La donna e il socialismo (12)

Di August Bebel

La donna nel passato, nel presente e nell’avvenire

(«il comunista»; N° 142;  Febbraio 2016)

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(continua dal n. 137)

 

 

III. La donna nell'avvenire

 

 

In questo capitolo possiamo essere assai brevi, perchè esso contiene semplicemente le conseguenze che si traggono dalle premesse in ordine al posto che occuperà la donna nella società futura, conseguenze che ognuno può trarre da sé.

In questa società la donna è, così socialmente come economicamente, del tutto indipendente, non è soggetta più ad alcuna apparenza di tirannia né allo sfruttamento, trovandosi oramai di fronte all’uomo libera ed eguale, padrona di sé e del suo destino.

La sua educazione è uguale a quella dell’uomo, eccetto là dove la differenza del sesso rende necessario un trattamento speciale. Essa può sviluppare, date le condizioni di esistenza conformi a natura, tutte le sue forze e attitudini fisiche e morali, ed esercitare la sua attività in quel campo che meglio si addice e risponde alle sue inclinazioni, al suo talento e ai suoi desideri. Essa è, date le stesse condizioni, non meno capace ed abile dell’uomo. Operaia in qualche industria o mestiere, di lì ad un’ora essa diventa educatrice e maestra, per esercitare subito dopo qualche arte od occuparsi di qualche scienza, per compiere dopo ancora qualche funzione amministrativa. Essa studia e si diverte, conversa con i suoi simili o cogli uomini, come le piace e come l’occasione le si presenta. In amore essa è libera di scegliere, precisamente come l’uomo; chiede in matrimonio, ovvero si fa chiedere, e stringe il vincolo senza alcun altro riguardo che alla sua inclinazione. Questo vincolo è un contratto privato senza l’intervento di alcun funzionario, come fu contratto privato il matrimonio fino agli ultimi anni del periodo medioevale. Perciò il socialismo non viene a creare in questa materia nulla di nuovo, ma non fa che ristabilire in un grado più alto di civiltà e sotto forme sociali nuove, ciò che vigeva generalmente nei primi stadi della civiltà e prima che la proprietà privata dominasse la società.

E' in preparazione la pubblicazione dell'intero volume di A. Bebel, La donna e il socialismo, che verrà messo a disposizione nel sito di partito: www.pcint.org

L’uomo deve essere in caso di poter disporre liberamente del suo istinto più forte, come di ogni altro istinto naturale.

La soddisfazione dell’istinto sessuale è questione personale di ogni individuo, precisamente come il soddisfacimento di qualunque altro istinto naturale.

L’uno non deve rendere conto all’altro, e chi non vi è chiamato non ci si deve immischiare. Intelligenza, coltura, indipendenza, qualità che saranno connaturali nella società dell’avvenire per virtù della educazione e delle condizioni di allora, faciliteranno e guideranno la scelta.

Se gli sposi non vanno d’accordo o per incompatibilità di carattere o per antipatia di uno verso l’altro, allora la morale prescrive di sciogliere un vincolo che è diventato contrario alla natura ed alla morale stessa.

Poichè uomini e donne sono eguali di numero, e spariranno tutte le circostanze che condannarono fino ad ora gran parte delle donne a rimanere nubili o far mercato del proprio corpo, il mondo mascolino non sarà più in grado di far valere ad arbitrio la sua preponderanza. D’altro lato, il mutamento radicale operatosi nelle condizioni sociali eliminerà molti ostacoli e farà cessare molte perturbazioni che oggi, come abbiamo visto, influiscono sulla vita coniugale, e che così di frequente la amareggiano o la rendono del tutto impossibile. Cotesti ostacoli e la posizione contraria a natura fatta oggi alla donna hanno condotto a questo, che anche quelle persone le quali ritengono giustificata la piena “libertà” di scelta nell’amore e, ove sia necessario, ritengono giustificato il libero scioglimento del contratto, nel resto non sono però disposte ad accettare tutte le conseguenze per i mutamenti della nostra condizione sociale, e vogliono rivendicare la libertà nei rapporti sessuali soltanto a favore delle classi privilegiate.

Così, ad es. : la sig. Matilde Reichhardt-Stromberg in una polemica contro le aspirazioni emancipatrici manifestate dalla scrittrice Fanny Lewald (133), così si esprime:

“Se voi (signora Fanny Lewald) volete la completa eguaglianza giuridica della donna coll’uomo nella vita sociale e politica, allora George Sand (134) deve aver necessariamente ragione nelle sue tendenze emancipatrici, le quali non vanno niente più in là di quelle che l’uomo ha posseduto da lungo tempo senza contrasto. Imperocchè non vi è alcun motivo ragionevole per impedire che non solo il cervello, ma anche il cuore della donna partecipi a questa eguaglianza e debba essere libero di dare e di prendere, come l’uomo. Al contrario, se la donna deve, secondo la natura sua, aver il diritto e poi anche l’obbligo di fare ogni sforzo per vincere la gara coi titani dell’altro sesso, se si vuol mantenere l’equilibrio, essa deve pure avere anche il diritto di accelerare i battiti del cuore, come le pare conveniente. Imperocchè noi leggiamo tutti senza scandalizzarci, che Göthe, per es., per non pigliare gli esempi che dai sommi, andava a versare gli entusiasmi della sua grande anima e a spegnere gli incendi della sua passione non mai in braccio alla stessa donna. L’uomo intelligente trova ciò naturale appunto perchè si tratta di un’anima grande difficile da contentere, e solo il moralista vi trova motivo di censura e di biasimo. Perchè volete dunque burlarvi delle “grandi anime” delle donne?... Ammettiamo per un momento che tutto il sesso femminino sia costituito senza eccezione da anime grandi come era quella di George Sand; che ogni donna sia una Lucrezia Floriani (135), i cui figliuoli furono tutti figli dell’amore, e che educò questi figliuoli con non meno affetto e devozione materna, che intelligenza e giudizio. Che ne sarebbe del mondo? Non v’è dubbio che il mondo potrebbe continuare ad esistere e progredire, come oggi, e forse trovarsi meglio”.

