Capitalismo e pandemia: affari d’oro chiamati vaccini!

(«il comunista»; N° 167 ; Gennaio / Marzo 2021)

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Come abbiamo sostenuto in tutti gli articoli dedicati al coronavirus Sars-CoV-2, il dominio sociale e politico della borghesia, piegata la scienza agli interessi del capitale, non ha mai dato priorità ad una effettiva prevenzione; al contrario, ha sempre approfittato delle catastrofi – ambientali e sociali – per accumulare profitti in quantità, scavalcando regole e limiti di legge fissati dalla stessa borghesia, giustificandosi con il pretesto più inflazionato: l’emergenza!

Di fronte ai terremoti, alle alluvioni, agli incendi, a qualsiasi disastro naturale, o apparentemente naturale, alla contabilità dei danni, dei morti, dei ricoverati in ospedale e degli sfollati, si accompagnano gli interventi emergenziali che tendono a tamponare, nella contingenza, le situazioni più gravi, ma che, soprattutto, aprono la via ad una serie interminabile di affari per ogni grande, media e piccola azienda che, nello specifico, interviene o è interessata ad intervenire. Basta leggere i commenti nei media dopo ogni evento di questo genere per avere la certezza che ogni catastrofe porta con sé un numero non indifferente di approfittatori, e il primo approfittatore è proprio lo Stato borghese, quell’istituzione che si fa passare per un organo che agisce per il “bene comune”, al di sopra di ogni interesse particolare..., ma che ha come suo compito prioritario, in realtà, la difesa degli interessi generali della borghesia, dell’economia capitalistica e il controllo sociale in modo che da quelle disgrazie non sorgano movimenti di rabbia e di lotta che possono prendere caratteristiche di classe.

Con la comparsa del Covid-19, in ogni paese, la classe borghese dominante ha affrontato la situazione con la stessa visione generale con la quale affronta una crisi economica dovuta alle contraddizioni stesse del sistema economico capitalistico e, naturalmente, a fattori di contrasto tra le diverse economie “nazionali” nel mercato internazionale: mettere in campo tutti i mezzi finanziari, politici, amministrativi in difesa dell’economia nazionale, tamponando le situazioni più gravi perché la macchina produttiva e commerciale continui a  produrre profitti e non precipiti in una catastrofe generale. Naturalmente la classe dominante borghese deve far vedere che si occupa anche delle persone colpite dal virus e dalla crisi, ma le vere priorità non sono dettate dalla salute degli esseri umani – se fosse così l’organizzazione generale della società, sia dal punto di vista economico, sia da quello sociale, non dipenderebbe totalmente dal benessere del capitale; le priorità sono infatti dettatate dalla produzione di profitto capitalistico e dalla salvaguardia dei rapporti di produzione e di proprietà borghesi che stanno alla base della società. Poi, molto dopo, viene la salute la cui cura, in ogni caso, è essa stessa una voce di partita doppia: la cura viene effettuata contro denaro anche quando appare come un servizio “gratuito”, o semi-gratuito, perché, in realtà, è pagato per lo più dalle tasse che intasca lo Stato, tasse che sono pagate soprattutto dai lavoratori salariati.

Con quali mezzi lo Stato borghese “combatte” la pandemia? Con gli stessi mezzi che hanno facilitato l’esplosione della pandemia e che riproducono ulteriori fattori di crisi sociale. Lo dimostra il fatto che tutta l’esperienza accumulata nelle epidemie e pandemie precedenti, con decenni di ricerche e di test effettuati, non è servita per organizzare mondialmente una efficace ed efficiente prevenzione grazie alla quale la diffusione dei contagi e le probabilità di decessi avrebbero potuto essere ridotte al minimo, ma è servita per produrre farmaci e vaccini che, per consentire un ritorno in termini di profitto per le case chimico-farmaceutiche che ne possiedono i brevetti, devono essere venduti in quantità gigantesche. Più malati ci sono, più farmaci si vendono; maggiore è la paura di ammalarsi e di morire di Covid-19, e più ci si fa convincere che l’unica via da seguire è quella di farsi vaccinare. Dunque, alla fine dei conti, per il benessere del capitalismo serve che una buona parte della popolazione si ammali, e si ammali spesso, e si ammali anche gravemente perché, in questo modo, l’intervento per le cure ha una sicura redditività. Il cinismo della borghesia non ha limiti: per difendere il suo privilegio di classe sa che deve difendere con qualsiasi mezzo il sistema capitalistico in quanto tale, perché è sulla sua base che essa domina politicamente e socialmente sull’intera umanità. Le guerre moderne lo hanno dimostrato ampiamente, e non solo le guerre mondiali. Milioni e milioni di morti a che pro? Per difendere una patria nella quale il sistema economico, sociale e politico borghese continuerà a produrre le contraddizioni e le crisi che portano alla guerra di concorrenza e alla guerra guerreggiata, crisi che si ripropongono in cicli successivi con sempre maggiore acutezza e forza di fronte alle quali la via d’uscita borghese sarà nuovamente la guerra di concorrenza e la guerra guerreggiata.

E, mentre i paesi della periferia dell’imperialismo sono sconvolti da tempo dalle crisi economiche e dalle guerre – dal Medio Oriente all’Estremo Oriente, dal Nord Africa all’Africa centrale e all’America Latina – provocate e sostenute dai paesi imperialisti che nelle diverse aree hanno interessi strategici, negli stessi paesi imperialisti in cui vige la pace lo sconvolgimento è stato portato dalla pandemia di Covid-19 che si è innestata in una situazione di crisi economica già presente o latente.

