In continuità con il lavoro generale di partito, si ribadisce l’invariante impostazione teorica e programmatica che il partito si è data fin dalle sue origini (2)

(Resoconto della Riunione Generale di Milano del 13-14 gennaio 2018)

 

(«il comunista»; N° 153; Maggio 2018)

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Diamo seguito al resoconto del secondo Rapporto tenuto alla Riunione Generale di Milano del 13-14 gennaio scorsi, sul tema relativo alla Guerra civile di Spagna. Questa è la seconda parte del rapporto sulla Guerra civile di Spagna iniziato nella RG del 2017.

Qui ci occupiamo delle cause, e delle conseguenze, relative all'assenza del partito di classe in quello svolto storico e della critica alle posizioni dello stalinismo e delle correnti ad esso affini che sostenevano come l'assenza del partito proletario dipendesse soprattutto dall'arretratezza economica della Spagna (posizione smentita ante litteram dall'esistenza e dalla lotta del partito bolscevico nell'arretratissima Russia).

Continueremo poi con la parte dedicata al prosieguo del lavoro sulla storia del nostro partito e delle sue crisi.

 

Introduzione

 

In questo lavoro continuiamo il tema esposto alla RG del 2016. Allora abbiamo trattato la questione da un punto di vista generale circa i problemi principali che poneva la guerra di Spagna, nella forma di tesi e contro-tesi, attraverso le quali, da un lato, si mettevano in risalto le principali deviazioni dal marxismo soprattutto sulle questioni centrali del periodo 1931-1937 e, dall’altro, si ribadivano, in opposizione, i fondamenti della corretta valutazione marxista e del lavoro critico sui punti storicamente più confusi.

Anche adesso, come allora, non si tratta di esaurire il tema: non si pretende di fare un’esposizione esaustiva delle posizioni marxiste su tutti e su ognuno dei problemi di cui è necessario tener conto affinché la questione della Guerra di Spagna, insieme al precedente periodo di fortissima agitazione proletaria sul terreno della lotta immediata e alle false aspettative poste in un movimento “rivoluzionario” che in realtà non ci fu, non si trasformino in un autentico labirinto nel quale sarebbe impossibile fare chiarezza.

Questa mancanza di esaustività dipende soprattutto dalla mancanza di forze che ci impedisce di raccogliere, riordinare ed esporre tutto il materiale che sarebbe necessario per dare a questo lavoro un’impronta completa tipica dei lavori di partito: il marxismo non è una corrente intellettuale, non cerca di completare la critica di ogni questione che si pone per passare, subito dopo, ai “compiti pratici”. Ci muoviamo, in questo caso, sul terreno del bilancio storico della fase più critica dello sviluppo della lotta della classe proletaria in Spagna, nella prospettiva di un lavoro più ampio di assimilazione teorico-politica indirizzata a rafforzare teoricamente, politicamente, ma anche organizzativamente, il partito, cosa che gli potrà permettere, nei futuri periodi di auge della lotta di classe, di mettere radici in questa lotta, considerando che questo radicamento non dipenderà mai dalla “buona volontà”, ma soprattutto dal fatto di concepire il partito sia come prodotto che come fattore del fermo determinismo che è presente in tutto l’arco storico della lotta di classe proletaria.

Per questa ragione procediamo senza cercare di creare un cerchio perfetto che racchiuda assolutamente tutto, ma piuttosto una spirale che, mentre avanza in una direzione, percorre ripetutamente gli stessi punti, chiudendo sempre più i limiti di ognuno dei punti che vengono continuamente trattati.

Ciò che attraversa tutto il lavoro della sezione del partito in questo campo è lo studio delle cause che hanno determinato la tragica assenza del partito di classe negli anni decisivi della lotta del proletariato spagnolo. Pertanto, delle condizioni che hanno dato origine a questa assenza e alle loro conseguenze. Ma né l’una né le altre possono essere ridotte ad un riformismo di tipo “statistico” che, partendo da un materialismo completamente deformato, cerca di stabilire un rapporto di causalità meccanica tra lo sviluppo della società capitalista, la lotta di classe del proletariato e l’emergere del suo partito. Per questa corrente di pensiero, che generalmente appare come un’escrescenza intellettuale dello stalinismo, tutto il problema si riduce alla presentazione della seguente sequenza: lo sviluppo del capitalismo in Spagna è inferiore a quello del resto dei paesi europei; la classe proletaria è numericamente molto inferiore al resto dei paesi e la sua esperienza politica è scarsa; per tutte queste ragioni il partito di classe non poteva formarsi in questa situazione. Questa asserzione, che si pretende marxista, è un’aberrazione assoluta che, se accettata, distruggerebbe le basi stesse del marxismo.

In primo luogo perché, come risulta chiaro, annulla l’esperienza dell’Ottobre bolscevico in Russia, dove un proletariato proporzionalmente minoritario compare in una società poco sviluppata in termini capitalistici, ma decisamente feudale, seguendo in modo compatto un partito comunista, quello bolscevico, che guidò l’offensiva inizialmente trionfante contro l’aristocrazia feudale e la borghesia liberale. Rispetto a questa situazione, quella spagnola del 1931-1937 appare molto più avanzata in termini sociali: forme sociali prevalentemente capitaliste, un proletariato urbano e rurale molto numeroso, una tradizione di lotta sindacale segnata da intense esplosioni e, indubbiamente, un partito di classe completamente assente. Quindi, o il marxismo - se lo identifichiamo con la sequenza sopra esposta – sbaglia, oppure manca qualcosa nella spiegazione. Questo “qualcosa”, che è la sua assenza, è esattamente quello che deve essere spiegato, sia per confermare la vera natura del marxismo come dottrina che spiega le condizioni di emancipazione del proletariato, sia per rigettare le sue versioni adulterate che cercano di giustificare la loro storia e il futuro che promettono ai proletari.

Ma, una volta respinta questa caricatura del determinismo storico, non si deve sostituire la vera concezione materialistica della storia con una visione libertaria, cioè idealista, in cui l’assenza del partito rivoluzionario del proletariato si spiega con l’argomento della “specificità spagnola”. Questa versione, anarchica e molto vicina alla “singolarità della patria” che si trova all’origine dell’ideologia del falangismo, afferma che il patrimonio culturale spagnolo o una particolare mescolanza genetica avrebbe reso il proletariato spagnolo completamente impermeabile al marxismo, mostrandogli la via anarchica o sindacalista come l’unica in grado di adattarsi alla natura della classe operaia... dai Pirenei in giù.

Il nostro lavoro, come abbiamo detto, cerca di spiegare le cause e le conseguenze di questa assenza dal partito. E l’ideologia libertaria, in tutte le sue varianti, rientra nel capitolo delle conseguenze, non delle cause, in cui non ha mai avuto una parte; e si lancia a illustrare, da questa falsa spiegazione, le successive versioni degli eventi in Spagna che, pur pretendendo di aver superato l’anarchismo, ritornano ancora e ancora all’odioso compito di spiegare questi eventi basandosi su nomi propri, aneddoti individuali, gesta gloriose e terribili tradimenti.

Andiamo avanti fissando i punti nodali dello sviluppo della lotta tra le classi che sono, senza alcun dubbio, la capacità storica delle classi di agire come “partito” che conduce sul terreno politico una lotta mortale contro ogni nemico per la difesa dei suoi interessi storici. Nella misura in cui ciò è stato realizzato esclusivamente dalla borghesia, la sua vittoria appare come una vera vittoria di classe, mentre la sconfitta del proletariato viene sempre più scomposta in una somma di aneddoti personali.

Occupiamoci, quindi, degli elementi essenziali che caratterizzano le convulsioni sociali dal punto di vista del concentrarsi attorno ai poli storicamente antagonisti di tutte le forze disponibili. In questo caso, alle tendenze che conversero verso la formazione di una reazione contro il Partito Comunista diretto da Mosca.  Cioè, se nella parte del lavoro presentato alla scorsa RG si è fatto un riassunto di tutte le “contro-tesi” erronee che definivano il carattere opportunistico delle diverse correnti politiche che pretendevano di rappresentare gli interessi della classe lavoratrice durante il periodo 1931-1936, ora andiamo ad approfondire il sottoinsieme di queste “contro-tesi” che furono avanzate come risposta alle posizioni del PCE e dell’IC di Stalin. Resta inteso che parliamo di “contro-tesi” perché le consideriamo in contraddizione con le posizioni del marxismo rivoluzionario. Ed è proprio nella misura in cui costituiscono questa contraddizione che le studiamo ed esponiamo come espressione della tragica assenza del partito di classe, come reazione “naturale” contro le deviazioni opportunistiche del PCE che non cresce in terra fertile e che dà luogo a deviazioni se possibile più sconnessa (più “onesta” o no, non ha importanza; il marxismo è amorale e non entra in tali considerazioni); in nessun caso, quelle deviazioni avrebbero potuto costituire un passo verso la ripresa del filo storico del marxismo rivoluzionario come fu invece il caso di Lenin e della Sinistra comunista d’Italia, e della loro rispettiva lotta contro la degenerazione della socialdemocrazia e dello stalinismo.

