La donna e il socialismo (10)

Di August Bebel

La donna nel passato, nel presente e nell’avvenire

(«il comunista»; N° 135; Luglio 2014)

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(continua dal n. 134)

 

 

II. La donna nel presente

 

 

LA  SOCIALIZZAZIONE  DELLA  SOCIETÀ

 

Espropriati gli strumenti di lavoro, la società crea la nuova base. Le condizioni di vita e di lavoro per entrambi i sessi: industria, agricoltura, traffico, educazione, matrimonio, scienze, lettere ed arti, insomma tutta l’esistenza umana si trasforma. L’ordinamento politico come tale perde a poco a poco terreno.

Si è visto nella prima parte di questo lavoro come si sia formato lo Stato. Lo Stato è il prodotto, la risultante di una evoluzione sociale dalla forma primitiva di associazione umana che riposava sul comunismo, a quella ove a poco a poco si formò la proprietà privata.

Col formarsi di questa, nel seno della società cominciano necessariamente a sorgere interessi antagonistici, i quali nel corso del loro sviluppo conducono alle rivalità fra i vari ceti e fra le varie classi, degeneranti a poco a poco in aperta inimicizia e in ostilità, che minacciano la stabilità del nuovo ordinamento sociale. Per impedire queste lotte di classe e difendere la proprietà minacciata, è necessaria una organizzazione che impedisca la oppressione al possesso e alla proprietà e dichiari “leale” e “sacro” il possesso acquistato in determinate forme. Codesta organizzazione protettrice della proprietà è lo Stato.

E’ lo Stato che assicura mediante leggi il possesso al proprietario, e respinge, chi attenta all’ordine costituito, come giudice e i suoi vindice. Quindi l’interesse dei poteri dello Stato è anche l’interesse dei proprietari e viceversa. Lo Stato è dunque l’organizzazione necessaria ad un ordinamento sociale fondato sul predominio delle classi. Quando gli antagonismi di classe cadranno collo sparire della proprietà privata, lo Stato perderà non soltanto il diritto all’esistenza, ma anche la possibilità di esistere. Lo Stato non è altro che la organizzazione della forza per legittimare i vigenti sistemi della proprietà e i rapporti sociali di dominio.

Lo Stato cessa quando si tolgono codesti rapporti di soggezione, alla stessa guisa che la religione sparisce quando vien meno la fede nel sopranaturale ovvero nelle forze soprasensibili e trascendentali. Le parole devono avere un significato, e quando lo perdono, allora cessano di rappresentare dei concetti e delle idee. Ebbene, salterà su ad opporre il lettore intinto di pece capitalistica: “Tutto va bene, ma con quali ragioni giuridiche la società giustificherà codesti cambiamenti ?”.

La ragione giuridica è quella stessa che è stata sempre, quando si è trattato di trasformazione e di cambiamenti, cioè il bene generale.

La fonte del diritto non è già lo Stato, ma la società; lo Stato non è che un commesso che deve amministrare e misurare il diritto. La “Società” fu fino ad oggi solo una piccola minoranza, che trattava però in nome della società intera, e cioè del popolo, spacciandosi per la “Società” come Luigi XIV si spacciava per lo Stato: l’ètat c’est moi. Quando i giornali annunziano: la stagione comincia, la Società fa ritorno alla città, ovvero, la stagione sta per finire, la Società va in campagna, non intendono, con tali espressioni, indicare il popolo, bensì le poche migliaia di alto locati che formano la “Società”, e che sono poi quelli stessi che costituiscono lo “Stato”.

La folla è plebe, vile moltitudine, canaglia, “Popolo”. Quindi anche tutto quello che lo Stato intraprende a fare in nome della Società per il bene generale, fu sempre vantaggioso specialmente alle classi dominanti, nell’interesse delle quali furono fatte le leggi ed applicate “Salus reipublicae suprema lex esto” (a), è notoriamente un vecchio principio romano di diritto. Ma chi costituiva la repubblica romana? Forse i popoli soggiogati, i milioni di schiavi? No!, solo lo scarsissimo numero di cittadini romani, e in primo luogo la nobiltà che si faceva mantenere dai popoli soggiogati.

Quando la nobiltà e i principi medioevali usurparono i beni pubblici, lo fecero “per amore del diritto” e “nell’interesse del bene generale”, e noi abbiamo visto più sopra che cosa si è fatto dei beni pubblici e delle proprietà dei poveri contadini.

La storia degli ultimi cinque secoli è una storia di continue rapine a danno delle proprietà pubbliche e private, rapine commesse nei vecchi Stati civili dell’Europa dalla nobiltà, e nell’Europa meridionale anche dalla Chiesa. Quando la rivoluzione francese espropriò i beni della nobiltà e della Chiesa, lo fece “in nome del bene generale” e sette milioni di piccole proprietà, che rappresentano la forza della Francia borghese dei tempi nostri, devono a codesta espropriazione la loro esistenza. In nome del “bene generale” la Spagna strappò più volte i beni della Chiesa, e l’Italia li confiscò intieramente, applaudite dai difensori più zelanti della “sacra proprietà”.

La nobiltà inglese ha spogliato per più secoli il popolo irlandese e inglese, appropriandosi “legittimamente” dal 1804 al 1831 non meno di 3.511.710 acri di terreno “nell’interesse del bene generale”. E quando nella gran guerra per la liberazione degli schiavi combattutasi nel nord dell’America, milioni di schiavi, che erano pur diventati proprietà dei loro padroni, furono dichiarati liberi indipendentemente da qualsiasi risarcimento verso i padroni, ciò avvenne sempre “in nome del bene generale”. Tutto il nostro progresso borghese è un continuo processo di espropriazione e di confisca, per cui il fabbricante dissangua l’operaio, il possidente dissangua il contadino, il commerciante dissangua il negoziante e finalmente un capitalista dissangua l’altro, cioè il più grande e il più forte opprime il più piccolo e il più debole. E se noi diamo retta alla borghesia, tutto ciò avviene “per il bene generale” o “a vantaggio della Società”.

I Napoleonidi (b) “salvarono la Società”, nel 18 gennaio e nel 2 dicembre; e la “Società” li felicitò; e se la società dell’avvenire si salva facendo ritornare in sua mano la proprietà che essa ha creata, essa compie opera ragionevolissima, perchè non si tratta già di opprimere uno a vantaggio dell’altro, bensì di assicurare a tutti eguali condizioni di esistenza, e di rendere possibile a ciascuna una vita più degna dell’uomo. E’ la misura più moralmente e altamente corretta che la Società umana abbia mai presa. Nella sua quarta lettera sociale indirizzata al signor von Kirchmann, intitolata “Il Capitale”, Rodbertus (c) dice a pag. 117:

“Non è una chimera la distruzione di ogni proprietà fondiaria e capitalistica, bensì è concepibilissima dal punto di vista della economia nazionale. Anche se essa rappresentasse certamente il rimedio più radicale per la Società, la quale, come si dirà fra poco, soffre per l’aumento della rendita fondiaria capitalistica, sarebbe pur sempre la sola forma atta a distruggere il sistema della proprietà privata così della terra come del capitale, forma la quale non interromperebbe neanche un momento lo scambio e il progresso della ricchezza nazionale”.

Che cosa ne dicono i nostri agrari di queste espressioni di un uomo che appartenne una volta al loro partito?

Ora osservando il modo con cui si sono formate secondo una legge determinata le cose nei diversi rami della attività umana, s’intende da sè come non si tratti di segnare o stabilire dei confini insuperabili e delle norme immutabili. Nessuno può oggi prevedere come le generazioni future si organizzeranno e soddisferanno ai loro bisogni. Nelle società come nella natura, tutto passa, uno arriva e l’altro se ne va, il vecchio, l’antiquato viene sostituito dal nuovo e vitale.

Si fanno e si applicano scoperte, invenzioni e miglioramenti vari e molteplici dei quali nessuno può comprendere la portata ed il valore e tali da trasformare i sistemi della vita umana e la società. Qui pertanto noi non possiamo trattare che lo sviluppo di principi generali, la cui illustrazione emerge dalle premesse e la cui applicazione si può distinguere solo fino ad un certo grado. La società non fu finora un essere automatico che si sia lasciato guidare dai singoli, sebbene le apparenze abbiano potuto farlo credere tale. “Si crede di comandare e si è comandati”. Fu invece un organismo che si sviluppa secondo determinate leggi immanenti, sottratto anche per l’avvenire al capriccio ed alla volontà degli individui. Quando la società arriverà a conoscere il segreto della sua esistenza, essa avrà scoperto anche la legge del suo sviluppo e la applicherà coscientemente per far nuovi progressi.

 

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Non appena la società si trova in possesso di tutti gli strumenti del lavoro, l’obbligo del lavoro per tutti, senza differenza di sesso, costituisce la legge fondamentale del socialismo. La società non può esistere senza lavoro e quindi essa ha il diritto che chiunque vuol soddisfare ai propri bisogni lavori colle sue capacità fisiche ed intellettuali per produrre. La stolta affermazione che i socialisti vogliano oziare e abolire il lavoro, un assurdo senza pari, si ritorce contro gli avversari. Gli oziosi, i neghittosi non ci sono che nel mondo borghese, perchè fanno lavorare gli altri per sè.