Se le guerre guerreggiate sono fonte di benefici per tutta una serie di industrie e di poli economici e finanziari, la stessa cosa vale per le situazioni di crisi sanitaria, e quindi sociale, come l’attuale. Ma è stata anche l’occasione per gli Stati borghesi, ognuno nel proprio paese, e soprattutto nei paesi cosiddetti democratici, per sperimentare una serie di interventi a livello sociale che in situazioni di normale attività capitalistica non sarebbero stati facilmente attuabili in tempi così brevi. La difesa della redditività di ogni economia nazionale ha richiesto l’intervento dello Stato non solo dal punto di vista dell’esborso finanziario, ma soprattutto da quello del controllo sociale. Già l’ultima crisi economica globale del 2008-2015 aveva ulteriormente peggiorato le condizioni di esistenza di grandi masse proletarie non solo nei paesi arretrati, ma anche nei paesi imperialisti più forti; la crisi sanitaria scoppiata a livello mondiale all’inizio del 2020, e che dura tuttora, ha acutizzato una crisi economica che già correva ed ha gettato ancor più nell’abisso della disoccupazione e dell’emarginazione altre masse proletarie, cosa che alza inevitabilmente il livello delle tensioni sociali. Il controllo sociale serve alla borghesia dominante per impedire che i movimenti di rabbia e di rivolta sociale provocati dalla crisi economica imbocchino la strada della lotta proletaria e classista.

 

Salute del capitale contro salute dell’uomo

 

Da quanto è emerso, secondo varie indagini fatte lo scorso anno, il nuovo coronavirus ha impiegato qualche mese per diffondersi in tutto il mondo. Sembra accertato che fosse già presente in Cina, a Wuhan e nella sua regione, fin dall’ottobre 2019, e che da qui si sia diffuso con una certa velocità in Giappone, in Corea, in Europa e negli Stati Uniti, ossia nei paesi con cui la Cina ha intensi traffici commerciali. A fine dicembre 2019 l’OMS ha allarmato il mondo sulla presenza del nuovo coronavirus già diffusosi in modo preoccupante nella regione di Wuhan (uno dei centri economici cinesi tra i più importanti e tra i più collegati con il mondo); a fine gennaio l’allarme scatta in Italia e poi, tra febbraio e marzo, in Spagna, in Germania, in Francia, in Gran Bretagna; poi, è la volta degli Stati Uniti e del Brasile. Il mondo ha conosciuto rapidamente che cosa significa lockdown e in che cosa consistono le misure restrittive che richiamano i tempi di guerra: barricati in casa, sottoposti a misure da “coprifuoco”, permessi particolari per recarsi al lavoro o ad attività classificate come essenziali, multe stratosferiche per coloro che disobbediscono ecc. E tutto questo avrebbe dovuto “difendere” la popolazione dalla diffusione del contagio e dalla morte per Covid...

Naturalmente, come succede sempre in regime di concorrenza, mentre alcuni paesi erano alle prese con un’epidemia che bloccava una parte importante della propria attività economica e commerciale “liberando” parte dei mercati dalle proprie esportazioni, altri paesi approfittavano di questo indebolimento andando a sostituirsi ai concorrenti. Ed è stata tale l’euforia delle borghesie che ancora non erano state pesantemente toccate dalla pandemia, che i loro governanti – pur di far marciare la propria macchina economica a pieno regime –, come in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, in Brasile, ridicolizzavano gli altri governi che prendevano le drastiche misure che abbiamo conosciuto, salvo poi, di fronte ai contagi sempre più numerosi e, soprattutto, alle migliaia di morti che erano costretti a registrare, tornare sui loro passi e adottare anche loro misure di lockdown. 

E così è arrivato il momento in cui ogni borghesia proclamava la necessità di pensare “prima di tutto” alla salute – per la quale giustificava ogni tipo di restrizione nella libertà di circolazione delle persone (ma non delle merci) – e poi all’economia. Tutti sanno come sono andate le cose: ospedali pubblici del tutto inadeguati ad affrontare un’epidemia di queste proporzioni; personale ospedaliero tremendamente sotto organico; ospedali sforniti di ossigeno, di ventilatori polmonari, di posti in terapia intensiva e subintensiva, mancanza di protezioni individuali di qualsiasi tipo; medici costretti a scegliere chi curare e chi far morire; raccolta dei dati del contagio, dei ricoveri e dei decessi piegati sistematicamente agli interessi delle varie fazioni borghesi; generale diffusione, attraverso qualsiasi tipo di media, della paura del nemico “invisibile”; militarizzazione delle città ecc. e, come è del tutto logico in regime capitalistico, ricerca scientifica e medica sottoposta alla legge del profitto indirizzata soprattutto alla fabbricazione del vaccino, o dei vaccini, su cui tutte le massime autorità scientifiche, economiche e politiche hanno ovviamente puntato da subito.

Il vaccino, ecco la soluzione... non importa dopo quanti milioni di infettati e quante centinaia di migliaia di morti a causa del covid o dell’aggravamento dovuto al covid di patologie pregresse.

