La teoria marxista della moneta (6)

(«il comunista»; N° 147;  Dicembre 2016)

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Pubblichiamo il seguito del testo "La teoria marxista della moneta", iniziato nel nr. 133 di questo giornale e proseguito nei nn. 134, 136, 137, 139.

Questo testo è stato ripreso da Il programma comunista nn. 5,6,7,8,10,12,14,15,16 del 1968, mentre le note sono tratte dal resoconto più completo  pubblicato nella rivista teorica di partito Programme Communiste, nn. 43-44 e 45 del 1969. Ora lo si può trovare, completo, nel Reprint n. 7, febbraio 2014, de "il comunista".

 

 

CONCLUSIONI

 

L’analisi delle diverse forme di credito ci ha mostrato come esse si generano successivamente, si interpenetrano e si spalleggiano a vicenda; a tal punto che dove il sistema ha avuto il suo massimo sviluppo è impossibile distinguere partitamente le fonti del credito generalizzato. Questo costituisce una unità gestita da un organo gerarchizzato e apparentemente autonomo, la Banca.

Lo sviluppo del credito lo conduce a forme sempre più ermetiche: se il credito commerciale resta perfettamente intelligibile in quanto poggia direttamente sulla circolazione materiale delle merci, il ruolo di intermediario fra mutuatari e mutuanti della banca è già più complesso nella misura in cui la semplice addizione di somme di denaro poco importanti conferisce loro la capacità, che non possedevano di per sé, di recitare la parte di capitale monetario suscettibile di metamorfosi in capitale produttivo; quanto al credito bancario in senso proprio, esso appare completamente privo di base materiale, perché incarna un modo di credito fondato esso stesso sull’esistenza di forme più semplici... di credito.

La coscienza che gli agenti del capitale si fanno del loro modo di produzione raggiunge qui il colmo dell’illusione, perché il sistema bancario e il credito da esso dispensato appaiono loro come la causa prima di tutto il movimento economico, una specie di magica leva in grado di sollevare a volontà il mondo profano della produzione e della circolazione delle merci. Di qui la tentazione di cercare nella sfera monetaria e bancaria la chiave dei misteri della economia capitalistica e la pretesa  di superare i disordini di questa con un’organizzazione appropriata di quella.

Importa quindi considerare l’edificio economico nel suo insieme senza dimenticare le fondamenta. Beninteso l’autonomia del sistema bancario è del tutto relativa e il suo funzionamento resta determinato dai fenomeni che si producono nella sfera della produzione e della circolazione sulle quali tuttavia la banca esercita a sua volta una azione riflessa. Qual è infatti la base del sistema di credito se non la produzione e lo scambio delle merci? Qual è la sua funzione fondamentale se non di forzare al massimo l’attività produttiva e commerciale liberandola da tutte le pastoie che nascono, non dal carattere capitalistico della produzione e dello scambio - cosa che sfugge evidentemente alla portata della banca che è una istituzione capitalistica - ma dalla necessità per il capitale di compiere una serie di metamorfosi allo scopo di percorrere integralmente le fasi del suo processo di valorizzazione?

Tutte le limitazioni derivanti dalla necessità per il capitale di assumere la forma di capitale monetario a un momento dato (si veda più sopra la II parte) sono superate dall’organizzazione del credito. Quindi in periodo di accumulazione «normale» del capitale il credito permette di piegare le leggi dell’economia monetaria alle esigenze della economia capitalistica. Ma la sua azione si ferma qui. Tutti i crediti del mondo non potranno mettere in moto delle macchine che non sono state costruite, la forza-lavoro di operai che non sono in età o in condizione di produrre, o vendere delle merci che non sono ancora state prodotte (è vero che la speculazione, il cui sviluppo accompagna quello del credito, sembra realizzare tali miracoli... almeno per lo speculatore fortunato, e questo è necessariamente completato da uno speculatore scarognato; come il furto puro e semplice, la speculazione può far cambiar di mano la ricchezza, ma non produrla).

