La donna e il socialismo (8)

Di August Bebel

La donna nel passato, nel presente e nell’avvenire

(«il comunista»; N° 133; Novembre 2013 - Gennaio 2014)

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(continua dal n. 133)

 

 

II. La donna nel presente

 

 

La condizione economica della donna

Sua capacità intellettuale

Il darvinismo e le condizioni sociali

 

 

Ma l’argomento principale di cui si valgono gli oppositori è questo: che la donna ha un cervello più piccolo dell’uomo; e di qui essi vogliono dedurre la sua eterna infermità intellettuale. Esaminiamo questa proposizione che pur muove da una premessa in sé giusta.

Il volume del cervello e corrispondentemente il suo peso è in media più piccolo nelle donne che negli uomini. Secondo l’Huschke (79) la media capacità cranica dell’europeo è di 1446 centimetri cubici, quella della donna di 1226 cent. cub., una differenza di 220 centimetri cubici. In quanto a peso il prof. Bischoff stima il cervello dell’uomo superiore di 126 grammi a quello della donna. Il prof. Meinert calcola la proporzione di peso fra il cervello dell’uomo e quello della donna come da 100 a 90. Il peso del cervello però è assai vario nei diversi individui anche dello stesso sesso. Secondo il professore Reklam, il cervello del naturalista Anier pesava 1861 grammi, quello di Byron 1807, quello del matematico Dirichlet 1520, quello del celebre matematico Gauss solo 1492, quello del filosofo Hermann 1358 e quello del letterato Hausmann 1226. Ecco dunque delle differenze enormi nel peso del cervello di uomini eminenti. Il cervello di Hausmann era, in peso, pressoché eguale al peso medio del cervello femminile.

Ciò intanto autorizza a constatare che è troppo avventato il far dipendere il grado della capacità intellettuale esclusivamente dal peso del cervello. Il numero delle ricerche fatte è ancor troppo esiguo per coonestare un giudizio definitivo. Bisogna poi, oltre che al peso medio del cervello in entrambi i sessi, aver riguardo anche al rispettivo organismo fisico, e allora è chiaro che, avuto riguardo alla grandezza media e al peso medio del corpo, il cervello della donna è in media più voluminoso di quello dell’uomo. Come il volume del corpo non decide della forza fisica, così il solo volume cerebrale non decide delle forze e attitudini intellettuali. Abbiamo animali piccolissimi (le formiche e le api), che vincono in intelligenza animali assai più voluminosi (per es. le pecore e le mucche), e anche noi vediamo tutti i giorni che uomini di imponente aspetto sono assai meno intelligenti di uomini dall’aspetto meschino e poco appariscente. Non è dunque dalla massa cerebrale soltanto che dipende la intelligenza, ma anche, e in parte più alta, dall’organizzazione del cervello, nonché dall’esercizio ed uso delle facoltà intellettuali.

Il cervello, come ogni altro organo, se si vuole che sviluppi tutte le sue attitudini, dev’essere esercitato e alimentato; lasciatelo inerte, o date all’educazione un indirizzo sbagliato, e si vedrà che, in luogo di dare sviluppo ed impulso alle parti che rappresentano preferibilmente l’intelligenza, darà sviluppo a quelle in cui ha impero la fantasia. Si avrà quindi non solo un arresto di sviluppo, ma addirittura un rattrappimento. Un indirizzo è nutrito a spese dell’altro.

Nessuno però, il quale conosca la storia dello sviluppo della donna, può contestare che molto si errò da migliaia d’anni nell’indirizzo dato alla donna, e molto ancora si erra.

L’affermazione del prof. Bischoff che la donna ha potuto educare il cervello e l’intelligenza al pari dell’uomo, dimostra un grado di inaudita e fenomenale ignoranza intorno all’oggetto preso in esame. Come si spiega il fatto sorprendente che, presso i popoli di bassa cultura, per es. i negri e in quasi tutte le razze e tribù selvagge, il volume e il peso del cervello maschile e femminile sono molto più proporzionati che presso i popoli civili? Si spiega soltanto col riflesso che gli uomini dei popoli civili hanno educato maggiormente le loro funzioni cerebrali, mentre quelle della donna vennero arrestate. La narrazione storica esposta all'inizio del libro, riferentesi alla posizione della donna nel corso del nostro sviluppo sociale, ci fa comprendere perfettamente e chiaramente che l’impero dell’uomo sulla donna, conservato per migliaia di anni, determinò le differenze nello sviluppo fisico e intellettuale.

I nostri dotti, i naturalisti dovrebbero pur comprendere senza difficoltà che la legge della loro scienza deve applicarsi anche alla vita e allo sviluppo della umanità. Le leggi della evoluzione, dell’eredità, dell’adattamento valgono così per gli uomini come per ogni altro essere naturale. Ora, se l’uomo non fa eccezione alla natura, anche la scienza dell’evoluzione dev’essere a lui applicata, per la quale ci sembra chiaro come luce meridiana ciò che altrimenti rimarrebbe oscuro e diverrebbe poi oggetto di misticismo scientifico o di scienza mistica.

Alcuni sostengono che la differenza nella massa cerebrale sia diversa nei vari popoli civili; il dottor L. Büchner, per esempio. E così i tedeschi e gli olandesi avrebbero il cervello più grande, verrebbero poi gli inglesi, gli italiani, gli svedesi, i francesi. In questi ultimi i due sessi si avvicinano assai per ciò che concerne la massa cerebrale. Ma il Büchner non si pronuncia sul punto se debba dirsi perciò che in Francia le donne si sono sviluppate di più, avvicinandosi maggiormente agli uomini, o, al contrario, che gli uomini si sono sviluppati meno, determinando quindi una maggiore eguaglianza, poiché sarebbe possibile una cosa e l’altra. Ma se si considera lo stato della cultura in Francia, si è indotti ad accogliere la prima ipotesi.

La costituzione cerebrale nei due sessi si è sviluppata e formata in corrispondenza all’educazione ricevuta, se è lecito adoperare tale parola per il passato, o non è più giusta e corretta l’espressione di “nutrimento”. I fisiologi sono d’accordo nel dire che la sede propria dell’intelligenza, dove questa si forma e completa, è nella parte anteriore del cervello, sopra gli occhi, posta immediatamente dietro la parte anteriore del cranio. Le parti del cervello che si riferiscono preferibilmente alla vita del sentimento e dello spirito hanno sede nella metà della testa. La differenza della forma del cranio fra uomini e donne corrisponde alla diversità degli esseri; nell’uomo è più sviluppata la parte anteriore, nella donna la parte mediana della testa.

