Spagna, uno sciopero esemplare

 

I lavoratori di Movistar dimostrano che è possibile lottare contro le condizioni di sfruttamento imposte dalla borghesia e non essere sconfitti se si utilizzano mezzi e metodi di classe!

(«il comunista»; N° 140-141;  Novembre 2015)

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Da 55 giorni (1) i lavoratori sotto contratto, gli “atipici” o i falsi “autonomi” (lavoratori dipendenti ma obbligati ad avere una partita IVA) di Movistar portano avanti un duro sciopero contro una delle più grandi imprese capitaliste spagnole. Le loro rivendicazioni sono le seguenti:

 

- Abrogazione dei contratti “bucle”, che implicano un sistema di punti per percepire il salario, il pagamento di tasca propria delle spese occasionali per poter lavorare e che, inoltre, prevedono forti penalità che riducono ulteriormente il salario percepito.

- Eguaglianza di trattamento dei lavoratori sotto contratto e degli “atipici” con i lavoratori fissi dell’impresa, eguale salario e contratto a tempo indeterminato.

- 40 ore settimanali con 2 giorni di riposo, contro la situazione attuale in cui lavorano fino a 12 ore al giorno tutti i giorni.

-  Un mese di ferie ogni anno.

- Misure di sicurezza sul lavoro, equipaggiamenti e strumenti di sicurezza in generale e per la protezione individuale, veicoli, carburante ecc., forniti dall’azienda.

- Possibilità per tutti i lavoratori “autonomi”, se lo richiedono, di diventare dipendenti fissi dell’azienda.

- Nessuna rappresaglia per gli scioperanti.

 

Telefonica, il marchio principale di Movistar, è la principale azienda spagnola nel settore delle telecomunicazioni e una delle più importanti a livello mondiale; è presente in tutti i paesi d’Europa (soprattutto nel Regno Unito e in Germania con il marchio “02”), in Brasile (dove è la principale impresa di telefonia col marchio “Vivo”), in Argentina e in altri paesi dell’America Latina dove ha un’importanza inferiore. Si tratta inoltre dell’azienda spagnola con la più ampia capitalizzazione borsistica, con un rendimento nel 2014 di 4,4 miliardi di euro. Di fatto, Telefonica è stata considerata da molto tempo come il “gioiello della corona” del capitalismo spagnolo, allo stesso livello delle più grandi società finanziarie e al di sopra di tutte le altre aziende della cosiddetta “economia reale”.

Dopo che, negli anni 1995-1999, sotto i governi sia di “sinistra” che di destra di Gonzalez  (Partito Socialista) e di Aznar (Partito Popolare), è stata privatizzata attraverso l’offerta pubblica di azioni, essa ha rappresentato l’emblema del vigore del capitalismo spagnolo, capace di espandersi praticamente in tutti i mercati sviluppati del pianeta (ad eccezione della Cina) e di vincere la concorrenza delle aziende nazionali e straniere. Capace anche di sviluppare dei sistemi sofisticati di gestione della manodopera che le ha permesso di accrescere vertiginosamente i suoi profitti riducendo sensibilmente i costi del lavoro: in Spagna, Telefonica ha eliminato una gran parte del suo personale: è passata dagli 80.000 dipendenti del periodo antecedente la privatizzazione, ai 28.000 di oggi, in virtù dei successivi piani di “Regolamentazione dell’Impiego” che ha potuto realizzare sotto i diversi governi nel corso degli ultimi anni.

Telefonica è un modello per tutto il capitalismo spagnolo anche perché, ristrutturandosi, ha creato migliaia di aziende dipendenti da lei ma con una personalità giuridica propria, che si occupano di tutte le opere di installazione, di manutenzione, di riparazione, di relazione con la clientela ecc. Si tratta di una struttura estremamente flessibile  e agile che permette all’impresa di ridurre al massimo i rischi diminuendo il peso del capitale costante e del capitale variabile che dipendono direttamete da lei. In questo modo, nei periodi economici favorevoli come fu il caso del boom delle telecomunicazioni che iniziò alla fine degli anni ’90, Telefonica aumenta semplicemente il numero dei contratti alle aziende dipendenti, mentre nel periodo di recessione essa se ne separa senza dover sopportare il costo della maggiore capacità produttiva e di un eccesso di manodopera.