Tutto ciò che il credito può fare è di tendere al massimo l’utilizzazione dei mezzi di produzione esistenti e anche, in una certa misura, i mezzi di acquisto, la domanda solvibile disponibile in un momento dato - e questo ipotecando la produzione e la circolazione avvenire. «L’estensione massima del credito corrisponde in questo caso alla più completa utilizzazione del capitale industriale, ossia alla esplicazione più intensa possibile della sua forza di riproduzione senza riguardo ai limiti del consumo. Questi limiti del consumo vengono allargati dalla intensificazione del processo di riproduzione stesso, che da un lato accresce il consumo di reddito da parte degli operai e dei capitalisti, dall’altro si identifica con l’intensificazione del   consumo produttivo» (Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. 30, Ed. Riuniti, pag. 568).

Ma se l’economia di credito sembra così emanciparsi dalle leggi dell’economia   monetaria, che tuttavia gli è servita di base, questo deriva in  realtà da un’apparenza nella misura in cui la moneta di credito è essa stessa una moneta tout court. Questo carattere di moneta si manifesta nel modo più brutale nei periodi di crisi, nel corso dei quali il sistema di credito sembra incepparsi per cedere il posto al gioco elementare delle leggi monetarie che aveva sostituito nella fase di prosperità.

In effetti, permettendo un impiego estensivo delle forze produttive e, in una misura minore, un’estensione immediata della domanda basata sull’utilizzazione anticipata di mezzi di pagamento di cui si può ragionevolmente scontare l’apparizione futura, il credito non sopprime affatto la contraddizione fondamentale della produzione capitalistica, cioè il fatto che la produzione e la circolazione delle merci, o se si vuole la loro produzione e il loro consumo, obbediscono a leggi di natura completamente diversa e perfino opposta.

L’estensione della produzione è dettata dalle necessità dell’accumulazione del capitale che la stessa natura di capitale delle forze produttive impone, e quindi non conosce alcun limite intrinseco. L’allargamento del mercato urta invece contro i limiti non dei bisogni umani in generale di cui il capitale s’infischia, ma della domanda solvibile, limiti che necessariamente non possono regredire allo stesso passo.

Eliminando le cause secondarie di crisi derivanti dalle contraddizioni fra le diverse forme del capitale stesso (capitale monetario e capitale produttivo) il credito aumenta prodigiosamente la forza dell’antagonismo fondamentale del modo di produzione capitalistico facendolo giocare, per così dire, in tutta la sua purezza. Il credito infatti non  potrebbe allineare la progressione della domanda solvibile su quella della produzione che negandosi, cioè sopprimendo il carattere privato dell’appropriazione dei prodotti. Se quindi la generalizzazione del credito allontana lo scoppio della crisi è solo per aumentarne l’intensità. Per convincersene basta paragonare sotto l’angolo della intensità e della durata la portata delle crisi commerciali che scuotevano a intervalli relativamente vicini le nazioni industriali del secolo scorso, e quella delle guerre imperialistiche moderne che costituiscono la soluzione capitalistica alla crisi, il solo mezzo di riassorbire senza uscire dai limiti del modo di produzione esistente la pletora massiccia di capitale in rapporto alle capacità di assorbimento del mercato.  Giunto all’apogeo del suo sviluppo, il capitale può sopravvivere solo a  prezzo di massicce distruzioni, autoamputandosi.

Esso rivela quindi di essere storicamente caduco.

In periodo di crisi, l’antagonismo fra il modo di produzione sociale del capitalismo e il suo modo di appropriazione privato si manifesta a tutta prima con un divorzio fra produzione e circolazione delle merci. Gli affari rallentano, ma per ciò stesso il credito commerciale e quindi l’insieme del credito illanguidiscono.

