppo di lavoratori più combattivi o semplicemente spinti a battersi a causa delle circostanze particolarmente intollerabili in cui vivono, non solo non serve a nulla finché non esplode il mitico sciopero generale, ma continua un tradimento della lotta di classe! Alcuni gruppi o settori della classe operaia non dovrebbero scendere in lotta per difendere le proprie condizioni di vita e di lavoro fino a quando il proletariato intero (del paese, del mondo?) non sia pronto anch’esso a scendere in lotta, pena l’aumento della «frammentazione» del proletariato!

Quel che abbiamo di fronte è una visione del tutto idealista della situazione della classe operaia che si vorrebbe già pronta a passare alla lotta generale - quando in realtà fatica enormemente a riorganizzarsi sul terreno dell’antagonismo di classe e a scioperare per difendere condizioni elementari di vita e di lavoro!!!

I signori del nuovo «programma comunista», autoproclamatisi professori in lotta di classe, hanno semplicemente «dimenticato» i criteri materialisti d’analisi dei fenomeni sociali; hanno «dimenticato» che la maturazione della coscienza classista nel seno del proletariato non potrà mai arrivare d’un colpo e per tutti i proletari. Non sanno, poveri professori, che il processo di maturazione classista del proletariato è un fenomeno arduo e contraddittorio che non può non dividere il proletariato in settori «avanzati» e settori «arretrati» sulla base delle esperienze di lotta, delle vittorie e delle sconfitte, dell’influenza materiale delle forze legate alla borghesia; e, all’inverso, dell’intervento del partito di classe, indispensabile per combattere queste influenze e dirigersi verso l’unità di classe. Intossicata da più generazioni dalla droga dell’interclassismo democratico, ancora impastoiata nei mille lacci della collaborazione di classe, ancora incosciente della propria forza potenziale, la classe proletaria come potrebbe, nel suo insieme, essere improvvisamente convertita alla necessità della lotta generale di classe? A meno che i sacerdoti del nuovo «programma comunista» non credano nei miracoli soprannaturali...

Quel che si evidenzia dietro le frasi colme di esaltazione dei proletari di Rosarno, è in realtà una ostilità evidente da parte del nuovo «programma comunista» verso una possibile lotta di un settore particolarmente sfruttato, maltrattato e vessato del proletariato (in questo caso specifico in Italia, ma allargabile a qualsiasi paese). Opponendosi alla lotta dei «soli» proletari immigrati, questo gruppo politico che si vanta di origini di «sinistra comunista» così chiaramente tradite, alla pari degli altri gruppi politici ricordati in questo breve articolo, cede alla pressione dei pregiudizi piccoloborghesi, sciovinisti e da aristocrazia operaia, onnipresenti nella società borghese: è la triste conseguenza dell’abbandono dei principi e degli orientamenti autenticamente marxisti.

 


 

(1) Cfr. Il Corriere della Sera, 9/1/2010. Il grande quotidiano della borghesia milanese descrive anche una scena di caccia al nero in cui la polizia salva un giovane immigrato; poi dà la parola a uno scagnozzo razzista che si lamenta:«all’inizio la polizia ci ha chiesto il nostro aiuto per reprimere la rivolta e ora invece ci bastona. Che cosa dobbiamo fare?».

(2) Révolution Internationale n. 409 (febbraio 2010).

(3) Cfr, Il Corriere della Sera, cit.

(4) La CCI - Corrente Comunista Internazionale - oppone nel suo articolo i fatti di Rosarno provocati dalla «disperazione» ad uno sciopero degli operai della raffineria Total di Lindsey (Gran Bretagna) che, invece, sarebbe «come un barlume di speranza». Si tratterebbe in questo caso di un vero problema di concorrenza fra operai di diverse nazionalità che è scoppiato all’inizio del 2009 dopo che i padroni avevano accordato un contratto ad una compagnia italiana che avrebbe portato in quella raffineria 300 operai italiani e portoghesi.

I lavoratori britannici scesero in uno sciopero selvaggio, riprendendo lo slogan del primo ministro: «Il lavoro in Gran Bretagna ai lavoratori britannici». Lo sciopero terminò dopo che gli scioperanti avevano ottenuto che un centinaio dei posti di lavoro in ballo fossero riservati a operai britannici. In giugno un nuovo sciopero selvaggio, accompagnato da scioperi di solidarietà (cui parteciparono anche dei lavoratori polacchi) in altre raffinerie, obbligò la direzione ad annullare la decisione di licenziare una parte degli scioperanti di gennaio. Gli slogan sciovinisti furono allora molto meno presenti che all’inizio dell’anno. La comparazione che ha fatto la CCI dei due avvenimenti - in realtà completamente diversi - si basa sul fatto che essa prende i piccoloborghesi razzisti di Rosarno per dei proletari!

(5) I razzisti di Rosarno chiamano «negri» sia i nordafricani che i veri neri d’Africa.

(6) Il nuovo «programma comunista» è un gruppo che si è riorganizzato, dopo la crisi esplosiva del nostro partito del 1982-84, intorno alla vecchia testata del partito dopo averne carpito la proprietà commerciale con un’azione legale in tribunale; «il Partito Comunista» è il giornale di un gruppo che si scisse dal partito nel 1973 sulla questione sindacale e sulla concezione del partito, e che ha la sua sede centrale a Firenze.

(7) Cfr Il Partito Comunista n. 339, gennaio-febbraio 2010.

(8) Cfr il programma comunista n.1/2010.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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