Ciò è ammesso come esatto anche dal Manouvrier, del quale avremo ancora occasione di parlare.

Anche il concetto della bellezza per l’uomo e per la donna si è sviluppato da questa conformazione del cranio formatasi dal rapporto di padronanza e di soggezione. Secondo il concetto greco della bellezza, il quale serve anche oggi di regola e di tipo, la donna deve aver la fronte stretta e bassa, l’uomo invece la fronte alta e spaziosa. E questo ideale della bellezza, che le abbassa ed umilia, è così radicato nelle nostre donne, che esse cercano col soccorso dell’arte di far apparire più bassa la fronte, acconciando opportunamente i capelli, se questa ha una altezza superiore alla misura media.

La disputa intorno alla questione se la donna possa essere intellettualmente eguale all’uomo, o venga sempre dopo di lui per effetto della minore massa cerebrale, venne fatta anche nei numeri 39 e 40 dell’annuario 1889 Il Socialista democratico, allora pubblicato a Londra. L’inglese signor Belfort-Bax attaccò in una serie di articoli del citato giornale sotto il titolo: “La deificazione della donna”, il nostro principio, affermando che il cervello della donna esclude già che essa possa svilupparsi come l’uomo. Gli rispose una signora, Sofia Nadeyde, con una dimostrazione scientifica dei suoi principii, con richiami all’autorità dei dotti, ribattendo trionfalmente le obbiezioni di Bax. Essa addusse una serie di fatti e di giudizi che giustificano la importanza della questione. Broca, noto fisiologo parigino, ha misurato la capacità cubica di 115 crani dell’XI e XII secolo trovandola, in media, di 1426 centimetri cubici. La misura di 125 crani del secolo XVIII, diede una capacità di 1462 cent. cub. Di qui la conseguenza che i cervelli sarebbero notevolmente aumentati nel corso di pochi secoli.

Ma la misura di 125 crani appartenenti all’epoca della pietra diede per risultato, secondo Broca, che la capacità media del cranio maschile raggiunse 1606 cent. cub.; quella del cranio femminile cent. cub. 1581; una capacità dunque maggiore di quella dei crani dell’XI, XII, XVIII secolo.

La signora Nadeyde, quindi, conchiude che ha ragione lo Spencer, quando dice nella sua Psicologia, che il peso del cervello dipende dalla quantità di movimento e dalla varietà di movimento.

Ma l’autrice obbietta ancora più energicamente che non è tanto questione di massa cerebrale, quanto della proporzione in cui il peso del cervello sta col peso del corpo in entrambi i sessi, e da questo punto di vista è manifesto quanto noi abbiamo già detto più sopra, che il cervello della donna è più pesante di quello dell’uomo.

La signora Nadeyde adduce poi un’altra prova: “Confrontiamo il peso medio dei corpi e prendiamo come differenza tra l’uomo e la donna otto chilogrammi soltanto, sebbene parecchi naturalisti, fra i quali anche Gay, citato da Delaunay, determinino la differenza in 11 chilogrammi. Secondo il peso medio di 9157 soldati americani: 64,4 chilogrammi; (peso medio del corpo maschile): 56 chilogrammi: (peso medio del corpo della donna); 1,141 ovvero 1,14; e cioè, posto 100 il peso medio della donna, quello dell’uomo è rappresentato da 114. Giusta il peso medio di 12.740 bavaresi: chilogrammi 65,5; (peso medio del corpo dell’uomo): 57,5; (peso medio del corpo della donna): = 1,139 ovvero 1,14; rappresentando quindi con 100 il peso medio della donna, quello dell’uomo è rappresentato da 114. Peso medio di 617 inglesi, 68,8 (peso medio del corpo del maschio): 60,8 (peso medio del corpo della donna) = 1,131 ovvero 1,13; ritenuto quindi che il peso medio della donna sia rappresentato da 100, quello dell’uomo sarebbe rappresentato da 113 (80).

E' quindi manifesto che le donne, a parità di condizioni, hanno una eccedenza nella massa cerebrale di 1, 2, 3, o 4 per 100. Dato cioè, che la massa cerebrale della donna sia eguale a 100 grammi, quella dell’uomo dovrebbe essere di 113 o 114; in realtà non è che di 110 a 112 grammi. Il fatto potrebbe esprimersi ancor più plasticamente dicendo: che al cervello dell’uomo mancano, giusta il calcolo fatto, da 25 fino a 51 grammi di massa cerebrale (81). Il Manouvrier ne porge una prova anche maggiore dicendo: “La influenza del peso del corpo sul peso del cervello balza subito all’occhio pigliando in esame i numeri nella specie dei vertebrati. Questa influenza è altrettanto manifesta negli uomini ed è veramente strano che molti naturalisti non l’abbiano ancora riconosciuta, sebbene questa verità sia stata illustrata e compresa da altri.

“V’è una infinità di fatti che concorrono a dimostrare l’influenza della statura sul peso del cervello. Il peso medio del cervello delle razze umane meno incivilite, ma di alta statura, non solo supera quello degli europei, ma anche il numero dei cervelli voluminosi è più grande presso queste razze che nelle nostre.

“Non si deve pensare che l’intelligenza d’una razza umana si determini dal numero dei cervelli voluminosi, perchè i Patagoni, gli abitanti della Polinesia e gli Indiani del nord America superano di gran lunga i nostri parigini e tutte le razze europee, non solo nel numero dei cervelli voluminosi, ma anche nella maggiore capacità cranica.

“L’influenza della statura sul volume del cervello è confermata dal fatto, che le piccole capacità craniche si incontrano nelle razze di bassa statura, come i Boscimani, gli Andamani e gli Indiani Paria. Tutti i naturalisti che trattarono davvero scientificamente la questione del cervello, andarono assai cauti nel pronunciarsi sulla differenza che presentano i due sessi, mentre altri scrittori la trattarono, specialmente negli ultimi anni, con tanta leggerezza da comprometterla di fronte al pubblico. Se differenza vi è fra l’intelligenza dell’uomo e quella della donna, deve essere in ogni modo una differenza assai lieve, poiché uno psicologo come Stuart-Mill ha dichiarato di non averla trovata. La statura, la forza muscolare, il volume del corpo, presentano grandissime differenze, ed è per ciò che le donne si sono chiamate il sesso debole; e scrittori che non riuscivano a riconoscere tali differenze si arrogarono il diritto di stabilire una differenza psicologica, e cioè di risolvere un problema molto più difficile e complesso alzando la voce per cantare le lodi del proprio sesso!

