A cent’anni dalla prima guerra mondiale

Le posizioni fondamentali del comunismo rivoluzionario non sono cambiate, semmai sono ancor più intransigenti nella lotta contro la democrazia borghese, contro il nazionalismo e contro ogni forma di opportunismo, vera intossicazione letale del proletariato (8)

(«il comunista»; N° 159; Maggio 2019)

 Ritorne indice

 

 

Nella serie di articoli intitolata A cent’anni dalla prima guerra mondiale ci sembra molto utile inserire un testo del 2009 che pubblicammo sia nel “prolétaire”(n. 491, nov. 2008-genn. 2009) che nel “comunista” n. 111, genn 2009). Questo testo è dedicato al tentativo rivoluzionario che il proletariato attuò in Germania nel novembre 1918 e che fu bloccato, deviato e soffocato dalla socialdemocrazia sotto le vesti sia del Partito Socialdemocratico della destra tradizionale che del Partito Socialista Indipendente formato da una sedicente “sinistra”. Collegato al lavoro collettivo di partito che giunse a editare la Storia della Sinistra comunista, questo testo mette in evidenza soprattutto il ritardo tragico del partito comunista rivoluzionario, e non solo in Germania, ma in Europa in generale e in America. Si sottolinea in particolare la funzione indispensabile del partito di classe nella preparazione rivoluzionaria del proletariato e nella guida della rivoluzione in ogni paese, rifiutando l’alleanza con qualsiasi altro partito “operaio” – quindi NO al fronte unico politico, voluto poi insistentemente dall’Internazionale Comunista – e contando, perciò, esclusivamente sul proprio programma e sulla propria organizzazione intransigentemente indipendente da qualsiasi altro partito e da qualsiasi altra forza politica, sociale come economica, Stato borghese compreso, ovviamente. Dalle sconfitte del movimento proletario e comunista, il marxismo insegna, si devono trarre le lezioni che rafforzano il partito di classe teoricamente, politicamente e organizzativamente; ma queste lezioni della storia le può trarre solo un partito che sia rimasto fedele alla continuità teorica col marxismo, che non si sia fatto deviare da fibrillazioni volontariste e contingentiste, e nemmeno da ingenua adorazione verso un' organizzazione numericamente forte ma insicura e transigente dal punto di vista teorico. La Germania, sia durante la prima guerra imperialista che negli anni successivi, vide un proletariato coraggioso e combattivo come nessun altro in Europa occidentale, un proletariato che, però, non poté contare sulla presenza operante di un partito di classe all’altezza del compito rivoluzionario che la storia richiedeva, un partito, cioè, che si fosse formato “alla bolscevica”, di lunga mano e dalla salda intransigenza teorica; un partito che fosse riuscito a separarsi in tempo dalla socialdemocrazia kautskiana e che si fosse irrobustito nelle vitali  battaglie di classe contro la democrazia e contro le deviazioni centriste e massimaliste. Che il movimento proletario tedesco fosse il perno della rivoluzione proletaria in Europa era evidente non solo a Lenin e ai marxisti del suo tempo, ma anche alle classi borghesi dominanti. Queste ultime, avendo già lungamente sperimentato la forza ideologica e pratica del riformismo e della democrazia (non a caso, sempre in Germania, si erano formate le grandi ondate opportuniste, la prima delle quali prese il nome da Bernstein e la seconda da Kautsky; per la terza ci pensò Stalin e il suo “socialismo in un solo paese”), si affidarono per l’ennesima volta ai vecchi arnesi della socialdemocrazia riformista, ma non bastò; perciò ingaggiarono al proprio servizio i nuovi arnesi della “sinistra socialdemocratica”, i Noske, gli Scheidemann, gli Ebert ai quali si unirono, nell’infame gioco di impedire che le masse operaie si spostassero verso la sinistra rivoluzionaria, gli Haase, i Dittmann, gli Hilferding e il mai tramontato Kautsky dell' USPD, i cosiddetti Indipendenti che, all’epoca, si posizionavano tra i maggioritari (la destra socialdemocratica) e i rivoluzionari (la sinistra di Liebknecht e Luxemburg), rappresentando in pratica il centro.