La lunga stagione della pandemia da Covid-19 ha portato in primo piano la categoria dei virologi, degli immunologi, degli infettivologi, dei biomedici, insomma di tutto lo spettro degli “specialisti” che sono stati chiamati a dare le loro opinioni al fine di rafforzare – in quanto “voci della scienza” – le misure restrittive che i governi prendevano, e a supportare la campagna di paura lanciata da tutti i media borghesi.

Naturalmente la cosiddetta “comunità scientifica”, per la maggior parte dei suoi componenti, è apparsa compatta nel sostenere le ragioni del controllo sociale da parte di ogni governo; anzi, spesso insisteva perché venissero adottate misure molto più drastiche di quelle stabilite di volta in volta. Le poche e rare voci di virologi che tendevano a criticare le confuse e frettolose mosse dei governi, soprattutto dei governi che sottostimavano la letalità di questa pandemia (considerandola alla stregua di una influenza stagionale), se in un primo tempo giustificavano, a beneficio della macchina produttiva e commerciale nazionale, la mancanza di misure restrittive particolari, di fronte all’aumento dei contagi e dei decessi causati da questa pandemia (non morivano soltanto i “pazienti”, ma anche medici, personale ospedaliero e personaggi illustri), nel giro di poco si allineavano all’intera categoria nel rafforzare con i “dati scientifici” le decisioni governative in merito alle misure da “tempi di guerra”.

Alla corsa ai vaccini concorreva, così, un numero sempre più elevato di “esperti”: gli Stati più ricchi in pochissimo tempo decidevano enormi stanziamenti per questa ricerca specifica che, d’altra parte, aveva bisogno di un numero notevole di infettati e di decessi per poter statisticamente esaminare ogni fase del decorso della malattia e per poter indagare sulle caratteristiche del nuovo virus individuando i modi in cui si sviluppa e si diffonde l’infezione nei gruppi umani e le diverse modificazioni del virus. Perciò la diffusione a macchia d’olio della Sars-CoV-2, giustificata come la via breve per raggiungere la cosiddetta “immunità di gregge”, diventava la via necessaria per raccogliere più rapidamente possibile la quantità di dati utili alla ricerca dei vaccini. I ricercatori, i virologi, gli immunologi, gli infettivologi e compagnia cantante diventano i pastori e la massa contagiata il numeroso gregge messo a disposizione di Sua Maestà il Profitto; e come succede in ogni guerra, anche in questa pandemia la grande massa dei morti è costituita dai proletari, non certo dai grandi borghesi.

Non c’è bisogno di dire che i colossi chimico-famaceutici cinesi, americani, inglesi, tedeschi, francesi, giapponesi, russi ecc. si erano già preparati all’eventualità di una pandemia di queste proporzioni e, ovviamente, si sono messi immediatamente in gara per giungere nel più breve tempo possibile a fabbricare un vaccino che avesse caratteristiche di efficacia accettabili secondo i criteri delle istituzioni internazionali (OMS, EMA ecc.). La scienza borghese veniva chiamata, così, a dare mostra della potenza della società del capitale, con l’obiettivo di dimostrare al mondo che, per quanto catastrofiche potessero essere le conseguenze della pandemia – sia in termini economici che di salute umana – essa avrebbe organizzato un contrattacco altrettanto potente e vasto contro il Covid-19. Si annunciavano vaccini pronti in 9, 12, 18 mesi, quando normalmente ci vogliono – a detta degli stessi virologi – diversi anni di ricerca e di test prima di trovare un vaccino efficace almeno al 70-80%, considerando comunque che i virus, in genere, si modificano con una certa rapidità proprio per adattarsi sia all’ambiente in cui vivono i diversi gruppi umani che vengono colpiti, sia per contrastare le difese immunitarie che gli umani producono (o si iniettano) per difendersi da loro. Quindi, una volta trovato un vaccino, non è detto che quando verrà inoculato su una massa umana tale da poter rispondere alla cosiddetta “immunità di gregge”, la sua efficacia sia pari a quella testata molto tempo prima su un gruppo molto limitato di persone. Come non è detto che non provochi danni, anche a distanza di anni, al sistema immunitario umano tali da indebolire in generale la risposta dell’organismo umano quando viene attaccato dalle malattie. L’esempio dell’esagerato uso di antibiotici oe antinfiammatori è lì a dimostrare che invece di rafforzare l’organismo umano, lo si indebolisce e lo si costringe a dipendere sempre più da farmaci di volta in volta più potenti.

Si è vista, d’altra parte – da quando l’epidemia di Sars-Cov-2 si è scatenata e trasformata poi in pandemia –, un’accelerazione in tutto il mondo dell’attività dei poteri borghesi sul piano del controllo sociale e su quello della ricerca e fabbricazione dei vaccini grazie ai quali le classi dominanti borghesi vogliono dimostrare alle masse, e al proletariato in particolare, che non c’è crisi sanitaria o economica che possa scuotere le fondamenta della società capitalistica. Dimostrando, anzi, che grazie alla società capitalistica e a tutte le sue istituzioni politiche, economiche, militari, scientifiche, questa società è in grado di rispondere, e “vincere”, contro ogni attacco, non importa se proveniente da nemici visibili, in carne e ossa, o invisibili come i virus.        

