Livorno 1921

(«il comunista»; N° 137; Novembre 2014 - Gennaio 2015)

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«Livorno 1921», oggi, dopo decenni di falsificazioni e stravolgimenti del marxismo e, quindi, del programma comunista come indicato da Marx, Engels, Lenin e dall'Internazionale Comunista nel congresso di fondazione del 1919 e ribadito con forza nel 1920 al suo secondo congresso mondiale, è un luogo e una data che ricordano in pochi, ma che i molti affittati e venduti al collaborazionismo controrivoluzionario hanno cercato, cercano e cercheranno ancora di affossare affinché le generazioni proletarie di oggi e di domani non abbiano alcuna possibilità di collegarvisi storicamente per ritrovare le radici teoriche e pratiche dell'inevitabile guerra di classe che deciderà delle sorti dell'umana società.

Richiamare «Livorno 1921», per noi, significa richiamare uno svolto storico di grande portata perché conclude un ciclo di battaglie di classe che condussero alla definitiva rottura del comunismo rivoluzionario con tutte le tendenze dell'opportunismo socialdemocratico sulla base di una intransigenza teorica e politica che distinse le battaglie di classe di Lenin e del partito bolscevico dei primi anni della vittoriosa rivoluzione proletaria in Russia, e che distinse non meno la corrente di Sinistra comunista che in Italia fondò il partito comunista. «Livorno 1921" concluse un ciclo storico, ma ne aprì un altro, quello che proiettò la Sinistra comunista d'Italia a livello internazionale in una battaglia epica contro le influenze opportuniste che aggredirono i giovani partiti comunisti formatisi nell'Occidente sviluppato e democratico e che finirono per influenzare e deviare quello che doveva diventare il Partito comunista mondiale, l'Internazionale Comunista.

«Livorno 1921», per i comunisti rivoluzionari, rappresenta «una delle svolte più tipiche di quel processo di selezione dei metodi e degli organismi di lotta che fu la scissione di Livorno 1921» (1). Ed è esattamente per questo motivo, cioè per il fatto che «Livorno 1921», con la formazione del Partito comunista d'Italia, sezione dell'Internazionale Comunista, rappresenta finora il punto più alto che il movimento comunista rivoluzionario abbia raggiunto nell'Occidente capitalistico sviluppato, che «Livorno 1921», dicevamo, è stato per decenni falsato, mistificato, stravolto dalle più diverse tendenze opportuniste - prima fra tutte lo stalinismo - per poi essere sotterrato sotto un cumulo nauseabondo di falsificazioni e di usurpazioni che solo l'interesse e l'azione della controrivoluzione borghese potevano generare, alimentando e sostenendo i partiti che dei metodi e degli organismi di difesa della conservazione borghese fecero - e continuano a fare - la loro ragione di vita. Scarnificare «Livorno 1921», per le forze opportuniste e controrivoluzionarie, voleva dire eliminare il contenuto delle battaglie di classe che avevano caratterizzato la formazione della corrente delle Sinistra comunista che condusse la più chiara, ferma, intransigente e cristallina lotta contro ogni tendenza opportunista a partire dal bloccardismo e dal riformismo alla Turati e Treves e che, in forza di quella sua continuità e coerenza, portò le migliori energie rivoluzionarie che il movimento proletario italiano espresse all'epoca alla formazione del partito di classe su basi teoriche, programmatiche e politiche perfettamente allineate al marxismo e al bolscevismo di Lenin. La Sinistra comunista che formò il partito di classe in Italia nel 1921 e che lo guidò nei suoi primissimi anni di vita e nella lotta contro l'offensiva fascista, fu sconfitta - e con essa il movimento comunista rivoluzionario internazionale - non sul piano teorico e programmatico, men che meno sul piano tattico - come la storia della sconfitta della rivoluzione in Russia e nel mondo dimostrò dal 1926 in poi -, ma dal movimento degenerativo che devastò il massimo organismo di lotta rivoluzionaria mondiale, l'Internazionale Comunista e lo stesso partito bolscevico che, con il definitivo cedimento all'ideologia democratica borghese e alla ragion di Stato russa - ben rappresentata nella teoria del «socialismo in un paese solo» -, abbandonò completamente la sua gloriosa tradizione di lotta in difesa del marxismo e, quindi, del futuro della lotta di emancipazione del proletariato mondiale e del comunismo.