L’autrice ritiene adunque che se ogni donna fosse una Lucrezia Floriani, e cioè una delle anime grandi come George Sand, la quale dipinse sè stessa in Lucrezia Floriani, non debba esserle vietato “di accelerare i battiti del suo cuore come le pare conveniente, per mantenere l’equilibrio”. Ma perchè per “le grandi anime” soltanto, e non anche per le altre che non sono “anime grandi” e non possono diventare tali?

Noi non vediamo ragione di fare distinzioni. Se un Göthe (136) e una George Sand, per citare due sommi, potevano abbandonarsi agli impulsi del cuore – si sono pubblicate sugli amori del primo, delle vere biblioteche, che furono divorate avidamente con una specie di estasi devota dagli ammiratori e dalle ammiratrici del poeta – perchè disapprovare in altri quello che fatto da quei grandi diventa oggetto di una ammirazione estatica? Noi ammettiamo certamente che questa libertà di scelta è impossibile esercitarla nella società borghese – a ciò miravano tutte le argomentazioni del presente scritto – ma la generalità, una volta posta sotto identiche condizioni sociali, eguaglianza di condizioni, della quale oggi godono soltanto gli eletti, vuoi per potenza materiale, vuoi per intelligenza, deve godere anche degli stessi diritti e delle stesse libertà.

Ciò che fecero e fanno oggi mille altri, i quali non possono mettersi a confronto col Göthe, senza che per ciò ne scapiti il loro onore e la loro considerazione.

Basta avere una posizione rispettabile perchè tutto vada da sè. Anzi le donne di quei ceti non subiscono alcuna violenza, ma anche esse in complesso si trovano in una condizione molto più sfavorevole; di più oggi sono rare le donne che abbiano il carattere e la coltura di una George Sand.

Malgrado ciò, le libertà che si sono prese Göthe e la George Sand sono immorali dal punto di vista della morale borghese, perchè violano le leggi morali dettate dalla società e sono in contraddizione colla natura del nostro stato sociale.

Il matrimonio forzato è il matrimonio normale della società borghese, la sola unione “morale” dei sessi; ogni altro vincolo sessuale, fra chiunque si stringa, è immorale da questo punto di vista. Ciò va perfettamente. Il matrimonio borghese è una conseguenza della proprietà borghese, come abbiamo dimostrato in modo inconfutabile.

Questo matrimonio essendo strettamente legato col diritto ereditario richiede dei figli “legittimi” quali eredi, viene conchiuso per averli e, sotto la influenza delle condizioni sociali, viene imposto dalle classi dominanti anche a coloro che nulla hanno da “trasmettere per eredità” (137).

Ora siccome nella nuova società non c’è più niente da lasciare in eredità, eccettochè si voglia considerare come patrimonio ereditario di singolare valore gli arredi domestici, così, anche per questo motivo, il matrimonio coatto dovrà scomparire.

Con ciò è risolto anche il problema del diritto ereditario che il socialismo non ha bisogno di “abolire” perchè non vi può essere alcun diritto ereditario là dove non esiste eredità privata.

La donna quindi è completamente “libera” e siccome le cure domestiche ed i figli, se ne ha, non possono toglierle la libertà non potranno che moltiplicarle il piacere.

Maestre, educatrici, congiunte, esse sono sempre vicine quanto il bisogno lo richiede alla crescente generazione femminile.

Può darsi che in avvenire ci siano uomini che dicano come Humboldt (138): “Io non sono nato per essere padre di famiglia, inoltre io ritengo il matrimonio una colpa, e la procreazione un delitto”. E che per ciò? La forza dell’istinto naturale provvederà a mantenere l’equilibrio; noi non abbiamo punto bisogno di preoccuparci nè della ostilità al matrimonio d’un Humboldt, nè del pessimismo filosofico d’un Mainländer (139) e d’un Hartmann (140), i quali nello “Stato ideale” presentano all’umanità la prospettiva dell’autodistruzione.

Noi siamo dell’opinione del sig. Francesco Ratzel, il quale scrive, a buon diritto: “L’uomo non deve considerarsi come una eccezione alle leggi naturali, ma deve a queste leggi conformare le sue azioni ed i suoi pensieri. Egli finirà col regolare tutta la sua condotta e i suoi rapporti colla famiglia e collo Stato, non già secondo i principi dei secoli lontani, ma secondo i principi razionali di una scienza conforme a natura. Politica, morale, principi giuridici che oggi si inspirano alle idee più varie e disparate si conformeranno alle leggi naturali, nient’altro. L’esistenza degna dell’uomo, onde si favoleggia da migliaia di secoli, diventerà finalmente un fatto compiuto” (141).

Ora quest’epoca si avvicina a passi giganteschi. La società umana ha percorso per migliaia di anni tutte le fasi di sviluppo, per arrivare finalmente là, donde è partita, cioè alla proprietà collettiva, all’eguaglianza e alla fratellanza, non solo di tutti i gentili, ma di tutti gli uomini. Ecco l’immenso progresso che essa fece. Quello che la società borghese chiedeva indarno, e in cui essa fallì, e doveva fallire, e cioè nel fondare la libertà, l’eguaglianza e la fratellanza, sarà attuato dal socialismo.

