Uscire dall’ombra lanciando una “freccia nel tempo”?

(«il comunista»; N° 142;  Febbraio 2016)

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Scorrendo il sito di una nuova rivista on line – “la freccia nel tempo” – che si presenta anch’essa come “organo del partito comunista internazionale”, abbiamo appreso che lo scorso 1 settembre è morto Beppe, all’anagrafe Giuseppe Grasso.

Egli ha militato nel nostro partito dalla seconda metà degli anni ’70 facendo capo alla sezione di Milano fino alla crisi esplosiva del 1982-84; ha condiviso con noi, durante e dopo la crisi per una decina d’anni circa, la lotta contro ogni forma di liquidazione del partito, sia contro ogni tendenza immediatista, movimentista e anti-partito che contro ogni tendenza attendista e accademica. Lo caratterizzava certamente la serietà nell’impegno politico e non c’è dubbio che la crisi che ha scosso il partito fino alle fondamenta ha scosso pure lui in modo profondo. Il suo percorso politico non è stato però così lineare come potrebbe risultare da quanto si trova scritto nel sito di questa rivista.

Egli, nell’ottobre 1982, comprese che le critiche di coloro che chiamammo liquidatori del partito non avevano come obiettivo il posizionamento del partito sulla linea marxista più “corretta”, ma appunto la liquidazione totale del partito stesso e di tutto ciò che rappresentava – restaurazione teorica del marxismo, bilancio dinamico degli avvenimenti che portarono alla sconfitta del movimento comunista internazionale,  ricostituzione formale del partito come compagine militante ecc. Liquidazione, a loro dire, motivata dal fatto che il “partito comunista internazionale-programma comunista”, a causa del suo supposto “teoricismo”, si sarebbe distaccato dal movimento proletario a tal punto da non riuscire ad avere il minimo ascolto presso la classe operaia e, quindi, la minima possibilità di conquistare quell’influenza determinante per diventare, ad un certo punto, la vera guida del movimento verso la rivoluzione. La critica fondamentale – che unì, e unirà anche negli anni successivi al 1982, tutti i liquidatori – consisteva nell’accusare il partito di non essere un “partito d’azione” e di non avere “capacità politiche” utili a sfruttare a proprio vantaggio, e nell’immediato, la crisi capitalistica e la conseguente crisi sia dei partiti operai tradizionali che dei sindacati ufficiali.

Inutile dire che quei liquidatori dimostrarono subito, nei fatti, di essere affascinati più dai movimenti di massa e interclassisti del tipo “antinucleare”, “antirepressione”, “anti-missili” ecc. che non dai tentativi di difesa operaia sul faticoso terreno della lotta quotidiana contro il collaborazionismo. Beppe comprese anche che la reazione corretta a questo vero e proprio attacco al partito, e in definitiva al marxismo, da posizioni movimentiste e immediatiste, non era l’abbandono della lotta politica interna contro quelle posizioni trattate come fossero semplice espressione di una “cricca” che si era imposta sul partito (e contro la quale limitarsi ad organizzare un’azione legale per riprendere il controllo del giornale del partito “il programma comunista”); e non era nemmeno l’introduzione di una “democrazia interna” attraverso la quale mettere in discussione i capisaldi del nostro programma e delle tesi politiche e organizzative che hanno sempre caratterizzato il partito dalla sua formazione in poi, alla ricerca di “nuove soluzioni” politiche e teoriche.