La Rockefeller Foundation e la Bill & Melinda Foundation, con le loro simulazioni e i loro miliardi investiti nella ricerca scientifica, hanno dimostrato ampiamente che lo studio di epidemie precedenti serve soprattutto alla fabbricazione di vaccini e di medicinali da utilizzare massicciamente nei casi, appunto, di gravi epidemie (Ebola, HIV, Sars-CoV ecc.) o di influenze virali che si ripresentano regolarmente ogni anno. Come ormai si sa, i virus con cui l’uomo ha a che fare sono divisi in due grandi categorie: quelli specificamente umani (come il vaiolo e la poliomielite) e quelli degli animali per cui, attraverso un “salto di specie” (detto spillover), l’infezione animale si trasmette agli esseri umani (1), attraverso una serie di “ospiti” e, quindi, di modificazioni degli stessi virus per adattarsi, appunto, ai successivi “ospiti” fino ad arrivare agli esseri umani.

La scienza borghese ha certamente approfondito lo studio dei virus (e dei batteri, dei prioni ecc.) che attaccano l’uomo e gli animali, e continua a farlo, ma con un fine economico ben preciso: produrre cure e vaccini che assicurino profitti adeguati rispetto ai capitali investiti nella ricerca e alle aspettative delle aziende coivolte e che permettano, ovviamente, di interrompere per un tempo il più breve possibile le diverse attività economiche.

Ma c’è di più. La borghesia, in quanto classe dominante, ha un interesse fondamentale per il quale mette in campo ogni mezzo possibile: mantenere nelle proprie mani, rafforzandolo, il potere politico. E’ grazie al potere politico, attraverso tutte le sue istituzioni centrali e periferiche, che la borghesia capitalistica continua a dominare la società, mantenendo in vita i rapporti di produzione e di proprietà che la caratterizzano. Tale potere politico è basato sul potere economico, cioè sul potere sociale del capitale il cui modo di produzione si fonda sullo sfruttamento del lavoro salariato e sulla produzione mercantile. Tutto ciò che serve alla società umana per vivere e per svilupparsi passa attraverso le forche caudine del regime borghese capitalistico: tutto è merce, ogni attività umana deve produrre profitto, ogni rapporto umano è trasformato in rapporto mercantile, e non ha importanza quanto il modo di vivere nella società borghese costi in vite umane e quanti e quali danni collaterali provochi in ogni essere umano. L’importante, per la borghesia, è mantenere e difendere la struttura economica e sociale della società odierna perché da essa ricava i privilegi e il potere che ne fanno la classe dominante.

Il proletariato, dunque la classe dei lavoratori salariati che possiede soltanto la propria forza lavoro individuale, per poter essere sfruttato dai borghesi nel modo per loro più redditizio, deve poter vivere in condizioni di salute tali da consentirne, giorno dopo giorno, lo sfruttamento. Quindi alla salute fisica e mentale del proletariato sono interessati anche i borghesi affinché la sua efficienza lavorativa sia adeguata all’attività nella quale viene impiegata. Da quando il modo di produzione capitalistico si è imposto sui vecchi modi di produzione, il numero di proletari che la borghesia ha creato, espropriando e sottomettendo violentemente le masse contadine e artigiane alle sue esigenze produttive e di potere, è sempre stato più alto di quanto occorresse alle manifatture e alle industrie che via via si creavano e si diffondevano. La disoccupazione è stata, in effetti, una costante nel capitalismo e più questo si sviluppava, più si sviluppava anche la massa di disoccupati, tanto che, nei periodi in cui il capitalismo andava e va incontro alle sue crisi economiche di sovraproduzione, si creava e si crea contemporaneamente una forza lavoro sovrabbondante rispetto ai posti di lavoro disponibili nelle aziende; alla sovraproduzione di merci si accompagnava e si accompagna una sovraproduzione di schiavi salariati, condannati alla miseria, alla fame, all’emarginazione.

La salute del capitalismo, sia in tempi di pace, sia nei periodi di crisi e, peggio, di guerra, in un certo senso è sempre messa in discussione, perché quel che può essere un vantaggio per alcuni borghesi è uno svantaggio per altri e, nei periodi di crisi economica acuta, lo svantaggio si allarga a vasti strati della stessa borghesia. Le risorse che possiedono i borghesi sono spesso sufficienti per affrontare i periodi di crisi economica, salvo nei momenti in cui la crisi di sovraproduzione è talmente profonda da mandare in rovina una parte consistente dell’apparato produttivo e distributivo tanto da far retrocedere l’intera società in una fase di barbarie (vedi il Manifesto di Marx-Engels).

Ma il proletariato, che è per antonomasia la classe dei senza riserve, degli schiavi salariati, e che già nei periodi di espansione economica del capitalismo è comunque sottoposto ad un intenso sfruttamento, nei periodi di crisi economica del capitalismo vede inesorabilmente e drasticamente peggiorare le sue condizioni di lavoro e di vita, ed è riportato ad una generale insicurezza di vita da cui aveva sperato – illuso dalle parole dei propagandisti della borghesia e degli opportunisti sindacali e politici – di essere uscito una volta per tutte.