«Fino a che il processo di riproduzione fluisce normalmente e assicura in tal modo i riflussi (di capitale), questo credito si mantiene e si amplia, e questo ampliamento è fondato sull’ampliamento del processo stesso della riproduzione. Non appena subentra un ristagno provocato da ritardi dei riflussi, da saturazione dei mercati, da caduta dei prezzi, la sovrabbondanza di capitale industriale persiste sempre, ma in forma che non gli permette di adempiere alla sua funzione. Massa di capitale-merce, ma invendibile. Massa di capitale fisso, ma in gran parte inattivo a causa del ristagno della riproduzione.

Il credito si contrae: 1 ) perché questo capitale è inattivo, ossia ristagna in una delle fasi della sua riproduzione, perché non può compiere la sua metamorfosi; 2) perché è infranta la fiducia nella fluidità del processo di riproduzione; 3) perché diminuisce la domanda di questo credito commerciale. Il filandiere che restringe la sua produzione e ha in magazzino una grande quantità di filo invenduto, non ha bisogno di acquistare del cotone a credito; il commerciante non ha bisogno di acquistare delle merci a credito, avendone a disposizione più del necessario» (Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. XXX, Ed. Riuniti, pag. 568).

In questa situazione di crisi, si assiste a un ritorno paradossale del vecchio sistema monetario, di cui si dimenticano di colpo tutti gli inconvenienti dal punto di vista capitalistico.

La moneta di credito assolveva nel migliore dei modi la funzione di mezzo di circolazione e in pratica si identificava con essa. Ora ecco che la circolazione risulta bloccata. Ciò che da tutte le parti si esige, è quindi un mezzo di tesaurizzazione, della moneta in senso forte, incarnazione della ricchezza astratta, cioè l’equivalente generale. I privati si gettano sull’oro, che non sarà evidentemente mai disponibile in quantità sufficienti nella misura in cui appunto lo sviluppo della moneta di credito ha permesso di farne assolutamente a meno, mentre le banche che ancora il giorno prima restringevano al minimo i loro fondi di sicurezza tesaurizzano a modo loro rifiutando l’apertura di crediti nuovi.

«Il credito, anch’esso forma sociale della ricchezza, soppianta il denaro e ne usurpa il posto. È la fiducia nel carattere sociale della produzione, che fa apparire la forma monetaria dei prodotti esclusivamente come qualche cosa di passeggero e ideale, come semplice rappresentazione. Ma, non appena il credito viene scosso -  e questa fase si presenta immancabilmente nel ciclo della industria moderna - qualsiasi ricchezza reale deve essere trasformata concretamente e improvvisamente in denaro, in oro e in argento, una pretesa assurda che deriva però necessariamente dal sistema stesso. E l’oro e l’argento che devono soddisfare a queste incredibili pretese ammontano in tutto a un paio di milioni che giacciono nelle casseforti della banca. Riguardo agli effetti del deflusso dell’oro, il fatto  che la produzione, in quanto produzione sociale, non è realmente  sottoposta al controllo sociale, si  manifesta nel modo più evidente  nel fatto che la forma sociale della ricchezza esiste come una  cosa al di fuori di essa.

Questo, il  sistema capitalistico lo ha di fatto in comune con i sistemi di produzione precedenti nella misura  in cui questi si fondano sul commercio delle merci e sullo scambio di privati. Ma soltanto nel  sistema capitalistico ciò si presenta nella forma più clamorosa  e grottesca di assurda contraddizione e controsenso, 1) perché  nel sistema capitalistico la produzione per il valore d’uso immediato, per l’uso dei produttori  è abolita in misura più completa  che negli altri sistemi, quindi la  produzione esiste soltanto come  un processo sociale che si esprime nella concatenazione della  produzione e della circolazione;  2) perché con lo sviluppo del sistema creditizio la produzione capitalistica tende continuamente a sopprimere questa barriera metallica al tempo stesso concreta e fantastica, della ricchezza e del suo movimento, ma continuamente sbatte la testa contro di essa. Al momento della crisi si ha la pretesa che tutte le cambiali, i titoli, le merci debbano essere a un tratto e contemporaneamente convertibili in moneta bancaria e tutta questa moneta bancaria a sua volta in oro» (Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. 35, Ed. Riuniti, pagg. 670-671).