Il socialismo consente per una volta coll’insegnamento della Bibbia là dove questa dice: Chi non lavora non deve mangiare. Senonchè il lavoro non è soltanto lavoro e cioè attività in se stessa, ma anche lavoro utile e produttivo. La nuova società richiederà che ognuno compia un determinato lavoro industriale, commerciale, agricolo per mezzo del quale egli possa creare una determinata quantità di prodotti per la soddisfazione dei suoi bisogni.

Senza lavoro nessun guadagno, nessun lavoro senza guadagno.

Essendo però tutti obbligati a lavorare, tutti hanno anche lo stesso interesse di conseguire tre condizioni.

In primo luogo: che il lavoro sia moderato, e cioè non troppo soverchiamente intenso e lungo; in secondo luogo: che il lavoro sia quanto è più possibile gradito e alternato; in terzo luogo: che sia quanto è più possibile abbondante dipendendo specialmente da ciò la misura del guadagno.

Tutte queste tre condizioni dipendono dal modo, dalla quantità, dalla qualità delle forze produttive impiegate e dalle esigenze che la società impone per la sua conservazione.

Ora, perché la società socialistica non si fonda per vivere da proletari, ma per abolire il proletariato e per render possibile a chiunque un’esistenza agiata, sorge la domanda: fino a che punto la società spingerà le sue pretese?

Per poterlo determinare, è necessario organizzare un’amministrazione che abbracci tutti i rami dell’attività sociale. I singoli comuni costituiscono una base adatta a tal uopo, e nel caso che essi siano così grandi da rendere difficile l’esame dei dettagli, si potrebbero dividere in circoli.

Come già nella società primitiva, così ora nel più alto grado di civiltà, tutti i cittadini di un comune maggiori d’età senza differenza di sesso parteciperebbero alle elezioni ed alle nomine delle persone di loro fiducia alle quali si commetterebbero le amministrazioni.

A capo delle amministrazioni locali starebbe l’amministrazione centrale – ben inteso nessun governo che eserciti un’autorità e un potere dominante – ma solo un collegio amministrativo che eseguisca. E’ indifferente che quest’amministrazione centrale sia eletta dal comune o dalle amministrazioni comunali. Non si annetterà a tali questioni una grande importanza, non trattandosi già di occupare posti che fruttino o speciali onori o maggiori autorità o uno stipendio largo, ma soltanto di cariche di fiducia, alle quali saranno chiamati i più idonei siano maschi o femmine, che saranno rimossi ovvero rieletti a seconda del bisogno e del desiderio degli elettori; sono cariche che si assumono soltanto temporaneamente.

Coloro che le occupano non acquistano quindi la qualità di impiegati, non essendovi continuità di funzioni e mancandovi una gerarchia per gli avanzamenti.

Da questo punto di vista, diventa indifferente anche la questione se si debba istituire un grado intermedio fra l’amministrazione centrale e le amministrazioni locali, e cioè l’amministrazione provinciale.

Se lo si ritiene necessario, si istituisca, altrimenti se ne faccia a meno. In tutto ciò, quello che decide è il bisogno quale si manifesta nella pratica. Se il progresso della civiltà ha resi superflui i vecchi ordinamenti, si aboliscano senza tanto chiasso, non essendovi alcun interesse personale a sostenerli, e se ne istituiscano di nuovi.

Quest’amministrazione, dunque, che riposa sulla più larga base democratica, è assai differente dall’odierna.

Quante discussioni nei giornali e nei nostri parlamenti, e quale cumulo di atti nelle nostre cancellerie, per il più insignificante mutamento nell’amministrazione!

Ora ciò che importa è di determinare il numero e la specie delle forze disponibili, il numero e la specie degli istrumenti di lavoro, e quindi delle fabbriche, dei laboratori, dei mezzi di trasporto, della proprietà ecc., e la potenzialità di lavoro avuta fin qua. Inoltre deve determinarsi la quantità delle provvigioni esistenti e la misura dei bisogni nei vari articoli ed oggetti, durante un certo periodo di tempo, necessario per il mantenimento della società.

Quindi, come oggi lo Stato e le varie comunità fanno ogni anno il loro bilancio, così questo si farà per l’avvenire per tutti i bisogni sociali, senza escludere i cambiamenti che fossero richiesti da nuovi e più grandi bisogni.

In tutto ciò la parte più importante spetta alla statistica, che diventa la scienza ausiliaria più importante della società, porgendo essa la misura di ogni attività sociale.

Anche oggi la statistica viene applicata largamente a simili scopi.I bilanci dei regni, degli Stati e dei comuni si fondano sopra un gran numero di dati statistici raccolti ogni anno nei singoli rami amministrativi. Una esperienza più lunga, ed una certa stabilità nei bisogni normali, la rendono più facile.

Anche l’assuntore di una grande industria, come il commerciante, è in grado di determinare con precisione, in condizioni normali, il fabbisogno per il prossimo trimestre e in qual modo deve regolare la produzione e gli acquisti. Non sopravvenendo mutamenti straordinari, egli può farvi fronte senza grandi difficoltà.

L’esperienza che le crisi sono prodotte dalla eccessiva produzione, e cioè dall’essersi gettate sul mercato mondiale un’immensa quantità di merci senza conoscenza alcuna dei bisogni e delle condizioni del traffico nei diversi articoli, ha indotto già da vari anni i grandi industriali dei vari rami ad unirsi in società per determinare da un lato i prezzi, e per calcolare dall’altro il consumo giusta le fatte esperienze, e regolare quindi la produzione. In conformità alla capacità produttiva d’ogni singola industria ed a seconda dello spaccio, si determina spesso quanto ogni singola impresa può far produrre per i mesi sucessivi. Le contravvenzioni vengono punite con una pena convenzionale e col bando. Senonchè gli imprenditori non stringono questi patti a profitto del pubblico, ma a danno dello stesso e a vantaggio loro proprio. Il loro scopo è quello di approfittare della forza di coalizione per procacciarsi i più grandi vantaggi. Un simile regolamento della produzione ha dunque per scopo proprio tutto il contrario di quello che si propone un simile regolamento nella società socialistica.

Mentre là l’interesse dell’imprenditore è la regola, qui la regola è invece l’interesse della generalità. Si produce per soddisfare i bisogni di tutti e non già per procacciare dei grossi guadagni ai singoli col caro prezzo.

Senonchè nemmeno il cartello meglio organizzato nella società borghese può scoprire e tener conto di tutti i fattori. La concorrenza e la speculazione infuriano anche sotto il cartello, e così si scopre all’improvviso che il conto non torna, per cui l’edificio artificiale rovina. Quelli che ne soffrono di più sono gli operai i quali, sotto la stretta del cartello dei capitalisti, mentre non possono approfittare delle circostanze favorevoli, devono al contrario sopportare e pagare a loro spese quelle sfavorevoli.

Non altrimenti che la grande industria, anche il commercio ha statistiche diffuse. Le grandi piazze commerciali e marittime presentano ogni settimana prospetti sulle provvigioni di petrolio, caffè, cotone, zucchero, cereali; statistiche spesso inesatte, perchè i proprietari delle merci sono personalmente interessati a nascondere la verità. Tuttavia esse in complesso sono discretamente sicure, e danno modo agli interessati di vedere come si atteggerà il prossimo mercato. Anche qui però penetra la speculazione, che delude e rovescia ogni calcolo, rendendo impossibile fare affari su dati positivi.

Come è impossibile regolare la produzione nella società borghese rispetto alle migliaia di produttori privati fra loro in conflitto, così è altrettanto impossibile di regolare la distribuzione attraverso la speculazione mercantile.

Ciò che vien fatto prova solo ciò che si potrebbe fare, se sparissero gli interessi individuali e sola norma direttiva fosse l’interesse generale. Una prova di ciò è fornita, per esempio, dalle statistiche della rendita, che vengono compilate ogni anno negli Stati civili più progrediti, e permettono di determinare la quantità del prodotto della rendita, la entità dei veri bisogni, e la verosimiglianza dei prezzi.

Però in una società retta a sistema socialistico i rapporti sono completamente disciplinati, perchè tutta la società è organizzata. Tutto dunque procede secondo un piano ben ordinato, e quindi è facile anche determinare la misura dei vari bisogni. Se poi si fa precedere qualche esperimento, allora tutto si compie con la massima facilità. Quando poi si paragonino le statistiche dei bisogni, compilate secondo le circostanze e le categorie di lavoro nei vari periodi, con la potenzialità tecnica e fisica della società, allora si conosce quanta deve essere in media la durata del lavoro quotidiano.

