Sulla reazione dell’esercito egiziano alla destituzione del presidente Morsi

(«il comunista»; N° 132; ottobre 2013)

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Il primo agosto, John Kerry, segretario di Stato americano, dichiarava che rovesciando all’inizio di luglio il presidente Morsi, i militari egiziani “restauravano la democrazia”, e che avevano agito su “richiesta di milioni di persone” (dopo l’insuccesso dei negoziati con i Fratelli Musulmani e la sanguinosa repressione dei loro seguaci, gli Stati Uniti hanno cominciato a criticare il nuovo potere).

Ma non sono solo gli Stati Uniti o i media internazionali ad applaudire l’azione dei militari, vedendovi una vittoria delle masse contro un governo antidemocratico. E non si tratta nemmeno dei soliti intellettuali che sputano sentenze su ciò che conoscono ben poco (la situazione delle masse proletarie e le loro lotte), ma anche delle correnti o dei partiti politici sedicenti marxisti o comunisti che ne hanno parlato come di una “seconda rivoluzione”!

A titolo d’esempio, possiamo citare i trotskisti del Socialist Workers Party britannico (SWP) che, nella loro stampa, scrivevano “una seconda rivoluzione spazza via un presidente” (1); “E’ una situazione contraddittoria; l’esercito ha effettivamente arrestato il presidente e 77 dirigenti dei Fratelli Musulmani. Sono intervenuti per salvarsi da una nuova rivoluzione. Ma nello stesso tempo si tratta di una rivolta popolare di massa. Il popolo ha costretto l’esercito ad agire e l’esercito ha agito così solo perché erano preoccupati per il loro futuro” (2).

 

L’opportunismo del Partito Comunista-Operaio dell’Iran

 

L’entusiasmo più grande è stato, probabilmente, quello manifestato dal Partito Comunista-Operaio dell’Iran (PCOI). Dopo il rovesciamento di Morsi, in un comunicato, questo partito scriveva: “la rivoluzione egiziana ha superato un’importante tappa per la popolazione dell’Egitto, del Medio Oriente e del mondo intero. L’immenso movimento di Tamarrod che ha organizzato ‘la più grande manifestazione della storia’ ha portato il governo Morsi e dei Fratelli Musulmani alla rovina determinando la sua caduta per mano dell’esercito. Non si tratta soltanto di un’importante tappa nell’indebolimento delle forze islamiste in Egitto e in paesi come l’Iran, ma, più ancora, di una espressione per andare oltre i limiti della democrazia e di un colpo fatale al mito del potere delle urne, cioè del potere della borghesia. Il mondo intero è stato testimone del fatto che decine di milioni di uomini e donne sono scesi nelle strade d’Egitto e hanno direttamente esercitato la loro volontà e rovesciato il governo (...). Si tratta di un tornante storico che porta il nome di rivoluzione egiziana” (3).

Per il SWP come per il PCOI, l’esercito borghese (che è la “colonna vertebrale dello Stato egiziano”, come ricorda lo stesso comunicato del PCOI), sarebbe diventato, dunque, l’espressione della “volontà diretta” delle masse; esso sarebbe stato “costretto” dalle masse a rovesciare un governo, facendosi protagonista di una “seconda rivoluzione” ed avrebbe, nello stesso tempo, assestato un colpo fatale al potere della borghesia!

Il PCOI si proclama marxista, ma, nel momento incui lo slogan più popolare era “esercito e popolo, una stessa mano!”, ha contribuito a diffondere la fatale menzogna riformista secondo la quale è possibile, per gli oppressi, utilizzare lo Stato borghese (esercitando su di lui una pressione attraverso manifestazioni pacifiche) in loro favore. Il ruolo dei marxisti è, al contrario, di avvertire i proletari che l’esercito è un nemico ancora più implacabile dei Fratelli Musulmani, perché è l’ultimo difensore del capitalismo che li sfrutta e li condanna alla miseria; il loro dovere è di dissipare le illusioni assurde sul colpo fatale che potrebbe essere portato al potere della borghesia con la destituzione di un governo attraverso il suo stesso braccio armato.

