Cile: Contro l’aumento del prezzo del trasporto! Contro il carovita!

Solo la lotta della classe proletaria indica la strada da seguire

(«il comunista»; N° 162 ; Dicembre 2019)

 Ritorne indice

 

 

Per tre giorni, i disordini causati dall’annuncio che il prezzo del trasporto suburbano in Cile aumenterà del 5% si estendono in tutto il paese. Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza, l’esercito ha assunto il controllo della sicurezza pubblica nelle principali città del paese e, mentre le manifestazioni e gli scontri con le forze dell’ordine non cessano, si contano almeno 15 morti, 88 feriti da armi da fuoco e oltre 1.300 arrestati.

Per mercoledì 23 ottobre la Centrale Unitaria dei Lavoratori (CUT), il principale sindacato del paese, ha indetto uno sciopero generale come protesta sia per l’aumento del prezzo dei biglietti della metropolitana in particolare, sia per il continuo aumento dei prodotti di base mentre i salari rimangono praticamente fermi. Nel frattempo, nelle sue dichiarazioni pubbliche, il governo capitanato dal milionario Sebastián Piñeira si è preso apertamente gioco dei proletari, sebbene impieghino già diverse ore per arrivare ogni giorno al posto di lavoro con i mezzi pubblici, esortandoli ad alzarsi più presto per approfittare delle offerte della metropolitana nelle ore meno affollate.

La situazione in Cile, a parte l’aumento del prezzo del trasporto pubblico, è veramente difficile sia per i proletari che vivono con salari regolari, sia per coloro che sopravvivono col lavoro nero, sia per coloro che abitano nei grandi quartieri della classe operaia di Santiago, Valparaíso e Concepción come per coloro che sono costretti a vivere nei miserabili villaggi della periferia urbana. Nell’ultimo decennio, l’Università Cattolica del Cile calcola che il prezzo delle abitazioni in una città come Santiago è aumentato del 150%, l’elettricità del 10%, mantenendo l’inflazione generale a circa il 2,5%. In questa situazione, sebbene il salario medio sia di circa $ 13.000, il 70% della popolazione vive però con meno di $ 770 al mese; esiste una grande polarizzazione della ricchezza, mantenendo gran parte della popolazione al di sotto del livello di povertà. Nell’«oasi cilena», come piace agli economisti borghesi chiamare il Cile per la sua presunta prosperità, il 10% della popolazione in età lavorativa è disoccupata, una cifra che sale ad oltre il 20% tra i giovani. È vero che, rispetto alla situazione dei suoi vicini latinoamericani, inclusa l’Argentina, la sutuazione del Cile sembra un po’ meno spaventosa per i proletari, ma è noto che, nel capitalismo, la prosperità, la ricchezza, i buoni progressi dell’economia e degli affari significano povertà e miseria per la maggioranza della popolazione.

Le rivolte di questi ultimi giorni mostrano che la classe proletaria cilena, che subisce l’aumento dei prezzi dei trasporti e del prezzo degli affitti, la settimana lavorativa sempre più lunga, i salari bassi ... ha la forza di rispondere all’ennesimo peggioramento che la borghesia cilena vuole imporre tra bastonate e prese in giro. I disordini, il saccheggio di negozi e centri commerciali, gli incendi di alcune imprese, così come gli scontri con la polizia in tutti i quartieri proletari delle grandi città, sono un segno della rabbia di una classe proletaria che ha sulle spalle i buoni progressi dell’economia nazionale, con un aumento annuo del Prodotto Interno Lordo che riempie di orgoglio i leader del paese. È una rabbia spontanea, senza incanalamenti o organizzazione, dove gli atti di saccheggio si mescolano con gli attacchi al nemico di classe... ma è la rabbia che la classe proletaria ha dentro di sé da quando la democrazia è stata ripristinata nel paese, quasi trent’anni fa; da quando, cioè, furono nuovamente i lavoratori a pagare il prezzo più alto per la ricostruzione e la riconciliazione nazionali con coloro che li avevano torturati e uccisi per diciotto anni!

Lo stato di emergenza dichiarato dal governo di Sebastián Piñeira domenica scorsa, è la risposta più aperta e brutale che la borghesia cilena potrebbe dare contro coloro che manifestano per le strade: mettere il controllo della sicurezza pubblica, cioè della repressione, nelle mani dell’esercito, non è uno scherzo in un paese in cui questo stesso esercito, sotto Pinochet, ha governato con una mano di ferro per quasi due decenni, dedicando buona parte delle sue forze a rapire, torturare e uccidere i proletari più combattivi. Ancora oggi, secondo una recente pubblicazione del Congresso degli Stati Uniti, questo esercito è uno dei più «professionali» del continente sudamericano. I soldati pattugliano le strade e puntano le loro armi contro gli abitanti dei quartieri proletari: questa è una precisa dichiarazione delle intenzioni del governo: né dalla Casa de la Moneda, né dalle caserme, né dai consigli di amministrazione delle principali ziende del paese, sarà tollerato che i proletari scendano in piazza per esigere un miglioramento delle loro condizioni di esistenza.

Da parte loro, anche le correnti politiche dell’opposizione sono state molto chiare: «Al governo non si può porre chiedere il dialogo sotto la condizione di togliere lo Stato di Emergenza […]. Categoricamente, come opposizione, non cerchiamo di destabilizzare il governo di Piñeira , che dovrebbe invece lasciarsi urgentemente sostenere per annunciare un’agenda sociale che includa benefici immediati». Queste parole di uno dei principali leader dell’opposizione definiscono perfettamente tutto ciò che i proletari possono aspettarsi dai partiti di sinistra dell’arco parlamentare: in primo luogo, il governo deve controllare i ribelli, pertanto lo Stato di Emergenza non sarà messo in discussione fino a quando non saranno stati arrestati.