Se anche il singolo sceglie il terreno ove svolgere la sua attività, il gran numero e la serietà degli impiegati tien conto dei  desideri più differenti. Se da una parte vi è eccedenza e dall’altra mancanza di forze, l’amministrazione provvede a ristabilire l’equilibrio. Compito precipuo dei funzionari deve essere quello di organizzare la produzione e di rendere possibile alle varie forze di trovare impiego nel posto adatto. Quanto più tutte le forze si esercitano a vicenda, le ruote della macchina girano sempre meglio. Ogni industria sceglie i suoi capi che devono assumere la direzione, non già per fare gli aguzzini, come fanno oggi gli ispettori e i capi delle fabbriche, ma per fare da compagni i quali esercitano la funzione amministrativa loro commessa in luogo di quella di produttori. Non è quindi escluso che con un’organizzazione più perfetta e un grado più alto di coltura, queste funzioni vengano alternate in modo, che dopo un certo turno tutti, senza distinzione di sesso, possano assumere per un certo periodo quelle funzioni.

Cotesta organizzazione del lavoro, raccomandata alla completa libertà ed all’eguaglianza democratica, ove uno fa per tutti, e tutti per uno e che risveglia il più alto sentimento di solidarietà, desterà anche negli animi lo spirito di emulazione e nelle menti il genio creativo, quali non si incontrano mai nel sistema economico moderno. Inoltre il singolo e tutti avranno l’interesse reciproco, lavorando tutti per uno e uno per tutti, che il lavoro sia buono e perfetto, e sollecitamente finito, sia per risparmio di tempo, sia per impiegarlo a produrre e a soddisfare bisogni più nobili. Ciò darà occasione a tutti di pensare a migliorare, semplificare ed affrettare il processo del lavoro.

L’ambizione di scoprire e trovare sarà grandemente stimolata, e l’uno si studierà di porgere all’altro progetti ed idee (99).

Avviene dunque tutto l’opposto di ciò che i fautori del sistema borghese vanno affermando del socialismo. Quanti inventori e scopritori la borghesia non ha lasciato andare in rovina? Quanti non ne ha sfruttati per poi metterli da una parte? Se in cima della società borghese dovesse collocarsi il talento e l’ingegno, la maggior parte degli imprenditori dovrebbe cedere il posto ai loro operai, ai direttori di fabbriche, ai tecnici, agli ingegneri, ai chimici ecc.

Sono questi, 99 volte su cento, gli scopritori, gli inventori, i miglioratori, dai quali il capitalista ha tratto profitto. Non si contano, tanto sono innumerevoli, le migliaia di scopritori e inventori che rovinarono perché non trovarono chi fornisse loro i mezzi materiali per attuare le loro scoperte, e nemmeno si contano gli scopritori e inventori oppressi sotto il peso della miseria. Padrona del mondo non è già la gente dalla mente chiara e dall’intelletto acuto, bensì la gente fornita di grandi mezzi materiali, con che non escludiamo che qualche volta possano trovarsi in una sola persona, una mente lucida e una borsa piena. L’eccezione non fa che confermare la regola.

Ogni uomo pratico sa con quanta diffidenza gli operai accolgono oggi qualsiasi miglioramento, qualunque invenzione nuova. E ben a ragione, perché non l’operaio ne trae vantaggio, ma chi lo impiega; egli deve temere che la nuova macchina, il miglioramento introdotto, lo gettino domani sul lastrico come forza inutile e superflua. In luogo di godere di una invenzione che fa onore all’umanità e deve recare un vantaggio, egli non ha sulle labbra che parole di maledizione. E noi sappiamo per esperienza che non viene introdotto qualche miglioramento nel sistema di produzione fatto da un operaio, perché questi teme di raccoglierne non già vantaggio, ma danno. E’ questa la conseguenza naturale del conflitto degli interessi (100).

Questa opposizione d’interesse non c’è più in una società eretta a sistema socialistico, ognuno spiega le sue attitudini per giovare a se stesso, con che egli giova ad un tempo a tutti. Oggi l’egoismo personale e il bene generale sono spesso termini antitetici che si escludono, mentre nella nuova società, tolta codesta antitesi, l’egoismo personale e il bene generale armonizzano e si fondono (101).

Gli effetti di un tale stato intellettuale e morale sono evidenti. Aumenterà grandemente la produttività del lavoro rendendosi possibile con ciò la soddisfazione di più nobili bisogni.

Questa produttività però aumenterà grandemente in particolar modo perché le energie lavoratrici non si suddivideranno nelle centinaia di migliaia e nei milioni di piccole industrie, le quali producendo con strumenti più imperfetti fanno necessariamente un enorme consumo di forze, di tempo e di materiale.

Secondo la statistica delle professioni dell’anno 1882, vi erano nell’impero germanico 3.000.457 industrie, nelle quali erano occupate 6.396.465 persone, esclusi il commercio, il traffico, le locande e il piccolo commercio. Di queste 3.005.457 professioni principali, il 61,1%, era rappresentato da professioni ove erano occupate solo 5 persone, e il 16,8% da professioni che ne impiegavano da 6 a 50. Le prime comprendono le piccole industrie le ultime comprendono la media industria. Non può esservi però alcun dubbio che tutte queste industrie, una volta riunite alle grandi, potrebbero essere esercitate con molto maggiore vantaggio in modo da moltiplicare la loro produzione. Anche le grandi industrie, però, potrebbero essere esercitate ancora più razionalmente di quello che avviene adesso, salvo qualche eccezione, in modo da coprire con una produzione complessiva un bisogno molto maggiore, perfezionando e sviluppando tecnicamente in date circostanze il sistema e le forme di produzione.

Ciò che si possa guadagnare in tempo, mediante una produzione fondata sopra una base più razionale venne calcolato dal prof. Th. Hertzka (d) di Vienna nel suo lavoro: “Le leggi del progresso sociale”. Egli indagò quale dispendio di forze e di tempo è necessario, per soddisfare i bisogni dei 22 milioni della popolazione austriaca sulla scorta della produzione oggi possibile.

A tal’uopo, il prof. Hertzka fece delle ricerche esattissime sulla potenzialità di produzione delle diverse industrie, traendone i suoi calcoli. Vi è compresa la conduzione di 10 milioni e mezzo di ettari di suolo coltivabile, e di 3 milioni di ettari di pascoli, che bastano a fornire la produzione di prodotti agricoli e animali per la popolazione suesposta. Inoltre il prof. Hertzka comprese nel suo calcolo la fabbrica di abitazioni, in modo che ogni famiglia occupi una casetta di 150 metri quadrati con 5 locali, funzionale per la durata di 50 anni. Ne seguì che per l’economia agricola, per la produzione delle farine e dello zucchero, per l’industria del carbone, del ferro e delle macchine, delle vesti e per l’industria chimica, sono necessarie solo 615.000 forze lavoratrici, che potrebbero essere operose per un anno secondo la media ordinaria del lavoro giornaliero. Senonchè queste 615.000 teste non formano che il 12,3% della popolazione austriaca atta al lavoro, se si escludono tutte le donne e tutti gli uomini che non hanno raggiunto i 16 anni e che hanno varcato i 50.

Ma se fossero occupati tutti i 15 milioni di uomini come i 615.000, bisognerebbe che ognuno di essi lavorasse solo 36,9 giorni, cioè 6 settimane in cifra rotonda, per allestire ciò che abbisogna a 22 milioni di abitanti. Se noi prendiamo 300 giorni di lavoro in luogo di 37, ammesso che la giornata di lavoro sia oggi di 11 ore, non sarà necessaria nella nuova organizzazione del lavoro che un’ora e 3/8 di ora di lavoro al giorno, per soddisfare i bisogni più urgenti. L’Hertzka tien conto anche dei bisogni voluttuari delle persone più colte, e trova che per soddisfarli sarebbero necessari altri 315.000 operai su 22 milioni di abitanti. Insomma, avuto riguardo ad alcune industrie insufficientemente rappresentate in Austria, sarebbe necessario, secondo l’Hertzka, un milione di operai e cioè il 20 per cento della popolazione maschile atta al lavoro, esclusa quella che non ha raggiunto i 16 anni o che ha varcati i 50, per coprire in 60 giorni il bisogno complessivo della popolazione.

Quindi se noi teniamo conto di tutta la popolazione maschile atta al lavoro, dobbiamo conchiudere che questa dovrebbe lavorare due ore e mezzo al giorno in media (102).

Nessuno deve sorprendersi di codesto calcolo se egli prende ad esaminare le condizioni sociali. Ora ammettiamo che, esclusi gli ammalati e gli invalidi, anche tutti gli altri uomini che hanno superati i 50 anni possano lavorare per quella durata di tempo, ammettiamo anche che i giovani inferiori ai 16 anni possano in parte essere atti al lavoro, non meno che una grande parte delle donne, quando queste non debbano occuparsi delle faccende domestiche, della educazione dei figli, e di allestire l’alimento ecc., in tal modo, o codesta misura può essere ristretta ancora di più, o i bisogni possono venire notevolmente aumentati. Nessuno del pari vorrà sostenere che non vengano fatti ancora progressi molto importanti e visibili nel perfezionare i processi di lavoro che determinano a loro volta nuovi vantaggi. In ogni caso resta a tutti i membri della società tempo sufficiente per la educazione artistica e scientifica ed anche per il riposo.

