La destituzione del governo Morsi non è una vittoria dei proletari e delle masse sfruttate d’Egitto.

La vittoria non sarà ottenuta che attraverso la lotta proletaria  di classe contro il capitalismo!

(«il comunista»; N° 130-131; aprile - luglio 2013)

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In seguito alle gigantesche manifestazioni pacifiche contro il governo Morsi, che hanno raccolto milioni e milioni di manifestanti in tutto l’Egitto, l’esercito ha rovesciato il governo, ha arrestato Morsi e decine di dirigenti dei Fratelli Musulmani, chiuso le loro reti televisive e soppresso i loro giornali. Un presidente ad interim è stato designato e pare che vi siano trattative per nominare un nuovo governo.

Questi avvenimenti sono stati salutati con entusiasmo da una gran parte della popolazione, esasperata dall’incapacità del governo di migliorare la sua situazione e dalla politica autoritaria e reazionaria dei Fratelli Musulmani. Numerosi sono coloro che presentano questi avvenimenti come una “vittoria del popolo” e la prova che l’esercito, in fondo, obbedisce alla volontà delle masse popolari.

 

Niente di più falso!

 

L’esercito è intervenuto per proteggere il capitalismo egiziano, per salvare la pace sociale evitando che il malcontento generalizzato sfociasse in scontri violenti e incontrollabili. In più riprese nel corso delle ultime settimane i capi militari – nomianti dallo stesso governo Morsi! – si sono appellati al governo perché trovasse dei compromessi con elementi dell’opposizione affinché la crisi economica e sociale in cui l’Egitto è precipitato non si trasformasse in crisi politica. Il raduno piccolo borghese “Tamarrud” che ha organizzato una campagna di petizioni per richiedere le dimissioni di Morsi ha ottenuto in qualche settimana quasi 20 milioni di firme: dimostrazione dell’impopolarità del governo, ma anche della forza delle illusioni democratiche e pacifiste. Tamarrud (“ribellione”) preconizzava, certo non una rivoluzione sociale, ma la formazione di un governo apolitico di tecnocrati che fosse capace di risolvere i problemi economici del paese. Non deve perciò stupire che Tamarrud si feliciti dell’azione dell’esercito e che si sia schierato dietro la candidatura dell’anziano premio Nobel per la pace (nel 2005), il borghese Mohamed El Baradei, al posto di primo ministro.

Ma le leggi del capitalismo sono inflessibili; quali che siano le tendenze politiche o religiose del governo borghese che succederà al governo Morsi, per ristabilire la salute economica del paese, non avrà altra scelta che di obbedire loro, cioè di accrescere lo sfruttamento dei proletari, di ridurre le già magre misure sociali esistenti e di rafforzare la repressione per far passare queste misure antiproletarie.

Dal gennaio 2011 hanno chiuso più di 4.500 fabbriche (1) e più di 1 milione di persone hanno perso il loro lavoro; a dispetto delle dichiarazioni governative sulla creazione di posti di lavoro, la disoccupazione non ha cessato di aumentare. Il 78% dei lavoratori non ha che un impiego precario e la metà degli 80 milioni di egiziani vive sotto il livello ufficiale di povertà, cioè con meno di 1 dollaro al giorno (2). L’inflazione ha raggiunto ufficialmente il 13% annuo, ma raggiunge il 40% nei prodotti di prima necessità. I blocchi regolari di corrente elettrica e la penuria di carburante dovuti ai problemi economici dello Stato aggravano ancor più le difficoltà della vita quotidiana, anche per larghi strati della piccola borghesia.

A questo rapido quadro buisogna aggiungere la diminuzione degli investimenti stranieri, la caduta degli introiti del turismo (che è sempre uno dei settori economici tra i più importanti) e anche di quelli dovuti dal canale di Suez, senza dimenticare l’importante deficit del budget dello Stato; tutti questi fattori mettono in pericolo le finanze dell’Egitto che è costretto ad importare ciò che serve per nutrire gli 80 milioni di abitanti (l’Egitto è il primo importatore mondiale di frumento, essendo il pane la base dell’alimentazione delle masse); secondo alcuni economisti questa crisi economica in Egitto è la più grave dagli anni Trenta dello scorso secolo.

Essendo del tutto insufficiente l’appoggio finanziario del Qatar, il governo egiziano si è visto costretto a chiedere l’aiuto del FMI; ma quest’ultimo non è disposto ad accordare i suoi prestiti a basso tasso d’interesse se non alla condizione che lo Stato “rimetta in ordine” le sue finanze, in poche parole se diminuisce le sue spese ed aumenta le sue entrate. Concretamente questo significa sopprimere o ridurre drasticamente le sovvenzioni ai prodotti di base che costituiscono la spesa più importante dello Stato, altrimenti detto... affamare le masse povere! Il governo Morsi, perfettamente cosciente del fatto che una decisione di questo genere avrebbe scatenato reazioni e moti violenti (come quelli che vi furono nel 1977 a causa dei quali la repressione fece decine di morti), ha esitato fino all’ultimo... In una situazione così grave, sembra che dalla primavera di quest’anno ci fosse una frazione della borghesia capitalista che premeva perché l’esercito prendesse il potere, ma che i capi dell’esercito, allora,abbiano rifiutato (3).

