La Sinistra Comunista d’Italia sottoposta al supplizio borghese dei “dizionari biografici”

(«il comunista»; N° 145;  Settembre 2016)

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Da diversi anni stanno fiorendo iniziative editoriali che hanno preso di mira il nostro Partito, sia nella sua fase di ricostituzione organizzativa durante e dopo la seconda guerra mondiale, sia nella sua decisiva scissione del 1952 dalla quale nacquero due organizzazioni politiche che rivendicavano lo stesso nome di “partito comunista internazionalista”, ma che erano conosciute attraverso il titolo dei loro giornali (battaglia comunista e il programma comunista); in qualche caso si sono occupate anche delle scissioni successive.

Abbiamo trattato più volte, in numeri precedenti (1), dei volumi dedicati ad Amadeo Bordiga, e di coloro che hanno tentato di scrivere una “storia” del nostro partito concentrandosi sui “personaggi” piuttosto che sulle “posizioni politiche”. Gli autori di questi libri hanno motivato queste iniziative editoriali col nobile intento di far emergere una “verità” che è stata falsata e nascosta per decenni da un potere politico che aveva interesse non solo a stravolgere le posizioni autenticamente rivoluzionarie delle correnti di sinistra del marxismo, tra cui la nostra – la sinistra comunista d’Italia –, ma anche di gettare nel dimenticatoio della storia e di cancellare dalla memoria della classe operaia l’attività e l’azione dei partiti comunisti rivoluzionari e dei loro militanti che non hanno tradito la causa dell’emancipazione proletaria rimanendole fedeli anche a costo della vita. Con questi argomenti, essi tendevano e tendono dare a queste iniziative editoriali un valore “storico”, un valore appunto “nobile”, necessario per “ristabilire la verità” e per riportare alla luce militanti che per molti decenni sono stati dimenticati o semplicemente cancellati  dalla propaganda controrivoluzionaria – pensando di cancellare, con loro, le lotte e le battaglie alle quali parteciparono per un tratto della loro vita o per una vita intera – o di riportare a “nuova luce” militanti noti per la funzione svolta nei movimenti e nei partiti di cui erano membri e rappresentanti, come, in particolare, Amadeo Bordiga, militante comunista rivoluzionario incorrotto e incorruttibile che ha sempre combattuto contro l’intellettualismo, la personalizzazione delle tendenze politiche, la riduzione della teoria marxista e delle linee politiche, tattiche, organizzative che ne discendono ad oggetti di interpretazione personale.

Nel corso degli anni, più volte lettori e simpatizzanti hanno chiesto al partito perché non abbiamo mai dedicato del lavoro per editare l’opera omnia di Amadeo Bordiga e la storia del nostro partito attraverso i suoi rappresentanti più noti, considerando queste “opere” come strumenti utili a far uscire dall’oscurità, in cui lo stalinismo e la borghesia l’avevano cacciata, la corrente di sinistra che fondò il Partito comunista d’Italia e che condusse le sue battaglie contro il pericolo opportunista, prima, e la degenerazione, poi, nell’Internazionale Comunista fin dai tempi in cui Lenin era ancora vivo. La spiegazione è sempre stata una: il partito marxista non combatte soltanto sul piano della lotta politica e su quello delle lotte di difesa immediata del proletariato, ma combatte anche sul piano ideologico, cioè sul piano della teoria, e quindi del programma, e su quello filosofico e storico sul quale il nemico è l’individualismo e il personalismo. L’azione del partito è azione collettiva, è azione dell’organo indispensabile alla rivoluzione proletaria, alla dittatura di classe, alla guerra di classe contro le borghesie di tutto il mondo, alla trasformazione economica e sociale della società: è una forza sociale e storica che non potrà mai essere debitrice verso un “personaggio” che ne detti i principi teorici, il programma e l’azione. Fosse così, il materialismo storico e dialettico andrebbe gettato alle ortiche per abbracciare per l’eternità l’ideologia borghese con il suo “Io” creatore di pensiero e di volontà. 