Una delle più grandi falsità, che si fa passare comunemente come verità, riguardo agli eventi della Spagna del periodo che stiamo trattando, è che ci sarebbe stata una reazione politica contro la degenerazione staliniana del PCE e dell’IC paragonabile a quella che apparve in Italia sotto la guida della Sinistra del PCd’I. Si parla quindi di una Sinistra Comunista di Spagna per riferirsi a una presunta corrente teorica, politica e organizzativa che avrebbe combattuto lo stalinismo non solo sulla base del ripristino dei principi marxisti ma, soprattutto, fornendo un’alternativa pratica alla cornice organizzativa stalinista, riorganizzando gli elementi, che si dichiaravano anti-stalinisti, attorno a una piattaforma comune di intervento politico sulla realtà spagnola, che non solo ha accolto i comunisti spagnoli ma anche tutti quelli dal resto del mondo che cercavano rifugio nella Spagna “rivoluzionaria”.

Di solito, il mito di questa riorganizzazione politica della sinistra marxista è identificato con il POUM e con le sue divisioni militari internazionali durante la guerra. La forza e la persistenza di questo mito, di fronte alle critiche che la stessa realtà storica getta su di esso, sta nel fatto che il POUM stesso è considerato come conclusione di un lavoro di critica teorica, politica e organizzativa da parte degli elementi del Sinistra spagnola, lotta che era iniziata, nel quadro di un lavoro frazionista all’interno del PCE, sia dai seguaci di Maurin che dai seguaci di Trotsky.

Poste le cose in questo modo, se si cercasse di fissare una linea che unisse le principali tappe non solo del “comunismo spagnolo”, ma anche del mondo, troveremmo sotto sotto, in ordine cronologico, una linea che va dall’opera di Lenin e dei bolscevichi nella lotta contro la corruzione del marxismo per mano della socialdemocrazia internazionale ...  al Bloque Obrero y Campesino di Maurin e la Sinistra comunista spagnola di Andrés Nin. Non si tratta di giocare a stabilire un ordine formale per l’ingresso nel pantheon di uomini illustri, ma si deve capire il peso notevole che ha questa visione ridicola della storia, sia per comprendere l’origine e lo sviluppo del partito di classe in Spagna che semplicemente avvicinarsi oggi al marxismo rivoluzionario in Spagna.

Quelli di noi che l’hanno fatto quando eravam giovani e con i mezzi esclusivamente alla nostra portata, conoscono le implicazioni che hanno avuto l’ascesa del POUM, di Nin e della “Divisione Lenin”.

In questo lavoro, affrontiamo l’esposizione e critica delle posizioni di questa falsa opposizione di sinistra, spiegando l’origine e la portata effettiva di queste posizioni nel corso di eventi che vanno dal 1931 al 1939. Come detto sopra, non si tratta di fare una cronaca degli eventi, anche se è necessario fare affidamento su una cronologia di base, ma di esporre i punti centrali del problema con cui abbiamo a che fare. Ecco perché ricorriamo, più che a un resoconto degli avvenimenti, alle critiche dei programmi politici, delle prese di posizioni riguardo a problemi concreti ecc., per dare una visione generale in grado di spiegare, a sua volta, la ragione delle azioni intraprese.

D’altra parte, l’obiettivo è chiarire i punti essenziali del mito della Sinistra comunista di Spagna. Ad alimentare questo mito contribuiscono sia le origini sindacaliste-rivoluzionarie del Blocco Operaio e Contadino, sia le posizioni sulla Spagna della frazione trotskista. Tratteremo questi punti nella misura in cui sono necessari per dare una maggiore capacità esplicativa al nostro lavoro, ma senza dedicare uno sforzo eccessivo alla critica della corrente trotskista o del movimento rivoluzionario sindacalista. Analogamente, le deviazioni successive apparse nel POUM, come la famosa “Cellula 72”, non vengono trattate, se non nella misura in cui possono contribuire a ribadire l’assoluta impossibilità di considerare queste correnti come germi possibili di una corrente marxista rivoluzionaria.

 

1.

Partire dall’idea che, nei terribili eventi di Spagna la sconfitta della classe operaia fosse dovuta all’ “assenza del partito”, senza spiegare in termini esatti il perché di questa assenza, è un errore. “Il partito” non mancava in Spagna. In effetti c’erano diversi “partiti” che si dichiaravano come tali e che conquistarono una notevole influenza in ampi settori della classe proletaria. Senza fare riferimento al PCE e al PSOE, esistevano diverse organizzazioni che si dichiaravano marxiste rivoluzionarie e, di conseguenza, difendevano la necessità del partito di classe come un organo della rivoluzione proletaria, invocando non solo la Rivoluzione d’Ottobre e filo rosso va da Marx a Lenin, ma anche, come fosse una continuazione di questa, un preteso anti-stalinismo, una presunta rottura con i dettami teorici, politici, tattici e organizzativi dell’IC stalinizzata e un ritorno alle posizioni rivoluzionarie che il bolscevismo salvò dal naufragio con il suo lavoro di restaurazione del marxismo sulle sue basi corrette. Ci sono stati, quindi, diversi partiti, correnti, organizzazioni che pretendevano di costituire una reazione di sinistra contro la forza corruttrice tanto del partito russo degenerato che dell’Internazionale. La cosa più importante, alla critica delle quali posizioni è dedicato questo lavoro, è che queste sono note oltre i confini fisici e storici della Spagna ed è uso comune, ancora oggi, fare riferimento ad esse trattando del periodo della Seconda Repubblica e della Guerra Civile, cercando un’alternativa alle spiegazioni fornite dallo stalinismo (e da una qualsiasi delle sue numerose varianti attuali).

Nello stesso modo in cui non lavoriamo sulla base di una critica agli individui che erano al centro dell’uragano (e che, più che mai, non l’hanno né creato né diretto, ma sono stati colpiti e trascinati continuamente da questo urgano), non intendiamo creare una “archeologia” degli eventi associati a queste correnti e a questi partiti. Siamo pienamente convinti che un’opera di questo tipo riuscirebbe solo a sostituire la critica materialista per una ricostruzione idealistica della storia. Ma è essenziale dedicare alcune righe per chiarire brevemente i problemi cronologici e terminologici in modo da non dover ritornare continuamente su di loro.

Alla fine degli anni ’20 del secolo scorso, c’erano in Spagna, oltre al PSOE, il PCE e una serie di correnti interne in quelle che saranno le protagoniste della “reazione di sinistra” contro lo stalinismo. Va ricordato che, dal 1923 al 1931, il regime politico spagnolo era rappresentato dalla dittatura militare di Primo de Rivera. Nonostante la sua coincidenza nel tempo e alcuni suoi aspetti formali, non si deve pensare che questo regime possa essere assimilato al fascismo italiano: la dittatura di Primo de Rivera fu, in Spagna, un patto tra le diverse fazioni della classe dominante nel contesto di una profonda crisi sociale in cui, alle tensioni interne provocate dal rapido sviluppo industriale di alcune regioni del paese, si aggiunse l’ascesa della lotta sindacale del giovane proletariato di fabbrica e la continua agitazione dei braccianti della campagna andalusa. La dittatura ha unito la necessità di una dura repressione anti-operaia con un programma di inclusione delle organizzazioni operaie nella struttura dello Stato, provocando, insieme al boom economico degli anni Venti, una progressiva diminuzione dell’intensità della lotta proletaria. In questo contesto, la crescente opposizione alla leadership del PCE fu sviluppata da diverse correnti che alla fine convergeranno, nel 1935, nella formazione del POUM.

In particolare dal 1930, quando la caduta della dittatura sembrava imminente e le conseguenze della crisi capitalista nel 1929 divenne insopportabile per la classe operaia, la politica del PCE fallisce, mostrando la sua incapacità completa e assoluta di effettuare costantemente una politica di difesa degli interessi della classe proletaria contro l’ondata di mobilitazioni capitalizzata dai partiti repubblicani. La cosiddetta “politica del terzo periodo”, comune al PCE e agli altri partiti dell’IC, era caratterizzata da un radicalismo formale privo di qualsiasi fondamento teorico e politico dietro cui erano poste le richieste che lo Stato russo aveva imposto ai partiti completamente subordinati ai loro interessi. In Spagna questa “politica del terzo periodo” è stata caratterizzata dal lancio dello slogan del “Governo operaio e contadino” che avrebbe dovuto essere sostenuto dal potere di soviet, in realtà inesistenti. La politica del PCE, riluttante a considerare l’agitazione operaia nei giusti termini e, di fatto, consistente nell’attendere un lento risveglio della forza intorpidita della classe operaia, ancora piena di illusioni democratiche dopo un decennio di profonda recessione, dichiarò, sin dal 1930, che il potere era a portata di mano della classe proletaria e che, per conquistarlo, bisognava respingere ogni agitazione, ogni richiesta sul terreno della lotta immediata, organizzazione e inquadramento delle forze proletarie e critica delle correnti libertarie e socialdemocratiche, dedicando i loro sforzi unicamente alla preparazione della presa del potere. La conseguenza di questa politica è stata la liquidazione pratica del piccolo partito, al posto del quale si diede da fare una serie di tendenze che del rifiuto dei “metodi dittatoriali” della leadership guidata da Bullejos, fecero la propria piattaforma politica con cui presentavano la propria candidatura a guidare la ricostruzione del partito.