Con estremo ritardo, gli spartachisti (Luxemburg, Liebknecht), dopo essersi illusi, prima, di poter spostare l’SPD – grazie alla pressione diretta delle grandi masse operaie – sulla via della rivoluzione, e poi, dopo essere stati tollerati e infine cacciati, di poterlo fare dall’interno dell’USPD, dal quale vengono del tutto emarginati e inascoltati, si decidono a costituirsi (siamo nel gennaio 1919) in Partito Comunista di Germania (Lega Spartaco); un partito che viene immediatamente decapitato dalla soldataglia socialdemocratica: Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht vengono infatti barbaramente assassinati. La fine tragica degli spartachisti non deve nascondere il fatto che essi furono prigionieri di una visione “semi-operaista” del partito di classe, nel senso che ritenevano che fosse il movimento “dal basso” delle masse operaie a  doversi scrollare di dosso il vertice riformista dando ai rivoluzionari il mandato di guidare il partito. Come dire che il partito non è un organo separato dalle masse che ha il compito di guidarle, prendendosi la responsabilità degli indirizzi che dà e delle decisioni che prende, ma è un organo che è legittimato solo dopo che le masse o, meglio, la classe nel suo insieme, lo ha eletto a propria guida... E’ evidente la distanza, che divenne siderale, tra questa visione che, in definitiva, vuole che siano le masse operaie a prendersi la responsabilità di fare la rivoluzione e di combattere ogni deviazione riformista e massimalista, dunque che si guidino da se stesse, mentre al partito di classe si destina il ruolo di partecipante, attivo e deciso, ma solo partecipante; e l’altra visione, di Lenin e della Sinistra comunista d’Italia, che vuole, invece, il partito come organo dirigente del movimento proletario e della rivoluzione e come unico organo dirigente della dittatura proletaria a potere conquistato.

 

 

Germania 1918-1919: il tragico ritardo del partito

 

Nel novembre del 1918, i proletari e i rivoluzionari del mondo avevano gli occhi puntati sulla Germania: la rivoluzione tedesca, tanto a lungo sperata dai marxisti, attesa con impazienza dai bolscevichi, sembrava avere inizio.

Nel mese di ottobre era stato formato un governo che comprendeva, per la prima volta, dei rappresentanti del Partito Socialdemocratico (una minoranza più a sinistra si era già costituita in Partito Socialista Indipendente, espressamente per impedire la costituzione di un vero partito proletario rivoluzionario); la disfatta militare era già avvenuta e, di fronte a un crescente fermento sociale,per gli opportunisti si trattava di preservare l’ordine costituito dando ai proletari l’impressione che “la pace e le riforme democratiche” fossero l’obiettivo di questo governo di coalizione che, secondo le dichiarazioni dei socialdemocratici, intendeva realizzare una “rivoluzione pacifica”. Ma questo non bastò per impedire il movimento delle masse. Il 2 e 3 novembre i marinai della flotta da guerra si ammutianvano a Kiel all’annuncio che le navi stavano per salpare – probabilmente per ingaggiare una battaglia per salvare l’onore contro la flotta inglese. I marinai si impadronirono delle navi da guerra e minacciarono di sparare sugli alloggiamenti degli ufficiali se i loro compagni non veniv ano liberati.

Nel giro di pochi giorni un gigantesco movimento di rivolta spontaneo dilagò in Germania. In tutto il paese si formarono i consigli di soldati e operai di fronte ai quali le autorità civili e militari si trovarono impotenti.

Ma dietro questa fiammata rivoluzionaria c’è un’enorme confusione, una completa assenza di prospettive e di organizzazione. E così i marinai insorti di Kiel, che hanno fucilato i loro ufficiali e issato la bandiera rossa sulle navi da guerra acclamano il socialdemocratico Noske inviato in tutta fretta dal governo per contenere la rivolta. Peggio ancora, gli permettono di porsi a capo del comitato dei soldati e come comandante del presidio militare. Questo episodio è doppiamente emblematico.

Mostra innanzitutto il ruolo che il Partito Socialdemocratico, il “maggioritario” nell’SPD, avrebbe giocato nei mesi e negli anni futuri. Agli occhi dei soldati e degli operai si afferma come autenticamente socialista, pretende di rappresentarli, di difendere le loro rivendicazioni e i loro interessi. Ma, in realtà, il suo unico scopo è quello di mantenere l’ordine, salvaguardare la legalità borghese, impedire ad ogni costo l’esplosione rivoluzionaria. Finge di accettare l’autorità dei Consigli che nascono spontaneamente per poter meglio impedire loro di esercitare un potere effettivo e far sì che appoggino il governo dello Stato borghese di cui questo partito fa parte. Comprendendo molto meglio di certi gruppi borghesi reazionari che è impossibile opporsi frontalmente all’onda lunga che dilaga (1), si lascia portare dalla corrente per poterla canalizzare appena comincia a indebolirsi.