E’ indubbio che la cultura politica democratica (stalinista e post-stalinista), per decenni, ha cercato e cerca ancora di strappare dalla memoria dei proletari, e delle loro generazioni più recenti, la gloriosa tradizione storica di lotta classista e rivoluzionaria, ma non è certo – come facevano i vecchi e fanno i novelli “storici” – trasformando in personaggi i militanti, che siano gregari o capi delle correnti comuniste rivoluzionarie, che contribuiranno a “risvegliare” i proletari dal lungo e intossicante sonno democratico e collaborazionista in cui sono caduti, spingendoli ad impugnare nuovamente le armi teoriche e pratiche della lotta di classe e della rivoluzione. Trasformandoli in personaggi, in nomi e cognomi (e pseudonimi), con tanto di foto, non fanno, in realtà, che rudurli in icone inoffensive; è così, il “dizionario biografico” diventa il cimitero dei rivoluzionari, o dei sovversivi se il termine piace di più, nei cui vialetti si possono vedere le lapidi dei morti e dei morituri, sulle quali piangere le lacrime delle propria sconfitta.

Sappiamo bene che la spietata lotta della borghesia contro il proletariato, contro le sue organizzazioni immediate classiste e, in particolare, il suo partito di classe, ieri come oggi e come domani, si nurre anche della falsificazione della verità e del reale corso dei fatti; ma non è incensando i capi rivoluzionari dopo che sono morti che la lotta di classe del proletariato avrà dei benefici. Al contrario, essa è ancor più, anche se talvolta inconsapevolmente, rinnegata.

Che le vicende legate ai partiti, alle correnti politiche e ai loro militanti rivoluzionari conseguenti abbiano subìto l’opera di falsificazione, di stravolgimento e di cancellazione dalle storie “ufficiali” da parte dei “vincitori” è cosa risaputa; come è cosa nota ai marxisti conseguenti che i rappresentanti del comunismo rivoluzionario, mentre in vita subiscono, da parte dei poteri costituiti e dei loro portavoce intellettuali e dai loro propagandisti, persecuzione, repressione, denigrazione, calunnie o eliminazione fisica, da morti, se non vengono gettati nel dimenticatoio, vengono trasformati in icone inoffensive, come denunciava Lenin.

«In tutto il mondo civile la dottrina di Marx si attira la più grande ostilità e l’odio più intenso di tutta la scienza borghese (sia ufficiale che liberale), che vede nel marxismo una specie di “setta perniciosa”. E non ci si può aspettare un atteggiamento diverso, poiché una scienza sociale “imparziale” [ alla pari di una storia sociale “imparziale”, NdR] non può esistere in una società fondata sulla lotta di classe. In un modo o nell’altro, tutta la scienza ufficiale e liberale difende la schiavitù del salariato, mentre il marxismo ha dichiarato una guerra implacabile a questa schiavitù. Pretendere una scienza imparziale nella società della schiavitù del salariato è una stolta ingenuità, quale sarebbe pretendere imparzialità da parte degli industriali nel considerare se occorre aumentare il salario degli operai diminuendo il profitto del capitale», così Lenin all’inizio del suo scritto Tre fonti e tre parti integranti del marxismo (2) del 1913.

Concetto che riprenderà con vigore nell’agosto-settembre 1917, poco prima della grande rivoluzione d’ottobre, all’inizio del suo formidabile testo Stato e rivoluzione, con queste parole: «Accade oggi alla dottrina di Marx quel che è spesso accaduto nella storia alle dottrine dei pensatori rivoluzionari e dei capi delle classi oppresse in lotta per la loro liberazione. Le classi dominanti hanno sempre ricompensato i grandi rivoluzionari, durante la loro vita, con implacabili persecuzioni; la loro dottrina è stata sempre accolta con il più selvaggio furore, con l’odio più accanito e con le più impudenti campagne di menzogne e di diffamazioni. Ma, dopo morti, si cerca di trasformarli in icone inoffensive, di canonizzarli, per così dire, di cingere di una certa aureola di gloria il loro nome, a “consolazione” e a mistificazione delle classi oppresse, mentre si svuota del contenuto la loro dottrina rivoluzionaria, se ne smussa la punta, la si avvilisce. La borghesia e gli opportunisti in seno al movimento operaio si accordano oggi per sottoporre il marxismo a un tale “trattamento” [è l’epoca dei socialsciovinisti che si facevano passare per marxisti, NdR]. Si dimentica, si respinge, si snatura il lato rivoluzionario della dottrina, la sua anima rivoluzionaria. Si mette in primo piano e si esalta ciò che è o pare accettabile alla borghesia» (3).