“Perciò la differenza del peso del cervello e della capacità cranica, considerata scientificamente non può essere ritenuta come svantaggiosa alla donna, perché tutto prova che questa differenza dipende dal peso del corpo, e non vi è alcuna ragione anatomica per ritenere che la donna sia rimasta più indietro dell’uomo e sia a questo intellettualmente inferiore. E lo proverò subito.

“La proporzione fra il peso del cervello e la statura è più piccola nel sesso femminile che nel maschile (82); ma ciò si spiega facilmente: la statura non esprime lo sviluppo, o, per dir meglio, il peso del corpo non esprime abbastanza il grado d’intelligenza.

“Ma se paragoniamo la proporzione del peso del cervello, allora troviamo che le donne hanno più cervello degli uomini, così durante la fanciullezza come, specialmente, durante la vita. La differenza non è grande, ma sarebbe ancora più notevole se non avessimo tenuto conto, nel peso del corpo, dell’adipe che si trova in maggior quantità nelle donne e che non ha alcuna influenza sul peso del cervello perché massa inerte”.

Più tardi e cioè nel 1883, il Manouvrier pubblicò nel numero 7 della “Rivista scientifica” i seguenti risultati delle sue ricerche:

“Calcolando 100 il peso del cervello dell’uomo, delle ossa del femore, del cranio e della mascella inferiore, troviamo essere:

 

il peso del cervello   .   .   .     della donna  88,9

     ,,    del cranio     .    .   .            ,,          85,8

     ,,    della mascella inferiore       ,,          78,7

     ,,    delle ossa del femore          ,,          62,5

 

“Inoltre è un fatto provato che il peso dello scheletro (senza il cranio) cambia come quello delle ossa del femore; per cui è possibile riscontrare il peso del cervello con quello di queste ossa. Il risultato delle cifre suesposte è questo: che le donne hanno, relativamente, una massa cerebrale che supera quella dell’uomo del 26,4 per 100.

“Esprimiamo ancora un po' più plasticamente le cifre citate.

“Se la massa cerebrale dell’uomo è uguale a 100 grammi, quella della donna dovrebbe essere non di 100, ma soltanto di grammi 62,5; in quella vece la massa cerebrale della donna è di grammi 88,9, e quindi una eccedenza di grammi 26,4. Ritenendo pertanto che il peso medio del cervello dell’uomo sia di grammi 1410 (secondo il Wagner), il peso del cervello della donna dovrebbe essere di grammi 961,25, in luogo di 1262; e perciò la donna ha una massa cerebrale che supera di grammi 301,75 il peso che sarebbe voluto dalla proporzione. Accettando i dati dell’Huschke, si troverebbe una eccedenza di grammi 372, e finalmente, di grammi 383 secondo le cifre del Broca. Perciò, a parità di condizioni, le donne hanno una eccedenza cerebrale che supera di tre e quattrocento grammi quella dell’uomo”.

Non è dunque vero affatto, che le donne siano inferiori all’uomo per effetto della loro costituzione cerebrale, e non si deve quindi meravigliarsi che le donne siano intellettualmente quello che sono.

Certamente Darwin ha ragione quando afferma che, di fronte ad una serie di uomini più eccellenti nella poesia, nella pittura, nella scultura, nella musica, nella scienza e nella filosofia, non può reggere al paragone una serie di donne altrettanto chiare ed illustri nelle stesse materie. Quale meraviglia? Si dovrebbe meravigliarsi, al contrario, se così non fosse.

E’ giusta pertanto l’osservazione del dottor Dodel-Port (83) in risposta all’oggetto, che cioè sarebbe ben altrimenti se uomini e donne egualmente educati si ammaestrassero per una serie di generazioni nell’esercizio di quelle arti e discipline.

La donna, in generale, anche fisicamente è più debole dell’uomo, il che non si verifica presso molti popoli selvaggi, nei quali, anzi, si nota talvolta tutto il contrario.

Ma una prova dell'efficacia dell’esercizio e dell'educazione sulla forza muscolare anche della donna, è fornita dalle saltatrici dei circhi equestri, le quali non solo gareggiano con qualsiasi uomo in coraggio, in ardimento, in agilità e in forza fisica, ma spesso fanno miracoli e destano lo stupore del pubblico.

E poiché tutto ciò è l’effetto delle condizioni di vita e della educazione, o per esprimerlo con una parola dura, attinta dalle scienze naturali, “della razza” e l’applicazione sapiente delle leggi naturali al regno vegetale ed animale si compie in modo sorprendente, non v’ha dubbio che l'applicazione di queste leggi anche alla vita fisica ed intellettuale dell’uomo condurrebbe a risultati ben diversi, se l’uomo scientemente le violasse.

Le premesse dimostrano quale stretto ed intimo legame vi sia fra le moderne scienze naturali, tutta la nostra vita sociale e il suo sviluppo. La savia applicazione delle leggi naturali allo sviluppo della società umana può spiegarci la nostra situazione, né si riuscirebbe altrimenti a scoprirne l’origine e la causa. E risalendo alle cause, troviamo che dominio e potere, carattere e qualità così dei singoli come delle classi e dei popoli, dipendono principalmente dalle condizioni materiali della vita e quindi dall’ambiente sociale ed economico in mezzo al quale essi vivono (84), e sentono l’influenza del suolo, della sua fertilità e del clima. Se le infelici condizioni di esistenza – e cioè la imperfezione dello stato sociale – sono la causa del manchevole sviluppo individuale, ne segue necessariamente, che migliorando queste condizioni, anche gli uomini miglioreranno.