Chi ci segue da tempo sa che, in quei due anni, tra il 1982 e il 1984, la lotta politica che si svolse all’interno del nostro partito fece emergere, oltre alle posizioni liquidatrici del 1982, altre posizioni anti-partito che abbiamo avuto modo di illustrare e documentare in diversi articoli dedicati alla crisi del partito e su cui non torniamo ora (1). Dicevamo che un gruppo di vecchi compagni intentarono un’azione legale presso il tribunale borghese per riprendere il controllo della testata principale del partito (“il programma comunista”) che nel frattempo era caduta sotto il controllo di un sedicente “Comitato Centrale”. Noi portammo avanti la nostra battaglia politica all’interno dell’organizzazione sia contro la costituzione del Comitato Centrale in quanto espressione di una supposta democrazia centralista sempre combattuta dal partito, sia contro l’azione legale di coloro che si riorganizzeranno, ad azione legale “vinta”, intorno al nuovo “programma comunista”, sia contro la degenerazione immediatista che il Comitato Centrale stava imponendo al resto del partito. L’obiettivo della nostra lotta era di guadagnare più compagni possibile alle corrette posizioni della sinistra comunista, in Italia e all’estero, per ricostituire un gruppo organizzato di compagni che continuasse l’attività a carattere di partito mantenendo vivo il filo teorico, politico, tattico e organizzativo per il quale il partito si era costituito e sviluppato nel trentennio precedente. Molti giovani compagni, che non avevano seguito i liquidatori della prima ondata, si ribellarono all’azione legale voluta dal “proprietario commerciale” della testata “il programma comunista” e dal gruppo di compagni che ne sostenevano la decisione, ma lo fecero dal punto di vista del sedicente Comitato Centrale aderendo, in pratica, ad una democrazia organizzativa che alimentava ogni sorta di posizione opportunista. Essi condividevano, inoltre, la stessa critica al partito che era stata portata avanti dai liquidatori dell’82 e si spinsero a cercare la causa della supposta incapacità politica del partito in un preteso “vizio d’origine” della corrente a cui apparteniamo, la Sinistra comunista d’Italia. All’azione legale, che non poteva che dar ragione al “proprietario commerciale” della testata “programma comunista”, questi ultimi – i liquidatori dell’84 – risposero con una nuova testata, che chiamarono “Combat” e come sottotitolo aggiunsero la frase: “per il partito comunista internazionale”, più richiamo per le… allodole che non serio impegno per la ricostituzione di un partito che non avevano nessuna intenzione di formare come dimostreranno, in poco tempo, nelle loro formulazioni politiche e nei loro atteggiamenti pratici. Teorizzando un cosiddetto “vizio d’origine” della “Sinistra comunista italiana”, essi condividevano in realtà l’accusa che ci fecero sempre gli stalinisti ed ogni risma di movimentisti. I “proprietari” del “programma comunista”, da parte loro, respinsero sdegnosamente quell’accusa, ma teorizzarono che per “uscire dalla crisi del partito” non era necessario fare alcun bilancio della crisi – che, anzi, farlo sarebbe stato dannoso per il partito – poiché l’importante era di essersi “sbarazzati” della “cricca” che si era impadronita della direzione del partito e del suo organo principale, “il programma comunista”; perciò, a loro dire, era logico ripartire dal gruppo di militanti italiani, disinteressandosi di fatto dei compagni di partito degli altri paesi; e, mentre mantenevano, per il definire il partito, l’aggettivo “internazionale”, praticavano in realtà una sorta di nazionalismo mascherato, dimostrando che i loro richiami alla tradizione della sinistra comunista “italiana” valevano più per l’aggettivo “italiana” che per la vera tradizione di battaglie internazionaliste di classe che da sempre caratterizzava la corrente della sinistra comunista.

Ci opponemmo a tutte queste posizioni fin dal primo momento, organizzandoci in Italia intorno alla testata “il comunista”, insieme ai compagni che in Francia e in Svizzera con “le prolétaire” continuarono l’attività politica di partito contro i liquidatori della prima e della seconda ora, e al nostro fianco ci fu anche Beppe: insieme rompemmo definitivamente anche con quella parte di partito che, riunitasi intorno a “Combat”, non dava più alcuna possibilità di un lavoro politico di chiarimento sulle posizioni di partito corrette, liberandoci quindi da qualsiasi obbligo organizzativo verso quel gruppo per dedicarci interamente al lavoro di riconquista del patrimonio teorico e politico del partito, così lacerato e falsato dai diversi movimenti di liquidazione che mandarono in pezzi l’intera organizzazione. Ma nei primi anni ’90, Beppe cominciò ad allontanarsi dall’attività politica militante e infine ci abbandonò: non condivideva più la nostra battaglia, esprimendo invece un certo ripensamento nei confronti del gruppo del nuovo “programma comunista” a cui si avvicinò successivamente. Pur non conoscendo nei dettagli il seguito della sua evoluzione politica, sappiamo che condivise le posizioni della sedicente “sezione di Schio” – prima o dopo il “matrimonio” e il successivo “divorzio” tra “programma comunista” e Schio ha poca importanza – ma si scisse poi anche da quel gruppo dando vita ad una nuova testata, ed al sito internet corrispondente, che si intitola per l’appunto “la freccia nel tempo”.