Inoltre deve notarsi che il comunismo socialistico si distingue in molti altri punti essenziali dall’individualismo borghese. Il principio dell’ a buon mercato e cattivo che è e deve essere il criterio direttivo per una gran parte della produzione borghese, perché il maggior numero dei clienti non può comperare che merci a buon mercato, questo principio cade. Non si produrrà che l’ottimo, il quale perciò durerà di più e richiederà tanto minor impiego di forze. La mania delle mode che favorisce tanto il consumo e la dissipazione, quanto il cattivo gusto o cesserà del tutto, o almeno verrà limitata notevolmente. Si vestirà probabilmente meglio e più convenientemente di oggi – notiamo di passaggio che le mode di questi ultimi anni si distinguono per la mancanza di gusto – ma non si pretenderà più di introdurre una nuova moda ad ogni stagione, pazzia questa che è strettamente legata alla concorrenza delle donne fra loro, alla vanità, alla passione del lusso e al bisogno di far mostra della propria ricchezza.

Alla fine vi sono molti traffici e molte esistenze che vivono di queste pazzie della moda e sono interessati quindi a favorirle.

Di pari passo alle pazzie della moda nei vestiti vanno quelle dell’architettura. Qui la eccentricità fiorisce e prospera meravigliosamente. Stili che richiesero per il loro sviluppo mezzo secolo almeno, e si formarono presso i popoli più vari – non ci si contenta più degli stili architettonici europei, ma si va a copiare anche quelli del Giappone, delle Indie e della Cina – codesti stili in un decennio e mezzo furono usati e abbandonati. I nostri poveri artisti non sanno più dove cercare modelli e disegni. Non hanno appena formato uno stile, credendo di potersi rifare tranquillamente delle spese, che salta fuori un nuovo stile, il quale domanda nuovi sacrifici di tempo, di danaro e di energie.

La nevrosi del secolo si rispecchia in questa caccia di una moda sull’altra e d’uno stile sull’altro. Nessuno vorrà sostenere che questo stato di orgasmo sia una prova che la società stia bene.

Anche in questo campo il socialismo renderà possibile una maggiore stabilità e con ciò maggior tranquillità e diletto e risparmierà tempo e forze.

Sennonché il lavoro deve farsi sempre più gradito. A ciò provvedono istituti pratici di produzione bene organizzati, la protezione del lavoro mediante la preservazione da ogni pericolo, la eliminazione dei profumi, delle esalazioni sgradevoli, insomma di tutte le influenze moleste e nocive alla salute. Da principio la nuova società produce servendosi degli strumenti tolti alla vecchia. Questi però sono del tutto insufficienti. Locali, strumenti e macchine disadatti ed avariati dal lungo uso non bastano più né a quelli che domandano lavoro, né alle loro esigenze in linea di comodità e di convenienza.

E’ quindi urgentissimo il bisogno di costruire una grande quantità di stabilimenti più spaziosi, più chiari e più ariosi, bene arredati ed abbelliti. L’arte, la tecnica, l’ingegno e la mano troveranno quindi un vasto campo di operosità. Costruzioni delle macchine, fabbricazioni degli strumenti, edilizia, assetto interno dei locali, tutti questi rami dell’attività industriale hanno l’occasione più propizia di esser messi alla prova. Ciò che lo spirito inventivo dell’uomo può creare sia in ordine ad abitazioni comode e piacevoli, sia in ordine alla ventilazione, alla illuminazione, al riscaldamento, sia infine in ordine agli stabilimenti meccanici e tecnici ed alla pulizia, troverà applicazione ed attuazione pratica.

Il risparmio di forze motrici, di riscaldamento, di illuminazione, di tempo, e gli agi della vita e le comodità del lavoro impongono l’accentramento di tutti gli stabilimenti ed opifici in un punto determinato. In tal modo le abitazioni vengono separate dalle officine e dalle sale di lavoro, e liberate dalle moleste incomodità a cui dà luogo la vicinanza degli stabilimenti industriali. Codeste molestie però vengono con opportuni regolamenti e misure d’ogni maniera limitate al minimo e spesso tolte del tutto. E già la tecnica nel suo stato presente ha trovato espedienti per eliminare completamente i pericoli inerenti a determinate arti, come quella dello scavo delle miniere per esempio. I disagi inerenti al lavoro delle miniere possono essere eliminati mercé un altro sistema di scavo, con una potente ventilazione, con l’illuminazione elettrica, con l’abbreviare le ore di lavoro, e con uno scambio frequente di operai e simili. Non occorre un’intelligenza acuta per scoprire misure protettive, tali che rendono, per es., impossibile le disgrazie nella costruzione delle fabbriche, e gradito il lavoro in qualsiasi tempo. Per liberarci dalla  polvere, dal fumo, dalla fuliggine, dal puzzo, la chimica e la tecnica sono già in grado di fornire armi e rimedi adatti, e si otterrebbe anche l’intento se gli imprenditori privati volessero impiegare i mezzi necessari per prendere gli opportuni provvedimenti. Gli stabilimenti di produzione dell’avvenire, siano sopra o siano sotto terra, saranno dunque diversi da quelli di oggi, come il giorno è diverso dalla notte.

Tutti codesti ordinamenti non sono principalmente che una questione di danaro per la economia privata dei tempi nostri e cioè: l’industria può sopportarli? e fruttano? Se non rendono, l’operaio deve andare in rovina. Il capitale non si muove se non c’è guadagno. La umanità non ha corso alla borsa (103).

La questione del profitto ha finito di rappresentare la sua parte nella nuova società socialistica; non dovendosi in questa aver riguardo che al benessere dei suoi membri.

Ciò che giova a questi e li protegge, deve essere introdotto; ciò che nuoce, deve cessare; certamente nessuno deve essere costretto a prestarsi ad un giuoco pericoloso. Se si mettono in azione delle imprese pericolose, vi sono certamente dei volontari in quantità; anzi tanto più, perché non si tratta mai d’imprese che distruggono la cultura, bensì di imprese che la promuovono.

L’enorme impiego di forze motrici, come delle macchine e degli strumenti più perfezionati, la suddivisione del lavoro e l’abile combinazione di tutte le forze lavoratrici, faranno salire la produzione a tale altezza, che le terre di lavoro necessarie per produrre la quantità destinata a soddisfare ai bisogni della vita, potranno ridursi moltissimo. Il capitalista allunga la giornata di lavoro quando può, ed anzi, la fa salire specialmente in epoche di crisi, quando si è vinta la resistenza degli operai, allo scopo di poter vendere il prodotto a più buon mercato, con lo spremere dall’operaio un valore più alto. Nella società socialistica il vantaggio di una produzione maggiore profitta ad ognuno; la sua compartecipazione al prodotto cresce coll’aumento della produttività del lavoro, e si abbrevia la durata del lavoro necessario a fornirlo.

Fra le forze motrici poste in uso, quella della elettricità sarà, secondo ogni apparenza, la forza che occuperà in avvenire il primo posto. Già la società borghese si sforza ovunque di servirsene. Quanto più si estende e perfeziona, tanto meglio. L’azione rivoluzionaria di questa, che è la forza più potente della natura, spezzerà tanto più presto le catene del mondo borghese e aprirà le porte al socialismo. Ma il profitto più completo e l’applicazione più diffusa di questa forza, non sarà possibile che nella nuova società.

Se si attua, anche solo in parte, l’idea che si è già manifestata in ordine all’applicazione di codesta forza, l’elettricità concorrerà come forza motrice, come sorgente di luce e di calore, a migliorare la condizione di esistenza della società umana. La elettricità si differenzia da ogni altra forza motrice, anzi tutto perché non ha bisogno di essere prodotta – ma si trova abbondantemente in natura. Tutti i nostri corsi d’acqua, il flusso, il riflusso del mare, il vento, se bene utilizzati, sviluppano innumerevoli cavalli di forza. Coll’invenzione delle cosidette batterie e degli accumulatori, si è già fatto l’esperimento che si possono incatenare grandi quantità di forze, le quali, come il flusso e riflusso, il vento, i rivi montani non si hanno che periodicamente e per dati luoghi e tempi. Ma tutte queste invenzioni e scoperte non sono che un embrione, di cui si può bensì intuire il completo sviluppo, ma non predirlo.

I progressi che si è immaginato di fare mediante l’elettricità hanno qualche volta del favoloso. Così un tal signor Meems progetta una ferrovia elettrica, che gareggia col vento, percorrendo 700 chilometri all’ora. Ma non è solo il signor Meems a pensare così, perché anche il professore Elihu Thomson di Lynn (nel Massachusetts) (e) crede e dimostra possibile di costruire dei motori elettrici che possono percorrere 260 chilometri l’ora, una volta che si rinforzino le strade ferrate e si migliori il servizio di segnalazione. Ma vi è di più. Lo stesso professore ritiene, d’accordo su questo punto col Werner-Siemens (f), il quale espresse lo stesso concetto nel Congresso dei naturalisti, tenutosi a Berlino nel 1887, che mediante l’elettricità, sia possibile di trasformare la materia prima in alimento.

