La teoria marxista della moneta (1)

(«il comunista»; N° 133; Novembre 2013 - Gennaio 2014)

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Alcuni lettori ci hanno chiesto di ritornare sulla questione della moneta secondo la teoria marxista. Argomento complesso tanto più che è collegato alla forma mercantile di scambio  originata molto prima dell'apparizione del modo di produzione capitalistico. A questo argomento è stata dedicata una importante riunione generale di partito; crediamo che la cosa migliore sia di riprendere il resoconto scritto di quella riunione che si tenne a Marsiglia alla fine del 1967. Il resoconto che ripubblichiamo ora è stato pubblicato nei nn. 5,   6, 7, 8, 10, 12, 14, 15 e 16  del 1968 del "programma comunista" sotto il titolo generale di "Libertà, eguaglianza, sovranità popolare, sono l'altra faccia della medaglia su cui è scritto: merce, lavoro salariato, denaro".

 

 

INTRODUZIONE

 

È forse nel campo della teoria della moneta che le difficoltà dovute al mancato completamento dell’opera fondamentale di Marx, Il Capitale, sono le più grandi. Comunque, esse non potevano non provocare varie incomprensioni più o meno interessate, e numerosi sono i critici di Marx che, in base ad una lettura superficiale della sua opera, pretendono di dimostrare sia che la teoria della moneta si adatta al massimo alle forme embrionali dell’economia moderna, sia che Marx abbia dovuto, nei libri II e III della sua opera, contraddire le leggi che egli stesso aveva annunciate nel primo, per tener conto della “realtà concreta” dei rapporti capitalistici sviluppati, ribelli, secondo questi critici, alla interpretazione marxista. La storia è vecchia quanto l’antagonismo radicale fra il metodo e i risultati marxisti e quelli dell’economia politica volgare: per convincersene, basta leggere le prefazioni di Engels ai due ultimi libri del Capitale, editi dopo la morte di Marx in base ai manoscritti da lui lasciati.

Resta tuttavia il fatto che le difficoltà puramente materiali sono effettive, e che, ad uso dei militanti, importa cercar di appianarle. A questo scopo appunto tendeva l’esposto della riunione generale di cui qui diamo conto. Quali che siano le evidenti insufficienze per ciò che concerne la redazione dei due ultimi libri del Capitale, si può tuttavia affermare, senza andare a caccia di paradossi, che si tratta veramente di un’opera compiuta. In realtà, il piano generale, chiaramente stabilito fin dall’origine nelle sue linee maestre - come dimostra un confronto con l’Introduzione alla Critica dell’Economia Politica del 1859 (1) - è abbastanza netto per servir di guida sicura nel corso di tutte le analisi più particolari, se ci si è resi conto dell’unità profonda che cementa tra loro le diverse parti del Capitale, malgrado il carattere specifico del loro oggetto.

I caratteri dominanti dell’insieme, benché da un punto di vista letterario si possa contrapporre il I libro, brillantemente compiuto in tutti i suoi particolari, agli altri due, rimasti allo stato di schizzi tuttavia molto elaborati, i caratteri dominanti, dicevamo, sono la coerenza e il rigore. Il fatto che si possa dire altrettanto della teoria marxista in genere, noi ci guarderemo bene di attribuirlo a virtù puramente scientifiche di Marx: al contrario, vi riconosciamo il segno, nel campo delle armi dottrinali, del carattere universale, radicale e in un certo senso definitivo, della rivoluzione sociale che la società borghese porta in grembo.

Per quanto riguarda la moneta, Marx ne affronta lo studio fin dalla Prima Sezione del I Libro, ma in un modo che può sorprendere e perfino sconcertare (2). Invece di partire dal denaro, dalla moneta, così come funziona nell’economia capitalistica sviluppata, egli si occupa della moneta nella sua forma più astratta, ma anche la più semplice; della moneta allo stato (si potrebbe dire) puro, e quindi priva delle sue determinazioni capitalistiche. Non è evidentemente un prodotto del caso o di un “capriccio hegeliano”, ma il risultato di un’esigenza scientifica che supera l’aspetto puramente storico delle cose, pur inglobandolo.

Certo, allo stesso modo che la economia mercantile è apparsa molto prima dell’economia capitalistica, che resta tuttavia anch’essa, ma a modo suo, una economia la cui ricchezza “si presenta come una immane ‘raccolta di merci’” (3), il modo di produzione capitalistico non è stato il solo ad utilizzare il rapporto di produzione “denaro” o “moneta”. Una visione storica della successione dei modi di produzione presupporrebbe quindi lo studio della merce e del denaro prima dello studio del capitale propriamente detto. Ma c’è di più. La comprensione dello stesso modo di produzione capitalistico presuppone quella dei rapporti di produzione dai quali si è sviluppata, anche e soprattutto se ha loro impresso il proprio marchio. La comprensione della natura e del ruolo della merce e del denaro nel modo di produzione capitalistico esige quindi che siano messe in evidenza le caratteristiche di questi rapporti considerati allo stato puro, astratti per qualche tempo dalle loro determinazioni storiche particolari.