Avremo modo di dire la nostra sulle posizioni sostenute da questo gruppo e sulla sua pretesa di “rivendicare” la purezza delle posizioni della Sinistra comunista d’Italia senza rifarsi strettamente a tutto il patrimonio teorico e politico del partito dalla sua ricostituzione all’inizio degli anni ’50 in poi. Quando nel loro “chi siamo e cosa vogliamo” si legge che, per essere all’altezza del partito “di domani”, anche se oggi si è soltanto la sua “ombra”, si deve “ritornare ai cardini della nostra Dottrina che furono scolpiti nel 1848”, e che oggi bisogna fare “esattamente ciò che fece la Sinistra Comunista nel secondo dopoguerra”, si potrebbe desumere che l’impegno prioritario che questo gruppo si è dato sia di riconquista del patrimonio teorico-politico e delle lezioni delle controrivoluzioni che ci ha lasciato il partito nel corso del suo lavoro dal 1946 in poi. Ma quando si legge che, nella sua “scaletta di lavoro” sul “bilancio della crisi di Partito del 1982”, si accusa il partito di essere caduto in “molteplici deviazioni politiche che caratterizzarono il ‘Nuovo Corso degli anni 70’”, è evidente che Beppe, in quanto ispiratore di questo nuovo gruppo, ha rinnegato semplicemente la sua militanza nel partito di ieri e tutto ciò che ha di volta in volta condiviso nel suo ciclico ondeggiare, prima nel “partito comunista internazionale-programma comunista”, poi con noi nel “partito comunista internazionale-il comunista-le prolétaire-programme communiste-el programa comunista”, poi con il “partito comunista internazionale-il nuovo programma comunista”, poi con il “partito comunista internazionale-sezione di Schio”, per infine approdare nella decisione di costituire un gruppo a se stante chiamandolo “la freccia nel tempo” e appiccicandogli la denominazione tanto rinnegata di “partito comunista internazionale” che vale anch’essa più come specchietto per le allodole che non per un lavoro di partito che, in realtà, è stato più volte rinnegato.

Nonostante i continui ondeggiamenti, a Beppe, come a tanti altri “compagni di strada” – affascinati dalla potenza della teoria marxista e dalla fiera intransigenza della Sinistra comunista d’Italia e del partito che nel secondo dopoguerra ne ha espresso la continuità ideologica ed organizzativa – va riconosciuto di essersi sforzato di diventare militante di partito sebbene per un periodo piuttosto breve. Resistere a lungo sulle posizioni marxiste, con coerenza ed intransigenza e restare legati alle esperienze politiche della sinistra comunista non è mai stato semplice; la situazione così persistentemente sfavorevole non solo alla rivoluzione e alla lotta rivoluzionaria, ma alla stessa lotta operaia di difesa immediata, tende a consumare rapidamente le energie di coloro che, spinti dalle stesse contraddizioni della società borghese, abbracciano la causa rivoluzionaria del proletariato. Lavorare politicamente contro ogni ambizione personale e contro tutte le abitudini ideologiche e pratiche che l’ambiente mercantile borghese alimenta continuamente, è una lotta che ogni rivoluzionario è chiamato a fare anche contro se stesso come singolo individuo; ma la sua resistenza individuale dipende anche dalla forza del lavoro collettivo e impersonale del partito imperniato necessariamente sull’acqusizione e sulla riconquista continua della teoria rivoluzionaria senza perdere il contatto con la classe operaia e con i suoi problemi di lotta quotidiana come dei problemi di lotta politica più ampia e generale. Non è mai bastato aderire ideologicamente o intellettualmente al partito per diventare suoi “militanti”.   