Il fenomeno dell’improvvisa conversione della moneta di credito in banconote o meglio in moneta metallica in tempo di crisi è descritto da Marx nella Critica dell’Economia Politica (1859) come segue:

«Là dove si sono sviluppati la catena dei pagamenti e un sistema artificiale della loro compensazione, in epoche di commozioni che interrompono con violenza il corso dei pagamenti e perturbano il meccanismo della loro compensazione, il denaro trapassa improvvisamente dalla sua figura aerea, arzigogolata dal cervello, di misura dei valori [o come mezzo di circolazione, nel caso della moneta di credito] a quella di solida moneta ossia di mezzo di pagamento. In condizioni di produzione borghese sviluppata, in cui il  possessore di merce è da lungo tempo diventato capitalista, conosce il suo Adamo Smith e sorride con aria superiore della superstizione che vede come denaro unicamente l’oro e l’argento e ritiene che il denaro sia in generale, a differenza di altre merci, la merce assoluta, il denaro riappare dunque improvvisamente non come mediatore della circolazione, ma come unica forma adeguata del valore di scambio, come unica ricchezza, proprio come la concepisce il tesaurizzatore. In quanto tale esclusiva esistenza della ricchezza, il denaro non si manifesta, come accade per esempio nel sistema monetario, nella svalutazione e mancanza di valore di tutta la ricchezza materiale soltanto rappresentate, bensì in quelle reali.

È questo quel particolare momento delle crisi del mercato mondiale che si chiama crisi monetaria. Il summum bonum, invocato in tali momenti con alte grida come unica ricchezza, è il denaro, il denaro contante, e accanto ad esso tutte le altre merci, appunto in quanto valori d’uso, sono inutili in quanto cose vane, giocattoli o, come dice il nostro dottor Martin Lutero, come meri agghindamenti e gran mangiate. Questo subitaneo trapasso dal sistema creditizio a sistema monetario aggiunge il terrore teorico al panico pratico, e gli agenti della circolazione rabbrividiscono dinanzi al mistero impenetrabile dei loro propri rapporti economici» (Ediz. Rinascita, 1957, pp. 128-129).

Beninteso quanto precede non costituisce affatto una spiegazione delle crisi, che esula dal nostro tema, ma semplicemente una descrizione dei loro effetti a livello del sistema monetario e bancario. Evidentemente questo «subitaneo trapasso» dal sistema  creditizio in sistema monetario blocca il credito, ma nella misura in cui genera un fenomeno di tesaurizzazione dell’equivalente generale costituisce il punto di avvio di una nuova fase di economia creditizia che potrà riprendere a svilupparsi una volta riassorbita la crisi generale.

Da questo punto di vista gli aspetti finanziari delle crisi appaiono come misure di salvaguardia della moneta e del credito futuri, un sacrificio barbaro al dio della ricchezza astratta di cui la ricchezza reale fa le spese. Lo stesso modo di produzione capitalistico riconosce il suo fallimento proclamando: periscano le merci e persino il capitale produttivo purché il feticcio moneta sia salvo!

«È un principio fondamentale della produzione capitalistica che il denaro si contrappone alla merce quale forma autonoma del valore, ossia che il valore di scambio deve assumere nel denaro una forma autonoma, e ciò è possibile unicamente quando una merce determinata diventa la materia al cui valore si devono commisurare tutte le altre merci, cosicché proprio perciò diventa la merce universale, la merce par excellence in contrapposizione a tutte le altre merci. Ciò si deve manifestare - soprattutto presso le nazioni capitalistiche sviluppate, che sostituiscono il denaro in grandi quantità - in due modi: da un lato mediante operazioni di credito, dall’altro mediante moneta di credito.