Del resto, lo stesso Marx, mediante confronti fra il suo metodo e quello delle scienze della natura, si è sforzato di far sentire questa necessità: “La forma di valore, della quale la forma di denaro è la figura perfetta, è poverissima di contenuto, e semplicissima. Tuttavia invano l’umanità da più di duemila anni ha cercato di scandagliarla a fondo, mentre d’altra parte l’analisi di forme molto più ricche di contenuto e molto più complicate è riuscita per lo meno approssimativamente. Perché? Perché il corpo già formato è più facile da studiare che la cellula del corpo. Inoltre, all’analisi delle forme economiche non possono servire né il microscopio né i reagenti chimici: l’uno e gli altri debbono essere sostituiti dalla forza d’astrazione. Ma per quanto riguarda la società borghese, la forma di merce del prodotto del lavoro, ossia la forma di valore della merce, è proprio la forma economica corrispondente alla forma di cellula. Alla persona incolta, l’analisi di tale forma sembra aggirarsi fra pure e semplici sottigliezze; soltanto che si tratta di sottigliezze come quelle dell’anatomia microscopica” (4). La fisiologia che studia il funzionamento d’insieme dell’essere vivente non può evidentemente accontentarsi di sommare i risultati ottenuti mediante lo studio della cellula, arbitrariamente separata dall’insieme per comodità di ricerca; resta tuttavia il fatto che essa non può progredire nella conoscenza globale a cui tende, se non prendendo per materiali di base le “minuzie cellulari”.

Lo stesso procedimento si ritrova nello studio marxista della moneta e del modo di produzione capitalistico in generale. La Prima Sezione del Capitale, che studia “la merce e il denaro”, non è dunque affatto un antipasto troppo pesante, di cui si potrebbe fare a meno per gettarsi avidamente sul piatto forte, come qualcuno ha creduto, ma una preparazione indispensabile alla buona “digestione” dell’insieme. Le disavventure degli economisti che hanno seguito la via opposta, cercando di cogliere la natura della moneta più elaborata, la moneta di credito, prima di sapere che cosa era esattamente il denaro tout court, basterebbero per dimostrare a contrario la fondatezza di questo metodo.

Seguiremo dunque, qui, il piano di Marx: partendo dallo studio della natura e delle funzioni del denaro nella circolazione semplice delle merci, arriveremo finalmente allo studio della moneta così come lo sviluppo del modo di produzione capitalistico l’ha “perfezionata”. Un tale esposto è evidentemente molto frammentario nella stessa misura in cui isola dagli altri il rapporto di produzione monetario. Esso presuppone quindi la conoscenza delle leggi fondamentali dell’economia capitalistica esposte in tutte le pagine del Capitale da un lato, e non può dall’altro avere che un obiettivo limitato: l’esposizione della teoria marxista della moneta permette di affermare, nel migliore dei casi, solo la funzione di questa nell’economia capitalistica, di capire come la moneta serva il capitale; non può in nessun caso sostituirsi ad uno studio dei rapporti di produzione fondamentali del capitalismo. In questo campo il marxista si distingue... dal banchiere perché non condivide la visione alienata del mondo economico che è necessariamente propria di quest’ultimo: il marxista sa che i rapporti monetari sono semplici riflessi di rapporti di produzione più profondi, i quali sono a loro volta, in ultima analisi, rapporti fra gli uomini, o meglio, tra le classi.

 

 

LA MONETA NELLA CIRCOLAZIONE SEMPLICE DELLE MERCI

 

 