Ecco, è proprio in queste ultime frasi che Lenin coglie quel che tutti gli opportunisti e i falsi marxisti hanno sempre fatto: dimenticano, respingono, snaturano il lato rivoluzionario della dottrina marxista, la sua anima rivoluzionaria, mettendo in primo piano, esaltandolo, ciò che è accettabile o può essere accettabile alla borghesia. Con il pretesto di rendere nota la “vita” dei  rivoluzionari, e in particolare di uno, come Amadeo Bordiga, che ha avuto un ruolo costante nella difesa e nella restaurazione della dottrina marxista da ogni attacco opportunista e nella lotta rivoluzionaria non solo in Italia, ma a livello internazionale; e con il pretesto di rendere nota la “storia” di un movimento politico che si è sviluppato dal secondo dopoguerra in poi, pur con molte contraddizioni – sulle basi di una lotta politica che dette i natali al Partito comunista d’Italia e alla corrente della sinistra comunista che si battè contro lo stalinismo ed ogni sua variante successiva – e in cui Amadeo Bordiga militò fino alla sua morte, intellettuali di diversa ed eclettica provenienza politica si sono dedicati al “nobile” compito di trasformare Amadeo Bordiga in un personaggio, in icona inoffensiva e il partito, di cui fece parte, in una arena in cui i diversi “eredi”, “delfini” o “interpreti” delle pretese “sue” posizioni si combattevano per prenderne la leadership.

Si poteva dare quasi per scontato che questo “filone editoriale”, che ha visto la messa in piedi di una specie di “opera omnia” dei suoi scritti, avrebbe attirato molti sedicenti esperti di “bordighismo”, allargando il campo delle “indagini” non solo all’identificazione di moltissimi suoi scritti apparsi senza firma, in particolare dal secondo dopoguerra in poi, in pubblicazioni di partito – e perciò anonimi, poiché considerati dall’autore stesso come testi di partito, di un lavoro collettivo che non doveva essere considerato come opera personale di tizio o di caio –, ma anche al movimento politico e al partito in cui Amadeo Bordiga militò effettivamente dal 1952 in poi, cioè dalla formazione del partito di classe – “comunista internazionalista”, prima, e, dal 1965, “comunista internazionale” poi, rappresentato in particolare dal giornale “il programma comunista”.

Chi ha seguito e segue l’attività del nostro partito di ieri e di oggi, sa che, vivo Amadeo, il partito aveva cominciato a lavorare ad una “Storia della Sinistra comunista” come argomento di numerose riunioni generali e per la quale fu naturale, come per ogni altro lavoro di partito, la partecipazione collettiva dei militanti di partito; un lavoro di partito che continuò poi anche dopo il 1970, anno in cui morì Amadeo Bordiga. Tale lavoro di ricostruzione e di documentazione storica del “processo di formazione e di sviluppo di una sinistra comunista rivoluzionaria in Italia e, in seguito, la sua rilevante azione nel campo internazionale, dalle origini fino al 1926”, fu pubblicato di volta in volta nel giornale di partito – “il programma comunista” – come resoconto delle relative riunioni generali e, successivamente, per una sua fruizione più pratica ed efficace e per una diffusione anche all’esterno del partito, si passò a raccogliere questi resoconti in volumi. Il primo volume, che tratta la storia della corrente marxista intransigente in Italia dalle origini fino al 1919, uscì nel 1964 e nelle righe che introducono il testo si può leggere quanto segue:

«Sia il testo di oggi, che i testi di allora, sono anonimi: gli uni e gli altri perché da noi considerati non già come espressione di idee o di “opinioni” personali, ma come testi di partito, e il primo per la ragione supplementare che è frutto di un lavoro di ricerca, di riordinamento e di compilazione collettivo, al quale non si addice nessuna etichetta di persona, e che non solo non comporta ma esclude la borghese e mercantile rivendicazione della peggiore forma di proprietà privata, quella “intellettuale”» (4).