Tra queste correnti ne evidenziamo due, che in seguito avrebbero costituito la scissione “di sinistra”. La prima è la Federazione Comunista Catalana-Baleari (FCCB), organizzazione locale del Partito comunista in Catalogna e nelle Isole Baleari, ma ha avuto una certa influenza anche su Valencia, nel nord di Castilla e su Madrid. Questa corrente, con l’avvento della crisi del 1929, il cui fenomeno più notevole è stata la crescita della disoccupazione operaia e la stagnazione della produzione agricola (che ha drasticamente impoverito i piccoli agricoltori provenienti da nord e nord-ovest della Spagna), ha guadagnato una certa forza costituendo il principale bastione organizzativo del PCE. Mentre questo accadeva, il FCCB sviluppava una “propria originale” teoria, a detta dei suoi leader: la Spagna attraversava, con l’arrivo della Repubblica, una rivoluzione democratica, fatto incompatibile, da un punto di vista teorico e politico, con la consegna del PCE a favore del “Governo operaio e contadino”. Anche se la critica di queste posizioni è di per sé al centro di questo lavoro, e entreremo in profondità in seguito, va notato che la presunta opposizione di “sinistra” in realtà ha rappresentato un passo a destra rispetto alla politica, quella del PCE, che di per sé non era proprio assimilabile a quella della Sinistra. Le differenze che non erano ovviamente tanto teoriche o politiche ma riguardavano la lotta per il controllo di un partito fallimentare, hanno portato all’espulsione della FCCB. Questo poi ha formato un nuovo partito, la Federazione Comunista Iberica, e una piattaforma destinata ai simpatizzanti, il Blocco Operaio e Contadino, nel quale inquadrare un certo numero di sostenitori che si avvicinavano al nuovo partito attratti dal suo programma democratico. Torneremo su questo punto; è sufficiente per ora sottolineare che, in realtà, il nuovo partito fi conosciuto solo come Blocco Operaio e Contadino, un termine che riflette meglio la vera natura di questa organizzazione

La seconda corrente in ordine di importanza era quella trotzkista. In questo lavoro non faremo una storia del trotskismo in Spagna, che in verità non ha nessuna importanza se non perché non c’è quasi nulla che possa essere conosciuto con quel nome. Né entreremo nella cronaca delle divergenze tra Trotsky e la sua corrente in Spagna, se non nella misura in cui può aiutare a spiegare le posizioni che la sinistra comunista di Spagna in seguito difenderà come organizzazione indipendente. Pertanto, è sufficiente spiegare che la Frazione trotskista ha la sua origine in alcuni elementi espulsi dal PCE di fronte ai quali si collocò Andrés Nin quando, in fuga dalla repressione stalinista in Russia, arrivò in Spagna con l’esperienza di aver lavorato per la Internazionale Sindacale Rossa e per il fatto di mantenere uno stretto rapporto con Trotsky.

La Frazione trotskista mostrò rapidamente le sue divergenze interne, di nuovo quando la tensione sociale aumentò in Spagna, e la prospettiva di formare una corrente capace di influenzare strati significativi del proletariato si concretizzò nell’alleanza con il B.O.C. Così si formò la cosiddetta Sinistra Comunista di Spagna (ICE), cercando un’entità superiore a una semplice corrente del PCE e sviluppò progressivamente una teoria che giustificasse questa evoluzione che riprendeva l’idea della rivoluzione democratica in Spagna (altrimenti presente anche nel trotzkismo) come elemento centrale. Gli eventi dell’ottobre del 1934 nelle Asturie e in Catalogna precipitarono la rottura dell’ICE con Trotsky e la sua corrente, dando origine alla fusione tra ICE e BOC.

Porre “l’assenza del partito” in Spagna durante i momenti chiave della lotta di classe del proletariato nel periodo 1931-1937 è, come abbiamo detto, qualcosa di astratto che non riesce a toccare i punti essenziali della assenza di un’avanguardia rivoluzionaria che facesse “valere gli interessi comuni di tutto il proletariato, indipendentemente dalla nazionalità” e che difendesse “nelle diverse fasi di sviluppo della lotta tra il proletariato e la borghesia, gli interessi del movimento nel suo insieme” (Marx). Allo stesso modo, spiegare questa assenza in termini esclusivamente formali, cioè come assenza generica, non storicamente determinata o con un carattere nazionale, è egualmente posizione anti-marxista.

Il 1936 non fu il 1917, come è evidente. Gli eventi che hanno accompagnato l’Ottobre rosso in Russia non sono paragonabili a quelli della classe lavoratrice spagnola, come abbiamo potuto spiegare nella prima parte di questo lavoro. Ma le differenze tra i due momenti si spiegano, per i marxisti, tenendo conto degli stessi elementi e, partendo da lì, è possibile riprendere il filo che lega entrambe le date attraverso le vicende tortuose che ha attraversato il proletariato russo, italiano, tedesco ... e spagnolo nell’arco di vent’anni.

La domanda centrale riguarda, sempre, il Partito. Ma il partito di classe del proletariato non è né un’utopia né un riflesso automatico di ogni tipo di situazione. Lo sviluppo della classe proletaria intesa come una classe che lotta, come formazione di lotta, che vive quando vive una dottrina e un programma nei quali si sintetizza l’intero percorso della guerra di classe e i suoi obiettivi, dà origine a un modo non meccanico, alla selezione di una piccola parte di esso che collega in modo non spontaneo o congiunturale i suoi sforzi a fini non immediati o contingenti. Pertanto, il partito come unica espressione di una classe che altrimenti costituisce una massa amorfa e malleabile, sempre soggetta alle richieste di altre classi sociali, non dipende, per la sua esistenza, dal numero di proletari esistenti in un certo paese o regione del mondo né dalla violenza con cui determinati fenomeni caratteristici delle società divisi in classi sociali, colpiscono la massa. Dipende dall’esperienza della lotta che si accumula, attraverso salti improvvisi, non in modo continuo e regolare, nelle successive generazioni di proletari che, soffrendo le condizioni nelle quali sono costrette nel mondo capitalista, sono costretti a un processo di decantazione sociale in cui appaiono quelle “scintille” che illuminano il percorso che deve necessariamente essere percorso. Pertanto, la prima formulazione del partito è quella temporale e, attraverso di essa,  si risolve il legame che unisce gli obiettivi più immediati, le limitate esplosioni sociali, i tentativi rivoluzionari falliti, agli obiettivi finali, con l’estensione di conflitti parziali verso un obiettivo finale, ecc

D’altra parte, il partito è essenzialmente un collegamento di elementi diversi che provengono sia dalla classe proletaria sia da quelle rare defezioni di altre classi sociali, oltre i limiti che segnano la loro origine e l’impronta originale che il mondo borghese dà loro. Il proletariato è solo formalmente una classe nazionale: il contenuto del movimento storico diretto verso la società delle specie è internazionale. Ed è nel partito di classe che questa rottura con i limiti locali, regionali o nazionali tanto dei militanti di partito quanto dei proletari che sono i protagonisti della lotta della loro classe, assume un’espressione chiara e nitida. È la dimensione spaziale del partito, che lotta per estendere l’organizzazione della classe proletaria oltre i limiti nei confronti dei quali si scontra quotidianamente.

Se manca una di queste due dimensioni, se il partito non esiste come continuità temporale o spaziale della lotta di classe, formalmente non esiste; la sua esistenza rimane solo nel partito-storico, nel partito-programma. Se il partito non raccoglie l’esperienza e il bilancio storico delle lotte di classe, la continuità generazionale, che è un fatto esclusivamente politico, viene interrotta. Se il partito non esprime in termini dinamici il  †carattere internazionale della lotta di classe, quindi la natura di questa lotta come confronto contro l’intera classe borghese, la classe parassitaria del capitale che è internazionale, il virus nazionalista, l’eccezionalità locale, ecc. corromperanno questa lotta.

È solo in questo modo che la questione dell’assenza del partito in Spagna viene correttamente sollevata, tenendo presente i vincoli specifici che privarono ciascuno dei gruppi che asserivano di essere “il partito” in questa doppia dimensione.

Nel migliore dei casi, come mostreremo in questo lavoro, alcuni di loro hanno cercato di trasporre il modello derivante dall’astrazione della successione degli eventi della Russia nel 1917 alla situazione spagnola. Intendeva generare, meccanicamente e idealmente, una continuità che non esisteva a causa della mancanza di basi teoriche e di proiezione programmatica, tattica e organizzativa.

Il partito bolscevico lottò, dal 1903, per porre il marxismo sulle sue basi corrette. Lo ha fatto combattendo contro la degenerazione delle presunte correnti marxiste dell’Europa e dell’America e contro la sua variante russa. E lo fece sottoponendo alla prova di tre rivoluzioni il suo lavoro teorico, politico e organizzativo di fronte al proletariato russo. La progressiva degenerazione dei partiti socialisti, a partire dagli anni ’90 del XIX secolo, accompagnava lo sviluppo imperialista delle principali nazioni europee e americana,  cercando di privare la dottrina di Marx ed Engels dei suoi punti essenziali sia in termini di studio storico e economico come sul terreno squisitamente politico della questione dello Stato di classe. I bolscevichi non solo hanno affrontato la critica di questo opportunismo di prima generazione ma hanno anche dimostrato come il corso della stessa storia russa dava ragione al marxismo non adulterato. Così, con la sua vittoria nell’Ottobre 1917, non cade solo il governo Kerensky, ma anche il velo di menzogne  †che la socialdemocrazia aveva cercato di tenere in piedi di fronte ai proletari sulla natura della lotta di classe e sulla rivoluzione proletaria. Aspetti economici, storici, ecc. della lotta che i bolscevichi avevano affrontato fin dalla loro nascita sottolineavano la validità fornita dalla conferma su larga scala del loro trionfo politico.