Supponiamo, dapprima, di trovarci di fronte ad una società di produttori indipendenti, cioè padroni dei loro mezzi di produzione e quindi anche dei loro prodotti (artigiani e contadini proprietari). Se il progresso delle forze produttive è sufficiente per aver già provocato una divisione tecnica del lavoro, ogni produttore non può da solo produrre l’insieme degli oggetti atti a soddisfare i suoi bisogni: il fabbro non può nutrirsi degli utensili da lui fabbricati più che il contadino possa fare a meno di questi utensili per le sue colture. Lo scambio dei prodotti è quindi necessario, ogni produttore detenendo dei valori d’uso (attrezzi, abiti, generi alimentari, ecc.) superiori ai suoi bisogni personali, mentre deve procurarsi altri valori d’uso di cui non è produttore. Nella sua forma più semplice, il baratto, lo scambio si realizzerà in un rapporto quantitativo determinato fra merci di diverso valore d’uso. Nel corso dello scambio, quando le merci cambieranno simultaneamente di mano, esse appariranno tuttavia come eguali tra loro, malgrado le differenze che permettono di distinguerle e che determinano appunto i loro rispettivi valori d’uso (la loro utilità ai fini della soddisfazione dei bisogni umani). Se un quintale di grano si scambia contro 49 metri di tela, gli è che, da un certo punto di vista che non ha evidentemente nulla a che vedere con l’utilità, col valore d’uso e quindi con la soddisfazione dei bisogni, quel quintale di grano è effettivamente eguale a questi 40 metri di tela. Ora, la sola proprietà comune a quelle due merci, per altri aspetti molto diverse, consiste nell’essere dei prodotti del lavoro umano, nel fatto che la loro produzione ha richiesto una certa spesa di lavoro umano. L’eguaglianza:

 

1 q.le di grano = 40 m. di tela che si afferma nel corso dello scambio, maschera un’eguaglianza più profonda di cui essa è soltanto l’espressione, cioè  (5):

 

spesa di forza lavoro umana per produrre 1 q.le di grano = spesa di forza lavoro umana per produrre 40 m. di tela.

 

Perciò, a questo stadio, ogni merce particolare può esprimere il suo valore nelle altre merci prodotte, cosicché si stabilisce una serie di equivalenze del tipo seguente, che esprimono reciprocamente i valori di scambio delle diverse merci:

 

x merce A = y merce B = z merce C = ecc.

 

Questa forma embrionale della circolazione delle merci esige tuttavia che all’atto dello scambio le due merci si trovino effettivamente faccia a faccia. Il produttore di grano deve incontrare il produttore di tela nel preciso momento in cui ha bisogno di tela e dispone di un’eccedenza di grano, mentre il produttore di tela offre della tela ma desidera del grano. Gli scambi sono quindi sottomessi ad una doppia limitazione, nel tempo e nello spazio. Del resto, basterebbe aggiungere un terzo personaggio, perché tutto ciò divenga inestricabile: il sarto ha bisogno di tela, ma il tessitore non desidera rinnovare il suo guardaroba; il contadino ha bisogno di abbigliamenti, ma è il tessitore che vuol fare provvista di grano e non il sarto - e si sa che la diversificazione delle produzioni, che va di pari passo con lo sviluppo delle forze produttive, avrà ben presto moltiplicato all’infinito il numero di produttori che gettano sul mercato merci differenti. D’altronde, se il nostro contadino può facilmente dividere la sua produzione di grano in tante parti quante sono necessarie, il sarto taglierà e cucirà almeno un abito intero. Per poco che questo abbia un valore di scambio eguale a un mezzo quintale di grano, ma il sarto abbia bisogno di appena un quarto di quintale, il mercato non potrà essere concluso.

Tutte queste limitazioni, proprie del baratto delle merci, saranno superate con l’introduzione del denaro e grazie all’attività di una classe sociale particolare, quella dei mercanti. Che cos’è il denaro, la moneta? Prima di tutto, una merce come le altre, cioè un prodotto del lavoro umano; anch’essa quindi, può scambiarsi con le altre merci e partecipare alla serie di eguaglianze che esprimono il valore di scambio reciproco delle merci: 1q.le di grano = 40 m. di tela = ecc... = 100 gr. d’oro.

Dopo molti brancolamenti, i metalli preziosi e soprattutto l’oro e l’argento hanno finito per recitare in esclusiva il ruolo di equivalente generale delle merci. Invece di scambiarsi direttamente fra di loro, queste si scambiano a tutta prima contro l’oro, secondo il rapporto quantitativo determinato dal valore di scambio di quelle e di questo; non è più che per la via traversa dell’oro che le merci si scambiano le une contro le altre. A questo stadio le nostre equivalenze si sono modificate, le merci cessano di esprimere reciprocamente il loro valore, soltanto l’oro esprime il valore di tutte:

 

1 q.le di grano

40 m. di tela = 100 gr. d’oro

1 t. di ferro

ecc.