Per noi è fuori discussione che Amadeo Bordiga, finché ebbe la forza in vita, diede al partito un contributo fondamentale sia in termini di restaurazione della dottrina marxista, sia in termini di bilancio storico e politico di tutto il movimento comunista internazionale, nelle sue vittorie e, soprattutto, nelle sue sconfitte, come dell’intero corso degenerativo del movimento comunista e dell’Internazionale Comunista: tracce di lavoro e di approfondimento teoricamente e politicamente certe e vitali nel solco dell’intransigenza e nell’invarianza della teoria marxista, senza dimenticare le questioni inerenti ai campi della tattica e dell’organizzazione. E fu lui stesso, utilizzando la sua poderosa memoria e la sua preparazione teorica – pari certamente a tutti i grandi rivoluzionari marxisti – a mettersi a disposizione della lotta che il Partito doveva condurre per riconquistare il saldo possesso della teoria marxista, e ad incitare il partito ad “utilizzarlo” come sonda storica per ricostruire correttamente i fatti della storia delle lotte di classe e del movimento comunista non solo “italiano” ma internazionale. E’ per rimettere i fatti nel posto giusto nel lungo e accidentatissmo percorso storico del movimento rivoluzionario, che si dedicò alla Storia della Sinistra comunista che, inevitabilmente, per motivi storici e non certo per spirito nazionale, è stata soprattutto “italiana”, proprio perché, su solide basi teoriche e su consolidate esperienze di lotta contro le illusioni democratiche e contro l’opera insidiosa dell’opportunismo che su quelle illusioni, in particolare in Occidente, basò il suo successo controrivoluzionario, la Sinistra comunista d’Italia (come preferiamo chiamarla noi, per evitare l’interpretazione nazionalistica che è stata fatta) fu l’unica corrente politica marxista in grado, internazionalmente, non solo di resistere alla degenerazione dell’Internazionale e al dilagare dello stalinismo, ma a riprendere sulle proprie basi storiche la lotta per la restaurazione del marxismo rivoluzionario e per la ricostituzione dell’organo rivoluzionario per eccellenza, il partito di classe.

Questa attività, questo lavoro, non avrebbe potuto essere che collettivo anche se per un lungo periodo di tempo, dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, il suo perno, la sua bussola non poteva che essere Amadeo Bordiga, il quale non poteva - insieme al piccolo gruppo di compagni del 1921 che riunirono le proprie forze nel movimento che formò il partito nel secondo dopoguerra - non richiamare costantemente il metodo che ha sempre caratterizzato la sinistra comunista d’Italia, la lotta contro il culturalismo e, quindi, la lotta contro il metodo che vuole il confronto e lo scontro tra opinioni, tra idee, tra personaggi e i loro cervelli, mentre il marxismo ci ha insegnato che  la lotta è tra forze sociali che, nella lotta, esprimono – quando li esprimono – i propri rappresentanti, i capi, i condottieri, gli “artefici” dei successi rivoluzionari.

E siamo nuovamente al punto dolente, la proprietà intellettuale, considerata la peggiore forma di proprietà privata. La lotta contro la società borghese, la società del capitale e del lavoro salariato, la società della proprietà privata e dell’appropriazione privata della produzione sociale (detto altrimenti, del lavoro collettivo), non può non prevedere la lotta contro l’ideologia borghese e la lotta contro ogni sua espressione che fa dell’individuo singolo – ossia la classificazione in cui l’anagrafe di questa società in putrefazione iscrive ogni individuo (5) – elevato dalla borghesia all’apice dei suoi valori ideologici e materiali, il perno di ogni attività materiale e spirituale.

Base della mistificazione della realtà sociale da parte della borghesia è per l’appunto l’idea che l’ “opinione individuale”, la “coscienza” e la “volontà d’azione” degli individui siano valori eterni, imprescindibili per il buon funzionamento di qualsiasi organizzazione sociale che la storia abbia conosciuto. Secondo l’ideologia borghese, tutto il mondo si sviluppa, si ferma o torna indietro, grazie all’atteggiamento di ciascun individuo e, naturalmente,  alla sua “coscienza individuale”. Va da sé, quindi, secondo l’ideologia borghese, che tra la moltitudine di individui che abita la terra emergano individui “più dotati”, fisicamente e intellettualmente, destinati ad usare la propria “coscienza”, il proprio “sapere”, la propria “volontà”, per eccellere rispetto agli altri e per “indicare la via”, per esprimere od imporre la propria “opinione”, la propria individuale “scelta”. Cosicché la storia degli uomini è sì fatta dagli uomini, ma sarebbe diretta, condotta, decisa da alcuni uomini super dotati.

Per i marxisti, come è noto, alla base dello sviluppo storico delle società sta l’organizzazione economica, l’organizzazione della soddisfazione dei bisogni materiali economici per la quale, a seconda della produzione e della riproduzione dei prodotti per la sopravvivenza dei gruppi umani e del loro sviluppo, si sono formati interessi contrastanti espressi a loro volta, a seconda dello sviluppo sociale della società, da classi sociali antagoniste. Il pensiero, le idee, le opinioni di ciascun individuo non sono che il riflesso dei materiali rapporti economici e sociali; ed è dimostrato storicamente che l’ideologia dominante in una data società è l’ideologia delle classi o della classe dominante, essendo tali perché hanno in mano il potere economico e politico con cui controllano la società e difendono con ogni mezzo, violento e pacifico, i loro interessi contro gli interessi delle altre classi.