Quasi 20 anni dopo, nel 1936, il problema non era di rivendicare questa esperienza in modo generale. Una nuova ondata opportunistica, accompagnata dalla reazione più brutale, aveva messo radici nuovamente. Difendere Lenin e il partito bolscevico non consisteva nel lodare le vittorie raggiunte sul terreno teorico e politico, né mostrare come la forza della controrivoluzione si era abbattuta in modo particolarmente duro su di loro. Il lavoro dell’esigua minoranza marxista sopravvissuta alla debacle mantenendosi ferma sulle posizioni marxiste, ma consisteva nel fare il bilancio di questa nuova sconfitta della classe operaia, e del movimento comunista internazionale, partendo dalla constatazione che il suo partito di classe era stato annientato a livello internazionale cancellando del tutto le basi di teoria e di prassi su cui si era costruito il trionfo di Ottobre e la formazione dell’IC.

Il partito di classe mancava, quindi, a prescindere dalla forza numerica di coloro che rivendicavano di esserlo, nella misura in cui mancava questo bilancio e la necessaria reaturazione della dottrina marxista. Questo bilancio lo ha potuto fare soltanto la Sinistra comunista d’Italia collegandosi intransigentemente a tutto il percorso teorico, politico, tattico e organizzativo sviluppato dalla sua formazione all’innesto con l’Internazionale Comunista e alla lotta contro la sua degenerazione e contro ogni tendenza opportunista e  controrivoluzionaria, combattendo ovviamente anche contro i cedimenti e le deviazioni che colpivano lo stesso movimento sotto la formidabile pressione controrivoluzionaria.

Il caso spagnolo, a proposito dell’incomprensione del reale peso della controrivoluzione, è molto significativo in questo senso. La Spagna era l’unico paese al mondo in cui, dieci anni dopo la crisi del partito russo e dell’Internazionale, le correnti di opposizione al PC ufficiale ottenevano una notevole forza numerica e un’influenza nella classe proletaria superiore a quella di quest’ultimo. Pertanto, “il partito” non mancava in termini formali. Non mancava nemmeno l’autoproclamato partito anti-stalinista. Ma i limiti tra coloro che si trovavano rinchiusi in queste correnti erano sufficientemente piccoli in termini politici, e soprattutto teorici, per essere in grado di rimontare da soli la situazione di prostrazione in cui le forze rivoluzionarie erano cadute.

In realtà, le correnti di opposizione al PCE (BOC, ICE e successivamente POUM) ricorsero, per compensare le evidenti carenze in questo senso, ad una trasposizione meccanica dell’esperienza russa, da cui potreva uscire solo la difesa proprio dei punti in cui questa esperienza non era immediatamente applicabile, o all’errore più profondo e tragico: diventare “innovatori” del marxismo e, partendo dalla difesa della libertà di elaborazione dottrinale, cercare di fare tabula rasa con il bilancio storico che il movimento comunista doveva fare sulla successione delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni per creare una nuova teoria costruita espressamente per la situazione spagnola.

È facile seguire questo filo esplicativo dalla propria traiettoria politica di coloro che hanno sollevato entrambe le tendenze. L’origine nel sindacalismo, il passaggio attraverso il governo locale della Catalogna, la difesa del blocco antifascista ... e persino l’attacco furioso contro coloro che criticavano i passi più contraddittori. Ma il nostro compito è mostrare che, dietro questi elementi, ci sono determinanti materiali indistruttibili e inappellabili e che si manifestano in ciò che è stato realmente realizzato da coloro che pretendevano di essere irraggiungibili. In questo modo, è importante spiegare la crisi politica e organizzativa del proletariato internazionale come la soluzione che BOC, ICE e POUM pretendevano darle nell’ultimo dei suoi bastioni; tanta importanza deve essere data ai limiti della rottura di queste correnti con il PCE e l’IC come il modo in cui hanno dovuto realizzare e giustificare la rottura. 

Questioni come la natura democratica della rivoluzione in Spagna, il problema della terra e delle nazionalità, il fronte unico antifascista o la questione dello Stato sollevato prima della guerra civile, sono le chiavi per mostrare la reale portata dell’infezione opportunistica che ha danneggiato le correnti politiche a cui ci riferiamo.

 

2.

Prendiamo una citazione dalle tesi della III Conferenza politica dell’Opposizione Comunista Spagnola (OCE). L’OCE è la sezione in Spagna della corrente trotskista, enucleata attorno a elementi provenienti dal PCE e che difendeva, nelle pagine della sua rivista Comunismo, alcune divergenze rispetto alla posizione trotzkista ufficiale. Man mano che queste divergenze si approfondivano, la OCE si trasformerà in ICE e, infine, si fonderà col BOC, dando origine al POUM.

Nel testo da cui è stata estratta la citazione, la prima parte è dedicata all’esame del carattere socioeconomico della Spagna, indicando che si tratta di un paese eminentemente industriale, scarsamente sviluppato e sottoposto al governo dei proprietari terrieri. Successivamente, si afferma:

In realtà, la proclamazione della Repubblica è stata un tentativo disperato della parte più lungimirante della borghesia di salvare i suoi privilegi. L’esperienza dei primi dieci mesi di esistenza del nuovo regime è arrivata a dimostrare ciò che i comunisti hanno sempre sostenuto: che la borghesia non può realizzare la rivoluzione democratico-borghese, che questa rivoluzione non può che essere opera del proletariato, appoggiandosi alle masse contadine attraverso l’instaurazione della sua dittatura. La Repubblica non ha risolto, né può risolvere, nessuno dei problemi fondamentali della rivoluzione democratica: il problema agrario, delle nazionalità, dei rapporti con la Chiesa, della trasformazione dell’intero meccanismo burocratico-amministrativo dello Stato. La soluzione del problema religioso (soluzione apparentemente radicale, poiché tutto il potere economico della Chiesa è rimasto in piedi), l’eventuale concessione di una meschina autonomia alla Catalogna e una timida riforma agraria che, alla fine, lascia intatti i diritti della grande proprietà, sono il limite estremo che la borghesia può raggiungere sulla via della rivoluzione democratica”.

Successivamente, abbiamo estratto un paragrafo dalla rivista del BOC, un articolo intitolato “I problemi della rivoluzione spagnola” e che riassume le posizioni di questa corrente sullo stesso argomento:

“I problemi posti oggi alla Spagna sono quelli inerenti a un paese che non ha ancora fatto la sua rivoluzione democratico-borghese [...] Una cosa che appare con tutta evidenza: che la Spagna, come la Russia del 1917, non sarà in grado di saltare questa tappa storica necessaria date le condizioni economiche e sociali del paese. La rivoluzione democratica, con tutti i problemi che pone, è quindi all’ordine del giorno in Spagna. Ma questa prova ci porta a un altro tema, già abbozzato in precedenza: che non sarà la borghesia repubblicana - o la piccola borghesia - che porterà avanti questa rivoluzione, ma il proletariato, con l’alleanza dei contadini. In questo senso, la rivoluzione sarà permanente, sarà trasformata da democratica a socialista”.

Prima di continuare, va notato che l’identità di entrambi gli approcci è relativa: mentre la corrente trotskista solleva un’estrapolazione automatica dell’esperienza russa in Spagna, il BOC è molto più confuso al riguardo, parlando in altre occasioni della “Rivoluzione democratico-socialista “ in cui i compiti economici e sociali delle rivoluzioni democratiche e socialiste risultano essere gli stessi ed entrambi, quindi, identificabili. Questo è il risultato della composizione sociale e ideologica del BOC, che, nonostante il suo presunto barlume comunista, non costituisce, in molti luoghi del paese, qualcosa di diverso da un partito repubblicano radicale.

Superate queste differenze, i punti essenziali sono gli stessi per entrambe le correnti: la rivoluzione democratica borghese è in sospeso in Spagna.

Per rivoluzione borghese si intende, nel senso che storicamente il marxismo ha dato, l’ascesa della classe borghese al potere, il suo controllo dello Stato, la liquidazione dei rapporti feudali di produzione e, da lì, l’elaborazione di una legalità che garantisca il libero sviluppo delle forze economiche del capitalismo, che esisteva già sotto il feudalesimo e la cui collisione con le formule giuridiche di questo ha provocato l’ascesa rivoluzionaria della classe borghese. Il modello della rivoluzione borghese studiato da Marx è stato l’inglese, proprio perché riunisce in modo chiaro tutti gli elementi che caratterizzano questo brusco cambiamento sociale, la cui principale conseguenza non è il raggiungimento di un sistema socialmente stabile, ma il passaggio ad una fase più intensa della lotta tra classi sociali e in cui la borghesia ha perso il suo carattere rivoluzionario a favore della classe proletaria, che porta in sé il progresso umano in tutti i campi.

Ma il modello britannico non si realizza in tutte le aree del mondo in cui è avvenuta la rivoluzione borghese. La sua purezza raramente si manifestò di nuovo, sebbene dappertutto la borghesia abbia finalmente trionfato. Il caso spagnolo è solo un esempio di rivoluzione borghese realizzata dove sono assenti tutti gli aspetti tranne gli essenziali (l’ascesa della borghesia al potere e lo sviluppo del modo di produzione capitalistico). Infatti, se la fase politica della rivoluzione borghese in Inghilterra era un fenomeno con le sue caratteristiche principali chiaramente osservabili, in Spagna la fitta rete di progressi e battute d’arresto, l’assenza di una classe risoluta e l’insieme delle particolarità regionali che apparivano e scomparivano durante tutto il periodo dell’ascesa della borghesia al potere, rese il periodo in cui si sviluppò estremamente buio.