Conchiudendo: L’applicazione delle leggi naturali, sotto il nome di darwinismo, alla vita umana concorre a formare altri uomini alla stessa guisa che al socialismo soltanto si dovrà il formarsi di un nuovo ordine di cose, secondo la dottrina di Carlo Marx. Non varrà né il ricalcitrare né la riluttanza – “se non si va innanzi spontaneamente, farò uso della forza” – intendo dire la forza della ragione. La legge darwiniana della lotta per la vita, per la quale l’essere più forte e più perfetto opprime e distrugge il più debole, nei riguardi della umanità si risolve in questo che, alla fine, gli uomini come esseri pensanti e senzienti mutano, migliorano e perfezionano continuamente le loro condizioni sociali e tutto ciò che a queste è annesso; per modo che, alla fine, tutti gli esseri umani si troveranno nelle stesse favorevoli condizioni di esistenza.

L’umanità creerà a poco a poco a se stessa condizioni, detterà leggi e provvedimenti economici tali che renderanno possibile al singolo di sviluppare le proprie attitudini e disposizioni naturali a vantaggio proprio e della comunità, ma lo renderanno impotente a danneggiare altri o tutti, perché il danno dei terzi sarebbe pur danno suo. Questa condizione avrà tale efficacia sull’intelligenza e sul sentimento, che l’idea di dominare sugli altri non germoglierà più nel cervello di alcuno.

Perciò il darwinismo è, come qualsiasi altra scienza esatta, una dottrina eminentemente democratica (85), e se i suoi difensori non lo vogliono riconoscere e sostengono anzi il contrario, bisogna dire che non sanno misurare la portata della loro scienza. Gli avversari, specialmente il clero che ha sempre l’odorato fine, quando si tratta di vantaggi terreni o del pericolo che li minaccia, hanno misurata per bene l'importanza e il significato di questa scienza denunziando il darwinismo come una dottrina infetta di socialismo e di ateismo. E il professore Wirchow andò d’accordo con quelli che in altro campo sono suoi nemici, quando nel congresso dei naturalisti tenutosi nel 1877 a Monaco, apostrofò il professor Häckel dicendo: “che la dottrina darwiniana mena al socialismo”. Wirchow tentò di screditare il darwinismo perché Häckel domandava che la dottrina evoluzionista fosse compresa fra le materie di insegnamento.

Ora si pensi che, se è vero che la teoria darwinistica conduce al socialismo, come afferma il Wirchow, ciò non prova nulla contro la teoria, ma è anzi un argomento, se mai, favorevole solo al socialismo. La scienza non si cura di sapere se le sue conseguenze sono tali da condurre a questa o a quella forma di organizzazione politica, come non va ad indagare se son tali da determinare questa o quella condizione sociale. La scienza deve esaminare soltanto se i suoi principi sono esatti, e, quando tali essi siano, devono accettarsi con tutte le loro conseguenze.

Chi agisce altrimenti, o per vantaggio personale o per godere la protezione, i favori dei potenti, o per interesse di classe o di partito, agisce indegnamente e non fa onore alla scienza. La scienza regolamentata, che è la scienza che si insegna nelle nostre università, solo in rarissimi casi può pretendere alla indipendenza e al carattere. La paura di perdere lo stipendio o la protezione dei potenti e il timore di dover rinunziare a titoli, ad ordini cavallereschi o alla promozione, fa sì che i rappresentanti della scienza si pieghino ed abbassino sino a nascondere i propri convincimenti o, peggio, fino a dire pubblicamente tutto il contrario di ciò che pensano.

Se un Dubois Reymond nel 1870, in occasione di una solennità nell’Ateneo berlinese, esclamò: “le Università sono gli istituti di educazione per la intellettuale guardia del corpo degli Hohenzollern”, si può giudicare che cosa pensino dello scopo della scienza gli altri che, per sapere e per autorità, stanno molto al disotto del Dubois-Reymond (86).

Si avvilisce la scienza col renderla schiava del potere.

Noi comprendiamo che il professor Häckel e i suoi fautori, quali il professore Schmidt, il signor di Hellwald ed altri, si difendano energicamente contro l’accusa che il darwinismo sia un’arma ed un pretesto nelle mani dei socialisti, e dal canto loro sostengano: che è vero anzitutto il contrario, perché la dottrina darwinistica è aristocratica, insegnando essa che nella natura il più forte e il più perfetto schiaccia il più debole.

E siccome le classi abbienti ed educate rappresentano nella società questi esseri più vigorosi e meglio organizzati, è giustificato il loro predominio, perché ciò è necessario per legge di natura.

La erroneità di questa conclusione è evidente. Ritenuto che questo sia il convincimento dei sopra citati, è chiaro che essi applicano soltanto meccanicamente le dottrine loro all’umanità.

Siccome la lotta per la vita si combatte nel mondo animale e vegetale inconsciamente, e cioè nell’ignoranza delle leggi che regolano la vita di questi mondi, così costoro credono che altrettanto debba valere per l’umanità. Fortunatamente però, questa arriva a conoscere le leggi che regolano il suo sviluppo e non le rimane pertanto che il compito di applicare tale conoscenza ai suoi istituti politici, sociali e religiosi, e di trasformarli. Quindi fra l’uomo e il bruto vi ha questa differenza, che l’uomo può ben dirsi un animale pensante, mentre l’animale non è un uomo pensante.

A molti darwiniani pur dotti ciò è sfuggito; di qui il circolo vizioso in cui essi si aggirano. Il professore Häckel e i suoi fautori negano pure che il darwinismo conduca all’ateismo, e dopo di aver messo alla porta con prove scientifiche d’ogni maniera il Creatore, tentano con ogni sforzo di farlo passare di contrabbando dalla finestra. A questo scopo si crea una specie singolare di “religione” che si chiama “alta moralità”, “principii morali”, ecc.

Il professor Häckel, nel congresso dei naturalisti inauguratosi in Eisenach nel 1882, alla presenza della famiglia del duca di Weimar, non solo cercò di salvare la religione, ma di far passare il suo maestro Darwin come un uomo pio. Il tentativo fallì, come può constatare chiunque, il quale abbia letto quella relazione e la lettera del Darwin ivi citata.

Questa lettera affermava tutto il contrario di quello che essa doveva dire secondo il professor Häckel, certamente con espressioni prudenti e circospette, perché Darwin aveva riguardo alla “Pietà” dei suoi connazionali, gli inglesi, e perciò non s’arrischiava mai di esprimere pubblicamente l’opinione sua sulla religione. Darwin aveva detto privatamente al dottor Büchner, come si seppe poco dopo il congresso di Weimar, che egli non era più credente da quando raggiunse il quarantesimo anno di età, – e quindi fino dal 1849, – perché non aveva scoperta alcuna prova per la fede. Darwin poi, negli ultimi anni della sua vita, fondò a New-York un giornale ateistico.