Va detto che nel nostro partito, da quando si è ricostituito dopo la fine della seconda guerra mondiale, sono transitati elementi dalla provenienza sociale più diversa, ma in particolare dalla classe operaia e dalla piccola borghesia. Al nostro partito si sono avvicinati – e vi hanno militato per periodi più o meno lunghi – anche diversi elementi intellettuali; ciò non è una nota di merito né di demerito, dato che nel nostro partito (non di massa, non vincente, non parlamentare, non con le mani nelle amministrazioni della cosa pubblica) non vi sono mai stati “percorsi di carriera” e non vi è mai stata la pratica di elevare l’individuo più preparato al mito del “pensatore”, del “leader”, del “capo”, del “personaggio”, a cominciare da Amadeo Bordiga che combatté sempre questi miti vivendo sempre come un proletario e professando costantemente l’anonimato. In un “filo del tempo” del 1949 (2), Amadeo Bordiga affermava che: “Il partito rivoluzionario di classe non rifiuta di accogliere nelle sue file come compagni e militanti qualificati individui delle classi economicamente superiori e di servirsi del loro migliore sviluppo intellettivo nella propria lotta, quando sono dei veri disertori del campo sociale avversario. In tutte le lotte di classe vittoriose, questa è stata una delle prime rotture del fronte controrivoluzionario, pur presentando inconvenienti crisi e ritorni nei casi singoli”. Ebbene, le parole che abbiamo voluto sottolineare definiscono uno spartiacque: il partito rivoluzionario di classe, che rappresenta i fini e i metodi della lotta proletaria, si serve anche degli individui delle classi economicamente superiori, e tra questi vi sono gli intellettuali, quando sono dei veri disertori del campo sociale avversario. L’inconveniente sta nel fatto che questi individui, per cause sociali oggettive, possono tornare nel campo avversario e servirlo, contro il proletariato e il suo partito di classe, da posizioni falsamente rivoluzionarie, opportuniste o dichiaratamente antirivoluzionarie.

Coloro che hanno abbracciato il metodo e il principio della democrazia, centralistica o meno non ha importanza, o che hanno fatto valere “contro il partito, contro la sua continuità ideologica ed organizzativa e contro il suo giornale, e beninteso dopo averla carpita, una fittizia proprietà commerciale esistente solo nella formula burocratica che la legge impone (...) non potranno più venire sul terreno del partito rivoluzionario” (3). Questo giudizio lapidario valeva nel 1952 al tempo della grande scissione del partito, ma è valso e vale in ogni tempo nei confronti di tutti coloro che hanno imboccato o imboccano quelle strade; l’unica cosa che si poteva o si può dire per alcuni di loro è che si trattava “di brava gente e nulla di più”, gente che solo il calor bianco della rivoluzione può utilizzare appieno o neutralizzare, ma che nel fetido ambiente controrivoluzionario in cui siamo ancora immersi può ricadere, e ricade inevitabilmente, ed ha poca importanza se “inconsapevolmente”, al servizio del nemico di classe.    

 

 


 

1) Molti sono stati gli articoli che abbiamo dedicato al bilancio della crisi del partito del 1982-84, fin dal febbraio 1985 de “il comunista” (Il nostro percorso politicoA che cosa ci richiamiamoLa propaganda comunistaIn difesa del programma comunista ecc.), articoli ai quali ha contribuito fattivamente anche Beppe. Il lavoro di bilancio della crisi del partito proseguì per diversi anni; tra il 1997 e il 1998 pubblicammo una prima sistemazione di questo bilancio, poi raccolta in opuscolo nel 2006 col titolo “Sulla formazione del partito di classe – Lezioni dalla crisi del 1982-1984 del partito comunista internazionale-programma comunista”, e nel 2010 siamo usciti col primo volumetto dedicato ad una breve storia del partito, intitolato: Il Partito comunista Internazionale nel solco delle battaglie di classe della Sinistra Comunista e nel tormentato cammino della formazione del partito di classe (cfr. www.pcint.org) .

2) “Sul filo del tempo”, intitolato “Gli intellettuali e il marxismo”, pubblicato nel nr. 18, del 4-11 maggio 1949 di “battaglia comunista”.

3) Vedi il trafiletto intitolato “Al lettore”, nel quale si chiariva perché il partito usciva con un’altra testata, fu pubblicato nel primo numero de “il programma comunista”, subito dopo la scissione, il 10-24 ottobre 1952 e ripubblicato nei successivi numeri 2 e 3. 

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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