È questo governo che spinge a riorganizzare in “corpi franchi” una solida forza armata dello Stato borghese per nascondere la disgregazione dell’esercito classico, buona parte del quale passava sul fronte del “disordine”. Così, entrato a Berlino il 10 dicembre 1918 per sistemare la questione della Divisione popolare della marina con 40.000 uomini, il generale Lequis il 23 dicembre non ne aveva ai suoi ordini che 2.000! Sarà questo governo della “rivoluzione pacifica” a incaricarsi, nel corso dei mesi successivi, di decimare l’avanguardia proletaria con un abile gioco di provocazioni e di repressioni sanguinose.

In secondo luogo, questo fatto mostra l’inevitabile debolezza del movimento spontaneo. In assenza di una vera direzione politica capace di dargli chiari obiettivi e un coordinamento reale, questo movimento si farà, da una parte, invischiare nella direzione e nell’apparato socialdemocratico e, dall’altra, sarà spossato da “colpi di testa” locali, magnifici, ma isolati, che la controrivoluzione schiaccerà uno dopo l’altro tanto più facilmente in quanto non potevano avere alcuno sbocco.

Ciò che risulta chiaro a partire da questo episodio e che scoppierà con un’evidenza tragica nelle settimane e nei mesi successivi è l’incapacità del movimento spontaneo delle masse di prendere il potere.

L’esplosione della collera delle masse, la loro volontà di mettere fine alla guerra e alla miseria possono infliggere duri colpi allo Stato borghese, paralizzare e lacerare temporaneamente il suo apparato amministrativo e militare. Ma per distruggere questo Stato da cima a fondo, per appropriarsi della direzione della società, per erigersi a classe dominante, per esercitare il proprio potere, le masse proletarie hanno bisogno di un organo di direzione politica e organizzativa che è il partito di classe.

Sfortunatamente, ciò che a quell’epoca caratterizza la situazione dei paesi capitalistici sviluppati d’Europa è l’enorme ritardo nella costituzione del partito rispetto all’esplosione delle lotte di classe; ed è in Germania che l’assenza del partito si fa sentire in modo più crudele, proprio perché qui le masse sono proiettate nelle lotte più radicali. Mentre in Russia la lotta spontanea delle masse ha potuto cristallizzarsi attorno a un partito che si era costituito e delineato da tempo e che si era imposto e legato alle masse attraverso una lunga serie di lotte economiche e politiche, immediate e rivoluzionarie, il proletariato tedesco non trovava la direzione di cui aveva bisogno.

Senza alcun dubbio esistevano in Germania correnti rivoluzionarie che non solo avevano combattuto la politica socialsciovinista della socialdemocrazia, ma che aspiravano a trasformare il sollevamento spontaneo delle masse proletarie contro la guerra imperialista in rivoluzione socialista. Un insieme di fattori, fra cui la loro stessa mancanza di chiarezza e di rigore politico – che in alcuni casi le portava addirittura a negare la necessità stessa di tale direzione! – aveva impedito loro di costituirla realmente.

Ciò di cui le masse hanno bisogno, nel momento in cui le loro esigenze immediate le costringono a scontrarsi, armi alla mano, con lo Stato borghese, non è una “guida spirituale”, ma un organo di direzione nel pieno senso del termine. Un organo che sia certamente il rappresentante del programma storico del proletariato, ma che sappia anche collegare quest’ultimo alle esigenze immediate; che non sia solo un propagandista del socialismo, ma anche una forza organizzata; che abbia già incominciato a imporsi come dirigente e organizzatore attraverso le lotte quotidiane e parziali della classe, e che possa quindi tendere a conquistare un’influenza non solo politica, ma anche pratica, determinante su larghe masse.

