Crisi del coronavirus

Spagna

La borghesia chiama all’unità nazionale

I proletari pagano il conto

(Supplemento a «il comunista»; N° 163; April 2020)

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A cinque settimane dal giorno in cui è stato decretato lo Stato di Allarme da parte del governo PSOE-Podemos, i proletari possono trarre una chiara lezione sul corso della “lotta contro la pandemia”: tutte le misure prese – dal confinamento di tutta la popolazione fino alla ripresa della produzione senza condizioni di sicurezza per i lavoratori, passando dalla pressione poliziesca e militare nelle strade – hanno lo scopo di costringerli ad accettare senza resistenze le richieste della classe borghese.

Inizialmente, mentre i dati forniti dal sistema sanitario indicavano che le infezioni in Spagna stavano aumentando molto più rapidamente del previsto, le misure preventive venivano sistematicamente negate ai proletari nei posti di lavoro. In tutte le aziende, piccole, medie e grandi, i padroni hanno costantemente rifiutato di applicare sia pur minime misure profilattiche, contravvenendo anche alle indicazioni dei medici. In quel momento, il governo continuava a ripetere ancora e ancora che il coronavirus era “una forte influenza”, e che quindi non era necessario imporre misure speciali. Quando, nel giro di pochi giorni, la realtà ha mostrato la vastità del contagio causata soprattutto dall’andata e ritorno dal posto di lavoro, dall’uso dei mezzi pubblici ecc., la risposta del governo e del padronato è stata quella di negare che occorresse dotare i lavoratori di dispositivi di protezione individuale: in ogni situazione la borghesia cerca di minimizzare i costi, siano essi salariali o sanitari, e lo fa sempre a spese della salute e della vita dei proletari.

In un secondo momento, quando la diffusione del contagio in tutto il paese aveva già reso evidente che era impossibile contenere il virus, la risposta del governo e del padronato è stata quella di evitare, ad ogni costo, che l’attività economica del paese venisse paralizzata. Le aziende sono state esortate a facilitare il “telelavoro”, una misura che può essere adottata solo per i dirigenti di medio livello delle imprese e non per i lavoratori che hanno, invece, dovuto comunque recarsi al lavoro. È stato progettato lì per lì un sistema di “lavori essenziali”, tra cui – ad eccezione di quelli legati alle piccole imprese – comparivano praticamente tutti quelli che riunivano un certa quantità di proletari: automobilistico, metalmeccanico, edile, alimentare, servizi di pulizia... persino i riders per la consegna del cibo a domicilio! Mentre con lo stato di allarme alla popolazione è stato imposto il confinamento, i lavoratori sono stati costretti ad andare al lavoro, vale a dire che, mentre la polizia e l’esercito presidiavano le strade, è stato imposto il lavoro obbligatorio.

Poi è arrivata la chiusura “totale” dell’economia nazionale. L’intero settore industriale, l’edilizia e il commercio hanno dovuto fermarsi per due settimane per evitare il collasso delle unità di terapia intensiva del sistema sanitario. Una misura presa in ritardo, ritardo pagato con centinaia di morti, e che è stata abrogata solo quindici giorni dopo senza che l’epidemia si fosse placata!

Mentre tutto ciò stava accadendo, oltre tre milioni di proletari sono stati costretti a sottoporsi alle misure del lavoro temporaneo che implicano una riduzione del 75% del salario percepito e che può essere trasformata in licenziamento definitivo dopo sei mesi, visto che il Ministero del Lavoro che fa capo a Podemos ha modificato la legge per fornire questa possibilità. In più, si sono verificate centinaia di migliaia di licenziamenti effettuati nei primi giorni dello stato di allarme, il mancato rinnovo dei contratti ecc. Gli stessi economisti borghesi prevedono che, come conseguenza di queste misure, la disoccupazione potrebbe raggiungere il 20% della popolazione attiva nei prossimi mesi, situazione che finora non era mai stata vissuta.

D’altra parte, mentre la borghesia ha imposto queste misure per proteggere i propri affari, lo Stato ha imposto un durissimo stato di allarme: tutti coloro che non devono andare al lavoro non possono uscire di casa se non per necessità impellenti. In base a questo stato di allarme, che alcuni giuristi hanno giudicato incostituzionale, è stato imposto il controllo assoluto della polizia sulle strade al punto che, a metà aprile, era stato elevato oltre mezzo milione di multe per violazione del confinamento... cosa che può significare semplicemente uscire per la spesa due volte al giorno o rispondere male a un agente di polizia quando richiede un documento di identità. Secondo questi calcoli, circa il 2% della popolazione (esclusi anziani e bambini) è stato sanzionato in qualche modo nelle ultime settimane.

La ricetta applicata dalla borghesia e dal suo governo è chiara: pressione sul posto di lavoro perché non si fermi l’attività; per quei lavori che non sono “imprescindibili” licenziamenti o ammortizzatori sociali e, nelle strade, repressione indiscriminata della polizia per imporre un regime terroristico. Un vero esperimento sociale che, dalla dichiarazione della pandemia, ha dimostrato la vera forza della borghesia e del suo Stato nell’imporre le sue esigenze attraverso la continua pressione sui proletari nei posti di lavoro, nei loro quartieri e persino nel loro appartamento.

