I proletari sudafricani non ereditano nulla da Mandela, leader antiapartheid: devono conquistare, come sempre, il terreno della lotta di classe anticapitalistica

(«il comunista»; N° 133; Novembre 2013 - Gennaio 2014)

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Il 5 dicembre scorso, a 95 anni, muore Mandela, leader indiscusso della lotta borghese antapartheid in Sudafrica. Le cronache non fanno che ricordare la sua storia personale, i 27 anni di carcere, la sua liberazione nel 1990, la collaborazione con il potere razzista bianco che da Botha passa a De Klerk allo scopo di avviare un processo di riconciliazione nazionale, d'altra parte perseguito per tutta la vita pur nella lotta, anche armata copo il massacro di Sharpeville nel 1960, contro il regime segregazionista di Pretoria;  la consegna del premio Nobel per la pace, nel 1993, alla strana coppia Mandela e De Klerk, e l'elezione a presidente del Sudafrica nel 1994.

Non va certo sminuita la lotta anti-apartheid che per obiettivi si poneva: la piena cittadinanza dei neri, che erano la maggioranza della popolazione rispetto ai bianchi e ai colored, l'abolizione delle discriminazioni razziali, la ridistribuzione delle terre, i diritti sindacali, il diritto alla scuola per tutti. Obiettivi del tutto compatibili con la democrazia borghese, ma che il regime di Pretoria, sostenuto dalle grandi democrazie occidentali di Washington, di Londra, di Parigi, non intendeva concedere, difendendo in questo modo non solo i privilegi sociali degli afrikaners radicatisi nel tempo, ma soprattutto un interesse generale delle borghesie di tutto il mondo, e delle borghesie imperialiste in particolare, che consisteva - e consiste ancora oggi, nonostante dei diritti e delle riforme siano stati introdotti - nel fornire al capitale nazionale e soprattutto al capitale internazionale forza lavoro in massa a costi irrisori.

I proletari neri, insorti più e più volte contro le condizioni di esistenza e di lavoro bestiali e, inevitabilmente, contro le leggi segregazioniste, hanno dato prova nei decenni di una combattività notevole, ma limitati nella propria spontaneità e prigionieri di sindacati e partiti sostanzialmente nazionalisti e, quindi, succubi degli interessi borghesi, oltretutto in assenza di un autentico partito comunista rivoluzionario, non hanno mai avuto la forza di esprimersi sul terreno della lotta di classe in cui difendere esclusivamente i propri interessi. Essi hanno lottato, si sono sacrificati, sono morti contro una forma particolarmente odiosa del potere borghese, quella razzista; ma, in definitiva, hanno combattuto, certo per necessità oggettiva, e sono morti per una causa borghese. Hanno contribuito col proprio sangue a far superare alla borghesia sudafricana, e ai suoi alleati imperialisti, una situazione particolarmente critica e nella quale le leggi segregazioniste, oltre a spingere le grandi masse proletarie nere a incrudire la lotta contro il regime dei bianchi, non difendevano più con la stessa efficacia di un tempo i privilegi dello sfruttamento borghese di una forza lavoro in perenne ribellione. La pace sociale, la democrazia, si profilavano, anche per il Sudafrica, molto più efficaci del segregazionismo e a questa soluzione si dimostravano interessati gli stessi imperialisti occidentali che, nei decenni precedenti al 1990, non avevano alzato un dito a difesa della popolazione nera.

Mandela, che è stato contemporaneo della lotta anticoloniale in Africa, non fece la fine, ad esempio, di Patrice Lumumba in Congo o di Thomas Sankara nel Burkina Faso (ex Alto Volta), eliminati perché rappresentavano una lotta e interessi contrastanti con quelli delle forze legate alle potenze coloniali. I suoi legami con l'ANC e con il Partito comunista sudafricano (quindi, all'epoca, con l'URSS) e il suo sostanziale conciliazionismo, costituivano un terreno utile per un processo di transizione dal regime apartheid ad un regime di riconciliazione nazionale, processo appoggiato dalle maggiori potenze mondiali.