Sarebbe questa una rivoluzione incompatibile colla società borghese. Mentre una volta il Werner-Siemens riteneva possibile di fabbricare artificialmente, sebbene di qui a molto tempo, un idrato di carbone, come forse lo zucchero e più tardi l’amido, suo stretto parente, con che sarebbe possibile di “fare il pane colla pietra”, il chimico dott. V. Meyer (g) sostiene che sarà possibile di convertire le fibre legnose in una fonte di nutrimento. E’ evidente pertanto che si va incontro a sempre nuove rivoluzioni chimiche e tecniche. Intanto il fisiologo E. Eiseler ha fabbricato artificialmente lo zucchero, facendo quindi una scoperta che il Werner-Siemens, appena 4 anni fa, non riteneva possibile che “in un tempo lontano”.

Noi vediamo quindi aprirsi davanti all’avvenire nuovi orizzonti di una produzione straordinariamente copiosa, più buona e più varia, e d’una esistenza più agiata e più comoda.

Un bisogno che è profondamente radicato nella natura umana, è quello della libertà di scelta e di mutamento di occupazione. Allo stesso modo che un cibo anche squisito finisce per dare nausea se lo si mangia sempre, senza alternarlo con altri cibi, così avviene anche di una determinata attività, quando si ripete ogni giorno con la immutabilità di una macchina; quell’attività si infiacchisce e si snerva.

L’uomo fa meccanicamente ciò che deve fare, senza alte aspirazioni e senza compiacenze. In ogni uomo però dormono attitudini e impulsi, che hanno bisogno soltanto di essere destati e sviluppati per creare le opere più meravigliose e per rendere l’uomo veramente e completamente uomo.

Ora, per soddisfare a questo bisogno, di alternare una occupazione all’altra, la società, retta a sistema socialistico, porge l’occasione più propizia. L’aumento straordinario delle forze produttive, unito ad una semplificazione sempre maggiore dei processi di lavoro, rende possibile una notevole limitazione nella durata del lavoro, e facilita anche lo impratichirsi e l’addestrarsi nei vari maneggi.

Oggi il vecchio sistema ha oramai fatto il suo tempo, esiste ed è possibile ancora solamente in quelle forme di produzione antiquate, che sono rappresentate dalla piccola industria; ma, con lo sparire di questa nella società nuova, spariranno anche tutte le istituzioni e le forme che le sono proprie, per cedere il posto alle nuove.

Ogni fabbrica ci mostra già quanti pochi operai essa abbia, i quali seguano ancora la inclinazione sviluppatasi nell’esercizio del mestiere. Gli operai hanno attitudini più diverse e più eterogenee; poco tempo basta per esercitarli in qualche ramo di lavoro, in cui essi sono obbligati, dal sistema di sfruttamento oggi dominante, a servire per un tempo eccessivamente lungo, senza alcuna varietà e senza alcun riguardo alle loro inclinazioni, e dove finiscono per diventare altrettante macchine (104).

Questa condizione di cose sparisce sotto la nuova organizzazione sociale. Rimane tempo ad esuberanza per attendere ad altri mestieri e ad altre occupazioni artistiche. Si fondano grandi scuole, provviste d’ogni conforto e ordinate, dal punto di vista tecnico, in modo perfetto, ove giovani e vecchi possono apprendere agevolmente qualsiasi arte o mestiere, ed esservi ammessi senza alcuna fatica. Vi sono laboratori di chimica e di fisica, rispondenti in tutto allo stato di queste scienze, e non mancano insegnanti e maestri in abbondanza.

Resta ora da vedere quante attitudini e inclinazioni sono state soffocate o almeno sviate e deformate dal sistema di produzione capitalistico (105).

Quindi, non solo vi è possibilità di tener conto del bisogno di alternare le occupazioni, ma è anzi scopo della società di soddisfare questo bisogno nell’interesse di tutti, poichè è da ciò che dipende l’armonico perfezionamento dell’uomo. Non ci saranno più quelle fisionomie che caratterizzano e contrassegnano la professione, quali si incontrano nella nostra società, consista questa “professione” nella ripetizione uniforme di certi atti o nella crapula e nella poltroneria, o nell’ozio forzato. Sono pochissimi oggi coloro i quali hanno la possibilità di alternare le loro occupazioni, o che le cambiano. Troviamo qua e là della gente favorita da speciali circostanze, che si sottraggono alla uniformità delle occupazioni quotidiane, e che, dopo aver pagato il suo tributo al lavoro fisico, si rifanno col lavoro intellettuale. Troviamo invece della gente che lavora con la mente, la quale si occupa di esercizi fisici, di qualche mestiere, del giardinaggio, ecc. L’azione benefica di un’operosità che si fonde sull’alternativa del lavoro fisico col lavoro mentale, è confermata da tutti gli igienisti, ed è essa sola conforme a natura; soltanto si presuppone che codesta alternativa si eserciti misuratamente e sia in relazione colle forze individuali.

Ora la società futura avrà dotti ed artisti d’ogni genere e in quantità innumerevole, i quali dedicheranno una parte del giorno al lavoro fisico, e la rimanente consacreranno, a seconda dei gusti, allo studio e all’arte (106).

Cesserà quindi l’antitesi fra il lavoro mentale e il lavoro manuale, antitesi che le classi dominanti hanno fatto apparire più profonda, per far credere che il lavoro mentale, che esse devono a preferenza fornire, è privilegio loro.

Da quanto abbiamo esposto fin qua ne segue anche che nella società nuova saranno impossibili le crisi e la mancanza di lavoro. Vedemmo che le crisi sono l’effetto della circostanza che la produzione individualistica e capitalistica, allettate dall’interesse personale, e regolandosi, pigliando norme da questo, senza poter tutto abbracciare, getta sul mercato troppe merci, determinando una pletora di produzione.

La natura dei prodotti nella produzione capitalistica, considerati come merci che i loro possessori tendono a scambiarsi fra loro, fa dipendere il loro consumo dalla capacità d’acquistare del consumatore. Questa capacità però è assai limitata per la grande maggioranza della popolazione, la quale viene pagata per il suo lavoro con un prezzo inferiore al merito, e non trova occupazione ed impiego, se chi la impiega non può ritrarre da essa un vantaggio.

Perciò capacità d’acquistare e capacità di consumare sono due cose assai differenti nella società borghese. Molti milioni di persone hanno bisogno di nuovi abiti, di scarpe, di mobili, di biancheria, di cibi e di bevande, ma non hanno danari, e così restano insoddisfatti i loro bisogni, vale a dire la loro capacità di consumo. Il mercato è riboccante di merci, ma la massa del popolo è affamata; essa vuol lavorare, ma non trova alcuno che paghi il suo lavoro, perchè chi ha danaro è d’avviso che non ci sia niente da “guadagnare”. Muori, canaglia, rovinati, diventa vagabondo, delinquente; io, uomo danaroso, non vi posso far nulla perchè io non posso aver bisogno di merci, delle quali non trovo un compratore. E costui ha perfettamente ragione a suo modo.

Nella società nuova anche questa contraddizione viene tolta, perchè questa società produce non già “merci” da “comperare” e da “vendere”, bensì produce le merci necessarie a soddisfare i bisogni della vita, le quali devono essere consumate, senza di che esse non hanno alcuno scopo.

La capacità di consumo adunque non trova già, come nella società borghese, il suo limite nella capacità di acquisto dei singoli, ma soltanto nella capacità produttiva della collettività.

Essendovi mezzi e tempo, ogni bisogno può essere soddisfatto, e la capacità collettiva di consumo non trova alcun altro limite che nell’essere satolla. Ma, siccome nella nuova società non vi sono “merci”, così non vi è neppure “denaro”. Il danaro è tutto l’opposto della merce, e tuttavia è merce a sua volta! E’ la forma sociale di equivalenza per tutte le altre merci.

Ma la società nuova non produce merci, bensì soltanto oggetti necessari, valori d’uso, la cui creazione richiede una certa misura di lavoro sociale. La durata del lavoro, che è in media necessaria per fabbricare un oggetto, è la sola misura alla quale bisogna misurarlo per l’uso sociale. Dieci minuti di un lavoro sociale in un oggetto, equivalgono dieci minuti di lavoro sociale in un altro oggetto, nè più nè meno. Poiché la società non vuole “guadagnare”, ma vuole soltanto effettuare la permuta di oggetti della stessa qualità e dello stesso valore d’uso, fra i suoi membri, e, finalmente, poichè essa non ha punto bisogno di fissare un valore di consumo, la società non fa che produrre ciò di cui abbisogna. Se, per esempio, la società trova che per avere tutti i prodotti necessari bisogna lavorare tre ore al giorno, essa fissa a tre ore la durata del lavoro (107).

Se la società cresce e i metodi di produzione migliorano in modo che si possa coprire il bisogno in due ore, allora la società limita la durata del lavoro sociale a due ore. Se invece la collettività esige la soddisfazione di bisogni più elevati di quelli che può coprire, malgrado l’aumento del numero degli operai e la più alta produttività dei processi di lavoro, allora fissa codesta durata in 4 ore. Il suo paradiso è il voler suo.

E’ facile calcolare la durata del lavoro sociale necessario per creare ogni singolo prodotto (108).