In Germania, anche gli elementi più avanzati erano rimasti prigionieri, da una parte, del fascino dall’”unità” operaia e, dall’altra, di una visione spontaneista che li portava ad attendere che i proletari rompessero da soli con l’ideologia socialsciovinista e con la politica opportunista, senza capire che spettava a loro precedere questo movimento per renderlo possibile. Una visione che credeva che le masse si sarebbero messe in movimento dopo aver “preso coscienza” del tradimento socialdemocratico, e che non capiva che, anche quando le determinazioni materiali spingono le masse a scrollare con la loro azione l’orientamento e l’inquadramento degli “agenti della borghesia in seno al proletariato” (Lenin), l’influenza e il peso di questi partiti non svaniscono mai da soli. È la lotta del partito di classe che permette, in queste circostanze favorevoli, di strappare i proletari all’influenza dei socialtraditori e di raggrupparli attorno a sé e alla propria direzione.

Benché abbiano denunciato e combattuto il tradimento aperto della socialdemocrazia nel 1914 e la sua collaborazione sempre più stretta con lo stato borghese nel corso della guerra, gli Spartachisti (dal nome del bollettino da loro pubblicato: “Spartakus”) esitavano a rompere con l’SPD: aspettavano che prima le grandi masse proletarie si sottraessero al socialpatriottismo. E quando le masse hanno incominciato a imboccare questa via, non con affermazioni politiche, ma attraverso lotte di strada, manifestazioni, scioperi come quello del gennaio 1918 che ha coinvolto a Berlino quasi un milione di lavoratori, gli Spartachisti si fecero superare ancora dall’ipocrisia centrista.

 

Dalla “rivoluzione” di novembre…

 

Per evitare che le agitazioni crescenti si coagulassero attorno agli Spartachisti, l’ala sinistra del riformismo li aveva prevenuti e aveva costituito nel 1917 il Partito Socialista Indipendente (USPD). In questo partito che si dà arie rivoluzionarie, mentre è ancora più marcio dell’SPD, gli Spartachisti riprendono la loro fatica di Sisifo per tentare di portarlo su posizioni rivoluzionarie, un lavoro che il PC tedesco perseguirà per anni: ottenere o per lo meno influenzare la maggioranza o, come minimo, la sinistra dell’USPD. Disgraziatamente, ogni volta che le rocce franano dalla montagna, travolgono il proletariato!

In effetti, gli Spartachisti sono prigionieri in questo partito che li disprezza e li sopporta solo per impedire che agiscano in modo autonomo, e se ne servono come garanzia agli occhi degli operai più avanzati. Questa garanzia era tanto più necessaria all’USPD in quanto la utilizzava per tutelare la sinistra contro i peggiori elementi di destra dell’SPD, come Scheidemann, Ebert, Noske e compagnia bella: durante il periodo cruciale del novembre-dicembre 1918, condivide con loro la responsabilità di governo. La partecipazione al preteso “Consiglio dei Commissari del Popolo” (sic!) di questo partito di cui gli Spartachisti sono membri, anche solo come “opposizione di sinistra”, di questo partito che, come loro, parla di “repubblica socialista”, di “cambiamento del sistema economico” ecc., impedisce qualunque offensiva generale contro lo Stato borghese e perfino ogni chiarificazione politica.

Il 9 novembre, quando un sollevamento spontaneo coinvolge l’intero paese, l’imperatore abdica e il cancelliere “cede i suoi poteri” al socialista maggioritario Ebert, che aveva cercato di salvare la monarchia e poi la collaborazione con i partiti di destra. Ma di fronte ai proletari e ai soldati insorti, il solo governo borghese possibile è un governo dai colori “socialisti”. La sera del 10 novembre l’assembela generale dei Consigli operai e dei soldati di Berlino propone la formazione del governo provvisorio precedentemente negoziato fra SPD e USPD, sotto la pressione dei soldati organizzati dall’SPD; le posizioni opposte da Liebknecht, rappresentante degli Spartachisti, vengono ampiamente respinte in nome dell’”unità”. L’11 novembre, gli Spartachisti si organizzano nella “Lega Spartakus”, ma rifiutano di costituirsi in partito indipendente, vogliono restare solo un “gruppo di propaganda” all’interno dell’USPD.

Quest’attitudine degli Spartachisti rafforza inevitabilmente negli operai l’idea, difesa in qualche modo dalla stessa Rosa Luxemburg, secondo la quale la “rivoluzione politica” sarebbe già fatta e che si tratterebbe solo di “continuare la rivoluzione” attraverso misure socialiste.