Nel 1986, scrivevamo:

"Sebbene lo scontro fra le classi in Sudafrica abbia preso, per ragioni storiche, l'aspetto della lotta razziale, non possiamo scordare che la struttura portante della società borghese è il suo modo di produzione che si fonda sulla estorsione di plusvalore dalla forza lavoro salariata. Il capitale può quindi essere rappresentato da una classe il cui colore della pelle è, in sostanza, ininfluente rispetto all'obiettivo del capitalismo che è quello di produrre e riprodurre capitale al costo minore possibile.

"In Sudafrica, se i razzisti bianchi vengono spazzati via dal potere, le porte del capitale si apriranno ovviamente alla nuova borghesia nera che oggi è costretta ai margini del grande capitale - formata com'è da piccoli proprietari, piccoli commercianti, piccoli artigiani, uni strato che non ha un effettivo 'potere economico' ma che sul piano del minimo di privilegio di cui dispone rispetto alle masse diseredate poggia le sue aspirazioni politiche ed economiche borghesi; una borghesia che si batte 'insieme' al proletariato e alle masse supersfruttate nere control l'apartheid per ottenere il diritto di evolversi come borghesia nazionale e di sfruttare la forza lavoro salariata alla pari della borghesia bianca" (1).

E infatti, oggi il Sudafrica, che può vantare una posizione di tutto rispetto nel contesto dei paesi più importanti al mondo, dato che fa parte del gruppo di paesi del cosiddetto Brics, paesi capitalisticamente emergenti rispetto ai vecchi paesi occidentali, nonostante la sua bella Costituzione democratica che riconosce eguali diritti a tutti senza discriminazioni di genere o di etnia, è un paese dove le disuguaglianze precedenti sono rimaste tali e tendono ad acutizzarsi, dove l'economia resta saldamente nelle mani di una élite bianca, dove si è formata una minoranza nera di nuovi ricchi e dove la concorrenza tra proletari accompagna, acutizzandosi, la crescita economica nel paese, come dimostrano gli assalti xenofobi del 2008 con i sudafricani poveri delle township che davano la caccia ai poverissimi immigrati dai paesi confinanti (2).

A rendere omaggio alla salma di Mandela sono accorsi a Johannesburg capi di stato e premier da tutto il mondo, e soprattutto da quei paesi che per decenni hanno succhiato profitti dal sangue dei proletari neri del Sudafrica, della Rhodesia, della Namibia. Svetta tra tutti, ovviamente, il primo presidente nero americano, Obama, che rivolge al primo presidente nero sudafricano parole che dovrebbero toccare il cuore delle masse proletarie di tutto il mondo, ma che in realtà suonano false come ogni discorso democratico borghese.

Obama, nel suo tributo a Mandela, ha dimenticato che la Casa Bianca denunciava fino agli anni '90 per terrorismo sia l'Olp palestinese che l'ANC sudafricano e che sosteva Pretoria non solo per difendere i capitali americani investiti, ma anche nelle sue incursioni militari, come quelle in Angola e Mozambico appena liberatesi dal colonialismo portoghese, dove cercava di instaurare il suo predominio razziale. Descritto Mandela come "l'ultimo liberatore del XX secolo, un gigante della storia", lo ha paragonato a Gandhi e a Martin Luther king "che diede voce potente alle rivendicazioni degli oppressi"; e,  mentre da Washington veniva confermato che il campo di concentramento di Guantanamo non chiuderà - la promessa chiusura ,dunque, è stata soltanto una bufala -, ricordava che Mandela "ha subito una reclusione brutale che ha avuto inizio al tempo di Kennedy e Khrushev e ha raggiunto gli ultimi giorni della guerra fedda", concludendo che Mandela "ha cambiato le leggi, ma ha cambiato anche i cuori" (3). Certo, le leggi scritte possono essere cambiate, e magari cambiano anche i sentimenti che albergano nei cuori, ma se le leggi economiche che sono il fondamento della vita sociale restano le stesse perché il modo di produzione è lo stesso, è sempre capitalismo, allora per la stragrande maggioranza della popolazione, che è proletaria, non cambia il rapporto con la società: sempre assoggettato al lavoro salariato resta, con l'esistenza sempre in balia delle oscillazioni del mercato, sempre sottoposto ad un regime di brutale sfruttamento, sempre costretto ad una vita di stenti e a ribellarsi a condizioni di vita e di lavoro intollerabili. Gli scioperi dei minatori di Marikana nell'agosto del 2012, col relativo massacro (4), e le azioni di sciopero successive sono la dimostrazione che Mandela e il suo partito al potere, l'ANC, hanno sempre operato per mantenere nel paese non solo il capitalismo ma anche il dominio economico e sociale della borghesia bianca, mentre la realtà dello sfruttamento, dell'oppressione sociale, della miseria e del razzismo è più florida che mai.