In periodi di depressione, quando il credito si restringe oppure cessa del tutto, il denaro improvvisamente si contrappone in assoluto a tutte le merci quale unico mezzo di pagamento e autentica forma di esistenza del valore. Di qui la svalorizzazione generale delle merci, la difficoltà, anzi l’impossibilità di trasformarle in denaro, ossia nella loro forma puramente fantastica. In secondo luogo la moneta di credito stessa è denaro unicamente nella misura in cui rappresenta, in assoluto, nell’importo del suo valore nominale, il denaro effettivo. Con il deflusso dell’oro la sua convertibilità in denaro, ossia la sua identità con l’oro reale, diventa problematica. Di qui misure coercitive, aumento del saggio dell’interesse, ecc. al fine di assicurare le condizioni di questa convertibilità. Ciò può essere più o meno portato a eccessi mediante un’errata legislazione fondata su errate teorie del denaro e imposta alla nazione nell’interesse di trafficanti di denaro...

Ma la causa prima si trova nel fondamento stesso del sistema di produzione. Una svalorizzazione della moneta di credito (senza parlare dell’eventualità, del resto puramente immaginaria, che essa perda le sue caratteristiche di denaro) scuoterebbe tutti i rapporti esistenti. Il valore delle merci viene quindi sacrificato al fine di salvaguardare l’esistenza immaginaria e indipendente di questo valore nel denaro. Come valore in denaro esso in generale è sicuro soltanto fino a che è sicuro il denaro. Per qualche milione in denaro devono quindi essere sacrificati molti milioni di merci. Ciò è inevitabile nella produzione capitalistica e costituisce una delle sue «attrattive». Nei modi di produzione precedenti ciò non si verifica perché, data la ristrettezza della base su cui si muovono, non si sviluppa né il credito, né la moneta di credito. Fino a che il carattere sociale del lavoro appare come l’esistenza monetaria della merce e quindi come una cosa al di fuori della produzione reale, le crisi monetarie sono inevitabili, indipendentemente dalle crisi reali o come aggravamento di esse» (Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. 32, Ed. Riuniti, pagg. 605-606).

 

 

CREDITO E SOCIALISMO

 

Marx tratta di questa questione in numerosi passi di ineguagliabile intensità dialettica; noi ne citeremo ampiamente qualcuno a mo’ di conclusione. Il nostro scopo è chiaro: si tratta di illustrare su questo particolare esempio la schiacciante superiorità del materialisrno storico non solo sui mediocri sistemi dei riformatori «neocapitalistici» e sul socialismo borghese dei «comunisti» ufficiali, la cui debole fantasia riformatrice non può partorire nulla più che una pallida copia idealizzata del capitalismo reale, ma anche e soprattutto sulle costruzioni tanto «generose» quanto sterili della pleiade di immediatisti operai, democratici e autogestori ai quali un radicalismo verbale non permette di elevarsi di un pollice al di sopra di una concezione miserabilmente corporativa, provinciale e perciò stesso sottoborghese di quella che sarà la più formidabile rivoluzione della storia umana.

Di fronte a tutte queste miopi concezioni, semplici riflessi ideologici della decadenza storica di una classe condannata dalla storia, ma costretta al movimento dalla natura del suo modo di produzione, o anche della immaturità della classe rivoluzionaria che non si è ancora liberata delle conseguenze di una sconfitta sul terreno della lotta di classe (e solo un capovolgimento nei rapporti materiali e quindi nella lotta di classe effettiva, di cui oggi si intravedono soltanto le premesse, le permetterà di sfuggir loro, e alla teoria rivoluzionaria di divenire un’arma), il materialismo dialettico si afferma come la sola dottrina di classe che, rompendo radicalmente con tutti i sogni utopistici o con le raziocinazioni puramente ideologiche, conquista l’intelligenza reale e perciò stesso feconda dell’insieme del movimento storico, cioè, in definitiva, la coscienza e la necessità di una rivoluzione del modo di produzione vigente di cui scopre, anziché inventarli, il senso, la portata e i mezzi.

