La Gran Bretagna se ne va dall'UE...

(«il comunista»; N° 144;  Luglio 2016)

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In occasione del referendum sulla permanenza o sull'uscita della Gran Bretagna dall'UE, molte previsioni  degli stessi borghesi davano come molto probabile l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea. E il risultato finale del referendum, voluto dall'attuale governo conservatore Cameron più per ragioni di gestione dei contrasti su questo tema all'interno stesso dei tory che per altro, ha confermato quelle previsioni. Va precisato che i motivi di fondo dei contrasti all'interno dell'UE, e quindi anche di ogni suo Stato-membro, sono più politici che economici, nel senso che la spinta verso una unione "politica" tra i paesi europei ha sempre trovato forti opposizioni, in tutti i paesi d'Europa, e in particolare in Gran Bretagna, che muovevano a sostegno delle proprie posizioni le solite e tradizionali ragioni di intoccabilità della "sovranità nazionale" (ragioni che normalmente nascondono interessi economici e imperialistici ben porecisi). Naturalmente, in generale, le ragioni economiche non sono mai disgiunte dalle ragioni politiche; ed è più per ragioni economiche che, dapprima alcuni e poi molti altri paesi d'Europa, nel corso del secondo dopoguerra, si sono associati (prima nella Ceca, poi nel Mec, poi nell'UE, poi nella "zona euro" come moneta unica ecc.).

Ma il corso di sviluppo del capitalismo è costantemente accidentato dalle crisi che lo stesso capitalismo produce (economiche, monetarie, finanziarie, politiche) ed è l'accumulo nel tempo dei fattori di crisi che acutizza sempre più i contrasti tra i diversi paesi, tra le diverse borghesie dominanti. Non va mai dimenticato quel che Marx ed Engels sottolineavano nel Manifesto del 1848: la borghesia è sempre in lotta, da principio contro l'aristocrazia, più tardi contro le parti della stessa borghesia i cui interessi vengono in contrasto col progresso dell'industria, e sempre contro la borghesia di tutti i paesi stranieri! La pace tra le classi dominanti borghesi è quindi storicamente soltanto una tregua tra un conflitto e quello  successivo: la concorrenza spinge i diversi Stati a contrastare la posizione che altri Stati hanno nel farttempo conquistato sul mercato, fino a che questa concorrenza non si trasforma in atti di guerra: ora commerciale, ora monetaria, o finanziaria, o politica e infine militare. E in tutto questo corso di sviluppo del capitalismo la classe borghese, che domina in ogni paese economicamente e politicamente, non è però in grado di dominare le forze produttive moderne che il modo di produzione capitalistico ha creato rispetto ai rapporti di produzione imposti dallo stesso modo di produzione. I rapporti borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, la società borghese moderna che ha creato per incanto mezzi di produzione e di scambio così potenti, rassomiglia al mago che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate (sempre il Manifesto, 1848).

Se così non fosse, nella società borghese moderna non vi sarebbero più crisi, i governi borghesi sarebbero riusciti a debellare definitivamente le cause delle crisi economiche e delle crisi sociali, potrebbero finalmente lanciare al mondo la buona novella: non più contrasti, non più oppressione, non più miseria, non più guerre! Ma la società reale, la società attuale mostra inesorabilmente la sua impossibile soluzione delle contraddizioni che essa stessa crea e  sviluppa: la borghesia, classe dominante nella società attuale, è essa stessa dominata dai potenti mezzi di produzione e di scambio; inevitabilmente viene sopraffatta da quegli stessi potenti mezzi di produzione e di scambio. Certo, la classe borghese non subisce passivamente questa situazione; tenta in tutti i modi, da un lato, di prolungare nel tempo il suo dominio economico e politico sulla società - con ogni mezzo, pacifico e violento - dall'altro, di limitare i danni che le crisi provocano alla sua spasmodica ricerca di profitto e, da un altro lato ancora, di scaricare sulle borghesie straniere, o su altre frazioni della stessa borghesia e, soprattutto s,ulla classe proletaria del proprio paese e dei paesi stranieri, la maggior parte delle conseguenze negative delle crisi del suo sistema economico e sociale. E questo vale sia all'interno delle Alleanze economiche e politiche tra Stati, sia all'esterno diq eulle Alleanze.

La Gran Bretagna è d'altra maestra nel difendere i propri interessi imperialistici, sia direttamente che indirettamente, contro il mondo intero; la storia del capitalismo inglese documenta la sua grande forza di penetrazione e di dominio in tutti i Continenti conosciuti, ma documenta anche il suo inevitabile declino sull'arena mondiale di fronte ad economie e Stati elevatisi a concorrenti di primissimo piano e potenzialmente in grado di sottomettere la vecchia Signora dei Mari. E', di fatto, contro questo lento ma inevitabile declino - ciò però non significa che il capitalismo britannico abbia perso la forza dei suoi artigli; Londra è sempre, con New York, il centro finanziario mondiale più importante - che i governi britannici (Laburisti e Conservatori) hanno fatto e fanno tutto ciò che è in loro potere per difendere gli interessi del proprio imperialismo, anche se questi si esprimono ormai da tempo nella forma non solo di contrasto con gli interessi imperialistici dei più forti paesi europei, Germania e Francia innanzitutto, ma anche nei contrasti di tipo nazionalistico interno (leggi Scozia, ma anche Irlando del Nord).