E' in forza delle lunghe battaglie di classe contro il socialismo piccolo borghese, del tutto reazionario, che vuole combattere le ingiustizie e le diseguaglianze sociali con «un sistema di gestione corporativa delle fabbriche, patriarcale-familiare della terra»; e contro il socialismo borghese, e quindi conservatore della attuale società di classe «a patto di "migliorarla", di fare sì che i lavoratori vi abbiano miglior trattamento» e chiamando i capitalisti a porsi dei limiti nello sfruttamento della forza lavoro in modo da consentire ai lavoratori di vivere «dignitosamente» (è un «socialismo» che attualmente anche il Vaticano propaganda); e contro ogni variante filantropica, pacifista, radical-chic, umanitaria, anarco-individualista o falsamente estremista, che la corrente di Sinistra comunista in Italia ha avuto la possibilità, prima di ogni altra corrente politica, di individuare anzitempo le tendeze pericolosamente deviazioniste che erano presenti nascostamente, o vi si stavano insinuando, nei giovani partiti comunisti e nella stessa Internazionale Comunista. E' in forza di queste battaglie di classe condotte sulla linea intransigente della teoria marxista e delle sue derivazioni obbligatorie sul piano politico, tattico e organizzativo, che la Sinistra comunista d'Italia è stata storicamente l'unica corrente a poter trarre il coerente bilancio storico delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni. Bilancio che era al tempo stesso base teorica, programmatica, politica, tattica e organizzativa per la ricostituzione dell'organo rivoluzionario per eccellenza, il partito di classe che, dopo l'amara esperienza dell'Internazionale Comunista, sfigurata e trasformata dallo stalinismo da micidiale arma della rivoluzione internazionale in strumento della degenerazione dei partiti comunisti di tutti i paesi, doveva rinascere come partito internazionalista e internazionale con un unico programma, un'unica linea politica, un'unica rosa di soluzioni tattiche valide per le diverse zone del mondo e un'unica e centralizzata organizzazione. A questo lavoro, le forze che si sono riorganizzate nel secondo dopoguerra come partito comunista internazionalista, e poi internazionale (fino al 1952 con il giornale «battaglia comunista», dal 1952 fino al 1982 col giornale «il programma comunista» e i giornali ad esso legati, e da allora in poi con i giornali «il comunista» e «le prolétaire» e i giornali a loro collegati), forze che, al di là della loro consistenza numerica che non poteva, e non può a maggior ragione oggi, che essere stata ed essere particolarmente infinitesima, dedicano il massimo delle loro energie ben sapendo che non la volontà di singoli individui, ma il movimento delle forze produttive giganti che il capitalismo mette continuamente in  contraddizioni sempre più acute, farà saltare la corazza d'acciaio con la quale la società capitalistica tenta di chiudere lo sviluppo delle forze produttive. Allora, tornare a Livorno 1921 sarà un atto politico dello stesso valore di tornare al Manifesto del 1848 o a Stato e rivoluzione del 1917!

 

Come scritto nel «filo del tempo» che abbiamo citato ,«Livorno fu incolpata come la più ingiusta, estrema, settaria e rovinosa delle secessioni, maledetta allora ed oggi come folle errore da parte di tutti i fautori dei fronti unici, degli abbracci unitari, dei blocchi democratici, dei comitati liberatori, della caccia all'adesione della massa, pagata qualunque prezzo.»

Alla stragrande maggioranza dei giovani proletari di oggi «Livorno 1921» non dice  nulla; e se può dire qualche cosa a qualcuno lo dice, in genere, nel gergo della più oscena versione democratica e frontista tipica del partigianismo resistenziale con il quale lo stalinismo coronò la sua vittoria sul movimento comunista rivoluzionario, conducendo il proletariato di ogni paese a sacrificare le proprie forze, in pace e in guerra, sull'altare dell'imperialismo capitalistico e della conservazione sociale borghese. In nome di una democrazia da «riconquistare» dopo il ventennio fascista, il proletariato è stato per l'ennesima volta convinto a dare il proprio sangue a favore di un regime che si fonda esattamente sulle stesse basi economiche e sociali - il capitalismo - su cui si è eretto il regime fascista; la differenza fra i due regimi, egualmente borghesi e dittatoriali, non sta nelle basi economiche  della società, ma nel metodo di governo che la classe dominante borghese ha usato e usa a difesa del proprio potere di classe che è totalitario proprio nelle sue fondamenta economiche, ma che, con il regime democratico, riesce a nascondere meglio illudendo la grande massa proletaria di poter ottenere un cambiamento, anche radicale, alle sue condizioni di schiavitù salariale.