Sono questi interessi di classe che fanno da base ad ogni espressione culturale, artistica, filosofica, politica o religiosa. La borghesia, nel suo corso storico, ad un certo grado di sviluppo del suo modo di produzione e della sua società, dopo aver rivoluzionato l’economia e i rapporti sociali e, insieme alla lotta di concorrenza contro le borghesie di ogni altro paese, si è trovata a dover fronteggiare la classe salariata non solo sul piano dei contrapposti interessi economici immediati, ma anche sul piano sociale e politico più generale e ciò l’ha spinta non solo ad attrezzarsi in modo sempre più efficace e sofisticato dal punto di vista della difesa armata attraverso lo Stato, ma anche ad intensificare l’opera di propaganda e di educazione politica delle grandi masse salariate poiché per continuare a vivere del profitto capitalistico non può smettere di sfruttare il lavoro salariato in modo sempre più vasto e intenso, sapendo che deve e dovrà contrastare la reazione anche violenta delle masse sfruttate, non solo in espisodi isolati, ma anche in situazioni ben più pericolose per il suo potere come quelle della rivoluzione proletaria e comunista.

Per la sua opera di propaganda e di educazione politica, la classe dominante borghese ha costituito un esercito non solo di politici e di organizzatori sociali, ma anche di educatori, insegnanti, scrittori, artisti, scienziati, in poche parole un esercito di intellettuali provenienti non soltanto dall’alta borghesia, ma da tutti gli strati sociali e da tutte le classi; intellettuali che usino le capacità individuali a sostegno dei valori e degli ideali attraverso i quali far passare gli obiettivi e gli interessi di classe della borghesia come obiettivi ed interessi di tutte le classi, per coinvolgere la classe proletaria rendendola complice della propria schiavitù, l’unica classe storicamente rivoluzionaria della moderna società. La classe dominante borghese, non nei suoi singoli rappresentanti, ma come classe, ha accumulato esperienza di dominio e di controllo sociale che le ha permesso di ricavare utili lezioni dalle sue crisi e dalle sconfitte.

La grande paura, il terrore che la classe borghese nelle sue rivoluzioni del XIX secolo ha fatto scorrere sulle schiene feudali dell’aristocrazia e del clero, ha provato la stessa paura scorrere sulla propria schiena durante la Comune di Parigi e, soprattutto, nel periodo aperto dalla Rivoluzione d’Ottobre 1917. Come ogni potere di classe, anche il potere della classe borghese non avrebbe mai ceduto e non cederà mai senza combattere. Una delle armi più insidiose ed efficaci che riuscì ad utilizzare contro il proletariato e contro i partiti proletari rivoluzionari fu certamente l’opportunismo e non una sua sola versione, ma le più diverse versioni generate dallo sviluppo della lotta di classe e del movimento rivoluzionario, dalle sue vittorie e soprattutto dalle sue sconfitte, fino alla forma particolare di opportunismo che fu lo stalinismo, ossia la controrivoluzione borghese dalle sembianze proletarie e comuniste. Esso non solo ha affiancato l’opera sistematica di repressione degli Stati borghesi contro il proletariato in generale e contro i militanti rivoluzionari in particolare, ma ha svolto anche direttamente il compito storico che ogni controrivoluzione è chiamata a svolgere: reprimere con ogni mezzo, annichilire e sterminare le forze che hanno lottato e continuavano a lottare contro il potere politico, economico, sociale ed ideologico della classe borghese.

Oltre a trasformare i rivoluzionari morti in icone inoffensive, l’opportunismo più evoluto ha usato le formule, le parole, i concetti caratteristici del marxismo stravolgendone il contenuto e lo spirito, appiccicando alle categorie capitalistiche, come merce e mercato, l’aggettivo di socialista, e chiamando “dittatura del proletariato” forme di governo centralizzate che si sono date in realtà il compito di difendere, imporre e sviluppare l’economia capitalistica, a cominciare dalla Russia stalinizzata per arrivare alla Cina di Mao tse-Tung. In seguito, doveva far passare i più diversi governi borghesi per “democrazie socialiste”... e, infine, a causa della crisi capitalistica mondiale che fece crollare i governi dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti europei occidentali, aprendo finalmente le porte alla verità storica del falso socialismo unicamente da noi sempre denunciata, doveva concludere che “il comunismo” aveva fallito e che l’unica società possibile rimaneva la società borghese capitalistica nella quale il compito delle forze proletarie e dei suoi partiti non poteva essere più quello di rivoluzionarla da cima a fondo, ma quello di riformarla, di utilizzare meglio e con più intelligenza e furbizia gli strumenti della stessa borghesia, primi fra tutti la democrazia, la sua stessa ideologia! Tornando in questo modo, come denunciava Lenin, a proporsi come miglior strumento della propaganda borghese atta a trasformare i capi rivoluzionari in icone inoffensive e l’attività di partito alla quale hanno partecipato in una delle tante espressioni della loro individuale “personalità”.

