Morti sul lavoro: lavorare in regime capitalistico è come andare in guerra!

(«il comunista»; N° 153; Maggio 2018)

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L’ennesimo infortunio mortale sul lavoro ha colpito questa volta un giovane di 19 anni, Matteo Smoilis, schiacciato da un blocco di cemento di sei quintali, mentre lavorava alla Fincantieri di Monfalcone, la mattina del 9 maggio. Il giovane lavorava per una piccola ditta che da 40 anni ha appalti diretti nel cantiere, una ditta a conduzione familiare in cui lavoravano il padre e il fratello maggiore; quest’ultimo era fra l’altro il capo cantiere (“il manifesto” del 10.5.2018).

Nel cantiere si sta varando una nave da crociera Msc; il blocco che lo ha colpito è un carico di manovra che serve a tenere in alto parti dello scafo e viene abbassato per muovere i pezzi stessi. Appena sentito lo schianto è stato il padre ad accorrere, ma le condizioni erano già apparse disperate; ha tentato a lungo di praticargli un massaggio cardiaco fino a che è arrivato l’elicottero che lo ha trasportato all’ospedale di Cattinara di Trieste, ma poche ore dopo è morto proprio per le fratture troppo gravi riportate.

 Fim-Fiom-Uilm hanno proclamato uno sciopero immediato nell’azienda e convocato una assemblea permanente per il giorno dopo con altre 8 ore di sciopero, l’Usb ha invece deciso di indire uno sciopero esteso a tutto il lavoro privato nel Friuli. 

Alla Fincantieri di Monfalcone i morti sul lavoro sono stati ben cinque negli ultimi dieci anni, l’ultimo poco più di un anno fa: il 2 marzo 2017 toccò ad un altro operaio degli appalti, stava portando avanti lavori edili (sempre da “il manifesto” del 10.5.2018).

Secondo il segretario provinciale della Fiom, alla Fincantieri lavorano ogni giorno 10.000 persone di cui 8.500 sono delle ditte di appalto esterne. Ogni appalto è basato sistematicamente sull’abbattimento del costo del lavoro e sull’aumento della produttività. Ma la Fiom, come gli altri sindacati, non sanno far altro che puntare il dito sui controlli ridotti degli ispettori del lavoro e della medicina del lavoro dove si è tagliato sul personale, anche lì per ridurre i costi… (dello Stato borghese in questo caso), come se la vera causa fosse da cercare soltanto sui mancati controlli, e non sul modo di produzione capitalistico che contiene, nelle sue stesse basi, le cause di ogni infortunio e di ogni morte sul lavoro: parliamo dello sfruttamento intensivo della forza lavoro salariata per ricavarne il maggior profitto possibile al raggiungimento del quale – per il capitale – tutto è sacrificabile!

«Dagli anni Ottanta, Fincantieri, ma non è la sola, ha deciso di esternalizzare. Il motivo dichiarato era la concorrenza asiatica». Oggi, fino all’80% del lavoro per costruire una nave viene appaltato a grandi imprese che a loro volta subappaltano. In questo ginepraio di continui passaggi da un’azienda ad un’altra – ma è la legge borghese stessa che lo prevede – è ovvio che anche i controlli si perdono: «Alla fine gli operai vengono assunti da società che spuntano come funghi, spesso vengono dal sud, o magari dalla Romania»;« tra queste ci sono quelle che assumono, ma verso la fine del contratto spariscono e recuperare i soldi da una ditta romena è dura» (racconta Bruno Magnaro della Fiom-Cgil di Genova). Gli operai degli appalti esterni sono l’anello finale della catena; nella loro busta paga le voci previste dalla legge sembrano esserci, il reddito che appare scritto è di 1.300 euro, ma si chiama “paga globale” e comprende tutto: tredicesima, indennità, tfr. Lo stipendio vero è poco più della metà, inoltre le trasferte e le ferie non sono pagate e se si ammalano perdono il lavoro (1).