Insieme col professore Wirchow, si scaglia contro Darwin e il darwinismo anche il dottor Dühring in modo assai violento. Per riuscirvi, costui si foggia un darwinismo alla sua maniera, per combatterlo con armi prese in parte a prestito dal darwinismo stesso.

Se si può spiegare con l’applicazione sapiente delle leggi naturali l’origine e la causa delle trasformazioni dei generi e anche delle specie nel mondo animale e vegetale – trasformazioni che si manifestano in modo evidentissimo – queste riusciranno alla fine – una volta che si applichino le leggi dell’evoluzione alla educazione dell’uomo – riusciranno, ripetesi, a fissare e determinare alcune qualità fisiche e morali che gli renderanno possibile l’armonico sviluppo.

 

*  *  *

 

Le donne, in virtù della tendenza naturale al perfezionamento, tendenza in loro vivissima, devono lottare con l’uomo anche sul campo dell’intelligenza, e non devono aspettare, finché piaccia agli uomini, di sviluppare le loro funzioni cerebrali. Questa tendenza è già notevole. Qua e là le donne hanno rimossi molti ostacoli e corrono all’arringo intellettuale; in alcuni paesi con singolare successo, e specialmente nell’America settentrionale e nella Russia, due paesi che, per la loro organizzazione politica ed anche per le loro condizioni sociali, sono agli antipodi. Così nell’America settentrionale come nella Russia, vi sono molte donne che professano la medicina, parecchie delle quali godono gran fama ed acquistarono grande clientela (87).

Non v’ha dubbio che la donna, della quale ti mettono ovunque in rilievo le attitudini di infermiera, abbia anche una particolare attitudine alla medicina. Inoltre, per le nostre donne, sarebbe un grande beneficio quello di farsi curare da medichesse, perché il fatto che esse devono chiamare gli uomini in caso di malattia ed in tutti i disturbi fisici che si collegano alla generazione costituisce spesso un ostacolo a che i soccorsi dell’arte medica arrivino in tempo. Di qui una infinità di dispiaceri non solo per le donne, ma anche per gli uomini. Non v’è medico il quale non deplori questo riguardo, alle volte colpevole, nelle donne, e la loro ripugnanza a confessare francamente il loro male. Ciò si comprende, solamente è illogico che gli uomini e perfino i medici non vogliano riconoscere che lo studio della medicina è adatto alla donna. Il quale studio sarebbe utile anche per ciò che, specialmente nelle campagne, si sente il bisogno di medici, mentre la nostra gioventù borghese, rifuggente dalle serie applicazioni, non si dedica con troppo entusiasmo all’esercizio dell’arte salutare. Dato il poco zelo di questa gioventù nell’apprendere – poco zelo che fu dimostrato dai risultati degli esami – la concorrenza femminile sarebbe molto benefica.

Gli Stati Uniti porgono a questo proposito parecchi esempi. Ivi prosperano, con grande orrore dei nostri conservatori, dotti e indotti di entrambi i sessi, delle università ove si perfezionano maschi e femmine in gran numero. Ed eccone i risultati. Il signor White, rettore dell’università di Michigan, riferisce: “Il migliore fra mille e trecento studenti nella lingua greca, è da molti anni una ragazza; il migliore fra gli studenti di matematica in una delle classi più numerose del nostro istituto, è egualmente una ragazza, e parecchi, fra i migliori studenti di scienze naturali e di tutte le altre scienze, sono pure delle altre ragazze”.

Il dottor Fairshild, rettore del collegio di Oberlin nell’Ohio, ove studiano più di mille scolari d’entrambi i sessi, dice: “Durante la mia pratica di otto anni quale professore di lingue antiche – latino, greco, ebraico – e nelle discipline filosofiche, nonchédurante undici anni d’insegnamento delle matematiche pure ed applicate, io non ho notata alcun’altra differenza fra i due sessi, senonché nel modo di comportarsi”. Il signor Edoardo H. Machill, preside del collegio di Swarthmore nella contea di Delaware, autore del lavoro che ci fornisce questi dati, dice che, dopo una esperienza di quattro anni, egli è venuto a questo risultato: che l’educazione in comune di ambo i sessi ha prodotto i migliori risultati nei riguardi morali. Ciò va ricordato a coloro i quali sostengono un pericolo per la moralità in tale educazione. Prima però che la ragione si faccia strada in Germania, bisognerà tagliare ancora molte code. Negli Stati Uniti alle donne è offerta occasione di distinguersi nei campi più svariati della scienza e, fra gli altri, specialmente anche in quello delle scoperte.

Per esempio, i giornali dell’America settentrionale pubblicarono un elenco di inventrici, che non è per nulla completo, dal quale elenco appare che gli oggetti seguenti furono inventati e notevolmente migliorati da donne: un filatoio; un telaio rotatore, che fa un servizio tre volte maggiore di un telaio ordinario; uno strumento per sciogliere le catenelle; un manubrio per le viti, a vapore; un apparato di salvataggio per gli incendi; un altro per pesare la lana, macchina questa delle più sensibili e che è di un valore inapprezzabile nell’industria della lana; un serbatoio d’acqua portatile per spegnere gli incendi; un sistema per applicare il petrolio in luogo della legna e del carbone come combustibile nelle macchine a vapore; una molla perfezionata da locomotiva; un segnale per gli scambi delle strade ferrate; un sistema per riscaldamento dei vagoni, senza fuoco; un feltro lubrificatore per scemare l’attrito (nelle strade ferrate); una macchina da scrivere; un razzo segnalatore per la marina; un telescopio per esaminare le profondità marine; uno strumento destinato a consumare il fumo; una macchina per piegare la carta, sacchi, e parecchie altre invenzioni non meno notevoli, utili e ingegnose. Dei perfezionamenti vennero introdotti, segnatamente nelle macchine da cucire, per esempio un ripiego per cucire  le vele e panni grossolani; un apparecchio per infilare l’ago mentre la macchina è in moto; un perfezionamento delle macchine da cucire le pelli, ecc. Quest’ultima scoperta venne fatta da una signora che conduce da molti anni una selleria a Nuova-York. Il telescopio marino, inventato dalla signora Mather e perfezionato da sua figlia, è una invenzione della massima importanza, perché rende possibile di esaminare la chiglia delle grandi navi, senza bisogno di metterle all’asciutto. Mediante un tubo si può da bordo esaminare la chiglia immersa, segnalare gli ostacoli che impediscono la rotta della nave, la presenza delle torpedini, ecc.