Si mette in ragguaglio questa parziale durata del lavoro con la durata intera. Qualche certificato, un pezzo di carta stampata, oro o latta, attesta la prestazione del lavoro, e pone il possessore in condizione di barattare cotesti segni con oggetti necessari di ogni specie (109). Se egli trova che i suoi bisogni sono inferiori a ciò che egli riceve per la sua prestazione, allora egli lavora proporzionalmente meno. Vuole regalare ciò che non ha consumato? Padronissimo; e padronissimo anche di lavorare spontaneamente per un altro, per fargli godere il “dolce far niente”, e di dividere con lui il diritto ai prodotti sociali, se è così minchione. Nessuno però può costringerlo a lavorare a vantaggio di un altro; nessuno può trattenersi una parte dei diritti che gli spettano per il suo lavoro. Se la confezione di un vestito fino costa 20 ore di lavoro sociale, ma egli non ne vuol impiegare che 18, può averne uno per tanto. Ognuno può dunque tener conto di tutti i desideri e di tutte le esigenze da soddisfare, ma non a spese degli altri. Egli riceve quanto dà come membro sano della società, nè più, nè meno, ed è sottratto allo sfruttamento di un terzo.

“Ma, dov’è la differenza?” sentiamo chiederci: fra gli operosi e gli infingardi? fra gli intelligenti e gli imbecilli? Differenza non c’è, perchè non esiste più ciò che noi intendiamo sotto questo concetto. Del premio conferito all’operosità e delle pene inflitte alla pigrizia avviene nella società borghese ciò che della posizione occupata dalla intelligenza nella scala sociale. La società chiama “poltroni” coloro soltanto che sono costretti a vagabondare perchè licenziati dal lavoro, e che diventano poi veri vagabondi, ovvero coloro i quali, cresciuti sotto pessimi educatori, diventano corrotti. Ma sarebbe offesa chiamare “infingardo” l’uomo danaroso, il quale ammazza il tempo facendo niente o gozzovigliando; perchè costui è un uomo “onorato”.

Abbiamo già detto però quale posizione sociale si sia fatta oggi alla intelligenza. Ora come stanno le cose nella società nuova? Siccome tutti lavorano sotto le stesse condizioni di esistenza, e ciascuno attende alle occupazioni che rispondono alle sue attitudini naturali, anche le differenze fra prestazione e prestazione saranno poco rilevanti (110). Anche l’atmosfera intellettuale e morale della società, che stimola ognuno a sorpassare l’altro, concorrerà ad uguagliare le differenze. Se uno sente di non poter fare in un dato campo ciò che fanno gli altri, allora egli sceglie un altro terreno più adatto alle sue forze e alle sue capacità.

Chi ha lavorato insieme con molti nelle grandi industrie, avrà scoperto che, individui assolutamente incapaci e inetti a un determinato lavoro, occupati in un altro, sapevano eseguirlo in modo perfetto ed esemplare. Non vi è uomo normalmente organizzato il quale non possieda questa o quell’attitudine ed anche parecchie per le quali può rispondere alle maggiori esigenze, una volta collocato nel suo vero posto.

Con quale diritto uno può domandare di essere preferito all’altro? Se taluno ha matrigna la natura, perchè non può anche malgrado tutta la buona volontà fare quello che altri può, la società non può punirlo per le colpe della natura. Se al contrario alcuno ebbe da natura attitudini tali che lo fanno eccellere sugli altri, la società non ha il dovere di premiare ciò che non è suo merito personale. Se non che nella società socialistica, bisogna considerare altresì che tutti hanno eguali condizioni di vita e di educazione, che è reso possibile ad ognuno di acquistare quelle nozioni scientifiche che rispondono alle sue naturali disposizioni ed in tal modo si scorgerà che non solo la cultura e la capacità dei membri di una società socialistica supera di molto quella di una società borghese, ma che è anche più uniforme e nel tempo stesso più varia.

Quando Göthe nel suo viaggio sul Reno studiò la Cattedrale di Colonia, scoprì fra gli atti relativi alla costruzione del tempio che gli antichi architetti pagavano gli operai soltanto in proporzione del tempo, volendo ottenere un lavoro eccellente e coscenziosamente eseguito. L’attuale società borghese vede in ciò una anomalia. Essa ha introdotto il sistema del salario a cottimo, per il quale gli operai sono costretti a un lavoro eccessivo affinchè l’imprenditore possa regolare poi tanto meglio l’abbassamento dei salari. Ma tuttavia la esperienza insegna che cinque operai qualunque della più diversa qualità dànno in media il prodotto di cinque operai mediocri.

Come il lavoro materiale, così è ordinato anche il lavoro intellettuale. Ogni uomo è il prodotto del tempo e delle circostanze in cui egli vive. Un Göthe – per restare nell’esempio sopra riferito – se fosse nato sotto le stesse condizioni favorevoli di sviluppo nel quarto secolo invece che nel decimo ottavo sarebbe  diventato invece di un celebre poeta e naturalista, un gran padre della Chiesa rispetto al quale forse sant’Agostino sarebbe rimasto nell’ombra.

Se Göthe nel XVIII secolo fosse nato non già da un ricco patrizio di Francoforte, ma da un povero calzolaio non sarebbe diventato ministro del Granduca di Weimar, ma sarebbe rimasto molto probabilmente calzolaio, e onesto calzolaio sarebbe morto. Se Napoleone I fosse nato dieci anni dopo, non sarebbe mai diventato imperatore di Francia. Senza la guerra del 1870-1871 Gambetta non diventava quello che è diventato. Ponete un figlio di genitori intelligenti fra i selvaggi e vi diventerà un selvaggio per quanto intelligente. Perciò quello che uno è, è tale quale la società l’ha fatto. Le idee non sono un prodotto del nulla, o di una ispirazione dall’alto, ma un prodotto della vita sociale e cioè dello spirito dei tempi. Un Aristotele non poteva avere le idee d’un Darwin, e un Darwin doveva pensare diversamente da un Aristotele. Ognuno pensa secondo lo spirito del tempo, cioè secondo l’ambiente che lo circonda. Di qui il fenomeno che uomini spesso tanto diversi hanno contemporaneamente le stesse idee perchè vengono fatte contemporaneamente in luoghi molto lontani gli uni dagli altri le stesse invenzioni e le stesse scoperte, e di qui ancora il fenomeno che un’idea espressa cinquant’anni fa, la quale passò inosservata, ripetuta in forma conveniente cinquant’anni più tardi commuove tutto il mondo. L’imperatore Sigismondo poteva arrischiare nel 1415 di violare la promessa fatta a Husse e di farlo bruciare a Costanza. Carlo V, sebbene fosse un fanatico molto più grande, doveva lasciar andare tranquillamente Lutero dal Reichstag a Worms. Le idee quindi sono il prodotto della vita sociale. Senza la società moderna non esisterebbero idee moderne. Ciò a noi sembra chiaro ed evidente. Si aggiunga che nella società nuova i mezzi necessari per l’educazione di ognuno sono proprietà sociale, e quindi non può essere obbligata a tributare onori speciali a ciò che ha fatto essa stessa e che è prodotto suo proprio.

Questo relativamente alla qualità diversa del lavoro fisico e mentale.

Ne segue altresì che non vi può essere nemmeno differenza fra lavoro fisico “più elevato” e lavoro fisico “più basso”, mentre oggi un meccanico, per es., crede di valere di più di un salariato che compie lavori stradali e simili. Siccome la società non fa eseguire che lavori socialmente utili, così ogni lavoro che ha tale qualità, ha per la società eguale valore.

Se lavori sgradevoli e molesti non potendo eseguirsi per mezzo della meccanica o della chimica, vengono trasformati mediante qualche processo in lavori graditi – del che non può dubitarsi, se si tien conto dei progressi fatti dalla meccanica e dalla chimica – e non si potessero trovare le forze necessarie, allora ognuno ha il dovere di prestare per turno l’opera sua.

Non ci si può vergognare di un lavoro utile, nè vi può essere alcuno che ne raccolga disprezzo o disistima. Ciò è possibile soltanto nelle nostre condizioni ove il far nulla è considerato come sorte invidiabile, e l’operaio è tanto più disprezzato quanto più duri, faticosi e sgradevoli sono i lavori suoi e quanto più sono necessari per la società. Si può ammettere che oggi il lavoro sia pagato tanto peggio quanto è più molesto. E le ragioni son queste, che per effetto della costante rivoluzione dei processi produttivi, un numero esuberante di forze, quali esercito di riserva, giacciono sul lastrico, e che si adattano a darsi per denaro a lavori più umili, ed, infine, che per questi lavori anche l’introduzione di macchine per la borghesia “non è suscettibile di rendita”. – Così, per es., lo scavo delle pietre è notoriamente uno dei lavori peggio rimunerati e più molesti. Ora sarebbe cosa da nulla, se si facesse compiere il lavoro dalle macchine, come avviene negli Stati Uniti, ma noi abbiamo una quantità così stragrande di forze a buon mercato, che la macchina non “dà rendita” (111). Pulizia stradale, espurgo di cloache, trasporto di calcinacci, scavi d’ogni genere si compiono anche nello stato presente del nostro sviluppo coll’aiuto di macchine e di congegni meccanici in modo che non conservano più alcuna traccia dei disagi e delle molestie che oggi cagionano spesso agli operai. Osservando bene, un operaio che vuota le cloache per proteggere l’umanità da miasmi nocivi alla salute, è un membro utilissimo della società, mentre un professore che falsa la storia nell’interesse delle classi dominanti, ovvero un teologo il quale cerca di offuscare le menti con dottrine trascendentali sono individui dannosissimi. La letteratura e la dottrina che oggi ha impieghi e dignità rappresentano in gran parte una Gilda, destinata e pagata a difendere e legittimare l’autorità delle classi dirigenti per mezzo dell’autorità della scienza, e ad alimentare i pregiudizi esistenti. Infatti questa dottrina non è altro che una scienza ausiliaria, un veleno delle menti, un nemico delle civiltà, stipendiato perchè faccia l’interesse della borghesia e dei suoi clienti (112). Uno stato sociale che renda impossibile la più lunga esistenza di una Gilda così privilegiata, farà opera redentrice.