Se il comunicato del PCOI prosegue dicendo che la “rivoluzione” deve “confrontarsi direttamente e spezzare la spina dorsale dello Stato egiziano, cioè l’esercito”, si suppone che non siano altro che parole vuote, dato che la frase è seguita da un omaggio al “magnifico movimento Tamarrod” che avrebbe “rafforzato le posizioni della rivoluzione egiziana”. Ebbene, questo movimento, i cui dirigenti hanno pubblicamente affermato di lavorare alla riconciliazione dei rivoluzionari e dei rappresentanti del vecchio regime, è stato finanziato da settori della borghesia egiziana ed è stato sostenuto per la maggior parte dei partiti borghesi, come il partito di El Baradei o il Fronte di Salute Nazionale il cui presidente è oggi il primo ministro; ed è stato sempre in contatto con i circoli dirigenti dell’esercito e, dopo aver sostenuto la destituzione di Morsi da parte dell’esercito, si è appellato alla creazione di milizie in sostegno dell’esercito e della polizia!

L’inconsistenza delle posizioni del PCOI risulta chiarissima a proposito delle prospettive da esso avanzate: “il più grande pericolo (...) è di sapere se questa rivoluzione resterà una forza di opposizione [non è dunque veramente una rivoluzione?] o se il gigantesco movimento di Piazza Tahrir si trasformerà esso stesso in potere di Stato basato sulla volontà diretta della popolazione organizzata nei suoi organismi di base di massa”.

Un potere di Stato basato sulla volontà diretta della popolazione è piuttosto un’idea anarchica, ma per il marxismo è un’utopia assurda: un potere di Stato è necessariamente basato su organizzazioni e strutture di diverso tipo e fondato su una forza armata. Non può nascere attraverso una generica trasformazione di un movimento d’opinione e da manifestazioni, ma attraverso il preventivo smatellamento del precedente potere statale, attraverso l’insurrezione e la presa rivoluzionaria del potere. Inoltre, il marxismo non parla di popolo, ma di classi sociali che, in seno al popolo, hanno interessi divergenti: parlare di popolo è voler nascondere l’esistenza di questi interessi antagonistici e opporsi alla lotta di classe.

Quanto alle organizzazioni di base di massa, le sole che oggi esistono sono legate alla borghesia e allo Stato, come Tamarrod o le organizzazioni sindacali!

“Piazza Tahrir e l’immenso movimento del popolo egiziano devono passare attraverso l’esercizio della loro volontà [il PCOI ci ha già detto che lo strumento di questa volontà è l’esercito borghese!] per cambiare il governo e rovesciare i diversi rappresentanti della borghesia, per la presa del potere politico e per l’elaborazione di un nuovo sistema basato sulla libertà inviolabile del popolo, il benessere e la dignità”. Il PCOI si guarda bene dal ricordare l’insegnamento fondamentale del marxismo secondo il quale la sola via per rovesciare il capitalismo e realizzare l’emancipazione del proletariato e delle masse oppresse è la lotta di classe portata fino in fondo, ciò che implica la creazione di organizzazioni classiste per la lotta quotidiana (sindacati di classe ecc.), la costituzione del partito di classe rivoluzionario, la presa violenta del potere e l’instaurazione della dittatura proletaria. Anzichè combattere, grazie agli insegnamenti del marxismo, la confusione che inevitabilmente regna fra le masse ed anche fra gli elementi spinti alla loro avanguardia, il PCOI si allinea per opportunismo su questa voluta confusione; nascondendo le posizioni marxiste, esso smercia i nauseanti luoghi comuni sulla libertà, la dignità, il popolo, denunciati da Marx ed Engels più di un secolo e mezzo fa!

 

L’orientamento piccoloborghese dei Socialisti Rivoluzionari egiziani

 

I Socialisti Rivoluzionari (SR) sono il solo gruppo egiziano conosciuto di estrema sinistra, e grazie a ciò essi godono, sul piano internazionale, di una reputazione di difensori delle posizioni marxiste nella tempesta sociale e politica che scuote l’Egitto dall’inizio della “primavera araba”.