Secondo i portavoce della borghesia, lo scopo di queste misure era di impedire il collasso del sistema sanitario trasformando una malattia relativamente letale in una catastrofe a causa della mancanza dei mezzi necessari per curare i pazienti. Da ciò si deve trarre anche una dura lezione sulla natura omicida del capitalismo: dato che i primi casi di coronavirus sono stati segnalati dalla Cina a dicembre, era evidente che il virus poteva diffondersi nel resto del mondo, dati i legami produttivi e commerciali molto forti che uniscono il paese asiatico con tutti i paesi che hanno in Cina una parte essenziale dei loro investimenti produttivi e dato che la Cina rappresenta un cliente di prim’ordine. Tuttavia, non sono state prese misure di prevenzione. Tutti gli ordini che vengono ripetuti incessantemente dai media, come il “distanziamento sociale”, l’igiene nel posto di lavoro e a casa ecc., avrebbero potuto essere presi già nel gennaio di quest’anno... ma il timore di una reazione negativa da parte della popolazione, insieme all’incapacità della borghesia di garantire misure sanitarie (conteggiate sempre come un costo nel loro sistema produttivo), ha portato all’estensione della pandemia e alla mancanza di adeguamento del sistema sanitario di tutti i paesi quando la pandemia ha bussato alle loro porte.

Ma le misure infine adottate non hanno impedito di rasentare il collasso del sistema sanitario. Se questo completo collasso non si è verificato, è perché molti degli infettati sono stati costretti a rimanere in casa senza le necessarie cure mediche. A migliaia di persone con sintomi è stato negato l’accesso agli ospedali, dove sono stati accolti solo pazienti con polmonite grave, ignorando altri possibili sintomi legati al virus. E decine di migliaia di anziani sono state abbandonate a sé stesse nelle residenze in cui sono state relegate con la forza, impedendo ai servizi sanitari di prendersi cura di loro e causando così la morte di migliaia di loro. Le misure di contenimento hanno seguito cinicamente i calcoli di quale parte di malati poteva essere lasciata morire: l’“appiattimento della curva” dei contagi e dei decessi è stato raggiunto grazie alla morte della popolazione considerata sacrificabile.

La borghesia ha gestito questa crisi nell’unico modo in cui sa farlo, cioè facendo cadere il peso della futura ripresa economica sulle spalle dei proletari, permettendo la morte di migliaia di persone che non era economico salvare, costringendo gli stessi lavoratori a essere fonti di contagio nei loro posti di lavoro e a casa propria, bistrattando il personale sanitario che è stato prima ingannato e poi non tenuto in considerazione. E anche nel campo della propaganda ha fatto l’unica cosa che fa sempre: chiamare la classe proletaria, cioè la maggior parte della popolazione, a farsi carico dello sforzo necessario per appoggiare le misure antiproletarie che, una dopo l’altra, sono state imposte, a rinunciare ai loro salari, a rinunciare al lavoro, a morire di fame nelle regioni più depresse del paese... in nome della solidarietà nazionale, dello “sforzo comune”, dell’unità del paese. La borghesia incoraggia ad applaudire gli agenti di polizia che presidiano le strade per reprimere tutti coloro che non seguono gli ordini, ad accettare con rassegnazione la soppressione delle libertà che si consideravano intoccabili, a offrirsi volontariamente per utilizzare mezzi di controllo tecnologici (sollecitando in questo modo la delazione).

La lotta contro il coronavirus è stata imposta come una guerra... ed effettivamente contro la popolazione sono state prese misure da stato di guerra.

La classe proletaria deve imparare questa dura lezione.

La borghesia non solo non è in grado di garantire la salute della popolazione, non solo è incapace di evitare che un virus, che essa stessa ha definito come un’influenza, tolga la vita a migliaia di persone... ma intende risolvere la crisi sociale generata da questa situazione raddoppiando la pressione esercitata quotidianamente sui proletari. Alla mancanza di servizi medici in grado di garantire la sopravvivenza degli strati più vulnerabili della popolazione, la classe borghese risponde sospendendo i diritti costituzionali, mettendo l’esercito nelle strade per assicurarsi che la gente non esca dalle proprie case e che, tuttavia, la vita economica del paese sia mantenuta il più normale possibile.

La risposta che centinaia di proletari hanno dato all’inizio della crisi sanitaria, sotto forma di interruzioni spontanee del lavoro, non è stata sufficiente per fermare l’offensiva dei padroni e del governo.

Questa risposta è stata rapidamente repressa dall’azione congiunta di padronato e sindacati, che hanno unito le forze per impedirne la generalizzazione. Come è accaduto nei Paesi Baschi, dove gli industriali sono riusciti a convincere la Polizia Autonoma a sciogliere le proteste che si stavano svolgendo nelle loro fabbriche mentre tutti i sindacati si sono rifiutati di generalizzare gli scioperi che chiedevano solidarietà al resto dei proletari. Come è accaduto anche con i riders che hanno manifestato a Madrid, contravvenendo alla legge per cercare di fermare il taglio dei loro salari e che sono stati attaccati dalla polizia nazionale nella totale passività delle organizzazioni sindacali, che sono rimaste sorde alle loro richieste.

La forza dei proletari, abituati da decenni alla pace sociale, sembra completamente annullata. Ma per uscire da questa e da altre crisi che arriveranno, per impedire alla classe borghese di imporre le sue richieste sempre e ovunque, riducendo le condizioni di vita al livello più basso possibile, i proletari dovranno sovvertire questa situazione, dovranno tornare a combattere di nuovo confidando soltanto sulle proprie forze, dovranno ricollegarsi alla loro tradizione di lotta classista e affrontare il nemico sia sul terreno immediato delle esigenze economiche sia, in generale, sul terreno della lotta politica.

Solo in questo modo il proletariato può sperare di non pagare sempre con la propria vita le conseguenze dell’infernale modo di produzione capitalista.

 

No allo stato di allarme!

Viva la lotta dei proletari che hanno affrontato i loro padroni in difesa delle loro condizioni di vita!

Per il ritorno alla lotta di classe!

 

19 aprile 2020 (aggiornamento del 20 maggio 2020)

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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