D’altra parte la scienza pura è spesso congiunta ad un lavoro grave e molesto, come per esempio un medico che fa la sezione di un cadavere che si trova in uno stato di putrefazione, ovvero quando opera una parte purulenta del corpo; ovvero quando un chimico fa l’analisi degli escrementi. Questi sono lavori spesso non meno ripugnanti di quelli compiuti dai salariati e dagli operai indotti, ma nessuno pensa a riconoscerlo. La differenza stà in ciò, che un lavoro richiede un lungo studio per essere fornito, mentre l’altro può essere fornito da chiunque senza bisogno di studi profondi: di qui la grande differenza nell’apprezzamento. Ma in una società in cui le differenze oggi esistenti fra “educato e non educato” spariranno perchè tutti potranno raggiungere il più alto grado di istruzione, dovrà sparire anche l’antitesi fra il lavoro del dotto e dell’ingnorante e tanto più se si pensi che lo sviluppo della meccanica non conosce confini, per cui non possa il lavoro manuale essere compiuto anche dalle macchine o da processi tecnici. Si osservi lo sviluppo delle nostre industrie artistiche, quali la xilografia, l’incisione in rame ecc. Quindi, siccome i lavori più umilianti sono spesso i più utili, anche il nostro concetto sul lavoro gradevole o sgradevole come pure tanti altri concetti della società moderna, è falso e superficiale, e basato solo sulle apparenze.

 (continua)

 


 

(a) Dal latino: la salvezza della repubblica deve essere la legge suprema.

(b) Membri della dinastia di Napoleone, a partire da Napoleone I. La data del 18 gennaio (1800) probabilmente riguarda la fondazione della banque de France in grado di emettere banconote, e la data del 2 dicembre è riferita al colpo di Stato del 1851di Luigi Bonaparte col quale si chiuse la breve vita della seconda Repubblica e si crearono le premesse per l’instaurazione del Secondo Impero.

(c) Si tratta di Johann Karl Rodbertus, economista riformista tedesco (1805-1875), nazionalista e monarchico, tra le cui opere più note vi sono per l’appunto le “Lettere sociali a von Kirchmann” del 1850-1851.

(d) Si tratta di Rheodor Hertzka, economista, scrittore e giornalista austro-ungarico (1845-1924); tra i suoi lavori più noti: Die Gesetze der sozialen Entwickelung (Les lois de l’évolution sociale), Leipzig del 1886, citato da Bebel e Freiland. Ein sociales Zukunftsbild (Terre-Libre. Une image sociale de l’avenir) del 1890, che illustra una specie di utopia liberale.

(e) ElihuThomson (1853-1937), inventore americano di origine inglese; tra le sue invenzioni il sistema di illuminazione ad areco, la dinamo a 3 bobine, lo sacricatore magnetico per i fulmini, il trasformatore di potenza. Fu tra i fondatori di diverse società elettriche negli Usa, nel Regno Unito e in Francia.

(f) Ernt Werner von Siemes (1816-1892), imprenditore eingegnere tedesco, fondatore con i fratelli della casa elettrotecnica Siemens. Inventò un metodo per la galvanoplastica, sviluppò una dinamo con sistema di autoeccitazione che diventò un nuovo metodo per produree energia elettrica; la sua industria Telegraphenbauaustalt Siemens & Halske, produttrice di materiale telegrafico, costruì la linea telegrafica tra l’Europa e l’India (1868-1870) e ideò la prima linea telegrafica sotterranea (difficile da sabotare in caso digeurra) e la prima linea elettrica tyramviaria a Berlino (1881). Imprenditore riformista di avanguardia: dirigenti e dipendenti, da metà degli anni ‘50 dell’Ottocento ebbero contratti con premi di produzione; dagli anni ‘60 introdusse un sistema premiativo basato sulle innovazioni ds parte dei dipendenti, cosa che facilitò la “fedelta” dei dipendenti all’aziendfa; nel 1872 creò un fondo di garanzia pensionistica e di salute dell’azienda; nel 1873 concesse l’orario giornaliero di lavoro di 9 ore.

(g) Viktor Meyer, chimico tedesco (1848-1897), uno dei maggiori chimici del suo tempo, si occupò a fondo di chimica sia organica che inorganica. Effettuò la sintesi di acidi carbossilici, sintetizzò i nitroalcani R-NO2, identificò il tiofene come un contaminante del benzene, ma è noto, soprattutto, per aver inventato nel 1878 un apparecchio per determinare il peso molecolare di un liquido volatile o la densità del vapore.

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(99) La forza dell’emulazione che è stimolo così efficace da far incontrare a chi la subisce ogni tipo di fatiche per riscuotere la lode e la ammirazione degli altri, è, per esperienza, utile ovunque gli uomini gareggino nel pubblico arringo [riunioni pubbliche, NdR], ed anche quando si tratta di cose frivole dalle quali il pubblico non trae alcun profitto. La emulazione però, quando si possa fare per il bene generale, è una specie di concorrenza che i socialisti non respingono. Stuart Mill: Economia politica.

Noi vogliamo qui ricordare la grande scoperta del dottor Koch [si tratta degli agenti patogeni di malattie infettive mortali come l’antrace, la tubercolosi ecc., NdR]. Chi volesse sostenere che il dott. Koch sia assiduamente applicato agli studi per guadagnar denari coi risultati ottenuti, lancerebbe una accusa ingiusta. Si può asserire senza esagerazione che le opere più grandi, utili al bene generale, non furono compiute per mira d’interesse, bensì per rendere un servizio alla società e per soddisfazione personale. Anche questo è egoismo, ma di buona lega e da tenersi in pregio, al quale chiunque rende di buon grado tributo di riconoscenza. Lo scopo del nostro progresso è questo, che ognuno possa essere utile a sè e alla società operando il meglio, perchè la società ha il dovere di soddisfare ai bisogni di ciascuno. Essa non negherà onore a chi se lo merita, e questi vi troverà il premio più ambito. Nota di A. Bebel.

(100) Lo dice anche il de Thünen nel suo: Lo stato isolato: «La ragione per la quale proletari ed abbienti stanno uno di fronte all’altro in atteggiamento nemico e vi rimarranno irremovibilmente, sta tutto nella opposizione di interessi, collo sparire della quale soltanto, si potrà segnare la pace. Non solo il benessere del suo padrone può aumentare, ma possono aumentare anche di tempo in tempo le entrate nazionali per effetto delle scoperte industriali, della apertura di nuove strade e linee ferroviarie, e mediante lo stringimento di nuove relazioni commerciali.

Ma nel nostro ordinamento sociale la posizione dell’operaio rimane sempre la stessa, andando tutto l’aumento delle entrate a beneficio esclusivo dei capitalisti e dei proprietari».

Quest’ultima proposizione non collima forse quasi letteralmente colla sentenza pronunciata da Gladston nel Parlamento inglese, ove nel 1864 dichiarò: «che il pazzo aumento delle entrate e di potenza raggiunto dall’Inghilterra negli ultimi 20 anni, si è limitato esclusivamente alla classe abbiente». A pag. 207 del citato lavoro del de Thünen si legge: «Il male sta nel separare l’operaio dal suo prodotto».

E Platone nel suo «Stato»: «Uno stato diviso in classi non è uno, ma due, uno è rappresentato dai poveri, l’altro dai ricchi entrambi i quali, quantunque si tendano continue insidie, convivono insieme.

La classe dominante non è in caso di dichiarare la guerra, dovendo allora servirsi della folla della quale, se armata, cotesta classe teme più assai che dei nemici».

Il Morelly nei suoi: Principi di legislazione, scrive: «La proprietà ci divide in due classi e cioè in ricchi e poveri. Quelli amano il loro patrimonio e non vogliono difendere lo Stato, questi non possono amare la patria perchè la patria non dà a loro che miseria. Ognuno però ama la sua patria nel comunismo, perchè ognuno ne ritrae vita e felicità». Nota di A. Bebel.

(101) Stuart Mill nel misurare i danni e i vantaggi del comunismo nella sua economia politica scrive: «Nessun terreno può essere più favorevole allo svolgimento di un tale concetto (che cioè l’interesse del pubblico sia anche l’interesse del privato), quanto è la società comunistica. Ogni emulazione, come ogni attitudine fisica ed intellettuale che ora si affaticano a correr dietro ad interessi particolari ed egoistici, domanderebbero un’altra sfera d’azione e la troverebbero negli sforzi per la prosperità generale. Nota di A. Bebel.