 

Il fatto che l’oro (e l’argento) si imponga in questo ruolo di misura universale dei valori di scambio e ne escluda di conseguenza ogni altra merce, deriva dalle sue proprietà fisico-chimiche: praticamente inalterabile, soggetto a limitato logorio, esso è anche facilmente divisibile; potrà quindi sempre esprimere, purché se ne faccia variare il peso, valori di scambio molto diversi gli uni dagli altri (ben inteso, questa stessa proprietà appartiene al grano, al ferro, ecc., ma è la congiunzione della inalterabilità e della divisibilità che ha deciso a favore dell’oro). Si vede così che l’oro recita la sua parte di equivalente generale nella misura in cui è, prima di tutto una merce come altre, e poi una merce che possiede particolari caratteristiche fisiche  (6).

L’apparizione della moneta introduce quindi una separazione fra le due operazioni complementari dello scambio, la vendita e l’acquisto, o più esattamente rende possibile lo scambio anche se queste due operazioni debbano essere separate nel tempo e nello spazio. Nel baratto, acquisto e vendita erano simultanei:

 

M = M

dove M e M designano delle merci di diverso valore d’uso ma di eguale valore di scambio. (Si tratta quindi, in realtà, non di un’eguaglianza in senso proprio, ma di una equivalenza). Quando la moneta fa la sua comparsa, lo scambio può essere simboleggiato con:

 

M - D - M,

(dove D indica il denaro). Il venditore si disferà della sua merce contro dell’oro che gli permetterà di acquistare, più tardi o su un altro mercato, una o più merci per un valore di scambio totale pari a quello della merce che ha venduto, ma di diverso valore d’uso. Parallelamente entra in scena il personaggio del mercante; detentore di moneta, sarà acquirente qui e venditore altrove; supporto animato del denaro, gli permetterà di giocare in pieno il suo ruolo economico: mettere in rapporto i produttori di merci, anche se distano gli uni dagli altri o se portano le loro merci sul mercato a date diverse.

 

LE FUNZIONI DELLA MONETA

 

Ricordati sommariamente questi risultati dell’analisi marxista, dobbiamo ora studiare più attentamente le funzioni della moneta. Tutte discendono, in realtà, dal ruolo di equivalente universale che il denaro assume, ma ciò non toglie che meritino ciascuna un’analisi particolare. Si tratta, in effetti, di isolare le caratteristiche stesse della moneta in quanto tale, caratteristiche che rimarranno anche quando la moneta, via via che gli scambi si svilupperanno sotto l’impulso del capitalismo, cambierà di forma. La moneta permette di misurare i valori di scambio, è uno strumento della circolazione delle merci e può, inoltre, essere messa in riserva, tesaurizzata; sono queste le sue tre principali funzioni o, più esattamente, si può parlare di moneta in senso proprio solo quando queste tre funzioni, distinte ma legate l’una all’altra, sono effettivamente adempiute. Consideriamole una dopo l’altra:

 

1.   La moneta misura dei valori

 

Questa funzione deriva direttamente dalla formazione dell’equivalente generale così come l’abbiamo brevemente delineata più sopra. Come dice Marx nel Libro III del Capitale, “il prezzo per il suo concetto generale non è a tutta prima che il valore sotto forma di denaro(Introduzione alla Critica dell’Economia politica), “l’oro diventa misura dei valori perché tutte le merci misurano i loro valori di scambio in oro nella proporzione in cui una quantità determinata di oro e una quantità determinata di merci contengono lo stesso tempo di lavoro”.

Per misurare i valori, non occorre che una moneta “ideale”. Tutti sanno che scrivere un prezzo su un’etichetta non significa ancora vendere la merce etichettata, benché, evidentemente, si applichino delle etichette al solo fine di vendere e quindi questa funzione “ideale” della moneta come misura dei valori supponga l’esistenza di una moneta reale che renda possibile degli scambi effettivi. D’altra parte, poiché la moneta è una merce come le altre, il suo valore può variare se variano le condizioni di produzione dell’oro. Queste variazioni del valore di scambio dell’oro determineranno una variazione generale e in senso inverso del prezzo delle merci. Se il valore dell’oro aumenta, i prezzi diminuiranno, perché occorrerà ormai una quantità minore d’oro per esprimere un determinato valore; se il valore dell’oro diminuisce, l’insieme dei prezzi subirà un aumento nelle stesse proporzioni. Tuttavia, queste variazioni non alterano affatto la funzione di equivalente generale dell’oro; prima come dopo queste variazioni positive o negative, i valori delle diverse merci, a parità di condizioni, si esprimeranno sempre nello stesso rapporto. Se all’inizio:

 

1 q.le di grano = 40 m. di tela = 100 gr. d’oro,

e se in seguito, a causa di una diminuzione del 25% del valore dell’oro:

1 q.le di grano = 40 m. di tela = 125 gr. d’oro,

il prezzo di ogni merce sarà bensì cambiato, ma i loro rapporti reciproci saranno rimasti costanti, perché

1 q.le di grano = 40 m. di tela

prima come dopo la variazione dell’oro.