La cattiva salute del capitalismo si ripercuote immediatamente, con effetti negativi smisurati, sulla salute dell’intera massa proletaria, sia sui proletari che sono ancora occupati, sia sui proletari che sono stati espulsi dal posto di lavoro o che ne sono rigettati. «L’operaio moderno – scrive il Manifesto di Marx-Engels – invece di elevarsi man mano che l’industria progredisce, scende sempre più al disotto delle condizioni della sua propria classe. L’operaio diventa povero, e il pauperismo si sviluppa anche più rapidamente che la popolazione e la ricchezza». Già nel 1848 il marxismo aveva previsto che non solo il presente, ma il futuro della classe proletaria, nello sviluppo dell’industria e, quindi, del capitalismo, sarebbe stato segnato da un peggioramento reale delle sue condizioni di esistenza, rispetto al progredire dell’industria e, in generale, della società moderna. E il pauperismo espone la massa proletaria, già sottoposta alla fatica fisica e nervosa dallo sfruttamento capitalistico e all’indebolimento fisico e mentale dovuto dalla nocività degli ambienti di lavoro e dei quartieri di città in cui vive, ad un’ulteriore debolezza di fronte alle più diverse malattie.

D’altra parte la borghesia dominante, in funzione proprio della conservazione del proprio dominio e della gestione delle masse proletarie nei vari ambiti della vita sociale, è costretta in qualche modo a provvedere alla sopravvivenza dei proletari sebbene le sue ragioni economiche siano tali da non consentirle di dare a tutti loro un lavoro e, quindi, un salario. La borghesia, continua il Manifesto, «non è capace di garantire l’esistenza al proprio schiavo neppure entro la sua schiavitù [salariale, NdR], perché è costretta a lasciarlo sprofondare in una situazione nella quale, invece di essere da lui nutrita, essa è costretta a nutrirlo».

Ed è costretta a nutrirlo e a curarlo per farlo sopravvivere, almeno per un tempo – in periodi di pace – sufficiente a dare l’impressione di aver davvero fatto qualcosa per lenire le sue disgrazie, magari attraverso enti religiosi ed enti di volontariato, pubblici o privati che siano. E’ evidente che queste azioni non risolvono il problema dell’esistenza in salute di tutti gli esseri umani, e lo si constata ogni giorno, visto che le diseguaglianze sociali si stanno sempre più ampliando tra i privilegiati che possono contare su riserve private e la gran massa di lavoratori che dipende ogni giorno della sua vita in questa società da un salario o dalla carità e dalla beneficienza.

 

E’ tutta colpa del virus?

 

Le contraddizioni più profonde della società borghese non sono messe in evidenza soltanto dalle crisi economiche del capitalismo. La crisi sanitaria dovuta alla pandemia da Sars-CoV-2 è anch’essa ascrivibile alle contraddizioni più profonde della società borghese. In realtà è una crisi sociale in cui si sono combinate, a livello internazionale, una crisi economica già in atto e una crisi dell’organizzazione sanitaria di ogni paese, a partire dai paesi capitalistici più avanzati. Ma è interesse della classe borghese dominante far passare la crisi economica come una conseguenza della pandemia, perché in questo modo tenta di far passare l’idea che la causa non vada cercata nel sistema economico e sociale borghese, ma nell’improvvisa comparsa di un nemico invisibile, il virus!

La mancanza di lavoro, i fallimenti, i licenziamenti, vengono spiegati come conseguenze di una pandemia che ha messo in ginocchio l’intero apparato produttivo e distributivo di ogni paese. E, di fronte ad una crisi sociale di queste dimensioni, si erge il grande benefattore, lo Stato che improvvisamente tira fuori dai propri forzieri miliardi e miliardi da spendere in breve tempo. Lo Stato, così, viene presentato non come forza di repressione, comitato d’affari della borghesia, ente distributore di privilegi economici e sociali alle caste politiche ed economiche che decidono sul presente e sul futuro dei cittadini, ma come ente benefico, come gestore del “bene comune”, come l’indispensabile moderatore tra gli interessi dei padroni e gli interessi dei lavoratori, come fosse un’entità neutra, soprattutto se si tratta di uno Stato democratico perché, in questo caso, l’illusione di una sovranità popolare rappresentata dal parlamento è ancora più forte.