Il modo di produzione capitalistico affonda le sue radici nell’economia mercantile che lo ha storicamente preceduto. Ma, se utilizza rapporti di produzione apparsi prima di esso e la cui esistenza ha reso possibile il suo sviluppo, ciò non avviene, come abbiamo visto a proposito della moneta, senza una modificazione profonda di questa eredità storica. Questi rapporti di produzione anteriori il capitalismo se li incorpora, li perfeziona, ne modifica la forma quanto basta perché divengano degli ausiliari sottomessi alle esigenze, purtuttavia contraddittorie, dei rapporti puramente capitalistici.

È così che si passa dalla moneta metallica, mezzo di circolazione delle merci in un’economia in seno alla quale i prodotti del lavoro umano prendono solo eccezionalmente la forma di merci, alle forme più complesse della moneta di credito in un’economia in cui non soltanto ogni prodotto prende la forma di merce, ma in cui inoltre, la circolazione delle merci non è più essa stessa che il supporto della circolazione del capitale, fine supremo di tutta l’attività economica.

Lo sviluppo del modo di produzione capitalistico porta necessariamente con sé l’estensione del sistema creditizio. È per l’intermediario del sistema bancario, infatti, che il capitale può ottenere una massiccia riduzione dei costi provocati dalla sua circolazione, e soprattutto assumere in pieno il carattere di potenza sociale unica, al di là delle particolarità dei capitali individuali, senza tuttavia che per ciò si indebolisca - al contrario! - la concorrenza reciproca fra capitali. Il credito organizzato e centralizzato funziona come un prodigioso acceleratore delle diverse fasi della circolazione del capitale e quindi come il mezzo decisivo per accrescere senza tregua la potenza delle forze produttive, per realizzare nelle condizioni migliori l’accumulazione allargata del capitale.

D’altronde, l’esistenza del sistema creditizio equivale ad una specie di riconoscimento, da parte della società borghese, del carattere sociale delle forze produttive che essa mette in opera. Ma questo riconoscimento non può andare fino in fondo, è necessariamente contraddittorio, perché elimina il capitale privato al solo profitto del capitale socializzato, senza potere evidentemente riconoscere che è lo stesso carattere di capitale assunto dalle forze produttive che costituisce 1a contraddizione suprema in cui la società  capitalistica si dibatte, incapace  per essenza di adattarsi completamente alla natura sociale del suo modo di produzione. Visto in  questa prospettiva il sistema creditizio generalizzato si presenta come l’anticamera del socialismo, o almeno come il segno tangibile,  nel seno stesso della società capitalistica, della necessità storica di un modo di produzione nuovo  che riconosca pienamente il carattere sociale delle forze produttive e armonizzi con esso il  modo di appropriazione dei prodotti.

«Il capitale, che si fonda per se stesso su un modo di produzione sociale e presuppone una concentrazione sociale dei mezzi di produzione e delle forze-lavoro, acquista qui direttamente la forma di capitale sociale (capitale di individui direttamente associati) contrapposto al capitale privato, e le sue imprese si presentano come imprese sociali contrapposte alle imprese private. È la soppressione del capitale come proprietà privata nell’ambito del modo di produzione capitalistico stesso... [Il] capitalista realmente operante (si trasforma) in semplice dirigente, amministratore di capitale altrui, e i proprietari di capitale in puri e semplici proprietari, puri e semplici capitalisti monetari... Questo risultato del massimo sviluppo della produzione capitalistica è un momento necessario di transizione per la ritrasformazione del capitale in proprietà dei produttori, non più però come proprietà privata di singoli produttori, ma come proprietà di essi in quanto associati, come proprietà sociale immediata. E inoltre è momento di transizione per la trasformazione di tutte le funzioni che nel processo di riproduzione sono ancora connesse con la proprietà del capitale, in semplici funzioni dei produttori associati, in funzioni sociali» (Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. 27, Ed. Riuniti, pp. 518-519).