Disgraziatamente questa reputazione è usurpata e gli SR, legati al SWP citato all’inizio di questo articolo, hanno dimostrato la loro assoluta incapacità di possedere un orientamento politico di classe, marxista, dimostrando invece il loro codismo congenito rispetto alle correnti politiche dominanti.

Nella loro “letter to supporter” (4) di metà agosto, gli SR affermano di non voler “dissimulare o mettere da parte certi nostri principi politici per beneficiare temporaneamente di un sostegno popolare ai nostri discorsi e ai nostri slogan. Al contrario, dissimulare alcuni dei nostri slogan o delle nostre posizioni politiche per ottenere dei risultati politici a breve termine non sarebbe che una sorta di opportunismo estraneo ai Socialisti Rivoluzionari, che si devono assolutamente evitare”. Ma nei fatti, è proprio l’opportunismo più sbrigliato che ha caratterizzato e caratterizza la loro politica. Essi hanno sostenuto forze politiche diverse, ma tutte egualmente borghesi: la loro sola costante è stato l’ostinato rifiuto ad adottare posizioni di classe! Andiamo a vedere, en passant, rapidamente le loro prese di posizione nel corso di questi ultimi anni.

Nel loro comunicato di condanna del massacro di centinaia di manifestanti islamisti del 14 agosto, essi scrivevano: “gli SR non hanno sostenuto un sol giorno il regime di Mohammed Morsi né i Fratelli Musulmani. Siamo stati sempre all’avanguardia dell’opposizione a questo regime criminale”. Ma la realtà è diversa. Secondo un cable confidenziale dell’Ambasciata Americana al Cairo (rivelato da wikileaks), dal 2008, dopo l’ondata di scioperi nelle industrie tessili, gli SR avrebbero fatto parte di un fronte raggruppante i Fratelli Musulmani, i Nasseriani, i partiti Karama e Tagammu (partiti di opposizione parlamentare tollerati dal regime) per una “transizione verso una democrazia parlamentare” prima delle elezioni presidenziali previste per il 2011, fronte che sperava di avere il sostegno dell’Esercito e della polizia (5).

Comunque sia, gli SR hanno difeso pubblicamente l’orientamento tracciato dai dirigenti del SWP, secondo il quale sono possibili alleanze con i partiti islamisti, secondo lo slogan: “con gli islamisti, talvolta, con lo Stato mai” (6).

Il 25 febbraio 2011, una decina di giorni dopo la caduta di Mubarak, gli SR firmano la dichiarazione ultrariformista di una “coalizione operaia della rivoluzione del 25 gennaio” raggruppante “dirigenti, figure emblematiche e altre personalità legate al movimento operaio” con anche dei rappresentanti dei Fratelli Musulmani, del Partito Comunista, dei sindacalisti e di ONG democratiche. I primi due punti di questa dichiarazione erano: “1. Formazione immediata di un Consiglio presidenziale civile. 2. Avvio di un governo provvisorio e costituzione di un governo composto da organismi nazionali qualificati e completamente indipendente dal vecchio regime fino alla tenuta di nuove elezioni”.

Quando la situazione appariva sedicentemente rivoluzionaria, nessuna rivendicazione, anche solo vagamente di classe, poteva evidentemente essere formulata da un simile raggruppamento comprendente avversari dichiarati o camuffati della lotta operaia! (7). Soltanto il settimo, l’ottavo e l’ultimo punto della dichiarazione facevano una timida allusione agli interessi operai richiedendo lo scioglimento della centrale sindacale ufficiale e la riassunzione degli operai licenziati oltre all’ “applicazione degli accordi internazionali relativi ai diritti economici e sociali in modo da poter godere delle libertà sindacali e dei giusti salari (...)”... Durante tutto questo periodo tumultuoso, cercheremmo invano delle prese di posizione classiste da parte degli SR, unicamente interessati alla ricerca di “risultati a breve termine”.

