8 marzo: in una società in cui si santifica il profitto capitalistico a tutti i costi, emerge il suo genetico disprezzo per la vita umana e, in particolare, per la vita delle donne

(«il comunista»; N° 142;  Febbraio 2016)

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Da molti decenni l’8 marzo è una data in cui si concentra una delle più disgustose ipocrisie della modernissima e civilissima società borghese.

Nata, all’inizio del secolo scorso, come data in cui i partiti proletari di tutto il mondo volevano mettere in primo piano la necessità e l’urgenza che il movimento operaio si assumesse il compito di lottare non solo contro l’oppressione salariale ma anche contro l’oppressione di genere che nella società capitalistica colpisce le donne in quanto donne, e in particolare le donne proletarie, l’8 marzo è stato trasformato – in piena sintonia tra la classe borghese e le forze dell’opportunismo politico – da giornata di lotta proletaria contro la doppia oppressione in una giornata in cui si elevano astratte speranze affinché, tra donne e uomini, vengano riconosciuti “pari diritti” in campo sociale, giuridico, lavorativo. 

Come il primo maggio proletario, così l’8 marzo proletario è stato stravolto e calpestato, facendolo diventare un simbolo impotente con cui al massimo vengono ricordati da un lato i morti sul lavoro e dall’altro le donne uccise perché donne come fossero vittime della fatalità o di un destino sfortunato; come dire che dall’inferno dello sfruttamento capitalistico e dell’oppressione sociale non si uscirà mai, sebbene in alcuni casi le misure di sicurezza nei posti di lavoro possano evitare qualche incidente mortale e le denunce di violenza fisica e sessuale contro le donne possano impedire il dilagare senza ostacoli di stupri, violenza domestica, assassinii. Ma basta alzare lo sguardo sulla realtà per rendersi conto che nella società dove tutto è merce, dove la vita di ogni essere umano è costretta a subire la legge del profitto capitalistico, la violenza dello sfruttamento che è insito nel modo di produzione capitalistico, non ci potranno mai essere “pari diritti” per tutti perché la società è divisa in classi che hanno interessi contrapposti; per rendersi conto che la classe dominante, la borghesia, si muove nel più feroce antagonismo contro le classi subordinate e in particolare contro la classe del proletariato. Lo sfruttamento della prostituzione, la riduzione in schiavitù di donne precipitate nella miseria, la violenza contro le donne perpetrata tra le mura domestiche accompagnano sistematicamente lo svolgersi della vita quotidiana in una società che, mentre esalta come valori fondamentali del vivere civile il diritto, le “pari opportunità”, il rispetto della vita umana, la maternità, la famiglia, calpesta, schiaccia e massacra nella realtà di ogni giorno milioni di esseri umani immolati soprattutto alla soddisfazione di privilegi concentrati nelle mani della classe dominante borghese. Nella società in cui la violenza è alla base del suo stesso modo di produzione, non vi può essere sviluppo pacifico, armonioso, rispettoso della vita e della natura. Nella società che ha eretto la proprietà privata e il profitto capitalistico a perni fondamentali della vita sociale, l’accaparramento violento nelle mani di una minoranza della ricchezza prodotta socialmente come sistema difeso con le leggi e con la forza, e che si regge esclusivamente sullo sfruttamento salariale sistematico della stragrande maggioranza degli esseri umani che abitano il pianeta, rendendoli proletari, senza riserve, è “normale” che anche singoli individui esercitino la violenza contro individui più deboli, soprattutto se è l’organizzazione sociale intera a mentenere in uno stato permanente di inferiorità e di oppressione la maggioranza della popolazione. E in questo stato permanente di inferiorità e di oppressione si trova in particolare la popolazione femminile proletaria: allo sfruttamento della loro capacità lavorativa si aggiunge l’oppressione domestica, la violenza fisica, sessuale, psicologica e l’assassinio: corpi venduti e comprati come una merce qualsiasi ed eliminati quando non servono più!

 Per fermare tutto questo, i poteri borghesi, costretti dalle lotte sociali e dai tentativi rivoluzionari delle classi proletarie, hanno dato vita ad una serie interminabile di riforme politiche e sociali, ma la situazione drammatica dal punto di vista economico e sociale di miliardi di esseri umani non è cambiata, semmai è peggiorata. Duecento anni di sviluppo capitalistico e di potere borghese non hanno migliorato la vita quotidiana dei lavoratori salariati del mondo, se non in piccola parte e nei paesi in cui le classi proletarie hanno lottato più duramente in difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro. La disparità sociale tra borghesia e proletariato è aumentata e non diminuita; l’oppressione salariale è diventata più feroce e non si è attenuata; la violenza economica e sociale è aumentata in progressione geometrica invece di ridursi. E la violenza sulle donne, che è parte integrante della violenza generale che la classe borghese esercita sull’intera società per difendere i suoi privilegi di classe, è cresciuta e non diminuita. Il fatto poi che questa violenza si eserciti  nella maggior parte dei casi in famiglia, tra le mura domestiche, nella cerchia dei familiari e dei parenti, dimostra che l’istituzione della famiglia borghese, elevata a perno della vita sociale degli esseri umani, in realtà concentra nel suo ambito circoscritto la violenza che deriva dalla pressione che i rapporti sociali, determinati dalla condizione di schiavitù salariale e di mercificazione di ogni atto e attività umana, esercitano su ogni singolo individuo.

