La spinta oggettiva dei proletari a lottare per vivere, trova un’ulteriore conferma nei tentativi di organizzarsi al di fuori delle tradizionali istituzioni tricolori

(«il comunista»; N° 162 ; Dicembre 2019)

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Napoli, 2 dicembre 2019

 

L’assemblea del 26 novembre scorso, tenutasi presso l’Università Centrale di via Mezzocannone a Napoli, patrocinata dal “Movimento dei disoccupati 7 novembre” contro la repressione e per un unico fronte di lotta, è stata abbastanza partecipata.  Essa è stata propagandata principalmente  attraverso i “social”, richiamando altri soggetti solidali presenti sul territorio. Erano presenti alcune organizzazioni che da tempo collaborano con questo movimento dei senza lavoro, come il Laboratorio Iskra, il Movimento di lotta per la casa, Potere al Popolo, il SiCobas e vari elementi singoli.  L’importanza che sta assumendo questo movimento è testimoniata soprattutto da una discreta risonanza anche a livello nazionale. Attraverso la campagna cosiddetta “vogliamo tutto” si stanno coinvolgendo diversi comitati e liste di disoccupati organizzati a Roma, Palermo, Perugia (dove esiste uno sportello sociale), Messina, Cosenza e Catania (dove si è costituito un “Comitato di lotta per la casa, il reddito e il lavoro”). Le azioni di lotta molto spesso vengono espresse  simultaneamente con manifesti e lanci di solidarietà reciproci.

Naturalmente hanno parlato i vari portavoce delle organizzazioni presenti, a cominciare dal leader del “Movimento dei disoccupati 7 novembre” che apriva l’assemblea facendo un po’ il punto della situazione e dello stato dell’arte inerente il perseguimento di un ampio coordinamento unitario volto a coinvolgere molte altre realtà. Il suo intervento veniva sostenuto dal portavoce del “Laboratorio Iskra” che esprimeva l’apprezzamento del lavoro politico dei disoccupati napoletani perché sta incoraggiando la formazione di altre realtà sul territorio nazionale. “La lotta per il lavoro e contro il lavoro nero”, proseguiva  il compagno, “bisogna che diventi la linea strategica del  movimento”. Per il movimento “Potere al Popolo”, le iniziative delle varie organizzazioni presenti in città hanno bisogno di un supporto attivo alla lotta per “la redistribuzione del reddito, come potrebbe ad esempio essere l’allargamento del reddito di cittadinanza” (cosa che in verità suona piuttosto strana per un movimento che, dalla sua fondazione, ha criticato fortemente il reddito di cittadinanza). Stessi  intenti di appoggio e unità sono stati espressi anche da parte del rappresentante del Movimento di lotta per la casa, che illustrava lo stato della propria lotta.

Innanzitutto bisogna dire che il “Movimento disoccupati 7 novembre”, di cui abbiamo parlato in altri articoli, rappresenta  un po’ il punto di passaggio, ma, auspichiamo, anche d’arrivo di una lunga  tradizione delle lotte dei disoccupati napoletani. Attualmente esso è il più rappresentativo con molte centinaia di iscritti. Lungi dalle logiche delle liste chiuse, che hanno sempre rappresentato una tradizione, ma anche e soprattutto un limite alle lotte dei senza lavoro, e quindi dello sviluppo di organizzazioni sul terreno di classe, il movimento si pone come espressione organizzata di tutti gli strati proletari. Oltre a rivendicazioni prettamente dei senza lavoro, esso pone l’attenzione su molte altre rivendicazioni sia di carattere immediato sia di carattere politico: dalla detassazione dei salari ad una patrimoniale che colpisca la popolazione più ricca, liberando in questo modo fondi per il diritto alla casa, alla salute, all’istruzione e ai servizi sociali; dal forte aumento dei salari al salario medio garantito per tutti i disoccupati; dalla riduzione dell’orario di lavoro alla parità di salario; fino alla cancellazione delle grandi opere come TAV, TAP, la base americana MOUS ecc., destinando tali fondi alla salvaguardia dell’ambiente e alla difesa del territorio, e ancora: per un’autentica democrazia sindacale sui luoghi di lavoro; per il ritiro del decreto Salvini e Minniti e per il diritto di cittadinanza per tutti gli immigrati contrastando il reato di clandestinità; contro ogni intervento militare imperialista e di aggressione ad altri popoli.