Vale la pena ricordare, anche se la nostra voce oggi è ascoltata da pochissme orecchie, che cosa rappresentò effettivamente la scissione di Livorno nel congresso del Partito socialista italiano del 21 gennaio 1921: la scissione tra le forze riformiste e bloccarde, ben mimetizzate sotto la famosa foglia di fico «né aderire né sabotare» la guerra, e le forze marxiste. Per questo ci rifacciamo al «filo del tempo» del 1951 ricordato:

«I massimalisti unitari, nella infiammata e tumultuosa discussione, negarono disperatamente che nel partito che si spezzava vi fossero le classiche "due anime", si proclamarono rivoluzionari, comunisti, leninisti e bolscevichi quanto ogni altro, si dichiararono per la Terza Internazionale di Mosca contro la Seconda di Bruxelles, per la dittatura proletaria, contro la socialdemocrazia, per l'impiego della violenza contro il socialpacifismo; fecero di più i massimi sforzi per sostenere che "i destri italiani" valevano meglio "dei sinistri degli altri paesi" scagionando Turati e compagni dall'accusa di opportunisti e socialtraditori poiché avevano negato appoggio, in pace come in guerra, al governo borghese.

«Dal canto loro tutti i partiti del radicalismo borghese e della piccola borghesia, i cui stati maggiori venivano travolti già dalla bufera fascista, deprecarono la scissione come la rottura del fronte che, secondo i loro comodi, doveva servire ad opporre l'arrivo di Mussolini al potere, tenendovi i tradizionali arnesi della borghesia italiana. Inutile ricordare che poco dopo Livorno, il 3 agosto 1921, tutti questi partiti, denunziati come traditori dal giovane partito comunista, sottoscrivevano il lurido patto di pacificazione con i fascisti, collaborando a disarmare i proletari investiti dalle quotidiane aggressioni delle camicie nere.

«Nelle stesse file di destra dell'Internazionale Comunista, che già incominciava lentamente a ripiegare dalle tradizioni rivoluzionarie dei grandi anni rossi, si fecero a Livorno critiche aperte: si era, dalla settaria frazione comunista italiana, tagliato troppo a sinistra, lasciando posizioni importanti di organizzazioni, rappresentanze politiche, stampa e così via al vecchio partito. La tradizione di Livorno e del movimento comunista italiano 1921 corrispondeva ad una posizione di sinistra in seno allo stesso movimento comunista internazionale, e tale fu infatti la posizione compatta del partito nei congressi del 1921 e 1922 in cui esso dissentì dalla tattica generale della Internazionale di Mosca e dai tentativi fatti in Italia per "correggere l'errore di Livorno"; tentativi che del resto abortirono perché, malgrado che il partito socialista in successive crisi si fratturasse in tronconi, solo una sparuta minoranza dei cosiddetti "terzini' rientrò nell'Internazionale; ed anche a questa 'fusione' il partito comunista italiano si oppose, addattandovisi per pura disciplina.

«Il "livornismo" subì in seguito energiche cure che con molta difficoltà condussero ad eliminarlo dal partito italiano. Malgrado che la situazione creata dal fascismo e l'assoluto senso di disciplina rendessero agevole fin dal 1923 la sostituzione della dirigenza di sinistra, ossia "linea Livorno", con quella centrista che mano mano accettò la tattica dei fronti unici coi socialisti, e poi dei blocchi con la democrazia borghese antifascista, il partito consultato ancora nel 1924, e nel 1926, rispose a maggioranza per la "politica di Livorno", di cui le vicende ulteriori hanno poi disperso per le versioni ufficiali, fino le ultime tracce. (...)

«A Livorno con indignazione e con violenza si respinse la scusa che i capi parlamentari come Treves e Modigliani non avevano in guerra accettato di votare per i ministeri di unione nazionale e per i crediti - gli attuali commemoratori, come i Togliatti e gli Scoccimarro, sono stati ministri nel 1945 per i gabinetti che facevano la guerra antitedesca, così come antitedesca e democratica era stata quella di Salandra e Orlando.

«A Livorno si proclamò che quei vecchi socialisti, non privi di un passato decente, non potevano evitare l'epiteto infamante di opportunisti sebbene avvessero costantemente negato il possibilismo ministeriale e l'entrata nei governi borghesi che promettessero riforme sociali - gli odierni partiti commemoratori di Livorno gridano ad ogni momento che, malgrado la presente situazione mondiale, essi non aspirano ad altra politica che la partecipazione ad un governo 'nazionale', che accolga in loro i 'rappresentanti dei lavoratori' per attuare concordemente le 'riforme di struttura' ».