Nel luglio 2011 essi parteciparono all’organizzazione di un venerdì di “unione nazionale” a piazza Tahrir contro il governo provvisorio, nel quadro di un “fronte unito” raggruppante praticamente tutti i partiti fino all’estrema destra Salafita: si trattava di inviare al “Consiglio militare il messaggio che le forze politiche in Egitto non possono essere divise”, avendo le diverse organizzazioni accettato di mettere da parte le loro divergenze. E’ chiaramente impossibile predicare la lotta indipendente di classe mentre si partecipa ad un fronte inteclassista che comprende partiti borghesi, laici e religiosi! I manifestanti Salafiti approfittarono della manifestazione per chiedere l’applicazione della Sharia e la creazione di uno Stato islamista, i partiti laici dichiararono in un comunicato firmato anche dagli SR di ritirarsi “in nome dei loro principi pacifisti” e in segno di protesta per il fatto che le “divergenze” fra i partecipanti erano state espresse pubblicamente! (8).

 

Il sostegno elettorale dei Socialisti Rivoluzionari a Morsi

 

Alle elezioni presidenziali del giugno 2012, le prime dopo la caduta di Mubarak, gli SR chiamarono a votare al secondo turno a favore del candidato dei Fratelli Musulmani (Mohammed Morsi) contro il candidato sostenuto dall’esercito (Shafiq); essi scrissero, nella loro dichiarazione, che sarebbe stato un grave errore non fare la differenza fra il “riformismo dei Fratelli Musulmani e il ‘fascismo’ di Shafiq. I Fratelli sono stati sostenuti da milioni di elettori che aspirano (...) ad una vera democrazia”. Richiamandosi all’ “unità dei rivoluzionari e dei riformisti [cioè i Fratelli Musulmani]” essi preconizzavano la formazione di un “fronte nazionale contro il candidato della controrivoluzione” e domandavano ai Fratelli Musulmani di formare un governo di coalizione comprendente “tutto il ventaglio politico”!!! (9).

Di fronte all’argomento che non vi è differenza fra i generali e i Fratelli Musulmani, gli SR ammettevano: “Da un punto di vista di classe, se guardiamo i loro programmi, non vi sono differenze. Ma esiste una differenza molto importante. I Fratelli Musulmani hanno una base di massa – una capacità di mobilitazione. (...) La base dei Fratelli, e le masse che li sostengono, sono un’audience interessante per la Sinistra in Egitto. Sono un’audience interessante per la rivoluzione. Gli SR non ‘sostengono’ i Fratelli Musulmani, ma nella battaglia tra i Fratelli Musulmani e i militari, noi siamo sulle barricate con gli islamisti” (10). Dunque, gli islamisti sono dei riformisti che bisogna sostenere perché hanno dalla loro parte milioni di persone: una bella confessione di opportunismo.

Secondo il marxismo, i “riformisti” sono avversari della rivoluzione, partigiani dell’ordine costituito (i bolscevichi li qualificavano come agenti della borghesia); ma essi riescono ad ingannare le masse proletarie affermando di difendere le loro rivendicazioni pretendendo di soddisfarle attraverso i mezzi legali e pacifici, attraverso delle semplici riforme. Non si può certo strappare le masse all’influenza dei riformisti con la funesta tattica del “Fronte Unico Politico” con loro, ma soltanto mobilitandole, alla base, in una lotta unitaria e di classe per queste rivendicazioni. Inoltre, come si può affermare che Morsi è riformista e che il “fascista” Shafiq è il candidato della “controrivoluzione”, se i due candidati hanno lo stesso programma? E se le masse che sostengono i Fratelli Musulmani, lo fanno sulla base di un programma così reazionario come quello dei generali, come si può pretendere che queste masse siano un’audience interessante per la rivoluzione?

Ma la questione più importante è la seguente: è possibile combattere il fascismo o la “controrivoluzione”, per mezzo delle schede elettorali e sostenendo un partito reazionario? I proletari non hanno davvero altre alternative che l’utilizzo del meccanismo elettorale borghese – istituito per deviare la loro lotta reale – e che la scelta tra due sole alternative borghesi? Allearsi con dei partiti borghesi, religiosi o laici, avendo come obiettivo delle riforme democratiche, è un tradimento completo degli interessi proletari e della lotta di classe, dato che non siamo più all’epoca delle rivoluzioni antifeudali o anticoloniali (e anche allora, se delle specifiche alleanze nella lotta rivoluzionaria erano possibili, la condizione era l’indipendenza di classe del proletariato).