Per i proletari, l’aumento della produttività e l’eccellenza della gestione capitalistica di Telefonica hanno avuto un sapore più amaro: la frammentazione in migliaia di imprese con le quali essi hanno il contratto di lavoro, ha permesso a queste ultime di fissare delle condizioni di lavoro nettamente svantaggiose. Imponendo a qualche decina di lavoratori una negoziazione nella quale essi sono la parte più debole, queste imprese hanno ottenuto un abbattimento considerevole dei salari, un aumento del loro tempo di lavoro a seconda delle esigenze di produzione del momento e senza rispettare gli stessi limiti di legge, al punto di arrivare talvolta a far sì che i lavoratori pagassero l’impresa pur di lavorare! E tutto questo come conseguenza delle esigenze imposte da Telefonica alle aziende a cui assegnano gli appalti che, d’altra parte, sono spinte a farsi la più spietata concorrenza al fine di assicurarsi il legame con l’azienda-madre e non sparire. Se nella crisi capitalista, i proletari pagano con la disoccupazione e il supersfruttamento il loro “crimine” di non essere sufficientemente redditizi per il capitale, nei periodi di prosperità, che hanno fatto del capitalismo spagnolo un esempio per il mondo, essi hanno pagato comunque con la miseria. Allora i proletari vendevano la loro vita all’azienda per sopravvivere, oggi l’azienda, per sopravvivere, distrugge la vita dei proletari.

Una volta iniziato, lo sciopero a Telefonica è stato caratterizzato dalla rottura completa con la direzione collaborazionista delle organizzazioni sindacali ufficiali. Queste ultime, col pretesto che i lavoratori in sciopero non appartenevano all’azienda-madre, hanno sempre rifiutato di includerli nelle loro rivendicazioni che riguardavano unicamente i dipendenti fissi di Telefonica; d’altra parte, le rivendicazioni sostenute dai sindacati ufficiali sono state costantemente condizionate dal rispetto delle esigenze dell’impresa... e non poteva essere altrimenti vista la loro natura collaborazionista.

E’ questa la ragione per la quale, dal primo giorno, quando lo sciopero è cominciato a Madrid, i lavoratori hanno costituito dei comitati di sciopero incaricati di organizzare e dirigere la lotta. L’esigenza di base di questa mobilitazione è stata quella di far riconoscere questi comitati di sciopero come i soli rappresentanti dei lavoratori di fronte alla direzione aziendale. Nel mese di aprile, i sindacati CC.OO. e UGT (2) avevano indetto uno sciopero dei soli dipendenti fissi dell’azienda-madre; ma qualche giorno prima del suo inizio, essi lo avevano annullato dando per acquisito che le loro rivendicazioni fossero state accettate.

In realtà, la direzione aveva semplicemente stabilito che nulla sarebbe cambiato, senza prendere in considerazione alcuna delle rivendicazioni dei comitati di sciopero. L’alleanza fra direzione aziendale e sindacati collaborazionisti mirava a porre fine all’organizzazione indipendente che i lavoratori si erano dati e attraverso la quale lottavano in sostegno delle loro rivendicazioni, in pieno contrasto con la politica delle concessioni, abituale per i sindacati ufficiali.

I lavoratori delle ditte cui Telefonica aveva dato l’appalto, per vincere la loro lotta, hanno fatto ricorso e metodi e mezzi che corrispondevano alle loro esigenze. Sono stati capaci, per difendere lo sciopero, di organizzare dei picchetti incaricati di vigilare affinché l’azienda non intervenisse con i crumiri; hanno collaborato con gli altri lavoratori in lotta nelle loro imprese, hanno esteso lo sciopero fuori dai limiti dell’azienda combattendo in questo modo i limiti del corporativismo; in definitiva, essi hanno lottato per fare del loro movimento una lotta di classe e non un semplice confronto strettamente orientato sul terreno del negoziato permesso dallo Stato borghese, negoziato che serve solo a giungere più velocemente ad addomesticare le lotte che si svolgono sul terreno dello scontro di classe.

Questo modo di condurre la lotta ha provocato inevitabilmente, ad un certo punto, l’azione combinata dei sindacati ufficiali e dell’azienda, trovatisi nell’impossibilità di spezzare lo sciopero, che, hanno chiesto allo Stato borghese, nella sua qualità di rappresentante collettivo degli interessi capitalistici, di prendere le cose in mano la situazione; infatti, 13 scioperanti accusati di sabotaggio e di intimidazione verso i crumiri sono stati arrestati.