Si capisce allora come mai, dopo i volumi sulla vita e l’opera di personaggi “oscuri” x o y del comunismo di sinistra, qualcuno si sia dedicato alla stesura di una sorta di “dizionario biografico” di militanti che in parte o in toto hanno fatto parte o avuto contatti con la sinistra comunista “italiana”. E’ stato il caso del «Dictionnaire biographique d’un courant internationaliste. Un siécle de Gauche communiste “italienne” (1914-2014)» e di un «Dizionario biografico dei comunisti “italiani” 1912-2012» (6). Questi due scritti hanno lo stesso impianto, e sono il prodotto di una collaborazione tra i due principali autori; essendo dizionari, seguono l’ordine alfabetico dei nomi di militanti, morti o ancora vivi, che a completa discrezione degli autori sono stati “scelti” e inseriti nell’elenco. Perciò vi si trovano anche nomi che non hanno nulla a che vedere con le posizioni che hanno caratterizzato la sinistra comunista d’Italia sia negli anni di riferimento (dal periodo originario,1912 fino al 1926), sia negli anni successivi della Frazione all’estero e della riorganizzazione del gruppo politico che darà i natali al partito comunista internazionalista e, poi, internazionale. E’ evidente, d’altra parte, che gli autori, per scrivere qualcosa che avesse un minimo di giustificazione formale su un nome piuttosto che su un altro, hanno fatto ricerche presso archivi di gruppi, movimenti, partiti, biblioteche, presso archivi statali e personali, e raccolto documenti e  testimonianze dirette o per interposta persona, dedicando per alcuni, a seconda del materiale raccolto e delle simpatie personali, poche e inutili righe o addirittura scrivendo cose del tutto inesatte e perciò falsando quella che dovrebbe essere la “verità”. Che questi autori abbiano una totale sudditanza rispetto alla democrazia borghese e ne seguano la mezognera illusione di una “libera circolazione delle idee e delle persone”, è dimostrato dal lavorìo fatto per pubblicare dati e notizie personali di tutti i nomi che hanno deciso di citare nel loro “dizionario”, soddisfacendo in questo modo la curiosità propria e quella di tutti coloro che “vivono” di pettegolezzo e di politicantismo personale. Che poi si siano dilettati di annotare a fianco di ogni cognome, il loro nome proprio e i loro pseudonimi, non solo per i militanti morti magari da anni, ma anche per quelli vivi e vegeti e ancora attivi politicamente, è dimostrazione ulteriore di un atteggiamento facilone che punta dritto alla bastardata e alla delazione. Ma, come dicevamo, il principio democratico innanzitutto: ognuno può avere le “sue” idee, fare l’attività che gli va di più, cambiare casacca a seconda del vento che tira, gettare nella spazzatura la casacca che per avventura ha infilato una volta, usare nomignoli o pseudonimi, firmare o non firmare articoli, rivendicare o meno la paternità di uno scritto o di un discorso; ma se sei un intellettuale sedicentemente “esperto” di comunismo di sinistra e di sovversivi di ieri e di oggi, in un periodo in cui il comunismo di sinistra è ben poco conosciuto e le masse proletarie sono ancora abbondantemente intossicate di illusioni democratiche e religiose, allora questo intellettuale può vestire la tunica del messia, può additare alla sua platea chi ha l’onore di essere da lui citato e decidere chi dovrà restare nell’ombra, può usare i dati e le notizie personali raccolte su tizio e caio per incensarlo o per squalificarlo.