Milioni di egiziani hanno compreso che le elezioni non potevano cambiare nulla e, rifiutando di sostenere sia il candidato dei generali che quello dei Fratelli Musulmani, si sono astenuti dando in questo modo una lezione ai Socialisti Rivoluzionari...

Qualche mese più tardi, nel novembre 2012, quando l’impopolarità dei Fratelli Musulmani toccava il suo apice al momento del cambiamento costituzionale deciso da Morsi, gli SR abbandonarono la loro convinzione circa la natura riformista dei Fratelli Musulmani: “Le maschere di Morsi e dei Fratelli Musulmani sono cadute (...). Essi non sono, insieme ai resti del vecchio regime, che le due facce della stessa medaglia che è la tirannia, il nemico del popolo” (11), affermarono con indignazione!

Ma questa constatazione, tuttavia, non li spinse a seguire una politica proletaria di indipendenza di classe; irresistibilmente attratti dalla prospettiva di un raggruppamento interclassista, essi fecero appello alla “formazione di una nuova Assemblea Costituente che rappresentasse tutti i settori della società” e alla formazione di un “governo rivoluzionario di coalizione fino all’adozione di una nuova costituzione e l’elezione di un nuovo governo”! La parola “rivoluzionario” serviva in questo caso a far passare questa proposta, mostruosa per chi si dice marxista, di un governo di tutti i partiti, concretizzando l’unione nazionale che gli SR hanno sistematicamente preconizzato...

 

La campagna Tamarrod

 

Nella primavera 2013, gli SR si impegnarono nella campagna Tamarrod, sebbene essi oggi affermino di aver saputo che a questa campagna vi partecipavano non soltanto diverse forze borghesi e capitaliste, compresi rappresentanti del regime di Mubarak, ma anche la Mukabarat, la polizia segreta! (12). La campagna Tamarrod non aveva nulla di rivoluzionario né di proletario; era un aggregato di petizioni, finanziato dai grandi capitalisti e sostenuto e diffuso dai media contrari ai Fratelli Musulmani per richiedere le dimissioni del governo Morsi; il suo scopo era di contenere nel quadro del regime borghese il malcontento generalizzato di fronte a questo governo e alla crisi sociale persistente. Questa campagna sboccò nelle gigantesche manifestazioni di piazza del 30 giugno. Per queste manifestazioni i dirigenti di Tamarrod avevano chiesto e ottenuto che non vi fossero bandiere e striscioni operai. Gli SR spiegano oggi che era una condizione imposta dall’esercito: “L’esercito non voleva un ruolo chiaramente visibile della classe operaia, voleva che questo fosse un momento di unità nazionale, con le bandiere dell’Egitto e nulla più. Tutti insieme – i resti del vecchio regime, i rivoluzionari, la sinistra, la destra, i grandi capitalisti – tutti insieme” (13). E’ facile comprendere che queste manifestazioni aprirono inevitabilmente la via al colpo di stato militare per rovesciare Morsi.

I Socialisti Rivoluzionari approvarono l’azione dell’esercito presentandola come una seconda rivoluzione imposta ai militari dalle rivolte delle masse (le prese di posizione del SWP citate all’inizio di questo articolo sono state scritte dagli SR): “Al Sissi ha fatto il 3 luglio 2013 quel che aveva fatto prima di lui Hussein Tantawi l’11 febbraio 2011 – ha acconsentito alla volontà della folla in rivolta, non per patriottismo (!) o per fervore rivoluzionario, ma per paura della rivoluzione” (14). Secondo la loro analisi, i militari stavano ora giocando la carta delle forze dell’opposizione liberale per tentare di “far abortire la rivoluzione”.