Ma questo ritorno della umanità al punto di partenza della sua evoluzione avviene in un grado di civiltà infinitamente più alto di quello, dal quale essa prese le mosse. La società primitiva, organizzata per gentes e per stirpi, aveva bensì comune la proprietà, ma nella forma più rozza e nel modo più perfetto. Nel corso dell’evoluzione il comunismo è stato abolito, le gentes scomparvero, e finalmente tutta la società si è atomizzata, ma nel tempo stesso aumentò la forza produttiva della società e i bisogni si moltiplicarono, e dalle gentes e dalle stirpi uscirono le nazioni, creando una condizione di cose, che è in stridente contraddizione coi bisogni di quasi tutta la società, e fa ritenere che l’unico modo di togliere codesta contraddizione, sia quello di trasformare con base più ampia la proprietà e le forze produttive in proprietà comune.

La società ripiglia quello che essa possedeva, ma organizzata in modo da far rispondere tutta la sua esistenza alle nuove condizioni produttive, così da assicurare, per quanto è possibile, a tutti, quello che prima non era che privilegio di pochi, o di classi.

Ora anche la donna riprende quel posto importante che occupava nella società primitiva, per diventare non già signora, ma eguale.

Quando lo Stato avrà finito la sua evoluzione, incomincerà una esistenza veramente umana. Sarà ristabilita finalmente la uguaglianza primitiva. Il regime materno apre e chiude il corso delle cose umane,” scrive Bachofen presagendo il futuro nella sua opera sul “Diritto materno” tante volte citata nella prima parte di questo scritto. E come il Bachofen così anche il Morgan esprime il suo giudizio che, nelle sue conclusioni, corrisponde perfettamente al nostro, sebbene egli non avesse alcuna nozione del socialismo.

Il Morgan scrive: “Da quando è cominciato il periodo della civiltà la ricchezza è cresciuta enormemente, le sue forme furono così diverse, il suo impiego così esteso e la sua amministrazione così abile nell’interesse dei proprietari che questa ricchezza è diventata di fronte al popolo una forza invincibile. Lo spirito umano resta allora sbigottito davanti alla sua propria creazione.

“Ma tuttavia verrà il tempo in cui la ragione umana vincerà la ricchezza, in cui essa stabilirà tanto i rapporti dello Stato nei riguardi della proprietà che esso protegge, quanto i limiti dei diritti dei proprietari.

Gli interessi della società prevalgono assolutamente agli interessi privati ed entrambi devono essere regolati e disciplinati in modo giusto ed armonico; la caccia alla ricchezza non è lo scopo della umanità se il progresso rimane nella legge dell’avvenire come fu per il passato.

“Lo sfacelo e la dissoluzione sta minaccioso davanti a noi come conchiusione di un periodo storico, che ha per unico scopo la ricchezza; imperocchè questo periodo storico contiene gli elementi della sua propria distruzione.

Democrazia nelle amministrazioni e nel Governo, fratellanza nella società, eguaglianza di diritti, istruzione generale inaugureranno il periodo della nuova vita sociale, e faranno volgere le mire alla esperienza, alla ragione ed alla scienza. Sarà una risurrezione, ma sotto forma più alta, della libertà, della eguaglianza, della fratellanza delle antiche Gentes” (142).

 

L’INTERNAZIONALISMO

 

La esistenza degna dell’uomo non può essere soltanto il modo di esistenza di un solo popolo privilegiato, il quale, per quanto eccellente esso sia, non può da sè nè fondare questo stato, nè conservarlo, essendo esso il prodotto dell’azione complessiva che esercitano le forze ed i rapporti internazionali. Sebbene l’idea nazionale domini ancora da per tutto le menti, e venga adoperata come mezzo di conservare l’attuale egemonia politica e sociale, essendo questa possibile soltanto nei limiti nazionali, noi ci troviamo già in pieno internazionalismo.

Le convenzioni commerciali e marittime, le convenzioni postali, le esposizioni internazionali, i congressi di diritto internazionale e i regolamenti internazionali, altri congressi ed alleanze scientifiche internazionali, le spedizioni internazionali, tutti i nostri commerci e traffici, ma particolarmente i congressi operai internazionali, all’influenza morale dei quali si deve principalmente se ebbe luogo a Berlino nella primavera del 1890, una conferenza internazionale per discutere la legge relativa alla produzione del lavoro e ciò dietro invito dell’impero germanico, tutto questo ed altro prova il carattere internazionale che hanno assunto i rapporti dei vari Stati civili, malgrado la loro compattezza nazionale che viene sempre più battuta in breccia. E già si parla per contrapposto alla economia nazionale d’una economia mondiale, annettendosi a quest’ultima la maggior importanza dipendendo da essa il benessere e la proprietà delle singole nazioni.

La massima parte dei prodotti di una nazione viene cambiata colla produzione di altri paesi stranieri, senza i quali noi non possiamo più vivere, e come un ramo d’industria è danneggiato da un altro se uno dei due è colpito da crisi, così la produzione nazionale di un paese ne soffre assai se quella dell’altro si arresta e ristagna. I rapporti dei singoli paesi diventano sempre più intimi malgrado tutte le perturbazioni, come le guerre e le discordie nazionali, perchè gli interessi materiali, che sono più forti di ogni altro interesse, prevalgono su tutto. Ogni miglioramento dei mezzi di trasporto, ogni scoperta o miglioramento dei sistemi di produzione per cui si abbassa il prezzo delle merci, rinvigorisce questa intimità.