Oltre a questi vantaggi pratici, l’applicazione della donna anche alla scienza fa presagire notevoli progressi.

Fra le macchine, che menarono gran rumore così in America come in Europa per la straordinaria complessità dei loro congegni e per la loro costruzione geniale, ne va ricordata una per la fabbricazione dei sacchi di carta.

Molti, e fra questi anche dei meccanici distinti, tentarono indarno fino ad ora di costruirla, ed è una donna, miss Maggie Knight, che la inventò; e fu parimenti questa signora che ne costruì una simile per piegare i sacchi, e che diresse i lavori d’impianto ad Amherst nel Massachusetts. Le donne tedesche non fecero nulla di simile fino ad ora, perché? Perché si cerca, quanto è più possibile, di tenerle in una condizione di tutela, anzi, l’indirizzo degli studi dato alle donne è tale che si crede cosa sconveniente accoglierle nelle cliniche mediche e nelle sale di chirurgia, come in quelle dei parti, insieme agli studenti. Gli uomini non trovano scandaloso di fare studi e ricerche sulle malattie delle donne, anche in presenza delle infermiere e di altre malate, e non vi è quindi ragione al mondo perché altrettanto non si lasci fare alle studentesse. Il maestro poi può, col suo modo di insegnamento, influire sul contegno degli uditori e delle uditrici. Vi sono anche delle donne animate da grande serietà di propositi e d’altrettanta forza di volontà, le quali, negli studi cui si applicano, superano la maggior parte degli uomini, come è confermato dalla testimonianza di parecchi insegnanti, i quali istruirono insieme uomini e donne. Lo zelo delle studentesse supera generalmente quello degli studenti.

Finalmente anche le medichesse, una volta istruite – se si vuol assolutamente ritenere necessaria la separazione, punto naturale, dei sessi – potrebbero, lo si ripete, far da maestre alle loro compagne.

Ma, a dire il vero, sono ben altri i motivi addotti dai professori di medicina, e particolarmente dai professori delle Università, per osteggiare le studentesse. Essi credono con ciò di avvilire la scienza, la quale potrebbe scapitare agli occhi della moltitudine indotta, se si dimostrasse che anche cervelli femminili possono comprendere una scienza che a tutt’oggi era schiusa soltanto agli eletti del sesso maschile.

L’organismo della nostra Università è difettoso e manchevole non meno di tutta la nostra coltura, checché si dica in contrario.

Come nelle scuole popolari è rubato al fanciullo il tempo più prezioso, per rompergli la testa con cose che non sono in accordo né colla ragione né colla scienza; come viene caricato di una zavorra, che nella vita non può impiegare, e che anzi gli arresta il più delle volte il progresso e lo sviluppo, così avviene anche nelle nostre scuole superiori. Negli istituti preparatori, la mente degli scolari viene ingombrata di aride ed inutili nozioni e di imparaticci che assorbono la maggior parte del loro tempo e della loro energia intellettuale; e così può dirsi nelle Università. Poco di buono e di utile viene loro insegnato in paragone del superfluo e dell’antiquato.

Le lezioni sono sempre quelle stesse che si leggono nei vecchi quaderni di collegio; sicché l’alto ufficio dell’insegnamento diviene per molti quasi un mestiere e gli scolari non hanno bisogno di molta perspicacia per accorgersene.

L’idea formatasi della vita universitaria fa sì che i giovani non prendano troppo sul serio gli studi e chi vuol prenderli sul serio trova ragione di scoraggiarsi nella pedanteria disgustosa dell’insegnamento dei professori. La decadenza degli studi è un fatto universalmente osservato nelle nostre Università e nelle scuole superiori, ed è tale da porgere argomento di riflessione anche alle persone di idee moderate. In stretto rapporto con ciò sta la razza dei gingillini che fa i più grandi progressi nel nostro secolo privo di caratteri, e penetra sempre più nelle nostre scuole superiori. Il buon animo fa le veci della scienza; essere “patriota”, vale a dire un uomo che non ha opinioni sue, ma si rivolge sollecito all’alto e si studia di scoprire ove spira il vento per prosternarsi davanti a qualche nume, è tenuto in maggior pregio di un uomo di carattere, di un pensatore e di uno scienziato. Quando poi arriva il tempo degli esami, in un paio di mesi si impara affrettatamente ciò che è strettamente necessario per cavarsela. Una volta poi superato l’esame felicemente, entrati in un impiego od abbracciata una professione, il maggior numero di questi studenti continua a lavorare meccanicamente, quasi per mestiere, ma se ne hanno a male e si offendono se chi non ha frequentato le scuole superiori non li saluta col massimo rispetto e non li considera e tratta come specie umana diversa e più nobile della sua. Tutti, o quasi, i nostri così detti alti impiegati, procuratori del re, giudici, medici, professori, artisti, ecc. non sono che altrettanti manuali che non sentono alcun bisogno di studiare, paghi soltanto di pascersi alla greppia. Soltanto chi ha delle aspirazioni scopre più tardi quante cose inutili ha imparato e quante non ne ha imparate che erano necessarie, ed incomincia per la prima volta ad imparare davvero. Negli anni più belli della vita gli insegnarono molte cose inutili e dannose, ed ha bisogno di un secondo periodo per eliminarle e salire fino all’altezza delle idee del tempo; allora soltanto egli può diventare un membro utile della società. Molti non varcano il primo stadio, altri si arrestano al secondo, pochi soltanto hanno l’energia di raggiungere il terzo.

Senonché il decoro esige che le anticaglie e gli inutili imparaticci restino, e poiché le donne, perché tali, sono escluse dalle scuole e dagli istituti preparatori, così tale circostanza serve di comodo pretesto per chiudere ad esse le porte delle Università.