 

 Le variazioni di valore della moneta non le impediscono quindi affatto di giocare il ruolo di misura dei valori, cioè di rendere commensurabili tra loro i valori delle differenti merci  (7).

Infine, la funzione di misura dei valori compiuta dalla moneta suppone che l’oro assuma la forma di “scala dei prezzi”. L’abitudine, generalizzata e sanzionata dalla legge, definisce la quantità di oro che servirà come unità di misura, e questa unità è a sua volta divisa in parti proporzionali, in modo che si possa facilmente, per semplice addizione, esprimere in oro qualunque prezzo. In origine, i nomi monetari sono spesso i nomi di unità di peso. La lira sterlina (pound), per esempio, era il valore di una libbra (pound) di argento: ma la interferenza delle monete straniere, le falsificazioni monetarie, l’intervento del potere statale, ecc. hanno poi soppresso questa corrispondenza fra nome monetario e massa di metallo prezioso da esso rappresentata: “Poiché la scala del denaro da una parte è puramente convenzionale, dall’altra ha bisogno di validità universale, alla fine essa viene regolata per legge. Una parte determinata di peso del metallo prezioso, per esempio un’oncia d’oro, viene ripartita ufficialmente in parti aliquote, che ricevono nomi di battesimo legali, come libbra, tallero, ecc. Questa parte aliquota, che poi vale come unità di misura vera e propria del denaro, viene suddivisa in altre parti aliquote con nomi di battesimo legali... Invece di dire che il quarter di grano è eguale a un’oncia d’oro, in Inghilterra si dirà che esso è eguale a 3 lire sterline, 10 scellini e 10 pence e mezzo”. (Il Capitale, Libro I, 1 Ed. Rinascita, pag.114).

 

2.   La moneta, strumento della circolazione delle merci

 

Come sappiamo, la moneta è apparsa quando gli scambi avevano assunto una tale estensione che non potevano più tollerare le limitazioni imposte dal baratto. Da questo punto di vista, la moneta si presenta quindi come lo strumento capace di far cambiare di mano le merci in condizioni in cui il baratto sarebbe inoperante o troppo complicato. Tuttavia, la moneta può funzionare veramente come mezzo di circolazione solo in quanto è anche misura dei valori. Il produttore non si sbarazzerà della sua merce per cederla al mercante, se non nella misura in cui questi sarà in grado di consegnargli una certa quantità d’oro, equivalente generale delle merci. La seconda funzione della moneta si presenta perciò come il prolungamento immediato della prima. Non solo, ma questa seconda funzione è anche la sanzione materiale della prima. Qui un oro “ideale” non basta più; occorrono delle monete sonanti e saltellanti, e solo nella misura in cui l’oro “materiale” permette effettivamente di compiere degli scambi, l’oro “ideale” può assolvere il suo compito di misura dei valori. Le diverse funzioni della moneta appaiono quindi come legate le une alle altre; non sono che i diversi aspetti assunti dai rapporti economici fra le merci, cioè dai rapporti sociali fra i produttori.

 

a.      Corso del denaro

 

Il movimento compiuto dalle merci è circolare. Il venditore aliena la sua merce contro denaro, ma con questo denaro si procura in seguito altre merci. Prendendo la merce come punto di partenza, il movimento si conclude con una riapparizione della merce, che è, beninteso, di un valore d’uso differente dalla prima, ma di un valore di scambio eguale. Completamente diverso è il movimento del denaro: nelle mani del venditore, esso appare solo come un intermediario della merce che egli desidera procurarsi; lo si possiede solo temporaneamente, e la sua funzione di mezzo di circolazione esige che lo si rimetta in circolo. Se il produttore di merci vende queste ultime solo per acquistarne altre, non riceve del denaro che per disfarsene. La funzione di mezzo di circolazione del denaro implica perciò che esso cambi continuamente di mano: questo moto perpetuo è ciò che si chiama corso del denaro.

Qual è la quantità di denaro necessaria alla circolazione delle merci? È evidente che questa quantità deve essere accuratamente distinta dalla quantità totale dei mezzi monetari esistenti in un momento dato. I più cospicui stock d’oro non potranno mai far circolare delle merci che non esistono: si può scambiare soltanto ciò che è stato effettivamente prodotto. La quantità di denaro utilizzato come mezzo di circolazione dipende perciò in primo luogo dalla quantità di merci che circolano o, più esattamente, dal valore totale dello stock di merci che si scambiano le une contro le altre per la via traversa della moneta. “È chiaro che, possedendo l’oro e l’argento un valore proprio - scrive Marx nella Critica dell’Economia Politica (Ed. Riuniti, pag.146) - e astraendo da tutte le altre leggi della circolazione, soltanto una quantità determinata di oro e di argento possa circolare come equivalente per una data somma di valori di merci”.