La facilità con la quale possono mettersi in contatto persone che abitano paesi molto lontani, è un nuovo fattore di relazioni e di corrispondenze. La emigrazione e la colonizzazione sono un’altra leva potente.

Un popolo impara dall’altro e l’uno cerca d’arrivare prima dell’altro e di emularlo. Insieme allo scambio di prodotti materiali di ogni genere, si compie anche lo scambio dei prodotti dello spirito così nella lingua originale come nelle traduzioni. Per moltissimi diventa una necessità imparare le lingue vive.

Senonchè nulla può giovar meglio, oltre i vantaggi materiali, a eliminare le antipatie che imparare la lingua e conoscere profondamente le produzioni letterarie di un popolo straniero.

L’effetto prodotto da questo processo che si compie nei riguardi internazionali è questo, che i vari popoli comprendono sempre più di trovarsi nelle identiche condizioni sociali.

Questa identità è tanto grande nelle nazioni civili più progredite, che chi ha imparato a conoscere la struttura sociale di un popolo conosce pure quella di tutti gli altri, presso a poco come, in natura, negli animali della stessa specie, lo scheletro nella sua struttura è lo stesso, e si può ricostruire teoricamente tutto l’animale sulla base di alcune parti dello scheletro.

Ne consegue ulteriormente che dove c’è una stessa base sociale, anche gli effetti devono essere identici.

Poche grandi ricchezze da un lato avranno per contrapposto la miseria delle masse, la schiavitù del salario, la dipendenza delle masse per effetto dello sviluppo della meccanica, dall’altro il governo del popolo esercitato dalla minoranza abbiente con tutte le sue conseguenze.

Infatti noi vediamo che le stesse lotte di classe che infuriano in Germania, perturbano tutta Europa e gli Stati Uniti.

Dalla Russia al Portogallo, dai Balcani, dall’Ungheria e dall’Italia, fino all’Inghilterra e la Germania, dappertutto serpeggia il malcontento e si notano gli stessi sintomi di agitazione sociale, di generale malessere e di decomposizione. Diverse esteriormente nell’aspetto, secondo il carattere della popolazione e la forma della loro costituzione politica, in sostanza sono le stesse dappertutto. Causa di ciò sono le profonde contraddizioni sociali.

Ogni anno che passa le inasprisce, le fa penetrare sempre più profondamente nel corpo sociale, finchè un motivo, forse insignificante, determina l’esplosione la quale fa sentire i suoi effetti con la velocità del lampo su tutto il mondo civile.

La lotta della società nuova contro la società vecchia è accesa, entrano in scena le masse e si combatte con tale esuberanza di intelligenza, quali il mondo non vide mai in nessuna lotta e quale non vedrà più una seconda volta.

Imperocchè si tratta dell’ultima lotta sociale. Il secolo XIX difficilmente passerà senza che questa battaglia sia terminata.

Allora la società nuova si innalzerà sopra una base internazionale, le nazioni si affratelleranno e si stenderanno le mani per applicare la nuova costituzione a tutti i popoli della terra (143).

Queste nazioni non saranno considerate dai popoli stranieri come nemici che vogliono saccheggiare ed opprimere, non come difensori di una fede straniera che vogliono loro imporre, bensì come amici che vogliono educarli alla civiltà umana.

La colonizzazione che la società nuova imprenderà nei paesi stranieri, nelle diverse parti della terra, per esempio in Africa, si distinguerà in sè stessa e per i suoi mezzi da quella d’oggi non meno di quello che saranno distinte le due società nel loro organismo. Non si impiegherà nè la polvere, nè il piombo, nè l’acquavite nè la Bibbia, ma la missione civile si comincerà con mezzi pacifici che ci faranno apparire alle popolazioni selvagge non come nemici, ma come benefattori e civilizzatori.

Gli esploratori intelligenti ed accorti sanno quanti successi si ottengano per questa via. Stretti i popoli civili in una grande federazione, allora è giunto anche il tempo, in cui “tacciono per sempre le tempeste della guerra” (144).

La pace non è un sogno, come credono i padroni del mondo che girano in uniforme, e come vogliono dare ad intendere agli altri. Allora sarà arrivato il tempo in cui i popoli avranno conosciuto quali sono i loro veri interessi e si studieranno di raggiungerli non già con le guerre, colle discordie, e con armamenti rovinosi, ma con tutto l’opposto, e cioè coll’intendersi amichevolmente e col lavorare insieme per la civiltà (145).

Così le ultime armi, come molte altre di quelle del passato, andranno a finire nelle raccolte di antichità, per attestare alle generazioni venture, che le generazioni passate si lacerarono come belve feroci per migliaia di anni finchè l’uomo trionfò della bestia. Le generazioni  venture realizzeranno senza fatica ciò che ingegni eminenti pensarono a lungo in passato e tentarono di risolvere senza potervi riuscire.

Una conquista del progresso ne chiamerà un’altra, e additerà all’umanità nuovi ideali determinando nuove e più alte conquiste della civiltà.

 

POPOLAZIONE ED  ECCESSO DI  POPOLAZIONE

 

Dal punto di vista internazionale, nel quale ora ci troviamo, possiamo giudicare un’altra questione “palpitante” quale è considerata quella dell’aumento della popolazione. Se ne fa anzi una questione importantissima, dalla quale dipenderebbe anche la soluzione di tutte le altre questioni.