Il 1808 ha dato l’inizio a detto periodo. L’invasione napoleonica della Spagna ha determinato il crollo del vecchio stato nobiliare, che non era in grado, dalla Corona in giù, di difendere l’integrità territoriale del paese. Inoltre, ha provocato la entrata in scena delle classi popolari sottomesse alle esazioni di Napoleone e dei suoi rappresentanti politici e intellettuali, elementi legati agli aspetti più minuti della vita economica del paese, che fornirono, di fronte al malessere popolare, la forza che dà la coesione programmatica. Nel 1808, ma soprattutto nel 1810, la Spagna, come nazione, scomparve e fu solo la forza dei contadini, di alcune classi proto-proletarie e dei rappresentanti illuminati delle classi mercantili, che combattero questo fatto. Le Cortes di Cadice nel 1812, ubicate nell’ultima città libera dal potere napoleonico e composte da rappresentanti popolari che non avevano alcuna legittimità democratica, svilupparono quindi il doppio compito di difendere la nazione e di imposizione della nazione contro le classi nobiliari. Idee senza azione, le chiamò Marx, e furono il programma rivoluzionario borghese fino al 1868.

Durante questo periodo, la vita politica e sociale del paese si sviluppò come una lotta a morte contro il progetto rivoluzionario della borghesia e gli sforzi delle vecchie classi dominanti per frenarlo. Ma questo scontro ebbe luogo in modi che non erano affatto evidenti, prima apertamente, poi come una lotta dinastica e, più tardi, come lotte civili-militari per concludere infine come una lotta armata dopo la quale il periodo noto come la Restaurazione (1874) era tale solo in termini nominali.

In Spagna c’è stata una rivoluzione borghese. E c’era nella misura in cui, per la fortissima posta in gioco dei settori “liberali” della borghesia, sostenuta dal 1820 da una altrettanto forte mobilitazione popolare, si opponeva a un blocco controrivoluzionario che usava tutte le sue armi per non essere rovesciato. Ma, senza dubbio, lo fu.

Dal punto di vista politico, la storia del XIX secolo spagnolo è la storia di un progressivo accomodamento del potere detenuto dalla nobiltà affinché la borghesia potesse parteciparvi. Per ognuno dei movimenti di quella presunta “rivoluzione borghese fallita” (termini ricorrenti nei testi del BOC e dell’ICE), corrispondeva a una battuta d’arresto delle classi dominanti, che cedevano il terreno per evitare di essere espulsi da un potere la cui tenuta esigeva, a sua volta, un adattamento al cambiamento economico che lo sviluppo internazionale del capitalismo imponeva.

1820-1823: Dopo 6 anni di restaurazione assolutista dopo la Guerra di indipendenza, il conflitto armato nelle colonie americane provocò il crollo della monarchia. Un esercito costellato di rappresentanti delle classi borghesi e contadine, insieme con la mobilitazione della borghesia commerciale delle città portuali, ripristina la Costituzione di Cadice e tutta la legislazione sussidiaria di questa: fine delle signorìe come forma giurisdizionale del potere la Chiesa, risanamento delle finanze statali attraverso politiche fiscali progressive, decentramento dell’apparato burocratico statale. Forte agitazione popolare, grazie alla quale appaiono i club politici e le società segrete che articolano il cosiddetto “partito fanatico” esplicito rappresentante della classe media urbana e difensore di un programma puramente democratico. Nel frattempo, la parte più conservatrice della borghesia cerca formule di compromesso con la nobiltà. L’ordine assolutista si ristabilisce solo attraverso l’intervento delle potenze che firmarono il Patto di Vienna, la Santa Alleanza, con la Russia in testa e con la Francia, inviando di un esercito per restaurare la monarchia assoluta.

1823-1839: la repressione assolutista raggiunge soprattutto i settori fanatici, concentrandosi sugli elementi borghesi a livello locale e sui grandi leader militari a livello nazionale. Ma i problemi evidenziati dall’esperienza rivoluzionaria del precedente triennio liberale costringono le classi nobiliari a una transazione politica con la quale cercano una fusione con i grandi proprietari agricoli. La borghesia commerciale e industriale è ancora ai margini di questo accordo, che porterà all’abolizione della legge salica per consentire il regno di Isabella II, regina dietro la quale si raggruppano i settori liberali. Inevitabilmente scoppia la guerra civile. Da un lato, lotta il partito guidato dai grandi proprietari terrieri, che apparivano come conseguenza della liquidazione delle signorìe, una formula giuridica che li privava dei diritti politici sui comuni ma che inizia a dare loro tutte le loro terre, creando un importantissima concentrazione della proprietà agraria come una massa di giornalieri espropriati, embrione del proletariato agricolo e urbano. Questo partito raccoglie il sostegno sia delle classi popolari borghesi e piccolo-borghesi, interessate all’abolizione delle restrizioni sul commercio e sulla proprietà, come delle grandi corporazioni che limitavano lo sviluppo dell’industria. Ottiene anche la neutralità della grande nobiltà, interessata a mantenere il suo status quo nei termini sopra delineati.

D’altra parte, gli elementi della classe nobile che sono stati influenzati dai cambiamenti economici vedevano ridotto il loro potere. Il loro emblema è la restaurazione dinastica col principe Carlo (da qui il nome carlismo) Insieme a loro, settori contadini proprietari della terra e contadini legati alla terra in proprietà comunale (Catalogna, Navarra, Paesi Baschi) che vivono come una minaccia il fenomeno dell’espropriazione della proprietà agraria e della sua concentrazione. Questa reazione, tipicamente feudale, non ha una base sociale al di fuori di quelle regioni in cui il regime enfiteutico della proprietà agraria (1) e il sistema di terre comunali hanno dato vita a un contadiname benestante; una volta che gli eserciti carlisti cercano di superare la linea dell’Ebro verso sud, mostrano tutta la propria debolezza e vengono sconfitti. Il partito Cristino (da Maria Cristina, la madre di Isabella II e Reggente di Spagna) da parte sua, inoltre, non ha una base sociale che permetta di combattere la reazione feudale, che lo costringe invece a fare forti concessioni alle classi subalterne che combattono sotto la sua bandiera. Questa guerra ha avuto connotazioni rivoluzionarie, ma le forze del lato borghese non erano abbastanza grandi per imporsi definitivamente su quelle feudale; dovettero siglare un patto che salvò i privilegi feudali dove questi corrispondevano direttamente alle rimanenti relazioni sociali pre-capitaliste e che non potevano essere estirpati direttamente. Pertanto, sono conservati la tassazione speciale e il governo feudale per la regione di Navarra e i Paesi Baschi. In Catalogna, il rapido sviluppo economico che la guerra stessa ha favorito ha invece minimizzato l’impatto di questo accordo. L’esercito fu innalzato al trono: Espartero, rappresentante della borghesia e dei proprietari terrieri, espulse la Regina Reggente e assunse direttamente la guida dello Stato. La disarticolata riforma agraria ha posto le basi per la nascita di una classe sociale, quella dei grandi proprietari terrieri, che tuttavia non era abbastanza forte da prendere il potere con le proprie mani.

1839-1854. Il periodo della Reggenza di Espartero e il successivo governo del Generale Narváez costituiscono un periodo di negoziati e patti tra le diverse classi possidenti. Mentre era ancora in piedi l’edificio statale del 1823, il rapido emergere di una borghesia rurale, il consolidamento della forma sociale mista della nobiltà terriera (mixata originalmente su basi di sangue e anche sulla proprietà privata non feudale di vasti appezzamenti di terreno, ma non per il suo contenuto che è già capitalista) e di un esercito che dirime i problemi politici del paese, formando una salvaguardia dell’ordine nazionale, torna la tensione sociale sul èiano delle lotte tra cricche di potere (chiamate “famiglie”). Le colonie americane sono state perse tranne Cuba e Puerto Rico. Questa mancanza di sostegno economico dell’Ancien Régime fece sì che la crisi della finanza pubblica si trasformasse in crisi perenne, sboccando in una nuova corrente alienante che liquida i beni comunali, consolida una classe di proprietari terrieri e apre la strada a investimenti finanziari e industriali stranieri. A questo punto, si comincia a distinguere una classe sociale che unisce proprietà agrarie e investimenti in titoli di Stato. E ‘quello che divenne noto come l’oligarchia latifondista interessata a mantenere i governi dittatoriali sostenuti da unioni civili-militari che limitavano le libertà democratiche (il suffragio, stampa, riunioni) per sopprimere le tendenze estremiste della piccola borghesia, che si manifestarono per la prima volta nel 1848 e come riflesso delle convulsioni sociali dell’Europa.