Ma la moneta che funziona come mezzo di circolazione ha per caratteristica, come abbiamo visto, di cambiare continuamente di mano. Ciò significa che una quantità data di denaro funziona in modo quasi indefinito, se si trascura da un lato il logorio al quale essa è sottoposta e dall’altro il fatto che serve più volte in un determinato lasso di tempo. Perciò, più la velocità di circolazione è grande, più il numero di transazioni compiute mediante una stessa unità monetaria sarà grande. In altre parole, più grande è la velocità del corso del denaro, più la quantità di denaro necessaria alla circolazione è piccola per un volume di scambi dato. Se si potessero conoscere a un momento dato il prezzo unitario e la quantità di ogni merce da una parte, e la velocità del corso del denaro dall’altra, sarebbe facile calcolare la quantità di denaro che in quel momento funziona effettivamente come mezzo di circolazione. Si avrebbe la seguente eguaglianza: somma dei prezzi delle merci fratto velocità media del corso del denaro = quantità di moneta funzionante come mezzo di circolazione.

Va da sé che un tale calcolo sarebbe difficilissimo nella misura in cui presuppone la conoscenza di un numero enorme di dati, d’altronde variabili nel tempo. Ma in realtà la cosa non presenta nessuna difficoltà particolare perché la pratica commerciale si incarica di stabilire facilmente ciò che un calcolo teorico potrebbe valutare solo a prezzo di grandi difficoltà.

Si deve anche notare che la velocità media del corso del denaro non è una causa prima, ma, al contrario, una variabile dipendente: è la velocità di circolazione delle merci che si traduce nella velocità di circolazione del denaro, il valore di questo essendo dato; inoltre, poiché il prezzo delle merci è variabile (per cause fortuite, e si tratta allora di variazioni intorno ad una media ma che tuttavia incidono sulla quantità di moneta circolante, o per effetto di variazioni nel valore delle merci derivanti da mutamenti nel processo di produzione), come lo è il valore della moneta stessa, ne risulta una combinazione complessa di tutti questi fattori. Resta comunque il fatto che la moneta è soltanto il riflesso del mondo delle merci (8), non la causa dei movimenti che vi si producono. “La legge che la quantità dei mezzi di circolazione è determinata dalla somma dei prezzi delle merci circolanti e dalla velocità media del corso del denaro, può anche essere espressa così: data la somma di valore delle merci e data la velocità media delle loro metamorfosi, la quantità del denaro, ossia del materiale monetario in corso, dipende dal suo proprio valore. L’illusione che i prezzi delle merci, viceversa, siano determinati dalla massa dei mezzi di circolazione, e questa massa sia determinata a sua volta dalla massa del materiale monetario che si trova in un dato paese, ha la sua radice, nei suoi primi sostenitori, nell’ipotesi assurda che entrino merci senza prezzo e denaro senza valore nel processo della circolazione, dove poi una parte aliquota del pastone di merci si scambierebbe con una parte aliquota del mucchio di metallo”. (Il Capitale, I,1, pagg. 137-138, Ed. Riuniti).

Quando il denaro assolve la sua prima funzione di misura dei valori, il fatto che il suo valore sia variabile, poiché anch’esso è una merce, appare come una caratteristica determinante: esso contribuisce infatti a stabilire il livello dei prezzi: invece, quando il denaro assolve la sua seconda funzione di mezzo di circolazione, la sua caratteristica essenziale diviene il fatto che la quantità che ne è richiesta è a sua volta variabile. Ne viene una conseguenza particolarmente importante, sulla quale ci soffermeremo più oltre, cioè la necessità di una tesaurizzazione. In realtà, il volume delle transazioni non può né rimanere costante (storicamente, esso aumenta senza tregua) e neppure crescere regolarmente (a prescindere anche dai fenomeni di crisi, è un fatto che l’apparizione dei prodotti sul mercato non può essere distribuita regolarmente sull’annata: basta pensare per convincersene ai prodotti agricoli): durante un anno solare il mercato delle merci è quindi periodicamente soggetto a brusche oscillazioni e d’altra parte la velocità del corso del denaro è essa stessa variabile, per queste stesse ragioni e per altre ancora. Ne segue che la somma di denaro circolante, di quantità necessariamente variabile, anche per un periodo relativamente breve, non può essere eguale alla somma totale di mezzi monetari esistenti: tutto il denaro non può funzionare contemporaneamente come mezzo di circolazione.