Molto si è disputato da Malthus (146) in poi intorno alla legge che regola l’aumento della popolazione. Nella sua celebre opera “Saggio sopra il principio della popolazione”, che Carlo Marx chiama “un plagio scolastico, superficiale e pretesco di Sir James Stewart, di Townsend, di Franklin, di Wallace, ecc.”, egli esprime il parere, che l’umanità tenda a aumentare in progressione geometrica (1, 2, 4, 8, 16, 32, ecc.), e che i prodotti alimentari aumentino solo in progressione aritmetica (1, 2, 3, 4, 5, ecc.). Ne consegue necessariamente che si determina presto una sproporzione fra la popolazione e i mezzi destinati ad alimentarla, sproporzione che conduce alla miseria e alla morte. Quindi è necessario frenare la procreazione, non maritarsi se mancano i mezzi sufficienti, perchè altrimenti non vi sarà più posto per i venturi al “banchetto della vita”.

La paura dell’eccesso della popolazione è antica assai. Noi ne abbiamo già parlato quando abbiamo esaminate le condizioni sociali della Grecia e di Roma e quelle della fine del Medio-Evo. Anche Voltaire fu dominato da questo timore e pubblicò nel primo quarto del secolo XVIII una dissertazione in argomento.

Questa paura ricorre – e ciò è assai caratteristico e deve essere notato – ricorre, lo ripetiamo, sempre in quei periodi, nei quali uno stato sociale sta per rovinare e sparire. Eccone la spiegazione:

Tutte quelle organizzazioni sociali che si svilupparono fin qua riposano sul predominio di una classe sull’altra, ma il mezzo più efficace per esercitare questo predominio è il possesso della terra.

La terra passa dalle mani di un gran numero di proprietari in quelle di un numero più piccolo, che la sfrutta e coltiva in modo molto imperfetto. La grande massa della popolazione nulla possiede, e la sua porzione di nutrimento dipende quindi dalla benevolenza dei padroni. Dopo la organizzazione della società la lotta per acquistare il possesso della terra assume determinate forme e finisce sempre col far concentrare questo possesso nelle mani della classe dominante. In tali condizioni, ogni aumento della famiglia diventa un peso per chi è rimasto danneggiato, compare il fantasma dell’eccesso di popolazione, che diffonde lo spavento nella stessa misura che la terra si riunisce in un numero sempre minore di possidenti e perde in produttività per effetto di trascurata coltura e di uno sfruttamento che è destinato più che tutto a soddisfare i capricci di chi la possiede. Roma e l’Italia  non furono mai così povere come nel tempo in cui tutto il suolo del paese era nelle mani di poco più di 300 proprietari, d’onde il motto: i latifondi rovinarono Roma. Il suolo venne destinato a grandi parchi di caccia e a giardini di delizie, tutto il resto spesso giaceva incolto, perchè il coltivarlo per mezzo degli schiavi costava di più che il farsi venire le biade dalla Sicilia e dall’Africa. Tali condizioni di cose determinò la più vergognosa speculazione.

Avendo quindi preferito il cittadino romano povero e in gran parte anche la nobiltà, di rinunziare al matrimonio e alla procreazione dei figli, si emanarono quelle leggi che promettevano dei premi a chi prendeva moglie e a chi procreava figli e ciò per impedire la diminuzione costante del popolo sovrano.

Lo stesso fenomeno appare verso la fine del Medio-Evo, dopo che la nobiltà, avendo nel corso dei secoli tolta a molti contadini colla violenza e con l’inganno la loro proprietà, ebbe in sue mani i beni dei comuni, e quando i contadini si ribellarono e furono vinti, la rapina continuò ancora di più estendendosi anche ai beni della Chiesa.

Mai il numero dei ladri, dei mendicanti e dei vagabondi fu più grande che nell’epoca che precedette e susseguì la riforma. La popolazione della campagna espropriata invase le città, ma anche qui le condizioni della vita erano diventate, per le ragioni che abbiamo già esposte, sempre più tristi, e da per tutto vi era “eccesso di popolazione”.

Malthus compare sulla scena in quel periodo dell’industria inglese in cui, per effetto delle nuove scoperte di Hargreaves, di Arkwright e di Watt (147) erano avvenute delle grandi trasformazioni nella meccanica e nella tecnica, delle quali si giovavano specialmente le industrie della seta e del lino, e fecero restare senza pane migliaia di operai di quelle industrie.

L’accentramento dei capitali e delle proprietà fondiarie, assunse a quel tempo grandi proporzioni in Inghilterra, e col rapido aumento delle ricchezze da un lato, crebbe la miseria delle masse dall’altro. Le classi dominanti, le quali hanno tutti i motivi di considerare il mondo attuale come il migliore, dovettero necessariamente cercare di spiegare in qualche modo questo singolare fenomeno del pauperismo delle masse da un lato e dell’aumento delle ricchezze e della prosperità delle industrie dall’altro. E non vi poteva essere spiegazione più comoda di questa, cioè di dare colpa dell’eccessivo aumento di operai non già ai processi di produzione capitalistica e all’accumularsi della terra nelle mani dei Lord, ma alla eccessività della procreazione. In tali condizioni col “plagio scolastico, superficiale e pretesco” pubblicato da Malthus, fu data un’espressione drastica ai segreti pensieri e ai desideri delle classi dominanti, e fu giustificata la loro condotta davanti alla società. Ciò spiega l’approvazione enorme che il libro trovò da una parte, e la critica violenta che trovò da un’altra. Malthus aveva detto in buon momento alla borghesia inglese la parola giusta, e perciò egli è diventato un grand’uomo, sebbene il suo lavoro non contenga alcuna idea originale.