In realtà, i militari avevano così poco acconsentito alla volontà rivoluzionaria delle masse, che, rafforzati dalla fiducia ottenuta, si impegnarono immediatamente a consolidare il potere repressivo dello Stato, lanciandosi nei ripetuti massacri dei partigiani di Morsi, nominando dei rappresentanti del vecchio regime ai posti di governo, inviando i soldati e i poliziotti a spezzare gli scioperi, vietando gli scioperi in determinati settori pubblici (ad es. gli ospedali) e organizzando una grande campagna di propaganda nazionalista i cui i rifugiati siriani e palestinesi sono stati le prime vittime.

Di fronte a questa nuova situazione, gli SR hanno dichiarato in agosto che era “della più grande importanza far rivivere il progetto di un Fronte Rivoluzionario con dei partiti che difendano i principi, che non si gettino nelle braccia dello Stato e del nuovo governo, né si alleino con gli islamisti contro lo Stato, e che adottino il programma delle rivendicazioni della rivoluzione e dei suoi scopi” (15).

Va sottolineato, ora, che a nostra conoscenza, mai gli SR si sono preoccupati di definire cosa fosse questa rivoluzione e quali fossero i suoi scopi (a parte l’uso di termini del tutto vaghi e vuoti): rivoluzione borghese, rivoluzione socialista, semplice riforma democratica dello Stato? Definire la rivoluzione li avrebbe costretti ad analizzare il ruolo delle differenti classi sociali in questa rivoluzione, a tracciare delle prospettive sulla base di questa analisi ecc. Ma, per far questo, avrebbero dovuto rompere con il loro immediatismo e il loro codismo, rivolgendosi al marxismo, compito impossibile per chi stabilisce la sua attività giorno per giorno, inseguendo gli avvenimenti.

Il “Fronte Rivoluzionario” è nato alla fine di settembre. Una volta ancora si può constatare che si tratta di una iniziativa che non ha nulla, assolutamente nulla di proletario: ridistribuzione delle ricchezze, piena eguaglianza tra gli individui, opposizione a un regime autoritario, perseguire i crimini, politica estera che garantisca l’indipendenza nazionale, questi sono i suoi punti programmatici. Il Fronte prevede il lancio di campagne per una “dichiarazione del diritto degli Egiziani” (evidentemente i classici, e borghesi, “diritti dell’uomo” non sono applicati in Egitto), per il riconoscimento dei diritti sociali ed economici nella futura Costituzione, e per un “audit” sul debito estero dell’Egitto allo scopo di non pagare se non quello che è stato “utilizzato nell’interesse collettivo degli egiziani” (16).

Questo programma, tipicamente piccoloborghese, non deve sorprendere; basta guardare quali sono i gruppi e i partiti che compongono questo Fronte; oltre agli SR e varie personalità, vi si trovano in effetti il Partito dell’Egitto Forte, partito islamico nato da una scissione dei Fratelli Musulmani, “moderato”, ma al cento per cento borghese (ha ottenuto il 17% dei voti alle elezioni presidenziali), il Movimento del 6 Aprile (organizzazione piccoloborghese, patriottica e pacifista, nata sulle lotte operaie del 2007; una parte di questa organizzazione ha appoggiato il colpo di Stato dei militari dopo aver sostenuto Morsi alle elezioni presidenziali) ecc. Mai degli autentici rivoluzionari, dei marxisti, avrebbero a che fare con tali organizzazioni e in un tale fronte la cui attività, se si realizza effettivamente, non potrà che essere contraria alla lotta per l’indipendenza di classe del proletariato.

Per mostrare quale sia la posizione marxista autentica, citiamo degli estratti da un testo del 1898 di Lenin, scritto per definire l’attitudine dei “socialdemocratici” (come venivano chiamati allora i comunisti, i marxisti) di fronte alle altre forze di opposizione. Precisamo che allora, in Russia, la rivoluzione borghese contro il vecchio regime precapitalista non aveva ancora avuto luogo; più di una classe sociale era interessata al rovesciamento del regime semifeudale zarista – quindi una situazione storica in cui delle alleanze, parziali e limitate, del proletariato con altre forze d’opposizione rappresentanti le altre classi sociali erano possibili – mentre nell’Egitto di oggi il capitalismo è il modo di produzione dominante e non vi è più all’ordine del giorno la rivoluzione borghese, ma quella puramente proletaria. Va precisato, inoltre, che, quando Lenin scrisse questo testo, non esisteva ancora un vero partito proletario di classe e che perciò Lenin fissava come scopo del lavoro dei rivoluzionari la formazione di questo partito.