 

b.   La “smaterializzazione dell’oro” funzionante come mezzo di circolazione.

 

Assolvendo la sua funzione di mezzo di circolazione, il denaro si logora, cosicché si stabilisce progressivamente un divorzio tra il valore reale della moneta d’oro che circola - valore proporzionale al suo peso, il quale diminuisce via via che la si utilizza - e il valore da essa incarnato - il valore iscritto su di essa: il prezzo monetario dell’oro si separa dal suo prezzo mercantile. Oltre alle spese derivanti dal conio iniziale delle monete, che sono spese improduttive in quanto determinate dalle esigenze della sfera della circolazione e non da quelle della produzione, lo Stato deve far fronte alle spese di rinnovo continuo del numerario logorato: “Le merci che operano come denaro non entrano né nel consumo individuale, né in quello produttivo. È lavoro sociale, fissato in una forma in cui serve soltanto da macchina di circolazione. Oltre al fatto che una parte della ricchezza sociale è relegata in questa forma improduttiva, il logorio del denaro esige continua sostituzione di esso o conversione di più lavoro sociale - in forma di prodotto - in più oro e argento. Questi costi di sostituzione sono ragguardevoli in nazioni sviluppate capitalisticamente ... oro e argento, in quanto merci-denaro, costituiscono per la società costi di circolazione che scaturiscono solo dalla forma sociale della produzione. Sono faux frais della produzione di merci in generale, che crescono con lo sviluppo della produzione di merci  e particolarmente della produzione capitalistica”. (Il Capitale, II, pag.140, Ed. Riuniti).

Comunque, il semplice fenomeno materiale del logorio delle monete trasforma spontaneamente il numerario in un semplice segno di valore: la moneta d’oro che nel corso di manipolazioni successive ha perduto un decimo della sua massa, continua purtuttavia a servire di mezzo di circolazione allo stesso titolo della moneta intatta. Realizzandosi, la circolazione trasforma, in certo modo meccanicamente, la moneta usata in un semplice rappresentante della moneta nuova. Si delinea così un processo di “smaterializzazione” della moneta che si prolungherà e assumerà la sua forma più completa con l’intervento diretto dello Stato. Nel suo ruolo di mezzo di circolazione l’oro sarà progressivamente sostituito prima da monete in metallo meno costoso (rame, nichel, ecc.), poi da “cose che sono relativamente senza valore, cedole di carta”. (Il Capitale, I, 1, pag.141, Ed. Riuniti). Se, per la moneta d’oro che esce dalla zecca, il prezzo mercantile è eguale al prezzo monetario, lo stesso non è già più vero per la moneta che ha lungamente circolato sul mercato; lo scarto aumenta con l’introduzione di monete in metallo inferiore, mentre infine non esiste più alcun rapporto fra prezzo monetario e prezzo mercantile quando si arriva alla carta-moneta.

Notiamo che, a questo stadio, il credito capitalista non ha ancora fatto la sua apparizione, cosicché la carta-moneta di cui si parla è esclusivamente la moneta di Stato a corso forzoso; non si tratta in alcun modo della moneta di credito. Questa carta-moneta è quindi soltanto un segno d’oro, un gettone che nella circolazione interna sostituisce il metallo giallo detenuto nelle casseforti dello Stato, il quale economizza così (a parte tutte le operazioni fraudolente che ciò - come se non bastasse - gli permette, tanto è vero che lo Stato non ha atteso la creazione della carta-moneta per falsificare l’argento...) le spese derivanti dall’impiego diretto dell’oro come mezzo di circolazione. Questa carta-moneta, poiché sostituisce semplicemente l’oro come mezzo di circolazione, deve evidentemente piegarsi alle leggi della circolazione monetaria già valide per l’oro; in particolare, la carta-moneta, qualunque ne sia la quantità emessa, può solo rappresentare in un dato momento la quantità d’oro che circolerebbe realmente: “Lo Stato getta nel processo della circolazione, dal di fuori, cedole di carta sulle quali sono stampati nomi di denaro come 1 lira sterlina, 5 lire sterline, ecc. Finché esse circolano realmente al posto della somma d’oro dello stesso peso, sul loro movimento si rispecchiano soltanto le leggi del corso del denaro. Una legge specifica della circolazione cartacea può sorgere soltanto dal suo rapporto con l’oro, in quanto essa è rappresentante di quest’ultimo. Tale legge è semplicemente questa: l’emissione di carta moneta deve essere limitata alla quantità nella quale dovrebbe realmente circolare l’oro (o l’argento) da essa simbolicamente rappresentato. Ora, è vero che la quantità d’oro che può essere assorbita dalla sfera della circolazione oscilla costantemente al di sopra o al di sotto di un certo livello medio; tuttavia la massa del mezzo circolante non cala mai, in un dato paese, al di sotto di un certo minimo stabilito in base all’esperienza... Quindi essa può essere sostituita con simboli cartacei. Ma se oggi tutti i canali della circolazione vengono riempiti di carta moneta al pieno limite della loro capaciti di assorbimento di denaro, domani essi potranno essere sovrappieni, in conseguenza delle oscillazioni della circolazione delle merci. Ogni misura è (allora) perduta” (Il Capitale, I, pagg.141-142, Ed. Rinascita).