Certo oggi quei partiti, che hanno subito fratture e scissioni e cambiato volta a volta nomi e simboli per «adeguarsi alla situazione», chi cancellando progressivamente ogni rimasuglio di contatto anche solo nominale o simbolico con il vecchio partito «comunista» per essere più accettabili dalla massa elettorale, chi riproponendo nomi e simboli dei lontani anni Venti del secolo scorso ma immersi nel tricolore e nei programmi socialdemocratici che farebbero inorridire gli stessi Treves e Modigliani, sono partiti che non sentono più il bisogno e l'urgenza di commemorare «Livorno 1921» visto che oggi non solleva nel proletariato ricordi di lotta rivoluzionaria e di intransigenza teorica e programmatica. Oggi, intossicati dal morbo della democrazia e dai veleni del collaborazionismo, questi partiti differiscono solo per un più alto grado di opportunismo e di corruzione da quelli che allora aspiravano «soltanto» alla politica di partecipazione ad un governo nazionale in quanto «rappresentanti dei lavoratori»; oggi, molto più prosaicamente, la loro aspirazione è di  partecipare al banchetto parlamentare con i suoi privilegi, vitalizi e onori e al diavolo gli...ideali.

«A Livorno - continua l'articolo - i comunisti, nelle mozioni, i manifesti e i discorsi, conclusero senza esitare per questo aperto schieramento di forze: contro tutti i partiti borghesi coalizzati con lo stesso partito socialista, lotta per rovesciare il potere delle borghesia italiana; gli odierni partiti commemoranti, di fronte in blocco, di alleanza in coalizione, hanno invocato concordia ed unione nazionale, non solo nella fase dei comitati antifascisti  e in quella del governo tripartito, ma anche oggi. Essi pretendono apertamente che nella campagna per la pace e la neutralità devono andare con loro non solo i lavoratori delle città e delle campagne, non solo le masse povere come i contadini proprietari, non solo i ceti medi e la piccola borghesia, ma gli stessi borghesi "intelligenti" e sanamente guidati dall'amore della patria e della indipendenza italiana.»

Allora, il vecchio PCI, partito commemorante Livorno 1921, aveva interesse a falsificare le proprie origini perché doveva far passare l'idea che fin dalla sua formazione il partito comunista in Italia non avrebbe dovuto essere così intransigente, settario, estremista, ma molto più disponibile ad una tattica popolare e meno «di classe», perché il fascismo, secondo quella tattica popolare, si sarebbe potuto combattere e vincere solo aggregando le forze «popolari», sebbene «guidate» dal proletariato, nella prospettiva di una «via nazionale al socialismo» che doveva passare attraverso la democrazia borghese, il parlamento borghese, l'alleanza con i partiti borghesi «di sinistra», le «riforme di struttura» e via cantando. Oggi, e da almeno un venticinquennio, il PCI non c'è più, ha cambiato pelle e, prendendo il nome di Partito Democratico, non ha fatto altro che confessare apertamente le sue origini vere che non sono da cercare in Livorno 1921, ma nello stalinista Partito Comunista Italiano votato, come la Sinistra comunista aveva denunciato fin dalle primissime avvisaglie dei cedimenti sul piano della tattica e dei criteri organizzativi, a diventare un partito-puntello della conservazione borghese svolgendo il ruolo di pompiere e deviatore della lotta di classe, nei primi tempi, e di fedele alleato della classe borghese dominante nella difesa della patria e della indipendenza italiana nella guerra economica di ogni giorno, o nelle spedizioni militari all'estero in compagnia dei più brutali briganti imperialisti nel Medio Oriente come nella ex-Jugoslavia, in Afghanistan come in Somalia e in Libia, e, un domani, nella guerra mondiale.

Nelle stesse parole dell'ultimo segretario del Partito Democratico, Renzi, dallo scranno del governo nazionale, non si fa fatica a riconoscere l'afflato patriottico: il governo vuole varare le necessarie riforme perché prima di tutto pensa all'Italia e agli italiani!

 


 

(1) Vedi Bisanzio socialista?, "Sul filo del tempo", articolo scritto da Amadeo Bordiga e pubblicato nell'allora giornale di partito, "battaglia comunista", nr. 2, 18-31 gennaio 1951.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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