Per quanto riguarda la posizione della CUT in questo conflitto, è sufficiente vedere che ci è voluta quasi una settimana per proclamare lo sciopero generale il 23! E fino all’ultimo momento ha offerto la sua revoca se il governo desse mostra di buone intenzioni! Durante la più grave crisi sociale dall’arrivo della democrazia, tra le rivolte che hanno lasciato più di una dozzina di morti ... la CUT si prende una settimana di tempo per convocare uno sciopero consentendo al governo di respirare e di utilizzare tutto quel tempo per militarizzare il paese, trasformando le strade in bastioni in mano ai soldati. Questo attitudine è meglio compresa se si presta attenzione al comunicato del 21 ottobre emesso dalla stessa CUT. In esso, dopo aver ridotto le sue richieste al «ritorno della normalità», riferendosi ai disordini di questi giorni, afferma:

«Ma con la stessa chiarezza condanniamo nel modo più energico la violenza irrazionale generata dall’atteggiamento del governo, che ha permesso azioni di vandalismo e delinquenza di gruppi minoritari, mentre la grande maggioranza del paese ha manifestato pacificamente e organizzata in tutto il territorio È assurdo distruggere la metropolitana che non viene utilizzata dai potenti ma dai lavoratori, è riprovevole il saccheggio delle aziende, alcune delle quali di piccoli commercianti, nonché la distruzione di beni pubblici. Questa violenza irrazionale è funzionale solo ai potenti per giustificare la repressione e la militarizzazione del Paese. Ma abbiamo anche sollevato la questione della sospetta assenza di sorveglianza e di protezione da parte della polizia della rete della metropolitana, delle imprese e degli edifici, proprio nel momento in cui agivano questi gruppi sconosciuti e di dubbia appartenenza». Mentre il proletariato manifesta nelle strade, affronta la polizia per difendersi, sabota il trasporto pubblico come mezzo per protestare ... e viene picchiato e ucciso, la CUT condanna la violenza, accusando gli stessi lavoratori che partecipano alle proteste «violente» di essere alleati del governo...

La classe proletaria cilena, in questi scontri e in quelli che verranno senza dubbio nel prossimo futuro, dovrà tirare le lezioni dalla propria storia, che è la stessa storia che il proletariato di tutta l’America Latina si porta sulle spalle. La democrazia, il rispetto della legalità parlamentare, il riformismo racchiuso nelle strette cuciture del parlamentarismo, furono la causa della loro sconfitta nei momenti di massima tensione sociale. Durante i tragici anni che vanno dal 1970 al 1973, la fiducia nella corrente opportunistica rappresentata da Allende e dall’Unità Popolare portò a una serie di duri rovesci, l’ultimo dei quali fu l’instaurazione del terrore borghese da parte dello stesso democratico e costituzionale Augusto Pinochet. In quegli anni le fortissime mobilitazioni della classe proletaria, che aveva nei cordones industriales (sorta di coordinamenti operai di diverse fabbriche dello stesso territorio) una delle sue forme di lotta più caratteristiche, potevano essere canalizzate grazie all’abbaglio che tra i lavoratori provocava il mito della democrazia e il graduale progresso verso il socialismo. La pressione delle forze dell’opportunismo politico e sindacale era sufficientemente forte da incanalare tanto la lotta immediata, schierata con grande valore e coraggio sul terreno della difesa degli interessi economici della classe operaia, quanto la lotta politica, che si esprimeva intorno ad un’etera “via nazionale al socialismo”. La prima, la lotta economica, nelle fabbriche e nei quartieri operai, era difficilmente controllabile dalla borghesia perché in essa la classe proletaria esprimeva più direttamente la propria forza spontanea, ma alla fine poteva essere assoggettata alla difesa dell’economia nazionale cilena, anche perché aveva nelle nazionalizzazioni delle più importanti aziende del settore primario e secondario la propria bandiera. La seconda, la lotta politica, si limitava a un riformismo su scala ridottissima che evitava in ogni caso di toccare anche i privilegi di classe della borghesia. Tanto che la cospirazione militare, sponsorizzata dal governo degli Stati Uniti, poteva essere attuata in pieno giorno, mentre l’Unità Popolare chiedeva che i proletari si contenessero e si calmassero! Il 1973 fu il trionfo dell’azione combinata dell’opportunismo pseudo-socialista e della repressione borghese aperta e sanguinaria.

Il proletariato cileno deve acquisire le lezioni appropriate: la classe borghese usa sia l’esercito e la forza armata, sia il circo parlamentare e la difesa della democrazia, per tenere la classe proletaria lontana dal suo campo di battaglia per eccellenza, in cui applicare mezzi e metodi di lotta realmente di classe. Oggi i proletari sono scesi in piazza in un vero moto sociale per difendere le loro immediate condizioni di esistenza. Davanti a loro hanno di nuovo l’esercito e le pseudo organizzazioni di lavoratori che cercano di incanalare la loro lotta verso la fiducia nello Stato borghese, verso la rinuncia alla lotta di classe, che bollano come violenta e insignificante. Ma il dilemma è sempre lo stesso: o si rompe con la collaborazione tra le classi che queste posizioni concilianti suppongono, o si precipita non solo nell’inanità politica che quelle organizzazioni rappresentano, ma nel vortice della repressione più spietata.

 

Per la difesa intransigente delle condizioni di vita della classe proletaria!

Per il ritorno della lotta di classe del proletariato!

Per la ricostituzione del Partito Comunista, internazionale e interna-zionalista!

 

22 ottobre 2019

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

Top

Ritorne indice