Nel suo editoriale del 18 novembre sulla Rote Fahne, Rosa Luxemburg chiede l’organizzazione di una “Guardia rossa proletaria” per proteggere la rivoluzione e «Nell’amministrazione, nella giustizia e nell’esercito, l’eliminazione degli organismi ereditati dal vecchio Stato poliziesco, militarista e assolutista». Dopo aver accusato il governo di «lasciar agire tranquillamente la controrivoluzione», conclude «Tutto questo è perfettamente regolare. Non è certo in 24 ore che uno Stato reazionario può trasformarsi in uno Stato popolare [?] e rivoluzionario. (…) Il quadro attuale della rivoluzione tedesca corrisponde perfettamente al grado di maturazione interna della situazione. La squadra Scheidemann-Ebert costituisce il governo qualificato della rivoluzione tedesca al suo stadio attuale (…). Ma le rivoluzioni non restano immobili (…). Se la controrivoluzione non deve vincere su tutta la linea, bisogna che le masse siano vigili» (2).

La confusione qui è completa; la rivoluzione è vista come un processo in atto, di cui il governo è uno dei frutti ancora immaturo, e il compito delle masse proletarie è solo quello di rimanere “vigili” per garantire la continuità di questo processo nel corso del quale sembra di intendere che lo Stato possa “trasformarsi”…

Lo stato maggiore tedesco, invece, capiva perfettamente la situazione. Il 10 novembre una circolare dell’Alto Comando ai comandanti delle grandi unità aveva indetto la costituzione di Consigli di soldati ai suoi ordini in tutti i reparti per mantenere il controllo delle truppe. Il 16 novembre una nota firmata dal capo di stato maggiore (Hindenburg) precisava: «Si comunica che l’Alto Comando è disposto a un’azione comune con il cancelliere Ebert, capo del partito socialdemocratico moderato, per impedire l’espansione in Germania del bolscevismo terroristico» (3).

Alla metà di dicembre, il Congresso nazionale dei Consigli operai e dei soldati, in cui i sostenitori dell’SPD sono maggioritari (e che aveva rifiutato di accogliere al suo interno la Luxemburg e Liebknecht), vota l’abbandono di ogni velleità di potere a vantaggio di una futura assemblea costituente; le manifestazioni indette dagli Spartachisti per far pressione sui congressisti non riescono a farli cedere. Mentre il numero dei disoccupati si raddoppia, durante il mese di dicembre le agitazioni, gli scioperi per i salari, le manifestazioni di strada e gli scontri sanguinosi con la polizia si moltiplicano man mano che la reazione solleva la testa.

Ciononostante, gli Spartachisti pensano solo a chiedere (senza risultati) che… l’USPD lasci il governo e tenga un congresso straordinario: «Se Haase e i suoi amici lasceranno il governo, questo gesto scuoterà le masse, aprirà loro gli occhi. Ma se continuerete a coprire le azioni del governo, le masse si solleveranno e vi spazzeranno via. Oggi, in periodo rivoluzionario (…), quello che importa è spiegare attraverso l’azione» (4). È ancora viva l’insensata illusione di servirsi dell’USPD per “agire” sulle masse…

In fatto di misure “socialiste”, “il governo qualificato della rivoluzione tedesca” riesce, con l’aiuto della gerarchia militare, a riunire e a riorganizzare una forza armata su cui poter contare; si adopera per limitare le pretese, per quanto timide, del Comitato esecutivo dei Consigli. Alla fine di dicembre, l’offensiva del governo contro la “divisione popolare della marina”, un’unità di 3.000 marinai rivoluzionari acquartierati nel cuore della capitale provoca una massiccia reazione del proletariato berlinese; ma, nonostante le decine di morti durante gli scontri, la questione si conclude con un compromesso che neutralizza questi soldati: rimarranno infatti impassibili durante la sanguinosa settimana di gennaio. Poiché il governo passa all’offensiva senza preoccuparsi dei desiderata dell’USPD, quest’ultimo rompe la coalizione e lascia il governo. Ha ormai giocato il suo ruolo paralizzante; dopo i sanguinosi scontri sarebbe troppo compromettente rimanere all’interno del governo! Sarà senz’altro più utile al mantenimento dell’ordine borghese passando all’opposizione.

 

… alla controrivoluzione di gennaio

 

Lo stesso giorno in cui i ministri dell’USPD si ritirano, il 29 dicembre 1918, gli Spartachisti, dopo le ultime esitazioni e un ulteriore tentativo di far convocare un congresso straordinario, escono finalmente dal partito. Alla fine, si arriva alla costituzione del partito comunista, nel quale gli Spartachisti confluiscono insieme ad altri gruppi, in particolare i “comunisti internazionalisti” di Brema.