  Per capovolgere completamente il corso micidiale dello sfruttamento capitalistico, la classe proletaria, la classe che non possiede nulla ma che produce la ricchezza sociale, è storicamente l’unica classe sociale potenzialmente in grado di abbattere il potere politico della classe borghese e avviare la trasformazione economica e sociale dell’intera società nella prospettiva di una società razionalmente armoniosa e di specie in cui le cause profonde di ogni oppressione, di ogni violenza, di ogni schivitù sono state superate definitivamente.

Utopia? Impossibile giungere ad una società senza oppressione, senza violenza, senza sfruttamento dell’uomo sull’uomo? E’ quel che sostengono tutti i borghesi perché hanno interesse a continuare a vivere nei privilegi dovuti allo sfruttamento capitalistico; è quel che sostengono i piccolo borghesi perché hanno interesse a vivere da parassiti sullo sfruttamento della classe proletaria; è quel che sostengono i preti di qualsiasi religione perché vivono sui pregiudizi e le credenze delle masse sfruttate e dilaniate dalla violenza economica e sociale del capitalismo; è quel che sostengono gli opportunisti e i collaborazionisti di ogni risma perché ambiscono ad essere protetti dai poteri borghesi per non dover condividere la vita grama e sacrificata delle masse proletarie colpite dalla miseria, dalla disoccupazione, dalla disperazione, dalla morte; è quel che sostengono gli intellettuali perché condividono i punti centrali dell’ideologia borghese: l’individualismo, il personalismo, diffondendo, attraverso i mezzi della propaganda e della cultura borghesi l’illusione che la società capitalistica possa essere migliorata e riformata senza abbatterne il potere politico e senza modificare da cima a fondo la sua struttura economica e i suoi rapporti sociali.

Ma per il marxismo – che ha scoperto il mistero del profitto capitalistico nello sfruttamento del lavoro salariato (teoria del plusvalore), svelando nel contempo la qualità di feticcio della merce e la base di ogni sviluppo sociale, politico, morale, ideologico nella struttura economica della società – è la stessa storia delle lotte fra le classi e lo sviluppo economico iperfolle del capitalismo che porterà l’attuale società ad uno sbocco storico necessario: una crisi economica di sovraproduzione e una crisi sociale così profonde, aggravate dalla guerra mondiale più devastante delle precedenti, dalle quali l’unica via d’uscita alternativa, per non ricadere in un nuovo ciclo storico di oppressione e di violenza capitalistica, è la rivoluzione della classe che non possiede nulla, che è senza riserve, che subisce la schiavitù del lavoro salariato, la classe proletaria!

Solo la lotta della classe proletaria per la propria emancipazione dalla schiavitù salariale, condotta con mezzi e metodi di classe, guidata dal partito politico di classe che condensa le esperienze storiche delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni, può integrare anche la lotta per l’emancipazione delle donne dall’oppressione specifica che le vede vittime. Non ci sarà emancipazione della donna al di fuori dell’emancipazione della classe proletaria in quanto tale dal capitalismo. La storia delle società divise in classi antagoniste, e della società capitalistica in particolare, lo dimostra ampiamente.

Proletarie e proletari hanno un obiettivo comune: difendersi dall’oppressione salariale e domestica determinata dai rapporti sociali di questa società, unendosi in una lotta che ha l'obiettivo storico di eliminare ogni oppressione e ogni violenza nei rapporti sociali. Ma questa lotta non è di genere maschile o femminile, è di classe, è del proletariato nel suo insieme; inizia sul terreno della difesa delle condizioni di vita e di lavoro, ma deve continuare, elevandosi politicamente, sul terreno della preparazione rivoluzionaria, rispondendo domani, quando la lotta di classe maturerà le condizioni dello scontro rivoluzionario, all’organizzazione con l’organizzazione, alla violenza con la violenza, alla schiavitù spezzando le catene, alla guerra imperialista con la guerra civile. Il male sociale dell’oppressione della donna non si estirpa con una legge in più, con un diritto formale in più, con una riforma in più: si estirpa solo andando alla radice di ogni oppressione, al modo di produzione capitalistico che sta alla base di tutta la società attuale, passando necessariamente attraverso una guerra di classe perché la borghesia non si farà mai spodestare senza combattere con  tutta la violenza di cui è capace. Alla sua violenza il proletariato risponderà con altrettanta violenza: la stessa classe borghese lo ha insegnato nella sua rivoluzione contro il feudalesimo e contro l’assolutismo. Solo che la lotta del proletariato è la lotta della stragrande maggioranza degli esseri umani, finora resa impotente dalla minoranza borghese che usa il suo potere economico, politico e militare a difesa esclusiva dei suoi interessi di classe e dei suoi privilegi sociali.   

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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