Chi ci segue sa che per noi l’anonimato non è un dogma, ma un’arma della lotta contro il personalismo, contro l’individualismo, contro la riduzione della lotta di classe alle idee, alle opinioni che albergano nelle teste di capi e di gregari. Con Amadeo ripetiamo che il ricorso ai nomi di singoli comunisti per riferire di posizioni, scritti, atti e azioni particolari è un accidente che ci troviamo tra i piedi ma dal quale ci dobbiamo nello stesso tempo difendere per non cadere nella trappola, tutta borghese, di elevare quello che è il riflesso ideologico, nei cervelli dei singoli individui, della realtà contraddittoria di forze sociali che si combattono, ad una funzione agente e determinante di una realtà che potrebbe essere modificata grazie appunto alla osannata “forza delle idee”, alle “prese di coscienza” dei singoli individui. Ma sbaglia chi pensa che l’anonimato che ha caratterizzato la battaglia del nostro partito di ieri, e che lo caratterizza costantemente nel tempo, è un vezzo “bordighista”; per noi non è mai stato legato temporalmente alla vita di Amadeo Bordiga, morto il quale non avrebbe più ragione di essere applicato. Come dicevamo è un’arma della lotta che come partito marxista abbiamo il dovere di condurre in permanenza, al di là del periodo di vita politica dei suoi militanti, perché la “proprietà intellettuale” che la società borghese ha codificato e che difende come qualsiasi altra declinazione di proprietà privata, è tra le più insidiose manifestazioni dell’ideologia borghese e della sua applicazione pratica, in regime democratico come in regime totalitario.

E’ evidente che ciascun compagno, preso singolarmente, possiede proprie qualità, determinate propensioni, un certo carattere, determinate conoscenze, esperienze dirette o indirette in determinati campi, ma dal momento in cui diventa militante di partito - dunque il singolo compagno si integra nella vita e nell’attività del partito - tutto ciò entra a far parte di una forza collettiva, forza che a sua volta non è definibile come somma di capacità individuali, ma come, appunto,  integrazione di capacità individuali – dunque contingenti – con la storia di un movimento che oltrepassa le generazioni e le vite individuali, tramandando nel tempo il risultato complessivo, collettivo, della complessa attività del partito di classe. Nella nostra Storia della sinistra comunista, vol I, edizione del 1964, a proposito delle origini della corrente della sinistra comunista e di coloro che hanno scritto e scrivono la “storia” della “sinistra comunista italiana” e delle origini del partito comunista (Livorno 1921), si possono leggere queste righe:

«Da tutti gli altri cronisti ci distingue non solo la stretta preoccupazione della verità storica e delle vere testimonianze utili, ma anche il metodo [sottolineato da noi, NdR]. Il nostro (e non lo ripeteremo mai abbastanza) non si fonda su persone e su nomi più o meno noti alla voce popolare e di frequente ricorso nella “letteratura”, che in argomento negli ultimi anni si è resa più fitta e forse meno falsaria. Anche quando di persone e nomi dobbiamo far uso per indicare errori, cattive impostazioni teoriche, ed anche episodi e manovre stigmatizzabili, dai quali si deriva la “teoria dell’opportunismo” (che allo svolto del 1914 trova altra ondata di materiale clamoroso), a noi non interessano le colpe dei singoli, ma le cause storiche sociali» (7).

L’anonimato che ci caratterizza, d’altra parte, non è un metodo a se stante, slegato dai metodi complessivi che governano la prassi di partito, ma è strettamente legato al centralismo organico che definisce il principio organizzativo del nostro partito. Ogni singolo organo, ogni singola parte dell’organismo umano ha una sua precisa funzione, è composto da elementi definiti e funzionali alla vita e all’attività dell’intero organismo, ma questo organismo è sano e assolve a tutti i suoi compiti se tutti gli elementi che lo compongono svolgono correttamente le proprie funzioni, non in modo separato gli uni dagli altri, ma “collettivamente” e centralmente organizzati e diretti. L’esempio fatto dà un’idea, non certo completa, di come funzioniamo, anche perché il centralismo organico è inerente ad una organizzazione di più organismi “separati” geograficamente nello spazio, e, dal punto di vista delle generazioni, nel tempo; cosa che implica una centralizzazione ancora più forte, proprio per combattere la spinta federalista e autonomista costantemente prodotta dalla società borghese. Se ogni componente dell’organismo intero dovesse funzionare per proprio conto, non in completa sintonia e integrazione con l’insieme dell’organismo, si creerebbe un distacco, una frattura, una malattia che spinta oltre un certo limite debilita l’intero organismo e nel tempo lo fa degenerare. Il personalismo e il democratismo, o l’anarchismo, secondo la nostra visione, portano prima o poi inesorabilmente alla crisi dell’organismo-partito e alla sua degenerazione. La storia  non solo del nostro partito di ieri, ma della stessa Internazionale Comunista e di ogni partito proletario lo dimostra chiaramente.