Nel 1870 uno dei più illustri professori di medicina di Lipsia fece francamente ad una signora questa confessione: “la istruzione classica non è punto necessaria per comprendere la medicina, ma si deve farne una condizione dell’ammissione agli studi della medesima, perché non ne soffra la dignità della scienza”.

In Germania l'opposizione contro la necessità degli studi classici per intraprendere quelli della medicina, va a poco a poco facendosi notevole. I prodigiosi progressi delle scienze naturali richiedono che si consacri ad essi lo studio fino dall’età giovanile, ma il metodo della istruzione ginnasiale colla sua preferenza data alle lingue classiche, – greco e latino – costituisce un tale ostacolo che gli studenti arrivano all’università senza conoscere nemmeno quegli elementi delle scienze naturali che, per alcuni rami di studio come, per esempio, la medicina, sono di una importanza capitale. Contro questo sistema unilaterale di insegnamento comincia finalmente a sollevarsi opposizione anche fra i professori, come è dimostrato da una dichiarazione pubblicata da quattrocento maestri delle scuole superiori germaniche nell’autunno del 1890.

All’estero, nella Svizzera per esempio, si è già data una importanza capitale allo studio delle scienze naturali e si è permesso a chiunque, sebbene non fornito della così detta istruzione classica, l’accesso agli studi della medicina, purché dia prova di conoscere le nozioni elementari necessarie delle scienze naturali e delle matematiche; ed altrettanto avviene nella Russia e negli Stati Uniti. Il prof. Bischoff di Monaco, per non raccomandare alle donne lo studio della medicina, adduce questo motivo: La rozzezza degli studenti. Questo professore in altro punto – caratteristico anche questo – del suo lavoro, così si esprime su questo argomento: “Perché non si dovrebbe permettere (come professore) ad una donnina interessante, intelligente e graziosa di farsi dare una lezione sopra qualche disciplina non insidiosa?” Un’idea che il signor de Sybel condivide ed esprime così: “Pochi uomini furono in grado di negare l’aiuto e la cooperazione loro ad una scolara zelante ed amabile”. Guai a chi volesse contraddire tali “ragioni” e idee. Verrà tempo in cui non ci si darà pensiero né della rozzezza degli “studenti” né dello spirito reazionario e del sentimentalismo dei maestri; ma si farà quello che richiedono la ragione e la giustizia.

I pregiudizi tradizionali, di cui sono malate l’Europa e particolarmente la Germania, dominano assai meno nell’America del Nord. Qui molte donne esercitano la medicina, insegnano, rendono giustizia, entrano negli istituti per gli studi superiori, occupano posti importantissimi negli uffici comunali e governativi, e rappresentano, nel ramo dell'istruzione, il nerbo dell’esercito degli insegnanti.

Il numero delle medichesse supera negli Stati Uniti le 2000, fra le quali, quasi un centinaio, sono professori. Nello Stato di Iowa, pochi anni or sono, vi erano già 125 medichesse, e cinque avvocatesse. In complesso, nelle scuole superiori dell’America settentrionale, il numero delle studentesse supera le 18 mila. Oltre che negli Stati Uniti, la carriera degli studi è aperta alle donne in Inghilterra, in Francia, in Italia, nella Spagna, nella Svezia e Norvegia. A Londra, a New-York, a Filadelfia ci sono scuole superiori per le donne che intendono esercitare la medicina. Anche in Russia si hanno, nei riguardi della donna, idee assai più liberali che in Germania. Molte signore russe si dedicarono con successo ai vari rami degli studi scientifici. In Russia, lo zar permise, nel 1872, dopo molte insistenze, la fondazione di una facoltà di medicina per le donne. I corsi della facoltà medica vennero frequentati da 959 studentesse nel periodo dal 1872 al 1882, e di queste 281 fino al 1882, 350 fino al 1884 erano state licenziate; di esse poi quasi un centinaio si recarono a Pietroburgo. Fra le studentesse che frequentarono le facoltà di medicina fino al 1882, 71 (e cioè il 9,0 per cento) erano maritate; 13 (cioè l’1,6 per cento) vedove; e 116 (15,9 per cento) quelle che andarono a marito durante gli studi.La maggior parte di tali studentesse, cioè 214, erano figlie di nobili e di impiegati; 138 erano figlie di commercianti e di grossi borghesi; 107 di militari, 59 di preti, ecc.; 54 appartenevano ai ceti più bassi della popolazione.

Delle 281 dottoresse che avevano compiuto i loro studi fino al 1882, 62 furono invitate da parecchi Semstwos *, 54 trovarono impiego nelle cliniche, 12 lavorarono in qualità di assistenti nelle scuole di medicina, e 46 si diedero ad esercitare privatamente la medicina.E’ degno di nota il fatto che più del 52% delle studentesse non conoscevano né il latino, né il greco; il che non impedì loro di fare il proprio dovere al pari degli uomini. Nondimeno i circoli governativi in Russia erano punto favorevoli ad aprire alle donne la via degli studi, finché il ghiaccio della indifferenza non fu rotto dai grandi meriti che seppero farsi le donne in qualità di medichesse durante la guerra russo-turca del 1877-78.

Lo studio delle donne in Russia si diffuse notevolmente fino dal principio del 1880, perché da allora migliaia di scolare si dedicarono allo studio degli svariati rami del sapere, ma considerando che in tal modo si facevano strada idee più liberali, che minacciavano di diventare pericolose per il dispotismo, le scuole di medicina vennero soppresse con Ukase del 1° maggio 1885, dopo che già si era cercato con ogni sforzo di rendere più grave e difficile la vita alle donne che studiavano (88).

Le donne in Isvizzera hanno fatto pure notevoli progressi nel ramo degli studi durante i due ultimi decenni, frequentando specialmente le Università di Zurigo e di Berna. Basilea ha precluso fino ad oggi alle donne l’accesso agli studi, e Genf [Ginevra, NdR] fu poco frequentata da esse. Nell’inverno del 1885-86, 48 donne studiavano a Zurigo, 16 delle quali erano svizzere, distribuite così: 1 agli studi legali, 28 alla medicina e 19 alla facoltà di filosofia. Nello stesso periodo di tempo a Berna studiavano 57 donne, 13 delle quali erano svizzere, 42 studiavano medicina e 15 filosofia. Le straniere erano russe generalmente; ma anche la Germania vi dà un contingente notevole. Nella primavera del 1878, una studentessa russa sostenne a Berna gli esami, distinguendosi specialmente nella matematica, per modo che la facoltà di filosofia le conferì ad unanimità il diploma di dottore a pieni voti. Altrettanto accadde alcuni mesi più tardi ad una signora austriaca laureatasi in medicina nella Università Bernese, e verso la fine del 1887 l’Accademia delle Scienze di Parigi conferì alla signora S. v. Kowalewsky il primo premio nelle matematiche. Questa signora ebbe una cattedra di matematica a Stoccolma.