Abbiamo mostrato in altre occasioni (ad esempio nel secondo volume della nostra Storia della Sinistra comunista, 1919-1920) che questo partito è nato non solo troppo tardi, ma anche su basi poco chiare e poco solide. È vero che i suoi migliori militanti saranno spinti dalle stesse esigenze della lotta a superare la loro visione spontaneista, antiautoritaria e anticentralista e a rivendicare la necessità di una direzione centralizzata; ma la reazione non lascia loro tempo sufficiente a trarre questa lezione fino in fondo.

Nell’articolo scritto l’8 gennaio 1919, una settimana prima di essere assassinata, Rosa Luxemburg finisce per riconoscere che il dovere dei rivoluzionari non è quello di attendere che le coscienze si illuminino, ma di «impadronirsi di tutte le posizioni di forza reali, di mantenerle e di usarle». Capisce che «l’inesistenza di un centro incaricato di organizzare la classe operaia berlinese [e a maggior ragione tedesca!] non può più durare»; che «occorre che gli operai rivoluzionari mettano in piedi organismi dirigenti in grado di guidare e utilizzare l’energia combattiva delle masse».

Proprio come Liebknecht che, alla vigilia del suo assassinio, attribuisce la disfatta degli operai di Berlino al fatto che «la loro forza è stata paralizzata dall’indecisione  e dalla debolezza dei loro dirigenti», Rosa Luxemburg parla «dell’indecisione, delle esitazioni e degli indugi della direzione» che hanno determinato lo spezzettamento del movimento, lo smarrimento delle masse e il tragico isolamento degli elementi più combattivi che non sapevano neppure loro che strada prendere (5).

Si tratta, in effetti, di una terribile autocritica del movimento spartachista. Neppure dopo la costituzione del KPD (il Partito comunista tedesco), i suoi dirigenti intendono considerarsi come la direzione del proletariato. Cercano altrove questa direzione, nella sinistra degli Indipendenti o fra i “Delegati operai”, o addirittura attendono una nuova “direzione che emerga dalle masse”.

Questa esitazione dei rivoluzionari ad assumere le proprie responsabilità in tutto il periodo che va fino al maggio 1919 è il gioco ignobile degli Indipendenti e della sinistra dei “maggioritari”. La combattività delle masse proletarie è ancora integra: esse rispondono a tutti gli appelli alla lotta e addirittura promuovono spontaneamente scioperi, manifestazioni, occupazioni delle sedi dei giornali, tentativi di sommossa ecc.

Ma ogni volta, da Berlino alla Ruhr, da Amburgo a Monaco, si assiste allo stesso copione. Che i movimenti sorgano spontaneamente, che siano promossi dagli Indipendenti o dai maggioritari, o rispondano a un appello del KPD, ogni volta i comunisti partecipano ai diversi organi unitari che pretendono di dirigerli.

Questi organi  oscillano fra atteggiamenti barricadieri e compromessi con il governo e, invece di orientare e dirigere la lotta, la disorientano e la disorganizzano. Fino al momento in cui lo Stato borghese, raccolte forze sufficienti, passa al contrattacco; allora l’”unità” s’infrange, tutti scappano e i comunisti restano da soli di fronte alla repressione insieme a quella parte di operai che, nonostante lo smarrimento, ha ancora la forza di battersi.

Alla fine del 1918 il governo socialdemocratico stabilisce di poter e dover schiacciare al più presto la sovversione (Noske dirà di accettare la responsabilità di essere il “cane sanguinario” della repressione).

Il 4 gennaio il governo silura il prefetto di polizia Eichhorn, socialista indipendente, ritenuto un ostacolo a questa repressione (6). Questo provvedimento scatena già dall’indomani un gigantesco movimento di protesta degli operai di Berlino ; essi capiscono che il governo ha imboccato la via dello scontro. Un Comitato “rivoluzionario” a cui partecipa il KPD a fianco degli Indipendenti e dei delegati operai, decide il rovesciamento del governo. Ma non stabilisce alcun incarico pratico e a partire dal 6 gennaio i Socialisti Indipendenti avviano dei negoziati con questo stesso governo, mentre gruppi di operai insorti occupano spontaneamente… la sede del giornale dell’SPD.