A conclusione del testo «Il programma rivoluzionario della società comunista elimina ogni forma di proprietà del suolo, degli impianti di produzione e dei prodotti del lavoro» (Rapporto alla Riunione Generale di partito, Torino, 1-2 giugno 1958, “il programma comunista” nn. 16 e 17 del 1958), nel capitoletto: Morte dell’individualismo, si legge:

«Non è possibile che il partito proletario di classe governi se stesso nella buona direzione rivoluzionaria se non è totale il confronto del materiale di agitazione con le basi stabili e non evolventi della teoria. Le questioni di azione contingente e di programma futuro non sono che due lati dialettici dello stesso problema, come tanti interventi di Marx fino alla sua morte, e di Engels e di Lenin (tesi di aprile, comitato centrale di ottobre!) hanno dimostrato.

«Quegli uomini non improvvisarono né rivelarono, ma brandirono la bussola della nostra azione, che è troppo facile smarrire. Essa segna chiaramente il pericolo, e le nostre questioni sono felicemente poste quando si va contro le direzioni sbagliate. Le formule e i termini possono essere falsificati da traditori e da deficienti, ma il loro uso è sempre una bussola sicura quando è continuo e concorde. Se siamo nel linguaggio filosofico e storico il nostro nemico è l’individualismo, il personalismo. Se in quello politico, l’elettoralismo democratico, in qualunque campo. Se in quello economico, il mercantilismo.

«Ogni accostata verso questi rombi insidiosi per un apparente vantaggio, vale il sacrificio dell’avvenire del partito al successo di un giorno, o dell’anno; vale la resa a discrezione davanti al Mostro della controrivoluzione».

Per noi, dunque, tutti coloro che si dedicano ad alimentare e a propagandare il metodo di personalizzare la lotta politica (che noi chiamiamo politicantismo personale) non solo non possono definirsi marxisti, o comunisti – che per noi è la stessa cosa, anche se il termine è stato sfigurato in tutti i modi – ma costituiscono, non importa se coscientemente o meno, munizioni borghesi e controrivoluzionarie usate contro la lotta per l’emancipazione del proletariato, lotta che potrà aver successo soltanto ed esclusivamente se condotta con mezzi e metodi di classe e guidata da un partito di classe che non cede alle lusinghe democratiche e personalistiche che la macchina propagandistica borghese sforna ad ogni pié sospinto.

 


 

(1) Solo per citarne alcuni dal nostro giornale: Continua la corsa a tappe per trasformare i grandi rivoluzionari in articoli di commercio e, quindi, in icone inoffensive (n. 130-131/2013); Strateghi di falsificazione storica e di attività da bottegai (n. 113/2009); La Sinistra comunista in Italia. Non siamo “bordighisti”, ma militanti comunisti (n. 82/2002); Costruttori e adoratori di icone inoffensive all’opera: è nata la Findazione Amadeo Bordiga (n. 71-71/2000); Amadeo Bordiga, oggetto di culto al mercato dei grandi personaggi (n. 71-72/2000); Bordiga è tornato di moda? (n. 55/1997).

(2) Cfr. Lenin, Tre fonti e tre parti integranti del marxismo, marzo 1913, in Opere complete, vol. 19, pp. 9-14, Ed. Riuniti, Roma 1967.

(3) Cfr. Lenin, Stato e rivoluzione, agosto-settembre 1917, in Opere complete, vol. 25, pp. 365-462, Ed. Riuniti, Roma 1967.

(4) Vedi Storia della Sinistra comunista, vol. I, edizioni “il programma comunista” del partito comunista internazionalista, Milano, 1964, p. 1.

(5) Vedi Considerazioni sull’organica attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole, 1965, punto 11, pubblicato ne “il programma comunista” n. 2/1965 e raccolto poi nel volume “In difesa della continuità del programma comunista, giugno 1970”.

(6) P. Bourrinet, «Un siècle de Gauche communiste ‘italienne’ (1914-2014). Dictionnaire biographique d’un courrent internationaliste»; D. Erba, «Sovversivi, incontri e scontri sotto la falce e il martello. Dizionario biografico dei comunisti “italiani” 1912-2012».

(7) Cfr. Storia della Sinistra comunista, vol. I, cit., pp. 69-70.

 

 

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