Le crisi del capitalismo acutizzano inevitablmente i contrasti anche di carattere "nazionalistico", al di là delle supposte o reali ragioni "storiche"che stanno alla loro base. E non è certo con i mezzi esclusivamente "democratici" che questi contrasti possono venir superati. Se nel referendum del 23 giugno avessero vinto i "remain", quei contrasti non sarebbero spariti; si sarebbero solo mimetizzati sotto altre forme illusorie di attenuazione, spingendo comunque il governo in carica a tacitare in qualche modo gli interessi sostenuti dalle frazioni borghesi e piccoloborghesi che hanno sostenuto la Brexit.

Ma in questo teatro in cui i protagonisti sono la grande borghesia, la media e piccola borghesia, è stato assente il proletariato: il proletariato inteso come classe per sé, non come classe per il capitale. Essere sfruttato dai borghesi del proprio paese o dai borghesi di altri paesi, le condizioni di schiavitù salariale sostanzialmente non cambiano; perciò, che la Gran Bretagna resti nell'Associazione capitalistica di nome Unione Europea o che ne esca (ma per associarsi in altro modo), interessa esclusivamente alla borghesia. I proletari hanno altri obiettivi e vanno tutti nella direzione di lottare contro lo sfruttamento del lavoro salariato che, oltretutto, in periodo di crisi, tendono sempre più a peggiorare per la loro stragrande maggioranza, e contro il sistema sociale che si basa su quello sfruttamento.

Che in Inghilterra la borghesia e la piccola borghesia abbiano un'influenza ancora determinante sul proprio proletariato è cosa che dura da moltissimi anni; e le basi di questa enorme influenza sono quelle che già Engels e Marx individuavano parlando dell'aristocrazia operaia: la borghesia inglese, grazie al suo dominio mondiale, "è sempre stata costretta a fare appello al proletariato, a valersi del suo aiuto, e a trascinarlo così entro il movimento politico", ma per ottenere che il proletariato lottasse non per sé, per i propri interessi di classe, ma per gli interessi borghesi, ha utilizzato costantemente una parte dei profitti acumulati .....per comprare almeno gli strati superiori del proprio proletariato, legandoli a se stessa politicamente e ideologicamente. E' da questa abbraccio velenoso e paralizzante che il proletariato britannico dovrà staccarsi e la crisi che attanaglia sempre più anche il capitalismo inglese sarà la base materiale perché il proletariato  - che ormai, per molti versi, in Gran Bretagna non è più solo inglese, scozzese, gallese o irlandese, ma vi si mescolano pakistani, indiani, cingalesi, bengalesi, arabi, africani, centroamericani, oltre a molti europei dell'ovest come dell'est - ritrovi prima o poi il filo storico delle sue gloriose lotte anticapitalistiche dell'Ottocento e dei primi del Novecento.

La Gran Bretagna stava nell'Unione Europea in posizione speciale, in un certo senso privilegiata rispetto agli altri paesi, dovuta certamente al suo peso economico e finaziario a livello mondiale e alle sue relazioni internazionali, con gli Stati Uniti innanzitutto, ma con tutto il mondo data la sua lunga storia di prima potenza mondiale capitalistica. Ma questa posizione speciale evidentemente non rispondeva del tutto agli interessi imperialistici britannici, anzi, per un certo verso i vincoli chiesti per rimanere nella UE (soprattutto di ordine politico) cominciavano a stare molto stretti a una parte non insignificante della borghesia inglese, e questo si è riversato anche nel voto al referendum.

Molti media sostengono che la vittoria della Brexit la si deve al voto dei vecchi contro i giovani, all'ignoranza delle popolazioni rurali contro l'intelligenza dei cittadini, al peso della media e piccola borghesia contro il peso della grande borghesia, agli inglesi contro gli scozzesi e gli irlandesi del nord. In realtà, i veri elementi che spiegano la conclusione di questa tornata elettorale e le conseguenze immediate (ad es. la voglia di indipendenza della Scozia, o la tendenza dell'Ulster ad associarsi alla Repubblica d'Irlanda, gli scossoni alle borse di tutto il mondo e l'iirigidimento dei paesi europei più importanti), vanno cercati nelle ragioni espressamente economiche che, a loro volta, dettano le tendenze politiche.

La crisi prolungata che dal 2008 attanaglia tutti i paesi ha mandato in rovina numerosi strati sociali, sia borghesi che proletari, ed è sul timore di sprofondare ancor più nella crisi e nella rovina che ha fatto risalire in superficie la tendenza "isolazionista" della Gran Bretagna: una borghesia sempre più usuraia che spera di ottenere maggiori vantaggi nel breve e nel medio periodo chiudendo in parte le frontiere, non certo ai capitali,ma ai proletari di altri paesi spinti a trovare soluzioni di sopravvivenza nel paesi più ricchi, come appunto la Gran Bretagna. Spetterà al proletariato britannico, prima o poi, riconoscere nella propria posizione sociale di schiavitù salariale la condizione dialettica per riscattarsi da tanti decenni di complicità con la propria avida e macellaia borghesia nazionale, e trattare finalmente i proletari degli altri paesi, a partire da quelli delle ex colonie e dei paesi del Commonwealth a quelli del resto del mondo, come fratelli di classe.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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