La direzione del KPD è divisa riguardo alla via da percorrere. Durante questo periodo il governo ha preparato i suoi “corpi franchi” che poi, il 10 gennaio, cominciano ad attaccare gli edifici occupati. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht vengono arrestati e assassinati il 15 gennaio; il KPD viene messo fuori legge e, nei mesi che seguono, si scatena la repressione contro i proletari rivoluzionari.

 

*       *       *

 

Fa parte del lavoro della nostra corrente cogliere e trasmettere le dure lezioni di queste lotte tanto eroiche quanto tragiche. Qualunque tentativo di “rafforzare” il movimento attraverso l’unione con i riformisti, sicuri agenti della controrivoluzione, o anche con i “centristi”, cioè i riformisti “di sinistra”, rivoluzionari a parole e controrivoluzionari nei fatti, lo indebolisce e lo conduce al massacro. Ogni tentativo di appoggiarsi a forze politiche estranee o ostili ai principi comunisti per costituire la direzione rivoluzionaria porta alla catastrofe: nessuno all’infuori dei comunisti autentici può dirigere la rivoluzione, ed essi non devono condividere la direzione con nessuno.

Se il partito è debole e poco influente non esiste alcuna ricetta miracolosa per rovesciare questo rapporto di forze. Cercare disperatamente degli appoggi e degli alleati all’interno di altri partiti politici non può che indebolirlo ulteriormente.

Il partito può rafforzarsi ed estendere la sua influenza solo agendo sulla base del proprio programma e dei propri principi, dimostrando ai proletari che lui solo risponde ai loro bisogni di orientamento e organizzazione, imponendosi attraverso le lotte proletarie immediate eparziali come direzione effettiva del movimento di classe.

Il partito non può attendere lo scoppio della crisi rivoluzionaria per costituirsi: a quel punto è quasi sempre troppo tardi! Deve costituirsi, rafforzarsi e collegarsi con le avanguardie ben prima che le grandi masse vengano precipitate nello scontro violento con lo Stato borghese.

Il partito deve precedere le masse, deve saperle attendere. Le masse non possono attendere il partito: nel momento in cui i fattori oggettivi le costringono a sollevarsi occorre che trovino il loro organo di direzione, altrimenti vengono schiacciate. Preparare il partito significa preparare la rivoluzione futura.

Questo è l’insegnamento sempre attuale delle grandiose lotte e della sconfitta di 100 anni fa in Germania!

 


 

(1)  Al Consiglio dei ministri, il ministro della marina afferma: «Bisogna dare un esempio. Affamando la città non la fiaccheremo; è necessario penetrarvi con ingenti forze e bombardarla dal mare»; questa la risposta del socialdemocratico Scheidemann: «Occorre interrogarsi su ciò che accadrà se interveniamo con la forza a Kiel. Le altre città si proclameranno solidali con Kiel. D’altronde non possiamo attaccare gli ammutinati, hanno troppe munizioni e artiglieria marina. È più accorto dire: discutiamo sulle vostre rivendicazioni». Cfr. «Les spartakistes. 1918 : l’Allemagne en révolution», G. Badia, pp. 56-57.

(2) La «Rote Fahne» (Bandiera rossa) era il quotidiano degli Spartachisti; il suo primo numero era apparso il 9 gennaio, dopo l’occupazione della tipografia di un grande giornale borghese. Cfr. G. Badia, op. cit., p. 160.

(3) Ibidem, pp. 127-128.

(4) Discorso di Rosa Luxemburg il 15 dicembre, alla riunione della Grande Berlino dei militanti dell’USPD. La mozione Luxemburg per la convocazione di un congresso straordinario del partito ottenne 185 voti, contro i 485 della mozione della direzione per la preparazione delle elezioni per la Costituente. Ibidem, pp. 181-182

(5) Ibidem, pp. 213-215.

(6) Il 9 novembre, Emil Eichhorn, alla testa di una manifestazione armata, si era impadronito della Prefettura di polizia, liberando 600 prigionieri politici. Poi aveva assunto il ruolo di prefetto di polizia, tentando – senza successo! – di imporre un orientamento “rivoluzionario” ai suoi funzionari. Nuova conferma di quanto scriveva Marx dopo la Comune di Parigi: è impossibile impadronirsi dell’apparato dello Stato borghese per servirsene a favore dei proletari, bisogna distruggerlo.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

Top

Ritorne indice