Ora le condizioni che dettero a Malthus occasione di dare il grido d’allarme e di esporre la sua dottrina brutale, perchè egli la rivolse alla classe operaia, aggiungendo quindi al danno anche le beffe, non solo non sono cessate, ma di mano in mano si sono fatte più gravi, non solo nella patria di Malthus nel Regno Unito, Malthus era scozzese, come Adamo Smith, ma anche in tutto il mondo, ove il sistema di produzione capitalistica, il sistema di usurpazione e di sfruttamento della terra, la servitù e la soggezione delle masse per effetto dei progressi delle macchine e delle fabbriche, gettò radici ed ha trovato diffusione. Codesto sistema consiste, come vedemmo, nel separare l’operaio dai mezzi del suo lavoro, siano la terra o gli strumenti, e nel concentrarli nelle mani dei capitalisti. Esso crea sempre nuovi rami d’industria, li sviluppa e concentra e getta ancora sulla strada nuove masse di popolazione, rendendole “sopranumero”. In agricoltura esso asseconda e promuove il possesso dei latifondi con tutte le sue conseguenze, come nell’antica Roma. L’Irlanda, che è, a questo proposito, il paese classico in Europa, il paese che subì più di tutti l’usurpazione, aveva nel 1876, 884,4 miglia quadrate di prati e pascoli – ma non più di 263,3 miglia quadrate di paese coltivato, e la trasformazione dei campi in prati e pascoli per le greggi e i buoi e in parchi da caccia per i lord, aumenta ogni anno (148).

Inoltre le campagne irlandesi sono nelle mani di un gran numero di piccoli fittaioli, i quali non sono in grado di aumentare la produttività del suolo. Perciò l’Irlanda presenta lo spettacolo di un paese il quale dall’agricoltura, camminando a ritroso dell’evoluzione, passa alla pastorizia. Perciò la popolazione che al principio di questo secolo era di 8 milioni si è abbassata fino a 5, e ancora questi 5 milioni sono di troppo, e, come suol dirsi, “soprannumerari”.

La ribellione degli irlandesi contro l’Inghilterra si spiega qui da sè, ma la lotta degli Home-Ruler (149) varrà soltanto a creare una classe di possidenti irlandesi senza poter portare al popolo irlandese la vagheggiata redenzione.

E il popolo irlandese lo comprenderà quando gli Home-Ruler metteranno in esecuzione i loro progetti.

Anche la Scozia presenta un quadro identico a quello dell’Irlanda così nei riguardi del possesso come in quelli della coltivazione del suolo (150).

Altrettanto ripetesi nell’Ungheria.

Un paese così ricco per feracità di suolo come pochi altri in Europa è sull’orlo della bancarotta; la sua popolazione è sovraccarica di debiti, in potere degli strozzini e degli usurai, afflitta dalla povertà e dalla miseria, sicchè ridotti, alla disperazione, gli abitanti finiscono per emigrare in massa.

Ma la terra si è concentrata tutta nei moderni magnati del capitale, i quali la sfruttano nel modo più spaventoso, in guisa che fra breve tempo l’Ungheria cesserà di essere un paese esportatore di grani.

Le cose procedono nello stesso modo anche in Italia.

Anche in Italia l’unità politica della nazione ha favorito potentemente come in Germania lo sviluppo del capitale, ma i laboriosi contadini del Piemonte e della Lombardia, della Toscana e della Romagna impoveriscono sempre più e vanno pure in rovina.

Cominciano già a formarsi di nuovo paludi e maremme là dove pochi decenni prima fiorivano dei magnifici orti e prosperava il campo del piccolo colono. Alle porte di Roma, nella così detta Campagna, giacciono incolti migliaia di ettari di terreno, di quel terreno che ai tempi di Roma antica era uno dei più feraci. Le paludi lo infestano con esalazioni avvelenate dai loro miasmi.

La popolazione romana ritrarrebbe dalla Campagna una ricca sorgente di guadagno se, con l’impiego di mezzi adatti, se ne operasse il prosciugamento e una adeguata irrigazione, ma l’Italia soffre della mania della grandezza, rovina sè e la popolazione in armamenti militari e marittimi, ma non ha mezzi nè per coltivare nè per rendere fruttifera la campagna romana. La malaria, questa febbre terribile, prende in tutta Italia proporzioni tali che il Governo seriamente impensierito, fece fare un’inchiesta la quale dette il risultato sconfortante che di 69 provincie 32 erano state visitate dal morbo fatale, altre 32 ne erano già colpite e 5 soltanto erano restate immuni.

Il morbo, prima conosciuto soltanto in campagna, penetra anche nelle città, perchè il proletariato accumulandosi sempre più numeroso, alimentato dalla popolazione del proletariato delle campagne vi trova i focolai d’infezione.

Questi fatti, collegati con quello che venne già accennato in questo volume sugli effetti e sulle conseguenze dei sistemi di produzione capitalistica, ci ammaestrano che il bisogno e la misura della massa non sono già la conseguenza della mancanza dei mezzi di nutrizione e di esistenza, bensì la conseguenza della ineguale distribuzione per cui gli uni hanno il superfluo, mentre gli altri mancano del necessario, producendo da un lato la distruzione e la dissipazione delle provvigioni necessarie alla vita e facendo mancare d’altra parte lo stimolo di guadagnarsene.