Se il governo Morsi ha esitato a seguire le raccomandazioni antisociali del FMI, non ha avuto però scrupoli ad attuare una politica repressiva antioperaia e a gettare le basi per una sua acutizzazione. Una legge sulle libertà sindacali che, redatta poco dopo la caduta di Mubarak, accordava molte facilitazioni a favore delle organizzazioni operaie e delle lotte, non è mai stata promulgata a causa dell’opposizione militare; la nuova legge che stava preparando il governo Morsi prevedeva differenti misure per registrare i nuovi sindacati che nel frattempo si sono costituiti (autorizzazione preventiva per creare un sindacato, controllo delle loro finanze, divieto del pluralismo sindacale – ossia riconoscimento del monopolio dei vecchi sindacati di Stato, ecc.). Ma, prima ancora che questa legge fosse promulgata, i licenziamenti e gli arresti di proletari che tentavano di organizzarsi e di lottare contro i capitalisti, la criminalizzazione degli scioperi, le violazioni continue dei diritti dei lavoratori internazionalmente riconosciuti, hanno fatto dell’Egitto un “inferno per gli operai” secondo la borghesissima OIT (4)!

Tuttavia, se l’organizzazione dell’Onu si indignava, non era per solidarietà con gli operai, ma perché essa temeva che la politica governativa apertamente antiproletaria scatenasse delle lotte mentre essa persegue una democratica politica di collaborazione fra le classi  in funzione di prevenzione. Ed è esattamente ciò che sta succedendo!

Secondo l’International Development Center (una ONG egiziana indipendente), nel corso dei primi 6 mesi del 2013, l’Egitto ha conosciuto il più gran numero di “proteste” sociali nel mondo: 5.544, e il mese di maggio è stato il periodo più caldo con circa due “proteste” all’ora e le più “violente”!

Il tipo di “proteste” non è molto chiaro, ma sembra che non si tratti di scioperi; ciò detto, i due terzi di queste “proteste” (manifestazioni, marce o attacchi agli edifici ufficiali) erano legati alle condizioni di lavoro, a rivendicazioni sociali e a carenze di servizi pubblici, in breve erano di natura proletaria (5). Sebbene non vi siano informazioni complete, sembra che il mese di giugno abbia visto un seguito di questa ondata di proteste, prima ancora delle gigantesche manifestazioni anti-Fratelli Musulmani della fine del mese alle quali i proletari hanno partecipato in massa; vi sono notizie di agitazioni operaie nei centri tessili del nord, chiaramente nella gigantesca fabbrica Misr Spinning di Mahalla in cui migliaia di operai hanno manifestato contro il governo dei Fratelli Musulmani e per proprie rivendicazioni (6).

La caduta del governo Morsi dopo le grandi manifestazioni degli ultimi giorni va inevitabilmente a ridare vita alle illusioni sulla fraterna unione fra le classi e la bontà dell’apparato militare e statale, che si erano dissipate sotto il governo dei Fratelli Musulmani: questo è un vantaggio che la borghesia egiziana utilizza per calmare i proletari. ma la realtà della crisi capitalistica si incasricherà di dissipare prima o poi tutte queste illusioni.

I fatti dimostreranno ai proletari d’Egitto che il loro vero nemico, non è soltanto il regime dei Fratelli Musulmani, dopo quello di Mubarak: è il sistema capitalista tutto intero. Dimostreranno che contro questo nemico è impossibile contare sul sostegno delle altre classi, sui piccoloborghesi e sui borghesi laici, perché anch’essi vivono del loro sfruttamento; né sull’appoggio dell’esercito e dello Stato borghese, la cui funzione ultima è di mantenere lo sfruttamento capitalista. I soli alleati dei proletari sono i proletari e gli sfruttati di tutto il paese, e di tutti i paesi.

I fatti dimostreranno anche che non è possibile difendersi e lottare contro questo nemico mortale, contro i capitalisti e il loro Stato, a colpi di petizioni o di manifestazioni pacifiche: solo la lotta proletaria di classe, la lotta rivoluzionaria per abbattere lo Stato borghese ed instaurare sulle sue rovine il potere dittatoriale degli sfruttati potrà finirla definitivamente con il capitalismo e con tutti i regimi borghesi che si succcedono continuamente.

Per condurre questa lotta, la condizione necessaria è l’organizzazione di classe indipendente, sia sul piano della lotta “immediata” ed “economica” (organizzazione sindacale di classe) che sul piano politico più generale (partito di classe). Future battaglie attendono i proletari d’Egitto come quelli del mondo intero: che queste lotte siano vittoriose dipenderà dalla capacità degli uni e degli altri di riannodarsi con la prospettiva storica dell’emancipazione proletaria, il programma comunista, che sintetizza le lezioni delle grandi battaglie internazionali della classe operaia.

 

7 luglio 2013

 


 

(1) Cfr http://www.egyptindependent.com/news/rise-factory-closures-reflects-egypt-s-compound-econimic-malaises

(2) Cfr http://www.csmonitor.com/Commentary/the-monitors-view/2013/0705/Why-Egypt-now-deserves-world-s-help

(3) Il generale Sisi dichiarava in maggio che una presa del potere da parte dell’esercito non poteva risolvere i problemi. Cfr http://www.isj.org.uk/index.php4?id=904&issue=139#139marfleet37

(4) Cfr http://hebdo.ahram.org.eg/NewContent/979/10/124/3002/LEgypte,-un-enfer-pour-les-ouvriers.aspx

(5) Cfr http://www.egyptindependent.com/news/report-egypt-averaged-two-protests-hour-may. Queste rivendicazioni danno un’idea delle condizioni di vita operaie: aumento immediato del salario minimo, aumento del sussidio per i generi di prima necessità, ottenimento dello stato di lavoratore permanente dopo 20 anni di lavoro, trasporto gratuito, riconoscimento dello stato di lavoratrice qualificata ecc. Cfr http:// menasolidaritynetwork.com/ 2013/06/28/egypt-mahalla-workers-join-rebellion-reject-privatisation-plans/

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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