D’altra parte, quale ente se non lo Stato centrale ha il compito di acquistare milioni di dosi di vaccino e di organizzare una campagna vaccinale su tutto il territorio nazionale? E’ stato fatto a suo tempo per la poliomielite, la parotite, la rosolia, la difterite, la varicella, il morbillo, il tetano, l’epatite B ecc. ecc., e viene fatto anche oggi  per la Sars-CoV-2. Ma, mentre si lanciano inni alla Pfizer-BioNTech che, nei paesi occidentali, ha prodotto per prima il vaccino miracoloso, e a Moderna e AstraZeneca che l’hanno seguita a ruota, vantando la potenza della scienza borghese grazie alla quale in un anno sono riuscite a produrne centinaia di milioni di dosi così da poterle vendere a tutti i paesi che potevano pagarle, in Cina erano stati prodotti già tre diversi vaccini (da Sinovac e da Sinopharm) fin dal giugno 2020 grazie a test fatti all’estero, in diversi paesi come gli Emirati Arabi Uniti (in particolare ad Abu Dhabi, città particolarmente interessante per questo genere di test, visto che vi lavorano persone provenienti da 125 paesi diversi), Egitto, Turchia, Pakistan, Indonesia, utilizzando un sistema meno moderno (rispetto a quello basato sulla biotecnologia a mRNA utilizzata da Pfizer, Moderna e AstraZeneca) ma basato sulla biotecnolgia già rodata del “virus inattivato”, come il vaccino contro Ebola. Un’altra biotecnologia per produrre vaccini antivirali e, in questo caso, anti Covid-19, è quella utilizzata in Russia per lo Sputnik V per la produzione del quale è stata usata una biotecnologia detta del “vettore virale” (2). E’ chiaro che non esiste una sola modalità per produrre vaccini antivirali e che la loro produzione può basarsi su biotecnologie diverse che conducono a risultati più o meno efficaci e in tempo più o meno lunghi. Naturalmente, siamo in una società capitalistica e di fronte a questa improvvisa emergenza sanitaria, perdipiù mondiale, allo scatenarsi della concorrenza tra le diverse compagnie chimico-farmaceutiche, i vari istituti di ricerca e le diverse aziende produttrici delle strutture biotecnologiche, si aggiunge la concorrenza tra Stati nella difesa degli interessi delle rispettive economie nazionali. Come detto sopra, lo Stato che per primo riesce a contenere la diffusione interna del coronavirus, a sviluppare la produzione di vaccini adatti a battere, nel giro di mesi e non di anni, le più gravi conseguenze della pandemia e, quindi, a riprendere a far marciare a pieno ritmo la propria macchina produttiva, è lo Stato che si avvantaggia rispetto a tutti gli altri. E la Cina, in questo caso, grazie anche ad un regime politico che del controllo sociale ha fatto un vanto e che ha permesso l’applicazione di misure restrittive davvero da tempi di guerra, ha potuto, secondo le notizie confermate anche da fonti occidentali, già da metà 2020 rimettere in moto la sua economica anche se non poteva contare sull’eccezionale quantità di traffico commerciale internazionale abituale, viste le difficoltà oggettive di distribuzione capillare delle merci che arrivavano nei grandi hub di stoccaggio e la chiusura dei confini di moltissimi paesi a causa della diffusione del coronavirus.

 

L’America, prima anche nello strozzinaggio dei paesi più deboli

 

E’ ormai noto che il paese in cui gli istituti di statistica hanno registrato un’ecatombe sono gli Stati Uniti d’America: più di 500.000 morti da Covid o con Covid, un numero superiore, a detta degli stessi istituti, alla somma dei soldati americani morti nel secolo scorso in tre guerre (le due guerre mondiali e la guerra del Viet-Nam). Naturalmente, la colpa di questi morti è stata data, in un primo tempo, a questo coronavirus, nemico “invisibile”, e alla Cina che l’avrebbe lasciato libero di diffondersi nel mondo, e poi all’ex presidente Trump e al suo entourage perché avrebbero preso sottogamba la pericolosità della pandemia e non si sarebbero preoccupati immediatamente di intervenire con le misure restrittive che invece sono state applicate in Cina e in Europa. In realtà, fa molto comodo al democratico Biden e alla nuova Amministrazione federale dare tutta la colpa di questa catastrofe sanitaria ed economica al repubblicano Trump – che, certo, non è innocente –, ma il gioco politico di entrambi regge soprattutto gli interessi economici e finanziari delle lobby che li sostenevano e che, guarda caso, non erano certo contrarie ad appoggiare le ricerche perché se ne avvantaggiassero le compagnie chimico-farmaceutiche americane. Non è infatti un caso che Antony Fauci, famoso immunologo newyorkese per le ricerche sull’Aids, sia stato incaricato da Trump, come consigliere sanitario della Casa Bianca, di dirigere la task force per affrontare l’emergenza da Covid-19, e sia stato confermato dal nuovo presidente Biden nello stesso incarico. Ma mister Fauci, in quanto direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, ha fortissimi legami con le maggiori case faramaceutiche americane, in particolare con Moderna e Pfizer che sono – ma guarda un po’! – le due big-pharma in corsa per produrre per prime i tanto agognati vaccini anti-Covid. Sebbene i test realizzati sui macachi e su uomini volontari siano stati fatti in fretta e su campioni tutto sommato relativamente modesti, nel novembre 2020 durante una conferenza stampa alla Casa Bianca, Fauci tranquillizzava il mondo affermando che negli Stati Uniti le vaccinazioni potevano iniziare già a metà dicembre e che «i vaccini di Moderna e Pfizer sono molto efficaci, al 95%, e prevengono le forme più gravi di Covid», ammettendo però che su questa efficacia ci sono stati «segnali contraddittori da Washington» ma garantiva che «negli Usa come in Italia il processo per determinare efficacia e sicurezza dei vaccini è indipendente e trasparente». Indipendente da chi? Dallo Stato, dalle Big Pharma, dagli interessi privati? Non è dato sapere... e trasparente nei confronti di chi? Della gente comune, dei vaccinandi, delle istituzioni, della cosiddetta “comunità scientifica”? ( 3). La parola trasparenza è una di quelle che dovrebbe di per sé suscitare fiducia piena in chi la usa..., ma quando mai gli interessi privati dei trust capitalistici, e le Big Pharma che ne fanno parte, sono stati trasparenti e resi di dominio pubblico? Capita però che qualche gruppo di giornalisti-investigatori riesca a scoprire alcuni malaffari o trattative sporche che smentiscono platealmente la cosiddetta trasparenza. Ed è proprio il caso della Pfizer; da un’inchiesta condotta da un team di giornalisti investigativi (4) è risultato che la Pfizer ha imposto condizioni di strozzinaggio ai governi di molti paesi latinoamericani e caraibici a fronte della fornituire del suo vaccino. Alcuni, come Argentina e Brasile, le hanno rifiutate, ma altri 9 le hanno accettate. Che dire della trasparenza con cui una della maggiori case farmaceutiche del mondo negozia i suoi prodotti in una situazione di emergenza come l’attuale? Quel che traspare non è solo l’odioso ricatto che i trust sono usi ad imporre ai paesi più deboli, ma il fatto che condizioni ricattatorie come queste sono la loro consuetudine. E non deve meravigliare se, un domani, i vaccini che così velocaemente sono stati prodotti in enormi quantità dovessero risultare inefficaci se non addirittura del tutto dannosi. Il capitale si interessa soprattutto della propria valorizzazione, dall’origine di tale processo sfruttando il lavoro salariato alla sua meta finale nella vendita dei prodotti di cui è padrone assoluto. Tutto ciò che succede di negativo o disastroso nel tragitto tra il suo investimento e il suo profitto o la sua rendita è semplicemente un danno collaterale.