Le affermazioni malthusiane hanno quindi un senso solo dal punto di vista del sistema di produzione capitalistica, e chi muove da quel punto ha tutti i motivi di difenderlo, altrimenti gli manca il terreno sotto i piedi. D’altra parte la produzione capitalistica è di stimolo alla procreazione, in quanto essa ha bisogno di braccia che costino poco per le sue fabbriche. La procreazione diventa per il proletario una specie di speculazione, in quanto il mantenimento dei figli gli costa poco o nulla, guadagnandosi essi le spese del loro mantenimento. E’ una necessità anzi per il proletario di avere molti figli, perchè in ciò sta la sicurezza per la sua maggiore capacità di concorrenza (per esempio nell’industria domestica). Certo questo è un sistema detestabile perchè esso accresce il pauperismo degli operai, e li rende superflui, dato che i fanciulli piglino il loro posto nelle officine e negli stabilimenti.

Ora poichè la immoralità e i danni di questo sistema sono evidenti ed aumentano coll’estendersi dell’economia capitalistica, così si comprende come presso i borghesi ideologi, e sono tali tutti gli economisti borghesi, le idee malthusiane si facciano strada, e si spiega anche come l’idea dell’eccesso della popolazione acquisti anche in Germania sempre più credito nella classe media.

Il capitale, come un’accusato innocente, si assolse e il delinquente è l’operaio. Peccato che la Germania non abbia solo eccedenza di proletari, ma anche di “intelligenze”; il capitale non è causa soltanto di un eccesso di produzione di merci, di operai, di donne e di fanciulli, ma anche di impiegati e dottori, come vedremo più innanzi.

 


 

(133) Mathilde Reichardt-Stromberg (1823-1898), nota per aver scritto una risposta a Fanny Lewald e alle sue “Lettere pro e contro le donne”.  Fanny Lewald, scrittrice tedesca (1811-1889), di genitori ebrei, a 17 anni passata alla chiesa evangelica, fu una sostenitrice dell’emancipazione femminile in chiave progressista borghese, aspirando ad  equiparare la “libertà” delle donne a quella degli uomini nei viaggi, nei rapporti sessuali, nei comportamenti sociali.

(134) George Sand, scrittrice e drammaturga francese, pseudonimo di Amantine Aurore Lucile Dupin, femminista moderata, partecipò  al governo provvisorio del 1848 a Parigi esprimendo posizioni vicine al socialismo che però abbandonò col tempo assumendo posizioni moderatamente repubblicane; oppositrice della politica temporale del papato. Fu contraria alla guerra franco-prussiana nel 1870-1871, ma poi appoggiò Thiers come capo del governo di Versailles mentre la Parigi socialista, che Thiers voleva disarmare, insorgeva costituendo la Comune. La Comune fu sconfitta, 30.000 comunardi furono massacrati e George Sand giustificò quel massacro!

(135) Lucrezia Floriani è un personaggio di un romanzo di George Sand che porta lo stesso titolo.

(136) Göthe (Johann Wolfgang von Göthe), (1749-1832) fu scrittore, poeta, drammaturgo tedesco che approfondì la filosofia, la religione, l’arte e le scienze dal punto di vista di diverse culture, oltre alla tedesca, l’inglese, la francese, l’italiana, l’araba, l’ebraica. Estremamente prolifico, tra i romanzi più noti: I dolori del giovane Werther e Le affinità elettive; tra le opere teatrali più note: Ifigenia in Tauride, Faust, Torquato Tasso; tra le poesie: Prometeo, L’apprendista stregone, Elegie romane; tra i saggi: Teoria dei colori, Viaggio in Italia, La metamorfosi delle piante.

(137) Il dottor Schäffle nella sua opera «Struttura e vita del corpo sociale» dice: «Certo non è desiderabile che si rallentino i vincoli matrimoniali col facilitare lo scioglimento dei matrimoni. Perché ciò contropererebbe ai compiti morali dell’umano accoppiamento e sarebbe nocivo alla conservazione della popolazione non meno che alla educazione dei figli».

A questo proposito osserviamo che noi riteniamo queste idee non solo ingiuste e false, ma siamo assai inclinati a ritenerle «immorali». Intanto il dottor Schäffle sarà d’accordo con noi in questo, che non si può pensare cioè di introdurre in una società infinitamente più colta e civile della nostra e di conservare in vita ciò che urta contro i suoi principi morali. Nota di A. Bebel.

  (138) E’ molto probabile che A. Bebel si riferisca in questo caso a Wilhelm von Humboldt (1767-1835), linguista, diplomatico e filosofo tedesco, amico di Göthe e di Schiller.

(139) Philipp Mainländer (1841-1876), poeta e filosofo tedesco. La sua opera più nota è Filosofia delle Redenzione, “forse il più radicale sistema pessimistico noto in tutta la letteratura filosofica mondiale”, secondo il filosofo Theodor Lessing.

(140) Karl Robert Eduard von Hartmann (1842-1906), filosofo tedesco noto soprattutto per la sua dottrina sul pessimismo; la sua opera principale è stata Filosofia dell’inconscio.

(141) Citato nella «Storia naturale della creazione» di Hückel, IV edizione. Nota di A. Bebel.

(142) Morgan: Ancient Society, pag. 552. Citato da Engels: «L’origine delle famiglie». Nota di A. Bebel. Il titolo completo dell’opera di Lewis Henry Morgan è: Ancient Society, or Researches in the Lines of Human Progress from Savagery, through Barbarism to Civilization, pubblicato a Londra nel 1877.

(143) L’interesse nazionale e l’interesse dell’umanità sono oggi in conflitto; quando la società avrà raggiunto un grado più alto di civiltà, questi interessi si concilieranno e saranno un interesse solo. Thünen «Lo Stato isolato». Nota di A. Bebel.