Alcune di queste rivendicazioni immediate, identificabili assolutamente come rivendicazioni di classe – che noi abbiamo sempre sostenuto – come gli aumenti salariali, più alti per le categorie peggio pagate, il salario pieno ai disoccupati, la riduzione della giornata lavorativa a parità di salario ecc., sono accompagnate da rivendicazioni politiche molto ambiziose che, se non vogliono restare nel campo della pura propaganda parolaia, dovrebbero poggiare su un movimento proletario di classe che, per essere efficace, deve rigettare le illusioni sulla democrazia borghese, l’elezionismo e il parlamentarismo, e la visione interclassista e popolare secondo la quale la società è divisa tra ricchi e poveri e non tra classe borghese e classe proletaria che hanno interessi, sia immediati che futuri, completamente opposti e antagonisti. Ciò non toglie, in ogni caso, che nella situazione in cui è precipitata la classe proletaria, a causa soprattutto di decenni di riformismo e di collaborazionismo da parte dei partiti sedicenti “operai” o “di sinistra” e dei sindacati tricolore, il fatto che gruppi di operai disoccupati e occupati cerchino di organizzarsi al di fuori delle istituzioni, dando alla propria lotta una prospettiva classista, sia un fatto sicuramente positivo.

D’altra parte, la loro volontà di allargare il fronte di lotta è testimoniata dal supporto dato ad azioni conflittuali di operai minacciati di licenziamento: alla ALMAVIVA, di recente si è raggiunto un accordo che, a detta dei sindacati tricolore, pare sia soddisfacente; all’APU(Attività di pubblica utilità), giorni fa i lavoratori hanno occupato la sede del partito democratico; alla Conateco, i lavoratori sono in sciopero perché minacciati da cassa integrazione; alla TuriTrasport in analoghe condizioni, e solidarizzando con tanti lavoratori in lotta e ovviamente coi lavoratori della   Whirlpool che con la loro lotta hanno suscitato grande eco in tutta Italia. Non va passata sotto silenzio la solidarietà espressa ai familiari dei detenuti, non solo di Poggioreale, che lottano contro le infami condizioni carcerarie in cui versano i propri parenti. La lotta contro la repressione, in realtà, è stata il caposaldo su cui si è svolta l’assemblea all’Università di via Mezzocannone.

 L’inasprirsi delle contraddizioni capitalistiche e l’inaffidabilità delle organizzazioni sindacali e partitiche tradizionali spingono i proletari alla lotta e, quindi, ad organizzarsi autonomamente. Ne consegue che lo Stato, che teme che la lotta si allarghi e acquisisca la qualità di classe, aldilà della fraseologia demagogica e democratoide che i vari rappresentanti istituzionali e dei partiti borghesi utilizzano, attui procedimenti preventivi repressivi, ad esempio attraverso multe stratosferiche per chi lotta occupando strade e siti istituzionali, oltre le solite denunce e i successivi processi. Ma il vero “salto di qualità”, secondo il portavoce del Movimento disoccupati 7 novembre, è rappresentato dai fogli di via e dai divieti di dimora  per quei proletari che si ribellano, scioperano e solidarizzano spontaneamente al di fuori delle regole delle organizzazioni ufficiali e tricolori. E’ emblematica la vicenda delle misure repressive che hanno colpito non solo i disoccupati di Napoli, ma anche alcuni compagni di Bologna iscritti al SiCobas e che lavorano come facchini nelle cooperative della logistica. Infatti, per sei di loro, è scattato il divieto di dimora in città e provincia. Ma la decisa opposizione, attuata con scioperi e blocchi, ad un sistema clientelare e di malaffare che vige in queste aziende ha permesso il rispetto dei contratti, del salario e il respingimento dei  licenziamenti discriminatori. Il portavoce degli autorganizzati riferiva di una grossa mobilitazione svoltasi nella città emiliana contro i divieti di dimora e i numerosi fogli di via. Al contempo  questi  lanciava una nuova mobilitazione contro la repressione per il 30 novembre.