D’altra parte, il collaborazionismo sindacale della Fiom-Cgil, insieme alla Fim-Cisl e alla Uilm-Uil, invece di lottare contro questo sistema che riduce i costi aziendali e aumenta la concorrenza tra proletari, hanno manovrato sui contratti dei lavoratori fissi in pianta organica  per rendere più flessibili gli orari di lavoro e legare una parte sempre più consistente degli aumenti del salario all’aumento della produttività e al rispetto dei tempi di consegna delle navi. Infatti, tutta la loro propaganda attuale si svolge soprattutto nel consigliare ai padroni di abbandonare la strada degli appalti (che fanno lavoro meno qualificato) per prendere quello più qualificato da assumere in pianta organica che loro hanno contribuito a rendere molto più appetibile!

Va notato che il giorno dopo il Primo maggio, nel quale i sindacati tricolore hanno alzato il tono della voce gridando contro l’aumento degli infortuni sul lavoro e soprattutto del numero dei morti (oltre 200 dall’inizio dell’anno), un operaio delegato della Fiom-Cgil, e responsabile della sicurezza (Rsu) della Socal Alluminio di Carisio (Vercelli), è stato licenziato perché denunciava pubblicamente le condizioni pericolose della fonderia dove lavorava: a seguito di un grave infortunio subito da un operaio, che sbalzato a terra subiva un trauma cranico e toracico sul posto di lavoro, aveva raccontato ai giornali le dinamiche dell’accaduto, sottolineando l’inesistente  sicurezza in fabbrica. Inoltre, pochi giorni prima, aveva indetto uno sciopero per “sensibilizzare” l’azienda a intervenire in modo più efficace sulle condizioni di lavoro all’interno dello stabilimento (da “il manifesto” del 4.5.2018).

Evidentemente, aver indetto uno sciopero e dato alla stampa una versione veritiera, e ben diversa da quella dell’azienda, non è stata una dimostrazione dello “spirito” collaborativo... come la pratica ultradecennale dei sindacati tricolori gli insegnava. Ma questo è anche la dimostrazione di quanto le aziende e il padronato possano infischiarsene se la vita dei proletari è sempre più a rischio: ciò che a loro interessa realmente è innanzitutto il profitto!, un infortunio sul lavoro o un morto è una seccatura che va “risolta” nel più breve tempo possibile per poi riprendere la produzione e la corsa al profitto.

D’altronde, i sindacati tricolore oltre a registrare l’aumento degli infortuni e i morti sul lavoro non vanno; oltre a richiamare le aziende e i padroni a una maggiore attenzione alla sicurezza e indire qualche misera ora di sciopero a livello aziendale o locale, non si sprecano; guai a indire uno sciopero a livello nazionale in modo da far pagare un prezzo più alto ai padroni in termini di mancato profitto… il sangue dei proletari caduti sul lavoro evidentemente, per i collaborazionisti, non vale tanto!!!

Landini, ex segretario Fiom, ed ora della segreteria Cgil, si è spinto a dire in televisione che in 10 anni ci sono stati 13 mila morti sul lavoro, una guerra… a parte il fatto che sicuramente il dato è sottostimato – vanno aggiunte infatti le morti “silenziose”, cioè quelle dovute alle sostanze respirate per anni sui posti di lavoro e che provocano malattie mortali (vedi l’amianto, Pvc, ecc. che si sviluppano dopo anni, quando un operaio è vecchio ed uscito dalla fabbrica).

Ma, di fronte a una guerra di questo genere, l’unica arma che i proletari possono e devono imbracciare per difendersi efficacemente è l’unione nella lotta contro l’aumento del loro sfruttamento che li porta oltre il limite imposto loro dalla natura umana (non dalle leggi del capitale) e, quindi, a diventare carne da macello nella produzione capitalistica.

I proletari devono lottare per un’organizzazione autonoma e indipendente dal collaborazionismo sindacale, lottare contro la concorrenza che viene loro imposta per ridurre il salario e aumentare i ritmi di lavoro, devono lottare contro l’aumento dei rischi e della nocività sul posto di lavoro facendo pagare un prezzo alto ai padroni bloccando la produzione fuori dalle compatibilità e dalle pratiche che abitualmente i bonzi sindacali hanno loro inoculato per decenni.

La lotta di classe è la via proletaria da riprendere: non ci sono alternative!

 


 

(1) https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/17/fincantieri-fantasmi-subappalto-zona-grigia-senza-regole/198133/  

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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