A dimostrare che il potere politico borghese è concentrato nello Stato centrale e che lo Stato è uno strumento del dominio borghese sulla società, in quest’ultimo periodo ci ha pensato la pandemia di Covid-19.

Che la pandemia sia stata provocata appositamente dai laboratori chimico-farmaceutici di Wuhan in cui si sperimentano anche strumenti per la guerra biochimica, e nei quali sono interessati anche gli americani, e nella fattispecie mister Antony Fauci, o che sia stata provocata casualmente da uno dei tanti virus che coabitano con l’uomo in questo stesso pianeta e la cui diffusione sia stata facilitata dal cinismo congenito dei capitalismi nazionali e privati intenti ad accumulare profitti a qualunque costo, resta il fatto che il capitalismo come sistema economico e sociale si rafforza accumulando lavoro morto che sfrutta il lavoro vivo, e si rafforza concentrando il potere economico e politico in veri e propri mostri statali che hanno il compito di difendere l’imperialismo nazionale dai concorrenti, ma nello stesso tempo sono al servizio dei mostri capitalisti che dominano il mercato mondiale.

 

Il proletariato, o lotta o muore

 

Il proletariato di ogni paese, e tanto più dei paesi imperialisti più forti nei quali si sono sviluppati i trust più grandi del mondo, non ha alcun interesse sociale, politico o economico da condividere con i capitalisti, e tanto meno con il loro Stato. Sebbene possa essere trattato economicamente meglio dei proletari dei paesi più deboli o arretrati, il suo destino, e la sua condanna, è quello di restare comunque schiavo per tutta la vita, schiavo del lavoro salariato che può perdere da un momento all’altro, schiavo della precarietà e dell’insicurezza  di vita dovute non solo all’improvvisa disoccupazione ma ad una esistenza sempre sul filo della miseria, della fame, dell’emarginazione, dell’infortunio, della morte.

Sebbene sia stato privilegiato rispetto ai proletari dei paesi più deboli e dominati dall’imperialismo, grazie a una serie di ammortizzatori sociali che formalmente lo proteggono dalle difficoltà provocate dalle crisi economiche, dalle malattie o dagli infortuni, il proletariato dei paesi imperialisti ha pagato e paga per queste “garanzie” con la rinuncia alla reale difesa dei suoi interessi di classe, con la collaborazione di classe con i propri sfruttatori, con la complicità nello scatenare una sempre più odiosa concorrenza fra schiavi e non solo nei confronti dei proletari dei paesi dominati dall’imperialismo – migranti o meno – ma anche fra i proletari dello stesso paese. La formazione di uno strato particolarmente privilegiato della classe operaia, che i marxisti hanno chiamato aristocrazia operaia, è figlia della politica borghese di divisione del proletariato e della concorrenza tra proletari.

Divide et impera, non valeva solo per gli antichi romani, vale sempre e la borghesia dominante attua questa politica sia contro le fazioni borghesi della stessa nazione che intralciano gli affari delle fazioni industriali e finanziarie più forti, sia contro le borghesie straniere in concorrenza per accaparrarsi mercati non ancora conquistati, e sia contro il proletariato che è l’unica classe che storicamente ha dimostrato non solo di tenerle testa nella lotta sociale ma di batterla sul fronte della guerra di classe, scatenando contro di essa la sua rivoluzione di classe, la rivoluzione proletaria e socialista.

Ebbene, anche la borghesia ha tirato le sue lezioni dalle lotte e dalla rivoluzioni proletarie del passato: ha capito che il sindacato di classe può diventare un’arma micidiale in mano al partito di classe rivoluzionario perché questo partito lo può influenzare in modo decisivo; sa che può affrontare con successo le lotte economiche del proletariato, anche dure e violente, se queste lotte rimangono sul terreno immediato e non mettono in discussione la struttura economica del capitalismo; ha capito che la lotta economica del proletariato, in determinati svolti della storia, può fare da base alla lotta politica di classe e, quindi, può dare al partito di classe la possibilità di preparare e di guidare le grandi masse proletarie alla rivoluzione per la conquista del potere politico. E’ successo in modo esemplare nel 1917 – durante la guerra mondiale, quindi in un periodo in cui la borghesia era riuscita a irreggimentare il proletariato a difesa dei suoi interessi nazionali e imperialistici, e in cui vigeva la legge militare sull’intera società – in un paese perdipiù arretrato come la Russia; poteva succedere in Germania, paese molto più avanzato della Russia, nel quale il proletariato aveva dimostrato ampiamente, dal 1915 al 1923, per ben 8 anni di seguito, di agire su di una spinta di classe eccezionale che fu tragicamente deviata e paralizzata dalle forze opportuniste e collaborazioniste della socialdemocrazia; e poteva succedere in Italia, dove il combattivo proletariato industriale e bracciantile poteva contare su un partito di classe solidamente costituitosi sulle basi del marxismo rivoluzionario come lo fu il partito bolscevico di Lenin.