1854-1868. Le forze sociali messe in moto dal lento ma inarrestabile smantellamento dell’Antico Regime sorsero con forza dove la concentrazione della prima industria diede origine ai primi nuclei proletari. Il 1854 ha dato origine alla spinta dei lavoratori alle richieste democratiche della piccola borghesia urbana. Per la prima volta, la questione sociale è stata sollevata sotto forma di partecipazione dei lavoratori alle lotte politiche (Marx). Ma questa lotta politica “democratica” non chiede più la liquidazione dei rapporti di produzione pre-capitalista, che sono relegati a un ruolo secondario praticamente in tutto il paese, ma punta al culmine della rivoluzione borghese nei suoi aspetti puramente politici, che finalmente si raggiungono nel 1868. Con l’inizio del Sessennio Rivoluzionario (1868-1874) la liquidazione della monarchia borbonica e, in breve, il trionfo della borghesia urbana e industriale sull’oligarchia terriera, i termini dell’opposizione si chiarirono completamente : sulla base dei rapporti di produzione capitalistici, la fusione della vecchia nobiltà con la nuova classe dei proprietari terrieri, cerca di imporre un regime politico conservatore (che escludesse le altre classi sociali dalla partecipazione parlamentare, etc.) e protezionistico in economia, appoggiandosi anche alla produzione schiavistica a Cuba. Con questa politica si riproduce, ancora una volta, il fallimento delle finanze pubbliche, che suppone una pressione straordinaria sui borghesi industriali e piccola borghesia urbana, ma anche forza l’ingresso della capitale franco-britannico. D’altra parte, queste classi borghesi e piccolo-borghesi, con il forte sostegno dei primi proletari urbani e rurali, cercano di portare fino in fondo la rivoluzione democratica, liquidando i limiti alla partecipazione politica e inserendo un modello economico di libero mercato che favorisca il commercio non coloniale.

Questa lotta, che è già equivalente alla lotta puramente borghese francese o tedesca di venti anni prima, tra le diverse fazioni della stessa classe, tenderà allo sbocco in una nuova dittatura militare dopo l’insurrezione cantonale del 1874. La base economica e sociale del repubblicanesimo non era abbastanza forte da superare il cosiddetto “partito agrario”, mentre la situazione internazionale derivante dalla sconfitta della Comune di Parigi ha permesso agli elementi conservatori che hanno guidato la rivoluzione del 1868 di cercare un’alleanza con questo “partito agrario “ e contro il proletariato.

La rivoluzione borghese era finita. La restaurazione borbonica consistette in un ampio patto tra i settori che si erano affrontati fino all’arrivo della Prima Repubblica (1873). Le classi industriali basche e catalane furono parzialmente escluse da questo patto. Lo scarso sviluppo economico spagnolo non ha impedito ai rapporti capitalistici di produzione di dominare quasi esclusivamente e nemmeno, che la forma statale fossechiaramente borghese. Se questa forma di stato era controllata dalla borghesia agraria con il sostegno della borghesia schiavistica cubana, questo era semplicemente la conseguenza di quello scarso sviluppo di cui stavamo parlando. Dovremo aspettare per il 1898 e la sconfitta della Spagna di fronte alla potenza capitalista emergente, gli Stati Uniti, perché questa forma di Stato cominciasse a incrinarsi, ma lasciando inalterato il suo contenuto pienamente borghese e cercasse un rafforzamento nelle forze politiche ed economiche della borghesia catalana.

Sostenerere, come fecero le forze sedicenti di “sinistra” comunista, che nel 1931 la rivoluzione democratica borghese era ancora pendente in Spagna, è quindi o un adattamento iperformalistico di una realtà equiparata al modello seguito in Russia o, come nel caso del BOC, una relazione dal carattere esclusivamente piccolo borghese del partito. È vero che, nel 1931, c’erano ancora alcuni aspetti propri della rivoluzione democratico-borghese da realizzare; come è vero che i compiti oggettivamente imposti non sarebbero stati assunti dalla classe borghese. E, naturalmente, che il partito di classe del proletariato doveva tenerne conto. Ma senza dimenticare che la caratterizzazione politica e sociale della Spagna non era più quella di un paese alla vigilia della sua doppia rivoluzione, ma quella di un paese arretrato in termini capitalistici in cui si sarebbe svolta la battaglia principale tra il proletariato urbano e rurale e la classe dominante borghese. Questa distinzione non si basa su sottigliezze dottrinali, ma sul ruolo che tanto la classe proletaria che il suo partito dovevano svolgere negli eventi convulsi degli anni ’30. La visione dell’ICE, come quella del BOC e successivamente quella del POUM, partendo dallo slogan della rivoluzione democratica, ha svolto un ruolo disorganizzante su tutti i piani e dal quale ha avuto inizio la successiva deriva antifascista e governativa.

Ci sono due elementi che servirono da pilastro su cui appoggiare la teoria della pendente rivoluzione democratica borghese: il problema nazionale e la questione agraria. Il primo dei due, facendo riferimento alla posizione del partito sulle cosiddette questioni basca e catalana, è ben definito dagli articoli La questione delle nazionalità in Spagna (El programa comunista) e ora non scendiamo nei dettagli cui apportare qualche correzione ma che non pregiudicherebbero l’essenziale. Basta quindi dire che la ICE si è collocata in una posizione del tutto astratta nella quale la “difesa del diritto di autodeterminazione” nasconde il suo rifiuto di considerare la Spagna come un paese borghese in cui il proletariato deve assumere compiti essenzialmente non democratici e, quindi, non aspettarsi alcun aiuto da parte delle classi sociali esterne, che avevano già completamente perso il loro carattere rivoluzionario. L’insurrezione del 1934, con la proclamazione della Repubblica catalana, mostrerà in che misura la “oppressione nazionale” era un concetto vuoto verso il quale il proletariato ha mostrato un disprezzo spontaneo formidabile. Da parte del BOC, l’affermazione che il partito marxista dovesse essere un partito nazionalista (discorso Maurin, leader del BOC, presso l’Ateneo di Madrid nel 1932) è sufficiente a caratterizzare le posizioni che si situavano sul terreno del repubblicanesimo borghese.

Una maggiore attenzione richiede, al momento, la questione agraria o, piuttosto, l’uso del predominio agrario nella struttura economica spagnola come argomento per classificare il paese come feudale.

Prendiamo, ancora, due citazioni, la prima appartiene alle tesi della Seconda conferenza politica dell’OCE. La seconda è tratta da un altro articolo nella rivista teorica del BOC:

Allo stesso tempo che si considera il “carattere semi-feudale della proprietà agraria” l’OCE afferma: “Il soggetto della rivoluzione, il contadino, dato l’ambiente in cui vive, incarna la tendenza individualistica. Questa tendenza è accentuata nelle regioni in cui la proprietà è più divisa. Ma c’è uno strato, il più numeroso (il bracciante salariato), che serve, in un certo modo, da contrappeso, sebbene più che per la sua tendenza, per la sua condizione sociale. Nel campo soprattutto è dove si nota chiaramente come l’individuo sia un prodotto dell’ambiente. Alcuni tendono a conservare e altri a possedere, e in generale il concetto di possesso è profondamente radicato in tutti, anche se la loro situazione differisce a seconda delle circostanze, non nelle loro tendenze, ma nelle loro azioni. È, quindi, un compito facile guadagnare al partito l’immenso strato di salariati con una politica agraria giusta come condizione, naturalmente, che dà loro la sensazione che solo la rivoluzione comunista possa fare la trasformazione agraria che dà la terra a chi la  lavora. È un compito difficile, ma non impossibile da portare a termine con successo, anche quello di guadagnare l’ampio strato di piccoli proprietari dando loro la certezza che la rivoluzione agraria comunista li libererà dalle tasse, dagli affitti e dai gabelli, e nella maggior parte dei casi aumenterà la superficie di terra che deve sfruttare. È inutile dire che gli altri strati, il proprietario terriero e il contadino medio, ci interessano solo nella giusta proporzione del ruolo controrivoluzionario che sono chiamati a svolgere.

Ora, come stabilire questa politica agraria giusta, quali dovrebbero essere le sue linee generali? Senza dubbio, se il contadino salariato sarà da incitare, in termini astratti, a prepararsi a prendere possesso della terra, e gli diciamo, senza specificare né  condizionare il senso del possesso, che la rivoluzione comunista darà la terra che gli manca, lo comvertiremo in una forza rivoluzionaria espansiva di formidabile effetto immediato, ma è indiscutibile che il giorno dopo dovremmo entrare in lotta con lui, nel preciso momento in cui inizieremo a fare i primi passi verso la collettivizzazione delle campagne. Il fattore rivoluzionario si sarebbe trasformato in fattore controrivoluzionario e, nei momenti più critici, sicuramente, della rivoluzione. La collettivizzazione agraria, partendo dal principio fondamentale dell’industrializzazione della campagna, modificherebbe sostanzialmente il luogo e i termini di questo problema; ma questo, previsto in modo meditato nella nostra rivoluzione, non ha importanza se non come prospettiva. L’urgente, il non rimandabile è una politica agraria,di carattere immediato, che incorpori il contadino al piano del  partito e lo trasformi in una forza ausiliaria di prim’ordine del proletariato.

“La Spagna ha bisogno di una rivoluzione agraria, come quella della Francia della fine del XVIII secolo, come quella della Russia all’inizio del secolo attuale, che la scuoti su tutti e quattro i lati, rimuovendo tutto e non lasciando pietra su pietra. Basta privilegi, basta  latifondi, basta mezzadria, basta rabassa morta! [formula giuridica con cui si concede l’usufrutto della terra al produttore di vino durante la vita di una vite, circa ottanta anni, in cambio di una parte del prodotto sotto forma di reddito agrario per il proprietario di detta terra, tipico della CatalognaNDR] Tutte questi sopravvivenze feudali devono essere brutalmente estirpate dall’aratro della Rivoluzione agraria. La terra per chi lo lavora! Cioè, nazionalizzazione della terra e usufrutto gratuito per coloro che lavorano [...]”.

