Le nostre prese di posizione

Nella stagione di elezioni in Europa, continua la cinica turlupinatura del proletariato

 

Italia

L’ennesima tornata elettorale, questa volta per le amministrazioni locali del 5 giugno, non farà che ribadire la sudditanza e l’asservimento delle masse proletarie al capitale e ai suoi rappresentanti politici

(«il comunista»; N° 144;  Luglio 2016)

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Proletari!

 

Nonostante decenni di amministrazione  democratica della cosa pubblica, nei territori locali o nell’intero paese, dimostrino che le condizioni di esistenza delle masse proletarie non dipendono dalla buona o dalla cattiva “ volontà” dei rappresentanti politici organizzati nei partiti e nelle coalizioni che “vincono” le elezioni e perciò governano per un certo numero di anni, ma dipendono dai rapporti di forza esistenti tra le principali classi della società – la borghesia capitalistica e il proletariato – ad ogni appuntamento elettorale si mettono in moto le macchine della propaganda politica e ideologica che fanno capo ai diversi interessi delle lobby finanziarie, industriali, commerciali e politiche. Sono questi interessi, questi gruppi di interesse, che nella società capitalistica si intrecciano e si scontrano, ad orientare e dirigere l’attenzione delle masse verso le “soluzioni politiche” che rispondono meglio agli interessi più forti (in campo finanziario ed economico, naturalmente).

La democrazia borghese si ripresenta ogni volta come il metodo e il mezzo capace di “mettere d’accordo” interessi economici e sociali contrastanti; come il metodo e il mezzo più efficace per “coinvolgere” le grandi masse in un torneo dal quale esca un vincitore di cui tutti accettino la vittoria. Il fatto che attraverso le elezioni non sia mai cambiato nulla nei rapporti di forza tra la classe lavoratrice e la classe capitalistica – grazie ai quali rapporti la classe lavoratrice continua ad essere sottomessa alla schiavitù salariale e la classe capitalistica continua ad estorcere pluslavoro, e quindi plusvalore, dal lavoro salariato – sembra non aver alcun peso presso i proletari.

I proletari, accecati da decenni di collaborazionismo politico e sindacale e illusi di potersi garantire in qualche modo la vita loro e delle loro famiglie se seguono le indicazioni che i loro falsissimi rappresentanti politici e sindacali propongono, continuano a non vedere alcuna alternativa alla democrazia elettiva, a quella colossale presa in giro che sono le elezioni.

Il campo più ristretto, più locale, delle elezioni amministrative, appare come un luogo nel quale la “scelta” dei prossimi amministratori pubblici sia più accorta perché i candidati sono più conosciuti anche personalmente e sembrano più vicini ai problemi quotidiani vissuti dagli abitanti. Ma il meccanismo elettorale non si piega alla “volontà” di un gruppo locale sebbene “maggioritario”, come non si piega alla volontà di una maggiornaza nazionale, perché i “programmi politici” non sono dettati dalla somma di interessi individuali, ma esprimono interessi economico-sociali, e quindi politici, che vanno aldilà delle singole sfere individuali. Questa caratteristica non cambia, nemmeno nella democrazia più “diretta” possibile. Se gli interessi economico-sociali si riferiscono all’economia capitalistica, quindi al profitto, alla competitività delle merci prodotte, alla redditività delle aziende, alla partita doppia, significa semplicemente che qualsiasi “soluzione” proposta o attuata dipenderà da leggi economiche ben aldisopra delle attività locali e parziali. Le leggi del mercato, alle quali tutti i “buoni” e i “cattivi” borghesi non possono non riferirsi, non sono leggi che si possano cancellare o modificare con un voto, e nemmeno con una serie interminabile di voti (fatto salvo che i partiti e i gruppi politici parlamentari e democratici lo vogliano).

Nessun partito, nessun gruppo politico, nessuna associazione – salvo i comunisti rivoluzionari – ha mai posto nel proprio programma la lotta per la distruzione del modo di produzione capitalistico, la lotta per superare definitivamente la schiavitù del lavoro salariale, la lotta per eliminare dalla vita sociale lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo! Continuano a litigare su chi difende meglio il profitto aziendale, chi difende meglio il “proprio territorio” per trane il maggior profitto possibile, ma nessuno, nemmeno i cosiddetti rappresentanti “di sinistra” dei lavoratori, osano anche soltanto accennare al fatto che non mettendo in discussione le basi economiche di questa società – il modo di produzione capitalistico – non si fa che portare acqua al mulino del capitalismo e perciò alla conservazione dello sfruttamento del lavoro salariato e degli interessi locali, nazionali e internazionali dei gruppi capitalistici più potenti.

 

Proletari!