Per concludere sulle due prime funzioni della moneta, ritorniamo un momento sui loro caratteri contraddittori, che hanno indotto in errore molti economisti. Quando la moneta funziona da misura dei valori, ciò che conta è la sua materia: i prezzi saranno evidentemente espressi da numeri diversi se si impiega la moneta d’argento invece che la moneta d’oro, perché l’oro e l’argento non hanno lo stesso valore per uno stesso peso. Quando invece la moneta funge da mezzo di circolazione, è la sua quantità che conta: essa dev’essere sufficiente per far fronte, data la velocità del corso del denaro, alle necessità delle transazioni commerciali. Là dove il denaro funziona in qualche modo “idealmente”, come semplice moneta di conto, la sua natura materiale è essenziale; là dove invece essa appare “fisicamente”, può essere sostituita da semplici “segni” senza valore, dei quali solo la quantità importa. Queste semplici osservazioni bastano a mostrare l’importanza di uno studio delle diverse funzioni del denaro che, pur distinguendo, ne metta in luce la unità.

(1 - Continua)

 


 

(1) Il Primo Libro uscirà in tedesco solo nel 1867: il Secondo sarà pubblicato nell’85 da Engels, e il Terzo, nelle stesse condizioni, nel 1894.

(2)“Il metodo d’analisi che ho adoperato e che non era ancora mai stato applicato ad argomenti economici, rende abbastanza ardua la lettura dei primi capitoli, ed è da temere che il pubblico francese, sempre impaziente di arrivare alla conclusione, avido di conoscere il nesso dei principii generali coi problemi immediati che lo appassionano, s’impenni perché non può subito andare avanti”. (Marx, Lettera a La Châtre a proposito dell’edizione francese del Capitale, 1872).

(3) Il Capitale, Libro I, I Sezione, capitolo I, Ed. Rinascita, I, pag.47. È noto quali speculazioni l’economia politica staliniana tessé sopra questa constatazione: si trattava per essa di “dimostrare” che poiché l’economia mercantile era anteriore al capitalismo, nulla impediva che le sopravvivesse e si prolungasse nell’economia socialista. Questa grossolana falsificazione era destinata a cancellare ogni distinzione tra i modi di produzione fondati sullo sfruttamento di classe, che, appunto per questa ragione, possiedono caratteristiche comuni, e il socialismo: a rendere confusa la frontiera fra quelle che Engels chiamerà nell’Antidühring la preistoria e la storia dell’umanità, il regno della necessità e il regno della libertà.

(4) Prefazione alla prima edizione de Il Capitale, 1867, Ed. Rinascita, vol. I, pp. 15 e 16.

(5) Nel complemento e supplemento al III Libro de Il Capitale, Engels scrive che il contadino del Medioevo conosceva abbastanza esattamente il tempo di lavoro necessario alla fabbricazione degli oggetti che acquistava mediante scambio: il fabbro, il carradore, lavoravano sotto i suoi occhi. In tutto il periodo dell’economia naturale contadina, il solo scambio possibile è quello in cui le quantità di merci scambiate tendono sempre più a misurarsi in base alle quantità di lavoro in esse materializzate.

(6) Caratteristiche che la società socialista apprezzerà, beninteso, al loro giusto valore: come diceva Lenin, “quando avremo trionfato alla scala mondiale, faremo, credo, con l’oro, delle latrine pubbliche nelle vie di alcune delle più grandi città del mondo”.

(7) Anche i valori delle merci sono variabili e la variazione può colpire tutte le merci o soltanto alcune. L’evoluzione dei prezzi risulterà quindi dalla combinazione delle variazioni del valore delle merci e del valore della moneta (qui, dell’oro).

(8) Almeno allo stadio in cui ci troviamo, quando il capitale non ha ancora fatto la sua comparsa. Nella società capitalistica, il denaro non riflette più semplicemente il mondo delle merci, ma anche quello del capitale.

 

 

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