«Il profitto medio del capitalista singolo, o di ogni capitale individuale, non è determinato dal pluslavoro che questo capitale si appropria di prima mano, ma dalla quantità di pluslavoro complessivo che il capitale complessivo si appropria e da cui ogni capitale individuale, unicamente come parte proporzionale del capitale complessivo, trae i suoi dividendi. Questo carattere sociale del capitale è reso possibile e attuato integralmente dal pieno sviluppo del sistema creditizio e bancario.

D’altro lato questo sistema va oltre e mette a disposizione dei capitalisti commerciali e industriali tutto il capitale disponibile e anche potenziale della società, nella misura in cui esso non è stato già attivamente investito, così che né chi dà in prestito, né chi impiega questo capitale ne è proprietario o produttore. Esso elimina con ciò il carattere privato del capitale e contiene in sé, ma solamente in sé, la soppressione del capitale stesso... Non v’è dubbio che il sistema creditizio servirà da leva potente, durante il periodo di transizione dal modo di produzione capitalistico al modo di produzione del lavoro associato; ma solo come un elemento in connessione con altre grandi trasformazioni organiche dello stesso modo di produzione» (Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. 36, Ed. Riuniti, pagg. 705-706).

Tanto basta, ci sembra, per ricacciare nella loro tana tutti gli ideologi meschini di un socialismo di paccottiglia da essi presentato sia come «l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione» grazie alla nazionalizzazione e che quindi si limitano a rivendicare in nome del proletariato e come panacea economica e sociale ciò che il capitalismo realizza da sé con o senza intervento giuridico dello Stato, sia come una specie di federazione di cooperative operaie autonome costituite sulla base delle attuali aziende capitalistiche, ma sbarazzate della figura più che secondaria del «padrone»; modello economico ancor più irreale del primo e in ogni caso inferiore allo stesso capitalismo, in seno al quale il grado di socializzazione è più elevato. Il socialismo scientifico, lungi dal sognare una bella utopia, esprime coscientemente il moto reale della società così come lo sviluppo delle contraddizioni del modo di produzione capitalistico glielo impone, e quindi anche la soluzione che discende dalla dinamica di tali contraddizioni.

Questa soluzione può risiedere soltanto nel pieno riconoscimento del carattere sociale della produzione, e bisogna essere stranamente miopi per non vedere, in pieno secolo XX, che, pena un ritorno indietro sullo stesso capitalismo, non può trattarsi, se non di una presa in mano diretta, da parte della specie umana, delle forze produttive ch’essa ha sviluppate, presa in mano che implica la distruzione radicale del carattere di capitale loro imposto per un certo tempo dalla storia. Questa distruzione si concluderà nella progressiva scomparsa di ogni economia fondata sullo scambio dei prodotti (33).

Essa richiederà del tempo e si svolgerà necessariamente alla scala del pianeta; ma, se il becchino della vecchia società, lo Stato della dittatura del proletariato, dovrà adattarsi ad una persistenza più o meno durevole degli scambi economici, la prima misura che esso prenderà in campo economico non appena le imperiose necessità della lotta di classe internazionale glielo permetteranno sarà, come Marx proclamò con forza nella Critica del Programma di Gotha, di sopprimere gli scambi che seguono la via contorta della moneta; di abolire puramente e semplicemente il feticcio-denaro.

 

(6 - Continua)

 


 

(33) «All’interno della società collettivista, fondata sulla proprietà comune dei mezzi di produzione, i produttori non scambiano i loro prodotti: tanto meno il lavoro trasformato in prodotti appare qui come valore di questi prodotti, come una proprietà oggettiva da essi posseduta, poiché ora, in contrapposto alla società capitalistica, i lavoratori individuali non esistono più come parti costitutive del lavoro complessivo attraverso un processo indiretto, ma in modo diretto». ( Dalla Critica del Programma di Gotha, in Marx-Engels, Il Partito e l’Internazionale, Ed. Rinascita 1948, pag. 230).

 

 

Partito comunista internazionale

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