Controlliamo, ancora una volta, l’equiparazione pratica di entrambe le posizioni. Quella della corrente trotskista si concentrava, sempre, nei termini dell’estrapolazione della doppia rivoluzione in Russia. Il BOC, pieno di concetti confusi e sbagliati. Ma in entrambi la stessa idea: la rivoluzione democratica, che ha sempre una componente di mobilitazione contadina fondamentale; in Spagna, quindi, il problema agrario, per loro, si pone puramente in termini borghesi, essendo indispensabile rispettare l’esigenza dei contadini nella distribuzione della terra, la sua parcellizzazione o municipalizzazione. Anche se è evidente la profonda ignoranza mostrata dalla posizione del BOC sul carattere delle passate rivoluzioni borghesi riguardo la campagna, il tono di fondo non è alterato: limiti borghesi alla rivoluzione agraria, e quindi il proletariato agricolo considerato come appendice del piccolo proprietario e le critiche della Repubblica per non essere in grado di portare a termine questo programma.

È necessario, ancora una volta, indicare i limiti di questa concezione in cui l’argomento della Spagna feudale costituisce un fattore decisivo di smobilitazione e di divisione tra il proletariato agricolo e quello industriale.

La caratteristica essenziale della campagna spagnola, visibile ancor’oggi, è la grande differenza che esiste tra i sistemi di proprietà in ciascuna delle regioni del paese. Le grandi proprietà latifondiste che coprono le aree di Andalusia, Estremadura e La Mancha, contrastano con l’estensione del minifondo galiziano, cantabrico, asturiano e basco; che, a loro volta, differiscono notevolmente dalla piccola proprietà castigliana, catalana e valenciana sia per le dimensioni della proprietà che per i diversi tipi di prodotti e le formule di proprietà terriera.

Fino al 1812 tutte queste caratteristiche coesistevano senza essere decisive sotto un sistema di proprietà non proprio feudale ma assimilabile a questo modello: la terra era di proprietà individuale, coltivata da unità familiari caratteristiche della società pre-borghese con un grande peso di proprietà comunale La nobiltà aveva la propria terra che coltivavano anche piccole unità familiari contadine e, soprattutto, con diritti giurisdizionali sul complesso di comuni in cui si sviluppava la vita contadina (Marx) del 1812 che portò all’abolizione di questo regime signorile dal punto di vista dei privilegi politici: sia i diritti giurisdizionali che quelli economici, emanati dai primi (decime, ecc.) furono soppressi dai tribunali di Cadice, lasciando ai comuni l’obbligo di discernere in tribunale se la proprietà nobiliare di la terra era tale o se esistevano semplicemente diritti ematti sul suo prodotto dal dominio politico.

Così, la signorìa giurisdizionale (abolita) fu separata dalla signorìa sulla terra (trasformata in diritto di proprietà sulla terra da regolare tra contadini e nobili). La conseguenza fu che, dove c’era un sistema di piccole proprietà contadine che dovevano rendere tributi alla nobiltà, questa proprietà era libera da ogni restrizione; dove invece predominava il regime della mezzadria (la Catalogna, per esempio), il contadino era legato al proprietario mediante il pagamento di una rendita stabilita per contratto. Infine, dove c’erano vasti possedimenti di dubbia proprietà, la proprietà passò interamente nelle mani della nobiltà e il contadiname ne fu espropriato. Tre tipi di evoluzione che daranno origine a tre tipi sociali: il piccolo proprietario contadino, il piccolo inquilino contadino e il proletario del campo (il bracciante). L’ultimo è una forma tipicamente capitalista, con grande concentrazione della proprietà e in esso governa la relazione salariale. La sussistenza di alcune norme feudali in alcune aree del paese costituirà quindi un problema minore di quello posto dall’emergere di una vasta classe proletaria che è stata privata della terra e dei mezzi di produzione.

C’era, dunque, un campo semi-feudale in Spagna? No. La rivoluzione borghese ha dato origine proprio all’esproprio dei contadini che, per la maggior parte, hanno ingrossato le fila del proletariato agricolo e urbano. Se la produttività della società agricola media in Spagna era molto bassa o se i piccoli proprietari erano affetti da problemi fiscali o finanziari, a questo non si può opporre, come soluzione, a una distribuzione della terra (sintetizzata nella formula repubblicana della Riforma Agraria). L’idea che una più equa distribuzione della proprietà terriera avrebbe risolto il problema agrario, che era il problema dello sviluppo del capitalismo nelle campagne, presuppone una concezione romantica piccolo-borghese dietro la quale non si può nascondere un programma marxista. E, ovviamente, questa “soluzione” non poteva essere considerata come una esigenza della transizione verso il socialismo perché era il capitalismo stesso che lo aveva di fatto già superato.

L’ICE, il BOC e, più tardi, il POUM si allinearono, con sfumature diverse ma fermamente, dietro un’esigenza retrograda. È lo stesso BOC che fornisce queste cifre per la popolazione attiva nella campagna:

 

Contadini (piccoli proprietari):

occupati 2.000.000

Operai agricoli: occupati 2.500.000.

 

A ciò si aggiunga che la popolazione attiva della Spagna era allora di 7.038.000 lavoratori. Di questi 1.700.000 costituivano la popolazione lavorativa urbana. Quindi, abbiamo il 50% di proletari puri tra campagna e città, il che rappresenta una percentuale molto alta che mostra quello che era il vero conflitto di classe nel 1931.

Le agitazioni, chiamate “contadine”, che colpiscono la Spagna dal 1931 e originate in parte dalla disoccupazione dei lavoratori del campo e, in parte, dalla più forte pressione dei grandi proprietari terrieri sui mezzadri, mostrano un’effervescenza sociale di grande importanza. Di fronte a questi fatti, che spingono i villaggi proletari di campagna nel sud della Spagna a ridiventare dei veri baluardi della lotta di classe, la risposta del BOC e successivamente del POUM, è stata quella di creare una “alleanza operaia e contadina”, vale a dire, vincolare il proletariato agricolo puro alle esigenze del “contadino” (piccolo e medio proprietario) a parità di condizioni. Di per sé il “partito operaio e contadino” suppone un rifiuto frontale della dottrina marxista che, senza negare la necessità per il proletariato della campagna e della città di neutralizzare la forza potenzialmente controrivoluzionaria del piccolo contadino proprietario attraverso la propaganda che lo separa dall’influenza dei grandi proprietari terrieri, afferma sempre che in ogni momento il proletariato esiste come classe quando esiste il proprio partito, indipendente dal resto delle classi e dalla loro influenza politica. Ma questo, inoltre, in un paese dove, sia dal punto di vista della mera statistica sociale come da quello più importante della lotta politica, esiste una classe proletaria con una lunga tradizione di lotta anti-padronale (e non anti-signorìa, come è accaduto sotto il feudalesimo) porta il proletariato, mani e piedi legati, sotto il dominio della borghesia e delle correnti politiche repubblicane.

Il fallimento dell’anarchismo insurrezionale dopo le rivolte contadine del 1932 e del 1933 fu il canto del cigno di una classe proletaria rurale che il BOC e l’ICE abbandonarono anche nei più piccoli termini organizzativi. Nel 1936 l’offensiva militare liquidò questo settore della classe proletaria, gettando le basi per la successiva sconfitta del proletariato urbano.

 

3.

Abbiamo sottolineato l’assenza di una base teorica e dottrinale che giustifichi la possibilità di parlare di una Sinistra Comunista Spagnola. Lo abbiamo dimostrato sottolineando i punti fondamentali di questa assenza, cioè la sua concezione dei compiti del partito di classe nella Spagna degli anni ’30 come essenzialmente democratica e il suo rifiuto di riconoscere il vero conflitto tra il proletariato e la borghesia che esisteva nelle campagne spagnole, fatto di prim’ordine in un paese in cui il 40% della forza lavoro era impegnato in attività agricole. Nessuna possibilità del PCE e dell’IC, quindi, di rappresentare una rottura solida con lo stalinismo e, di conseguenza, la possibilità di intervenire in senso marxista nei confronti della classe proletaria. Dunque, su entrambe le questioni abbiamo: il categorico rifiuto di considerare i problemi della rivoluzione spagnola come una questione di ordine internazionale e, di conseguenza, la giustificazione delle loro deviazioni come esigenze della specificità spagnola. La voce di Trotsky era completamente sommersa perché in esse risuonavano, appunto, gli echi di un’impostazione internazionalista.

 In questo lavoro ci limitiamo a sottolineare i “vizi d’origine” che condizionarono l’emergere di una corrente di “sinistra” comunista in una classe proletaria che non andò mai oltre i limiti del tradeunionsimo. Il corso degli eventi storici mostra come l’origine di tutti gli “errori” del POUM (partecipazione al governo della Generalitat, resa durante le Giornate di Maggio del 1937) va cercata precisamente nel totale e assoluto disarmo teorico-politico delle correnti che lo costituirono.