(102) Che ne dice il signor Eugenio Richter di questo calcolo di un economista nazionale? Nelle sue: Dottrine erronee, egli mette in canzonatura la enorme abbreviatura di lavoro esposta in questo mio scritto, determinata dal dovere generale di lavorare e dalla più alta organizzazione tecnica dei sistemi di lavoro. Egli cerca di abbassare la potenzialità produttiva della grande industria e di gonfiare la importanza delle piccole industrie per poter affermare che non si può effettuare la asserita maggior produzione. Per far quindi credere impossibile il socialismo, cotesti difensori dell’attuale ordine di cose devono discreditare i pregi della loro stessa società. Nota di A. Bebel.

(103) «Il capitale, dice il «Quarterly Reviever» fugge il tumulto e la lotta, ed è di carattere timido. Ciò è verissimo, ma non è tutta la verità. Il capitale ha in orrore la mancanza di guadagno, o i guadagni tenui, come la natura ha paura del vuoto. Quando c’è un guadagno conveniente, il capitale diventa animoso. Col 10 per cento sicuro, si può impiegarlo da per tutto, col 20 per cento il capitale si fa vivo, col 100 per cento esso calpesta tutte le leggi umane, per il 300 per 100 non v’è delitto che non rischi, anche con pericolo della galera. Se i tumulti e le lotte recano profitto, il capitale non manca di incoraggiarli». Carlo Marx: Il Capitale, II edizione, nota a pagina, 250. Nota di A. Bebel.

(104) «La gran massa degli operai hanno così poca libertà di scegliersi la professione e la dimora così in Inghilterra come in tutti gli altri paesi, ed è in pratica così ostacolata da leggi ferree e dal malvolere, come non può concepirsi sotto alcun altro sistema, tranne quello della Schiavitù». John Stuart Mill. Nota di A. Bebel.

(105) Un operaio francese, reduce da S. Francisco, scrive: «Io non avrei creduto di essere capace di esercitare tutti i mestieri che ho esercitato in California. Io ero fermamente persuaso di non saper far altro che lo stampatore. Una volta entrato in questo mondo di avventurieri, che mutano mestiere come cambiano la camicia, ho fatto, in fede mia, come gli altri. Il lavoro della miniera non essendo abbastanza rimuneratore, lo abbandonai e venni in città, dopo fui tipografo, conciatetti, fonditore di piombo, ecc. Dopo questa esperienza, d’essere buono a tutto, mi sento meno mollusco e più uomo». Carlo Marx: Il Capitale. Nota di A. Bebel.

(106) Di ciò che si può fare degli uomini quando il loro sviluppo è favorito dalle circostanze, è una prova Leonardo da Vinci, che era pittore distinto, celebre scultore, architetto e ingegnere, eccellente maestro di architettura militare, musicista e improvisatore. Anche Benvenuto Cellini era orafo celeberrimo, distinto modellatore, buon scultore, maestro di architettura militare, bravo soldato e musicista valente. Abramo Lincoln era falegname, agricoltore, mastro di vascello, garzone di bottega e avvocato, e salì fino al seggio presidenziale degli Stati Uniti. Si può dire, senza esagerazione, che la maggior parte degli uomini hanno un impiego non corrispondente alle loro attitudini, perchè, non la libera volontà, ma la forza delle circostanze aperse loro la via.

Più di qualche professore diventerebbe un valente calzolaio, e più di qualche valente calzolaio diventerebbe anche un valente professore. Nota di A. Bebel.

(107) Si ponga mente che si suppone che tutta la produzione sia organizzata e regolata in modo tecnicamente perfetto, e che tutti lavorino. Con tale presupposto, una giornata di lavoro di tre ore si presenta troppo lunga piuttosto che troppo corta. Owen calcolava che bastassero due ore di lavoro per l’epoca sua – primo quarto di questo secolo. Nota di A. Bebel.

(108) «La quantità di lavoro sociale celato in un prodotto si può determinare senza bisogno di andare per le lunghe, perchè l’esperinza quotidiana ce lo insegna. La società può calcolare quante ore di lavoro si contengano in una macchina a vapore, in un ettolitro di grano dell’ultimo raccolto, in 100 metri quadrati di panno. Non può quindi venirle in mente di esprimere la quantità di lavoro contenuto nei prodotti (quantità a lei nota in via diretta ed assoluta) in una misura soltanto relativa, incerta, insufficiente, che era necessaria, prima, come ripiego, in un terzo prodotto, non può venirle in mente, ripetesi, di esprimerlo a questo modo anzichè nella sua misura adeguata, naturale, assoluta, quella del tempo... Essa avrà da regolare il piano di produzione secondo i mezzi e gli stromenti della produzione stessa, fra i quali si contano specialmente gli operai. Gli effetti utili dei vari oggetti di consumo bilanciati fra loro e di fronte alla quantità di lavoro necessaria a produrli, determineranno alla fine il piano. La gente fa gli affari suoi da sè senza l’intervento del celebrato valore». Fr. Engels, Eugenio Dühring – Rivoluzione della scienza. Nota di A. Bebel.

(109) Il sig. Eugenio Richter è così sorpreso dello sparire del denaro – non si abolisce, ma sparisce da sè come superfluo, una volta che ai prodotti del lavoro si tolga il carattere di merci – è, ripetesi così sorpreso ci ciò, che vi consacra un capitolo speciale nel suo libro sulle False Dottrine. Io non voglio convincerlo, che è indifferente che il documento del lavoro previsto sia un pezzo di carta stampata, oro o latta. Egli scrive: Ma con l’oro rientrerebbe nello stato socialista democratico anche il demone del presente ordine sociale – siccome il signor Richter si ostina a non vedere non esservi, alla fine, che una società socialistica e non un “Stato” socialista-democratico, gran parte della sua polemica perderebbe qualsiasi base – perchè l’oro ha un valore metallico indipendente, che può essere facilmente conservato e che renderebbe possibile il possesso di monete d’oro, per accumulare valori, per sottrarsi all’obbligo del lavoro ed anche per prestare denari ad interesse.

Il signor Richter deve contare sulla imbecillità dei suoi lettori, se egli antepone al nostro oro la latta. Il sig. Richter, il quale non può liberarsi dall’idea capitalistica, non può nemmeno comprendere che, non ci può essere «denaro» là dove non c’è capitale, e che non ci può essere «interesse» dove manca il capitale e il denaro. Il signor Richter è così infatuato dell’idea del capitale, che non sa nemmeno concepire un mondo «senza capitale». – Noi vogliamo sapere come il membro di una società socialistica può «conservare» il suo certificato di lavoro, ovvero cederlo ad altri e trarne un «interesse» ove anche gli altri tutti possedono ciò che uno offre e di cui vive. Nota di A. Bebel.

(110) «Tutti gli uomini bene organizzati nascono con una intelligenza quasi eguale, ma l’educazione, le leggi e le circostanze li rendono differenti fra loro. Il ben inteso interesse individuale si fonde coll’interesse collettivo o pubblico». Helvetius, L’uomo e la sua educazione. Nota di A. Bebel.

(111) «Se si dovesse scegliere fra il comunismo e tutte le sue gradazioni, e le condizioni presenti della società con tutti i suoi dolori e le sue ingiustizie, se l’istituto della proprietà privata recasse come conseguenza necessaria, che il prodotto del prodotto si giudica, come vediamo ora, quasi in ragione inversa del lavoro – che la parte maggiore spetti a coloro che non hanno lavorato, e una parte quasi eguale a coloro che hanno lavorato soltanto di nome, e così via, mentre il compenso si restringe nella stessa proporzione, in cui il lavoro è più faticoso e più molesto, fino al punto che il lavoro che più stanca ed esaurisce non può contare con certezza di guadagnare tanto che basti a soddisfare i bisogni della vita; se, diciamo noi, si ponga l’alternativa: questo o il comunismo, scegliete; tutte le difficoltà del comunismo, così le grandi come le piccole, non sarebbero che come una piuma sulla bilancia. John Stuart Mill: Economia politica. Il Mill si è adoperato lealmente a «riformare» la società borghese e a ridurla alla «ragione». Ma indarno, s’intende.

E perciò egli ha finito per diventare socialista, come ogni uomo d’ingegno il quale conosca lo stato delle cose. Egli non ha osato però di riconoscerlo durante la vita, ma permise che fosse pubblicato, lui morto, la sua autobiografia, che contiene la sua professione di fede socialistica. Avvenne di lui quello che di Darwin, il quale non volle essere riconosciuto come ateo, in vita. E’ la commedia che la società borghese fa recitare a molti.

La borghesia fa le viste di affettare legalità, religione e fede nell’autorità, perchè è su ciò che riposa una parte del suo potere, ma in fondo essa ride di queste virtù. La borghesia è la più ipocrita di tutte le società che siano mai esistite. Nota di A. Bebel.

(112) La scienza rende servizi così alla ignoranza come al progresso. – Buckle: Storia della civiltà inglese. Nota di A. Bebel.

 

 

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