(144) Le sproporzioni enormi e la perfezione raggiunta oggidì dagli strumenti di guerra fra tutti i «popoli civili» e quelle anche maggiori che raggiungeranno sotto lo stimolo della concorrenza, porteranno a questo risultato, che la prossima guerra sarà anche l’ultima, perché l’umanità non si adatterà più una seconda volta a soffrire un altro macello e la guerra diventerà impossibile per gli eccessi che essa produrrà. Inoltre la prossima guerra, nel caso che scoppi, farà fallire la maggior parte delle grandi nazioni europee e rovinare moltissimi privati, e determinerà una guerra civile. Nota di A. Bebel.

(145) Condorcet, per esempio, uno degli enciclopedisti francesi del secolo scorso, ebbe l’idea di una lingua universale, e difese anche la piena eguaglianza giuridica della donna. Più tardi il già presidente Grant disse in una allocuzione: «Siccome il commercio, l’istruzione e la rapida trasmissione del pensiero e delle cose per mezzo del telegrafo e del vapore, hanno tutto trasformato, così io credo che Dio prepari il mondo a diventare una nazione, a parlare una lingua, a raggiungere uno stato di perfezione in cui non siano più necessari né eserciti, né flotte».

Non deve recar meraviglia che il buon Dio debba esercitare la stessa azione eguagliatrice anche presso i sanguinari yankee. L’ipocrisia od anche la limitazione delle idee in fatto di religione, in nessun luogo è più grande che negli Stati Uniti. Quanto meno l’autorità dello Stato opprime la massa, tanto più può operare la religione. Perciò la borghesia sembra dappertutto più devota là dove l’autorità dello Stato è più debole, e cioè negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Belgio e nella Svizzera. Nota di A. Bebel. Nicolas de Condorcet (Marie-Jean-Antoine-Nicolas de Caritat, marchese di Condorcet) (1743-1794) era un matematico, economista, filosofo e politico rivoluzionario francese vicino al partito dei girondini. Ulysses S. Grant (Hiram Ulysses Grant) (1822-1885), generale unionista e politico statunitense, fu il 18° presidente degli USA, dal 1869 al 1877.

(146) Thomas Robert Malthus (1766-1834), economista e demografo britannico, nel 1798 pubblicò la sua opera principale, Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società. Da economista pubblicò nel 1815 anche il Saggio sulla rendita, in cui è descritta la teoria della rendita differenziale, teoria già avanzata dallo scozzese James Anderson nel 1777 e formulata anche da un altro economista britannico, Edward West (1782-1828), contemporaneo di Malthus, nel suo Saggio sull’applicazione del capitale alla terra.

(147) James Hargreaves (1720-1778), tessitore e carpentiere britannico, celebre per aver inventato la “spinning jenny” (in italiano, giannetta) nel 1764, una macchina filatrice a lavoro intermittente e dotata di fusi multipli, che brevettò nel 1770. Fu una delle grandi invenzioni tecniche nel settore tessile che permise di ridurre drasticamente la manodopera aumentando quindi la produttività capitalistica, contribuendo nello stesso tempo ad aprire l’epoca della “rivoluzione industriale”.

Sir Richard Arkwright (1732-1792), esperto di meccanica, brevettò nel 1769 il filatoio automatico, macchinario col quale il cotone grezzo veniva trasformato in filo, macchinario simile alla giannetta.

James Watt (1736-1819), matematico e ingegnere scozzese. Tra il 1764 e il 1768, con John Roebuck, costruisce un modello di macchina a vapore (una pompa a pistone azionata da un motore a vapore a condensazione interna). L’invenzione consisteva nell’applicazione dell’energia trasmissibile con il vapore, ossia nel trasformare l’energia chimica in energia meccanica. Si usa ancora oggi, per gli autoveicoli, l’unità di misura stabilita da Watt e chiamata “cavalli vapore”. Nel sistema internazionale di misura, il watt è l’unità di misura della potenza, meccanica, elettrica o termica, ossia il rapporto tra unità di energia (in joule, J) e unità di tempo (in secondi, S).

(148) Vedi il poema Irlanda di Ferdinando Freiligrath. Nota di A. Bebel.

(149) Home-Rule: autogoverno in questioni locali, di una città di una contea, senza ricevere il benestare da parte dello Stato o del governo centrale, applicato tra il 1855 e il 1860. Riguarda territori del Regno Unito, in particolare l’Irlanda e poi la Scozia e il Galles. Gli Home-Ruler formano, per l’appunto, quella classe di possidenti che concentreranno nelle proprie mani, terreni, affari e poteri locali.

(150) I due milioni di campi che comprendono le regioni fruttifere della Scozia, sono ridotti incolti e deserti. I pascoli naturali di Elen-Filt sono fra i più lucrosi della contea di Perth, la Deer Forest di Ben-Aulder era il fondo migliore di tutto il vasto distretto del Badenoch, una parte del Black Mount Forest era il pascolo più eccellente della Scozia per le pecore del pelo nero.

Dalla estensione del suolo, reso incolto per appagare la passione della caccia, si può formarsi un concetto del fatto che esso comprenda una superficie molto maggiore della contea di Perth. Quale perdita abbia subito il paese nei riguardi della produzione per effetto di questa distruzione del suolo, si può giudicare da ciò che la Deer-Forest di Ben-Aulder potrebbe alimentare 15 mila pecore e che essa non ascende che alla 30ª parte di tutta la superficie destinata a parchi da caccia della Scozia... Tuttavia questa superficie è assolutamente improduttiva – ed avrebbe potuto benissimo essere immersa nelle onde del Mare del Nord». Carlo Marx: «il Capitale», 2ª edizione. Nota di A. Bebel.

 

 

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