Nel 1935 il POUM fu costituito dalla fusione dell’ICE e del BOC. Dietro a questa fusione c’è l’abbandono da parte dell’ICE dell’influenza trotskista riguardo la difesa intransigente dei principi marxisti di base, ma il posizionamento politico, tattico e organizzativo è stato condizionato dai gravi errori dell’ICE dal suo III Congresso Internazionale. Perché tale fusione avesse successo, cioè perché l’abbandono delle ultime tracce del marxismo dell’ICE fosse completato e si attuasse la sua capitolazione al repubblicanesimo radicale del POUM, doveva emergere l’idea di realizzare una certa influenza tra settori del movimento operaio che abbandonavano l’influenza anarchica. Questa idea è apparsa con gli eventi dell’ottobre 1934.

Per riassumere brevemente il ruolo del BOC e dell’ICE, prima e dopo questi eventi: nel 1933 si creò l’Alleanza Operaia, una piattaforma d’azione comune del PSOE, del BOC, dell’ICE, della USC (Unione Socialista Catalana, corrente piccolo borghese catalana ), i piccoli coltivatori [rabassaires] (piccoli proprietari agricoli) e i sindacati di opposizione espulsi dalla CNT perché contrastavano il dominio che la FAI esercitava su di esso. Il contesto di questa piattaforma coincide, da un lato, con il declino della lotta di classe del proletariato, ormai sfiancato nelle città e praticamente arresosi nelle campagne, dopo aver seguito per due anni la politica insurrezionalista della FAI, e, dall’altro lato, con l’auge delle formazioni di estrema destra che combattevano in strada contro i movimenti di sciopero. Questa alleanza non ha avuto il sostegno della CNT se non nelle sole Asturie, dove la predominanza storica tra i minatori del PSOE-UGT lo rendeva inevitabile.

Nel 1934, la salita al governo del partito monarchico CEDA, fa sì che il PSOE dia l’ordine dell’insurrezione, con l’obiettivo di tornare alla situazione del 1932, con il PSOE al potere, e ripristinare la legalità repubblicana. Il proletariato asturiano prende le armi e, per quindici giorni, si oppone al governo repubblicano, ma alla fine viene sconfitto dall’intervento dell’esercito. In Catalogna la CNT non sostiene la convocazione, i partiti piccolo-borghesi dirigono il movimento verso la proclamazione della Repubblica catalana, mentre arrestano i proletari più conosciuti per la loro militanza sindacale. Due colpi di cannone dell’esercito sono stati sufficienti perché il sedicente “Govern Catalá” si arrendesse. In entrambe le regioni (così come in altre regioni dove i proletari insorsero) la repressione fu feroce, l’Alleanza si mostrò incapace di fare qualcosa di diverso dal disperdere le energie del proletariato mettendole al servizio dei partiti repubblicani. Ma la conclusione del BOC e dell’ICE è che l’esperienza è stata soddisfacente e che è possibile raggrupparsi politicamente sulle sue basi.

Nel 1935 nasce quindi il POUM.

Ad eccezione della gloriosa insurrezione delle Asturie, il proletariato spagnolo non ha compreso la necessità della conquista del potere. Laddove il Partito socialista godeva di maggiore influenza, la classe operaia non ha ricevuto gli insegnamenti secondo cui il partito rivoluzionario del proletariato ha l’obbligo di infiltrarsi nella coscienza delle masse popolari. Gli anarchici non appoggiavano il movimento a causa del suo “carattere politico” e perché non facevano distinzione tra Gil Robles, Azaña e Largo Caballero. Pertanto è stato necessario un partito che, interpretando i legittimi interessi della classe operaia, si sforzasse di costituire preventivamente degli organismi del fronte unco allo scopo di conquistare attraverso le Alleanze Operaie, la maggior parte della popolazione. All’esercito rivoluzionario mancava uno stato maggiore con capi capaci, eruditi ed esperti. SENZA  PARTITO RIVOLUZIONARIO, NON C’È RIVOLUZIONE TRIONFANTE. Questa è l’unica vera causa della sconfitta dell’insurrezione di ottobre. Questo fallimento non è da attribuire al tradimento degli anarchici, sui quali non si poteva contare, né alla defezione dei contadini, malamente contattati dalla propaganda, né al tradimento evidente dei nazionalisti baschi e catalani, timorosi della piega che prendevano gli eventi che superavano le loro aspettative democratiche. Il partito rivoluzionario della classe operaia ha l’obbligo di prevedere queste contingenze, al fine di agire, come è necessario, prima e dopo della loro attuazione.

Nonostante tutto, questo fallimento non significa che il movimento operaio sia stato liquidato. La classe operaia è stata vinta, ma non eliminata, con la particolarità che il movimento è rimasto intatto nella maggior parte delle popolazioni spagnole, perché la classe operaia è rimasta di riserva senza esaurirsi. Il proletariato spagnolo si è arricchito di un’esperienza in più, che, se analizzata in tutti i suoi aspetti in modo critico e senza cercare di giustificare atteggiamenti fallimentari, tornerà con profitto alla causa rivoluzionaria, così come dimostrerà il fallimento di due ideologie che hanno le stesse radici economiche: il riformismo e lo stalinismo, come ideologie della piccola borghesia burocratica.

Andrés Nin, Le lezioni dell’insurrezione di ottobre (La Estrella Roja 1/12/1934)

 

Questo è il bilancio che l’ICE ha tratto dagli eventi dell’ottobre asturiano. È perfettamente coerente con le posizioni che abbiamo esposto in precedenza:

 

A. La questione politica e programmatica che è al centro dell’esistenza stessa del partito di classe, è trattata solo come un problema formale: il partito era assente. Ma, abbiamo visto, il partito non mancava nei termini meccanicistici coi quali parla l’articolo. Mancava perché mancava una dottrina, un programma, una lotta politica marxista, una tattica e un’organizzazione che non sono inventate da “capi capaci, eruditi ed esperti”.

Mancava il partito nella misura in cui non mancava la volontà, ma una forza storica, quella del proletariato costituito in classe, che non può essere creata dal giorno alla notte e che non è semplicemente un riflesso dell’agitazione operaia. Mancò il partito in gran parte perché la sedicente sinistra spagnola non svolse il compito – ma non poteva nemmeno svolgerlo – di criticare fra i proletari le posizioni del PSOE e delle correnti piccolo-borghesi che si trovano nel movimento, come in precedenza mancava la critica delle posizioni repubblicane e democratiche, lasciate a parte nel tentativo di conquistare adepti presentandosi come un partito “adeguato alle circostanze”.

B. La concezione democratico-borghese o democratico-socialista dei compiti del partito di classe, alla quale si aggiunse l’assunzione di posizioni antifasciste che equiparavano il “fascismo” spagnolo alla “reazione feudale”, ha portato a prospettare l’alleanza con la borghesia e la piccola borghesia in un fronte unico. La diserzione di entrambe le classi sociali dallo scontro va intesa come un “tradimento” degli obblighi che questa rivoluzione borghese, tanto attesa, imponeva. Il partito dovrebbe solo prevedere questa diserzione “per agire come è necessario”.

Perché, storicamente, dice Nin, fu obbligato a fare questa alleanza.

C. La lotta “antifeudale” dei proletari agricoli si evidenzia nell’affermare che la “cattiva propaganda”, secondo Nin, li ha portati all’indifferenza. Non si trattò di mancanza di propaganda, ma di una propaganda sbagliata che legò sempre le esigenze immediate e finali del proletariato rurale ad obiettivi superati dall’azione della stessa classe borghese. Mentre i proletari agricoli scioperavano, ICE e BOC organizzavano i piccoli proprietari catalani insieme al proletariato urbano, mettendo le loro richieste sullo stesso piano e lasciando al loro destino i lavoratori del sud della penisola (numericamente la massa più importante del paese).

D. Il proletariato non trasse “una lezione” dall’Ottobre asturiano e catalano. Solo un anno dopo si vedranno il PSOE e i partiti repubblicani firmare il patto del Fronte Popolare e le cosiddette organizzazioni di classe, fra le quali il POUM, correre alla porta del Fronte Popolare. Nel 1936, dopo l’arresto del colpo di stato, i proletari si diressero alle loro organizzazioni politiche e sindacali e ottennero da queste le vere lezioni che queste avevano tratto nel mese di ottobre:  †inchinarsi davanti al governo borghese del Fronte Popolare, partecipare alle istituzioni locali di questo governo, difendere la Repubblica che ha massacrato i proletari delle Asturie.

 

Il 1934 non fu solo il punto che segnò la sconfitta della classe proletaria, nella misura in cui lo pose alla coda dei partiti repubblicani e antifascisti. Il 1934 fu anche la fine delle illusioni di una presunta reazione della sinistra “spagnola” contro lo stalinismo. Dopo l’ottobre, l’appello all’ “unità” riguardava sia i proletari che la classe borghese in nome della difesa della Repubblica, dell’ICE e del BOC, che abbandonarono ogni velleità di sinistra per formare un nuovo partito al quale pretendevano di unire, al principio, il PSOE e il PCE, per poi aderire al Fronte popolare, al governo della Generalitat e al governo di Madrid quando quest’ultimo diede l’ordine di disarmare i proletari.

 


 

(1) Enfitèutico, da enfitèusi: diritto reale su un fondo altrui, in base al quale il titolare (enfitèuta) gode del dominio utile sul fondo stesso, obbligandosi però a migliorarlo e a pagare al proprietario un canone annuo in denaro o in derrate.

 

 

Partito comunista internazionale

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