In Germania, lo Stato non solo non ammise fino ad ora le donne agli studi, ma anche nei pochi casi in cui le impiegò, le trattò come una forza produttiva da sfruttare, perché vengono pagate per le stesse prestazioni assai meno dell’uomo.

Ora, siccome l’uomo, già nelle presenti condizioni, si trova di fronte alla donna come davanti ad un concorrente, la osteggia doppiamente se il suo lavoro corre rischio di essere vinto e superato da un altro lavoro più a buon mercato, d’onde la difficoltà delle condizioni della donna. A ciò si aggiunga che il militarismo in Germania fa concorrere ogni anno agli impieghi tanti sottufficiali fuori di servizio e tanti ufficiali esclusi dall’esercito, che non vi è più alcun posto libero per altri, e perciò le donne che vi trovavano impiego, ne vennero per la maggior parte rimosse. Nemmeno possono disconoscersi i gravi inconvenienti derivati dall’eccesso di lavoro imposto dallo Stato e dai privati alle donne, inconvenienti tanto più gravi, nel caso che le operaie debbano compiere anche i doveri domestici. Come la economia privata si trova in conflitto colle esigenze create dalla vita a milioni di donne, così le condizioni generali dell'economia pubblica si trovano in conflitto con la dignità umana della grande maggioranza.

Le donne danno prova ogni anno più di avere attitudini e capacità quanto l’uomo, malgrado la trascurata educazione, e di essere in grado di sostenere la lotta coll’uomo in molti rami dell’attività umana. Scrittrici ed artiste valenti non mancano, come non mancano fra esse dei rappresentanti di altri elevati uffici. Ciò porge argomento di rispondere ai reazionari, che non si può negare ad esse l'eguaglianza giuridica. E’ fuori di dubbio, che, nelle presenti condizioni sociali, né le donne, né gli uomini hanno raggiunto, a questo riguardo, la meta. L’insinuarsi che fanno le donne con sempre maggiore energia negli impieghi più elevati – il che riesce possibile soltanto ad una minoranza – può alla fine esercitare la stessa influenza che nel campo dell’industria. Anche in questi uffici più elevati, la donna viene pagata proporzionalmente meno dell’uomo, a misura che la sua concorrenza fa aumentare l’offerta. Noi sappiamo di un caso, in cui una donna doveva succedere nel posto occupato prima da un insegnante, ma colla metà dello stipendio. E’ una pretesa certamente vergognosa, ma perfettamente giustificata dai principi dominanti nel mondo borghese, e fu accettata per forza di circostanze. E’ certo pertanto che per le donne non può sorgere speranza d’un migliore avvenire, non rattristato cioè dalla miseria, perciò che ad esse si aprono le porte degli impieghi e degli uffici più elevati. Assai più di questo si deve fare.

 

(continua)


 

* Semstwos, in russo zemstvo: erano come dei governatorati locali ai tempi degli zar, una sorta di assemblee che rappresentavano la nobiltà e la borghesia locale, abolite con la rivoluzione d'Ottobre 1917.tc "* Semstwos, in russo zemstvo\: erano come dei governatorati locali ai tempi degli zar, una sorta di assemblee che rappresentavano la nobiltà e la borghesia locale, abolite con la rivoluzione d'Ottobre 1917."

 

(79) Dott. L. Büchner: La donna, la sua posizione naturale e la sua missione sociale. – Società Nuova. – Annuario, 1879-1880. Nota di A. Bebel.

(80) I dati relativi al peso del corpo sono desunti dalla antropologia di Taupinard. Nota di A. Bebel.

(81) Accettando per vera la differenza fra il peso dell’uomo e quello della donna esposta da un autore accreditato, il Delaunay, in 11 chilogrammi, avremmo da 35 a 70 grammi. Nota di A. Bebel.

(82) Quatrefages trovò che questa proporzione è un pò più grande nella donna che nell’uomo. Thurnam trovò il contrario, come L. Manouvrier. Nota di A. Bebel.

(83) La nuova storia della creazione. Nota di A. Bebel.

(84) E’ una scoperta che Carlo Marx fece per primo, confermata classicamente nelle sue opere, e specialmente nel «Capitale». – Il manifesto comunistico del febbraio 1848 redatto da C. Marx e da F. Engels si svolge su questo concetto fondamentale, e può considerarsi anche oggi come il lavoro più atto a tener viva l’agitazione. Nota di A. Bebel.

(85) L’atrio della scienza è il tempio della democrazia, Buckle: Storia della civiltà in Inghilterra, volume secondo, parte seconda, IV ediz. Trad. di A. Runge. Nota di A. Bebel.

(86) Il signor Dubois-Reymond ha ripetuto la frase sopra citata, riferendosi agli attacchi dei quali fu bersaglio nel febbraio del 1883 in occasione del giorno natalizio di Federico il Grande. Nota di A. Bebel.

(87) Medichesse ed operatrici di gran fama vi erano già nel nono e nel decimo secolo in Arabia, ed anche nella Spagna sotto il dominio degli Arabi, dove esse studiavano nella Università di Cordova. A quel tempo la donna era nell’impero Arabo-Maomettano assai più libera di quello che sia oggi in Oriente, il che è dovuto a Maometto, il quale introdusse dei sostanziali miglioramenti nella sua condizione sociale. Però l’influenza asiatica, persiana e turca ha pregiudicato ed avvilito più tardi la posizione della donna in Oriente. Nella storia della civiltà in Oriente del Kremer, si possono leggere, a questo proposito, delle interessanti comunicazioni. Anche a Bologna ed a Palermo nel XII secolo vi erano donne che studiavano medicina. Nota di A. Bebel.

(88) Tempo nuovo, 1884; pag. 155 e segg.: Lo studio delle donne in Russia. Nota di A. Bebel.

 

 

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