 

I rapporti di forza non si cambiano se non capovolgendoli. Non c’è mai stata una votazione che abbia cambiato il corso della storia, né a livello della grande storia mondiale nè a livello delle vicende locali. Quando si trattò nel 1914, all’epoca della prima guerra mondiale, quando i Partiti socialisti, a quel tempo rivoluzionari, erano presenti anche in parlamento, votare o meno i tragicamente famosi “crediti di guerra” nei diversi parlamenti dei paesi d’Europa, non sarebbe stato in sé un voto per il NO a fermare la guerra che i gruppi capitalistici più potenti si erano comunque preparati a fare e che la macchina della propaganda borghese del nazionalismo e della risposta all’aggressore sosteneva a tutto spiano. A quel tempo, i Partiti socialisti, che nel loro programma avevano la rivoluzione proletaria e, quindi, la distruzione della società borghese e del suo modo di produzione capitalistico, la rivoluzione internazionale e l’avvio alla società socialista, votando no ai crediti di guerra e, nello stesso tempo, allenando e preparando il proletariato a combattere per i propri obiettivi di classe sia immediati che storici, avrebbero dato un fortissimo segnale al proletariato mondiale per la sua riscossa di classe. Quel “no” poteva non fermare la guerra ma difendeva l’onore del partito di classe e, nello stesso tempo, convogliare tutte le forze del partito, e dei proletari che lo seguivano, per sviluppare la lotta di classe e la sua elevazione a lotta rivoluzionaria per il potere – come avvenne in Russia al tempo di Lenin.

Certo, l’ambito locale in cui si svolgono le elezioni amministrative non pone immediatamente in primo piano i grandi temi della soluzione generale dei problemi inerenti le condizioni di esistenza dei proletari, o il grande problema della rivoluzione. Per loro caratteristica specifica, le elezioni amministrative si occupano di fatti locali, di gestione locale oltretutto nel quadro di decisioni e leggi nazionali che vengono definite a livello governativo nazionale; perciò, fin dal principio, la gestione locale della “cosa pubblica” è condizionata inevitabilmente da decisioni prese centralmente. Ciò non toglie che i proletari possano toccare con mano tutta una serie di problemi che riguardano la loro lotta di difesa delle condizioni di vita e di lavoro, su cui sviluppare i propri metodi e mezzi di lotta in campo strettamente economico con gli scioperi, le manifestazioni che coinvolgano non solo i dipendenti degli enti locali ma anche i lavoratori delle diverse fabbriche e dei diversi settori, che coinvolgano i proletari immigrati e le condizioni igieniche e di abitabilità (acqua, servizi pubblici, casa).

I proletari devono trovare la forza di sottrarsi alle illusioni democratiche, all’illusione che, demandando la soluzione dei problemi agli “esperti” o ai “professionisti” della politica, sia possibile trovare una soluzione migliorativa. Finché restano prigionieri dei meccanismi politici e sociali legati strettamente alla collaborazione fra le classi – e le elezioni sono un metodo che tende a consolidare questa collaborazione – i proletari non avranno alcuna possibilità di difendersi realmente dagli attacchi alle loro condizioni di vita e di lavoro che l’insieme della classe dominante borghese, a livello nazionale, e internazionale, come a livello locale, conduce senza tregua, spinta com’è dalla crisi economica del suo modo di produzione e dalla spasmodica ricerca di recuperare le quote di profitto perse nella crisi.

I proletari, per uscire dalla situazione paralizzante che stanno vivendo da anni, devono prendere nelle proprie mani le sorti della propria vita, riorganizzandosi su un terreno completamente diverso e opposto da quello in cui si sono organizzati e sono stati organizzati finora dalle centrali sindacali tricolore e da partiti che si sono solo vestiti da “comunisti” o “socialisti” ma che in verità sono solo macchine mangia-soldi che hanno il compito di distrarre, dividere, isolare, demoralizzare le masse proletarie affinché non si accorgano di possedere invece una formidabile forza: forza che può essere messa al servizio degli interessi esclusivamente proletari se guidata da obiettivi di classe e con metodi e mezzi di classe!

Dire NO alla partecipazione alle elezioni non deve essere un disinteresse “per la politica” e un ripiegamento su se stessi e sui propri interessi personali. L’astensione dal partecipare alle elezioni, per i comunisti rivoluzionari, non significa astenersi dalla lotta politica, ma dedicare le proprie forze, le proprie energie e le proprie aspirazioni all’organizzazione della lotta di classe, a rimettere in primo piano le rivendicazioni e gli obiettivi di classe del proletariato che resta, comunque, al dilà degli sforzi prodotti dai padroni, dalla chiesa, dagli economisti e dagli opportunisti di ogni risma perché i proletari restino ciechi e sordi di fronte alle proprie esigenze, l’unica classe sociale che fa paura alla classe dominante borghese.

I borghesi, in fondo in fondo, non hanno paura della crisi economica, non hanno paura della guerra, non hanno paura dei disastri provocati dai terremoti, dalle alluvioni o dalle carestie e non hanno paura nemmeno della cosiddetta “invasione” dei migranti dall’Africa e dall’Asia. Queste situazioni, per i borghesi, sono in un modo o nell’altro “superabili” e se ci va di mezzo un borghese un altro ci guadagna e il sistema è salvo per tutti! I borghesi temono un’altra situazione, che per loro sarebbe la vera catastrofe: che i proletari, i propri schiavi salariati, si organizzino intorno ai propri interessi di classe e in opposizione netta con gli interessi borghesi; che i proletari ritrovino la forza di osare non solo a difendersi dagli attacchi e dalla repressione borghese ma anche di contrattaccare; che i proletari superino lo stadio della concorrenza fra di loro e riuniscano le proprie forze in un unico esercito di classe, contrapposto frontalmente alla classe dominante e ai suoi sgherri. Di questo i borghesi hanno paura, e il motivo va cercato nella storia del movimento proletario e delle sue lotte rivoluzionarie. I comunisti rivoluzionari, che non hanno abbandonato la visione generale e storica dell’emancipazione proletaria dal capitalismo, lavorano in questa direzione.

 

30 maggio 2016

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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