Perché non rimanga un pio desiderio che, come tante altre volte, è rimasto solo sulla carta, formare un “unico fronte di lotta” è possibile, lo ribadiamo, solo coagulando in un unico organismo le diverse vertenze espresse in un’unica piattaforma di lotta programmatica con obiettivi, metodi e mezzi di classe, cioè che tengano conto solo ed esclusivamente degli interessi dei proletari occupati e non, impostando la lotta in modo che siano coinvolti tutti i settori della classe, superando perciò il corporativismo indotto da decenni di riformismo dei partiti falsamente operai e dei sindacati tricolore e di quelli falsamente “alternativi”. Metodi e mezzi di classe che vogliono dire anche scioperi senza preavviso e senza limiti di tempo, ed elezione dei rappresentanti sindacali e di quartiere revocabili in qualsiasi momento.

Ogni lotta ha bisogno di essere sostegno e di solidarietà. Ma perché la solidarietà, o il “supporto attivo” come è stato indicato in assemblea, sia un punto di forza e non di debolezza della lotta, deve rispondere agli stessi criteri di classe con cui la lotta proletaria deve essere portata avanti. Se non ci si libera dell’opportunismo e del riformismo democratoide piccoloborghese che infestano da decenni il movimento operaio, se non si rompe con le loro pratiche e con le loro illusioni che appaiono come l’alternativa più ovvia e logica per la presa popolare che hanno i discorsi sui “diritti” e sulla “giustizia sociale”, la lotta operaia, pur iniziata per rabbia e ribellione con una spinta di classe, finisce per essere deviata e paralizzata nei meandri di una democrazia parolaia e falsa con il risultato di sfiancare e demoralizzare le forze operaie che si muovono per cambiare realmente le condizioni di lavoro e di vita divenute sempre più intollerabili.

La politica proletaria di classe, secondo il marxismo, non si ferma all’immediato, non si accontenta di cambiare qualcosa nel sistema vigente, lasciando inalterato il modo di produzione capitalistico e la costruzione politica borghese che lo difende con ogni mezzo, legale e illegale, pacifico e violento, democratico o totalitario. La politica proletaria di classe guarda lontano, e dal futuro fa discendere il suo orientamento nell’oggi, i suoi grandi obiettivi storici, le sue posizioni rispetto a tutte le contraddizioni della società capitalistica. Ma non metterà mai alla lotta operaia, perché abbia una reale efficacia nella difesa delle condizioni proletarie immediate di esistenza, la condizione di lottare pienamente cosciente delle cause di tutte le contraddizioni di cui il capitalismo riempie la vita di ogni proletario. E’ lottando sul terreno immediato di classe, a difesa esclusiva degli interessi comuni di tutti i proletari, che ogni proletario si potrà rendere conto, ad un certo punto, di far parte di un movimento che ha un’ambizione straordinaria che non è quella di riformare il capitalismo, ma di distruggerlo e sostituirlo con il comunismo, attraverso una rivoluzione generale e internazionale che aprirà le porte alla futura società senza classi dove i bisogni degli esseri umani, e non del mercato, saranno al centro della produzione e, quindi, dell’intera società.

Questo futuro non è un’utopia. Potrà mai la classe operaia tornare a lottare, come fece a Parigi durante la Comune nel 1871, e in Russia durante la rivoluzione proletaria e comunista nel 1917? Sì, anche se il percorso si è fatto molto più difficile di allora ed è irto di trappole politiche, economiche, sindacali, morali e religiose di ogni tipo. Ma è lo stesso Stato borghese che, in un certo senso, conferma che quel percorso storico è inevitabile; se ad ogni tentativo di organizzazione classista di piccoli gruppi operai si muove con tutta la forza politica e militare di cui dispone per reprimerla, significa che non è poi così forte e così sicuro di rappresentare l’unica soluzione alle contraddizioni della società del capitale

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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