La cosiddetta “operazione Muro” della polizia nazionale aveva come obiettivo l’intimidazione dei lavoratori in sciopero, qualche giorno prima che la UGT e le CC.OO. facessero appello alla fine del conflitto. I lavoratori delle ditte appaltatrici di Telefonica hanno invece dimostrato, una volta ancora, che nella società borghese la legge, l’ordine e il diritto significano unicamente mantenere i proleatri schiavi del capitale.

In definitiva questi lavoratori hanno rotto con l’abituale tendenza degli scioperi e delle lotte controllate dalla politica opportunista che ha come caratteristica l’imposizione dello scrupoloso rispetto degli interessi padronali, quando invece bisognerebbe affrontarli e combatterli. L’obiettivo della politica opportunista è di non mettere in pericolo il buon andamento dell’azienda, la sua immagine competitiva e la sua posizione rispetto ai concorrenti, trasformando così ogni lotta operaia in pantomime inefficaci.

L’occupazione per ben due volte delle sedi di Telefonica al Word Mobile Congress, nel pieno centro economico di Barcellona, ha inflitto un grave colpo all’immagine dell’azienda, tanto più che Barcellona è anche la capitale del turismo in Spagna. Queste occupazioni sono state il punto culminante, fino a quel momento, di una lotta che ha sempre messo gli interessi dei lavoratori davanti alle esigenze dell’azienda, provocando l’intervento anche della futura sindaca della città, Ada Colau, che è ricorsa a tutta la forza politica del suo partito, Guanyem (organizzazione locale legata a Podemos), per ottenere che i lavoratori abbandonassero la sede di Telefonica davanti alla quale si erano radunati centinaia di familiari degli scioperanti e lavoratori di altre aziende al fine di evitare un intervento della polizia per sgomberarli, e perché rinunciassero all’obiettivo di trattare con Telefonica direttamente come parte implicata nel conflitto.

Questi proletari hanno dimostrato che i capitalisti, che lottano permanentemente contro i loro concorrenti nazionali e internazionali, ma anche contro i proletari per ottenere sempre più profitti, riorganizzano a quello scopo i processi produttivi per massimizzare l’estorsione di plusvalore e isolano i lavoratori mettendoli gli uni contro gli altri; possono però subire uno smacco quando i proletari si uniscono per superare la concorrenza fra di loro.

Per vincere, questi lavoratori hanno mostrato che si deve prendere la lotta nelle proprie mani, difendendo esclusivamente i propri interessi di classe contro ogni appello per renderli compatibili con gli interessi economici delle aziende. Hanno mostrato che i metodi e i mezzi classisti sono i soli che, pur senza garantire la vittoria, possono in ogni caso permettere di ottenerla. Questi lavoratori si sono trovati di fronte, fin dall’inizio, l’opportunismo sindacale unito alle forze di polizia dello Stato borghese; hanno conosciuto la repressione, sono stati trascinati nei commissariati e accusati di gravi delitti, mettendo in questo modo in evidenza che la borghesia non si fa nessuno scrupolo nell’utilizzare tutti i mezzi a disposizione per spezzare ogni tentativo di lotta proletaria che accetti di seguire la via dello scontro reale con i padroni.

Infine, i proletari di Telefonica hanno visto apparire sulla scena la forza di un nuovo opportunismo sotto forma di partiti “rinnovatori” dello stile Podemos o Guanyem. Appoggiando a parole la lotta operaia, questi partiti hanno agito e agiranno come veri agenti della borghesia nelle file proletarie, difendendo in realtà gli interessi borghesi per i quali vengono utilizzati come mediatori; questi ultimi, vantando sempre dei piccoli vantaggi che possono essere ottenuti nel corso della lotta per meglio sterilizzarla, dissimulano la vera natura di antagonismo di classe che esiste fra proletari e borghesi; sotto il pretesto delle “conquiste realmente possibili”, essi vogliono impedire la grande conquista che consiste, secondo le parole del Manifesto del Partito Comunista, “nell’unione crescente fra i lavoratori salariati”.

 

Per la ripresa della lotta di classe del proletariato!

Per la difesa intransigente delle condizioni di vita del proletariato!

 

1 giugno 2015

 


 

(1) Lo sciopero è iniziato il 7 di aprile ed ora è terminato.

(2) Le Comisiones Obreras (CC.OO.), tradizionalmente legate al PC ufficiale, e l’Union General de Trabajadores (UGT), vicino al Partito Socialista, sono le due organizzazioni sindacali più grandi di Spagna.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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