Ecco ora i brani di Lenin: “Nel porre in rilievo la solidarietà con gli operai di diversi gruppi di opposizione, i socialdemocratici distingueranno sempre da questi gruppi gli operai, spiegheranno sempre il carattere temporaneo e relativo di questa solidarietà, sottolineeranno sempre che il proletariato è una classe a sè, la quale potrà domani diventare avversaria dei suoi alleati di oggi. Si obietterà: ‘Questo indebolirà tutti coloro che lottano per la libertà politica nel momento presente’. No, questo rafforzerà invece tutti coloro che combattono per la libertà politica, risponderemo noi. Forti sono soltanto quei combattenti che si appoggiano sugli interessi reali, effettivamente riconosciuti come tali, di classi determinate, e ogni tentativo di nascondere gli interessi di classe (...) indebolirebbe soltanto i combattenti” (17).

La politica degli SR non potrebbe essere più lontana dai precetti di Lenin!

 

*   *   *

 

Non vi è storicamente altra possibilità in Egitto di una rivoluzione che no sia rivoluzione proletaria; e questa rivoluzione non potrà limitarsi alle frontiere del paese, essa sarà parte integrante della rivoluzione comunista mondiale. La crisi del regime nella quale si dibatte oggi il potere borghese non è ancora il prologo della rivoluzione proletaria e comunista, ma essa può e deve essere messa a profitto dal proletariato egiziano per prepararsi alla futura lotta finale e dare un esempio ai proletari del mondo intero.

Le convulsioni politiche che scuotono l’Egitto da più di due anni hanno le loro radici nella crisi economica e sociale nella quale questo paese, più di altri, è piombato. Per uscire dalla sua crisi il capitalismo egiziano non ha altre soluzioni che attaccare molto più pesantemente le condizioni dei proletari e delle masse diseredate. E’ la via indicata dal FMI e che i Fratelli Musulmani esitavano a seguire fino in fondo, non a causa del loro preteso “riformismo”, ma per paura di scatenare la lotta delle masse proletarie. Incapaci di fornire ai capitalisti ciò che essi chiedevano, i Fratelli Musulmani sono stati spazzati via selvaggiamente dagli “uomini in armi” che sono l’essenza di ogni Stato borghese. L’aiuto finanziario accordato dalle petro-monarchie alle nuove autorità non può essere che un rimedio temporaneo: gli attacchi contro il proletariato sono più che mai all’ordine del giorno in Egitto, tanto più che le entrate del turismo – settore economico particolarmente importante – sono drasticamente precipitate a causa dei recenti moti di piazza. La lotta fra le classi non può, di conseguenza, che intensificarsi e il proletariato egiziano dovrà fare dure battaglie per resistere ai capitalisti che si preparano a rinforzare con tutti i mezzi il suo sfruttamento e la sua oppressione. Esso ha già mostrato la sua capacità di lottare, dall’epoca del regime di Mubarak, e la destituzione di Morsi e la costituzione di un nuovo governo da parte dei militari non sembrano aver causato che una tregua temporanea negli scioperi.

 

Tuttavia, per lottare con successo contro un nemico di classe spietato che non retrocede di fonte a nulla, per non soltanto resistergli e strappargli qualche concessione, ma per rovesciarlo, sarà necessario costituire non solo delle organizzazioni di classe per condurre la lotta di resistenza quotidiana, ma l’organo dirigente della sua lotta poliitca generale, il suo partito rivoluzionario di classe, comunista e internazionalista.

Questo è un obiettivo che non può essere immediatamente realizzato, perché implica la lotta politica preventiva di elementi d’avanguardia, come ad esempio quella dei socialdemocratici di cui parlava Lenin, contro tutte le false prospettive, contro gli avversari dichiarati e contro gli avversari mimetizzati, contro i militari e i democratici, contro gli islamisti e contro le correnti piccoloborghesi che cercano di farsi passare per rivoluzionari, come gli SR.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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