D'altronde, lo stesso Mandela nella sua Dichiarazione al processo che subì nel 1964, non ha avuto alcun problema a sostenere che "l'ANC non ha mai e in nessun periodo della sua storia auspicato un cambiamento rivoluzionario nella struttura economica del Paese e non ha nemmeno, per quanto mi sforzi di ricordare, mai condannato la società capitalista" (5).

La calata a Johannesburg di tutti i più grossi rappresentanti dell'imperialismo mondiale in occasione dei funerali di Mandela ha un significato che va oltre al tributo formale ad un presidente morto trasformato in icona della pacificazione sociale. E' anche la dimostrazione che il Sudafrica è paese strategico non solo per le materie prime ch esporta e per la forza economica che rappresneta nel continente africano, ma anche in funzione dei rapporti inter-imperialistici mondiali. Da questo punto di vista le agitazioni operaie in Sudafrica, se prendessero un orientamento di classe genererebbero lotte e organizzazioni di classe che sarebbero d'esempio anche per gli altri paesi africani: ed è ciò che paventa non soltanto la classe borghese sudafricana, bianca o nera che sia, ma anche la classe borghese dei paesi imperialisti.

I proletari sudafricani devono far tesoro delle dure lezioni che stanno apprendendo dalla fine dell'apartheid, poiché - come è successo a Marikana - quando la democrazie e la conciliazione fra le classi propagandate dall'ANC e gli inni al pacifismo nel nome di Mandela non saranno più sufficienti a  calmare gli stomaci proletari e la loro rabbia generata da condizioni di vita e di lavoro intollerabili, allora la classe dominante borghese non esiterà ad inviare le proprie forze armate, polizia od esercito a seconda della gravità della situazione, per reprimere le agitazioni operaie affinché la loro fiammata non incendi l'intero paese, ed oltre.

In Sudafrica, come in ogni altro paese dove la classe operaia è formata ed ha acquisito esperienza di lotta contro i capitalisti, la prospettiva per i proletari non potrà mai essere quella della democrazia borghesia, della conciliazione fra gli interessi proletari e borghesi, dell'interclassimo propagandato da tutte le forze della conservazione sociale interessate soltanto a cavalcare la forza sociale rappresentata dal proletariato per difendere i propri privilegi sociali, in special modo i burocrati sindacali e politici e i funzionari delle istituzioni statali fra i quali si diffonde più facilmente la corruzione. La prospettiva per i proletari non può che essere quella della lotta di classe, dichiarata apertamente e organizzata in modo adeguato sia sul terreno della difesa immediata attraverso le associazioni economiche di classe sia sul terreno più generale e politico attraverso la formazione del partito politico di classe che non potrà essere che il partito marxista, rivoluzionario, fondato sulla teoria del comunismo rivoluzionario e sulle stesse tesi che sono alla base del nostro partito comunista internazionale. Non ci sono altre vie da cercare.

 


 

(1) Cfr. Sudafrica. Apartheid e lotta di classe, in "il comunista", n. 4-5, Luglio/Ottobre 1986.

(2) Cfr. Il manifesto, 7 dicembre 2013.

(3) Cfr. Il manifesto, 11 dicembre 2013.

(4) Cfr. il comunista, n. 125 del 2012, Che al potere ci sia la borghesia bianca o la borghesia nera, ad essere massacrati sono sempre i proletari!

(5) Vedi Nelson Mandela, Bisogna essere capaci di sognare, Instant book Corriere della Sera, RCS, luglio 2013, Dichiarazione all'apertura del processo alla  Suprema Corte sudafricana, Pretoria, 20 aprile 1964, p. 145.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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