La lezione che ha tirato la borghesia, in Italia, dove ha preso il nome di fascismo, e in Germania, dove ha preso il nome di nazismo, si è concretizzata sostanzialmente in due politiche complementari: la repressione del movimento proletario, protetta e aiutata dalle forze militari dei rispettivi Stati, e la successiva collaborazione tra le classi attraverso la quale attirare le grandi masse proletarie sul terreno della difesa dell’economia nazionale dando in cambio tutta una serie di misure economiche e sociali mirata a tacitare le loro esigenze elementari più immediate, i famosi ammortizzatori sociali. In Russia, una volta inquinata e deviata la politica comunista di Lenin con ingredienti opportunisti di ogni genere, le stesse politiche di repressione del movimento proletario di classe e di collaborazione di classe presero il nome di stalinismo, con un vantaggio per la borghesia non solo russa, ma mondiale, costituito dalla falsificazione sistematica di ogni posizione e di ogni impostazione politica e teorica che consisteva nell’etichettare tutte le mosse politiche, sociali, economiche e militari di natura borghese e capitalista come socialiste e comuniste. Così l’obiettivo reale della borghesia, in tutti i paesi, diventava un sempre più stretto controllo sociale del proletariato tentando in questo modo di impedirgli di approfittare delle inevitabili crisi economiche e sociali del capitalismo per condurre la propria lotta non più sul terreno della conciliazione di classe ma su quello dell’antagonismo di classe aperto e dichiarato.

La pandemia di Covid-19 ha dato alle borghesie del mondo un’occasione ulteriore per rafforzare sia la collaborazione tra le classi – in cui primeggiano come sempre le organizzazioni sindacali e politiche opportuniste – sotto il vessillo dell’unità nazionale, sia il controllo sociale facilitato ancor più dalla paura di contagiarsi e morire a causa del Covid-19.

La campagna di vaccinazione, perciò, oltre a ingrossare illimitatamente i forzieri delle case farmaceutiche e di tutto l’apparato utilizzato per produrre, confezionare, trasportare e inoculare il vaccino, va nella direzione della completa e pacifica sottomissione della popolazione, e del proletariato in particolare, ai diktat del capitalismo.

Un controllo sociale che sarà ancor più necessario ad ogni borghesia nazionale per affrontare non solo le prossime crisi economiche – che inesorabilmente arriveranno e la stessa borghesia ne teme l’arrivo – ma anche i contrasti a livello internazionale che gli imperialismi più forti hanno iniziato a puntualizzare come le mosse, sebbene ancora contraddittorie, di Washington, di Londra, di Berlino, di Pechino, di Mosca, di Parigi, stanno dimostrando.

Aldilà del rifornimento dei vaccini nei diversi paesi, per le quantità contrattualizzate, e aldilà delle condizioni ricattatorie che le case farmaceutiche hanno imposto, rimane l’indicazione generale da parte degli Stati della non obbligatorietà di farsi vaccinare. Ma questa indicazione non è di per sé una “libera scelta” per tutti coloro che non intendono vaccinarsi perché temono danni collaterali, perché non vogliono favorire l’irreggimentazione generalizzata o perché sono contrari ideologicamente ai vaccini in quanto tali. Oltre alla fortissima pressione per la vaccinazione – non importa con quale vaccino... – da parte di tutti i mezzi di comunicazione, istituzionali e privati, oltre all’obbligo morale della vaccinazione per tutto il personale sanitario di ogni ordine e grado, delle forze dell’ordine, dei trasporti pubblici, delle scuole ecc., si inserisce anche l’indicazione da parte delle associazioni padronali della vaccinazione in tutti i posti di lavoro per i quali i padroni possono praticamente obbligare ogni dipendente a dimostrare di essere vaccinato con il pretesto di non infettare gli altri. Il vaccino diventa così non solo la soluzione miracolosa contro la diffusione del coronavirus e l’alta probabilità di infettarsi, ammalarsi e/o morire, ma il mezzo per piegare interi popoli ai diktat dei poteri borghesi.

I proletari si trovano, così, di fronte a problemi davvero complicati non solo sul piano della difesa degli interessi economici immediati, ma anche su quello della difesa dei diritti politici elementari conquistati nel corso di decenni: il diritto di riunirsi, di organizzarsi al di fuori degli apparati istituzionalizzati, di manifestare pubblicamente e nelle piazze le proprie rivendicazioni, il diritto alla osannata “libera scelta”, il diritto di decidere individualmente della propria vita e via così. Questa intricata trappola che la borghesia sta approntando per impedire al proletariato di muoversi e lottare sul proprio terreno e per le proprie rivendicazioni, è un obiettivo facilitato proprio da quella collaborazione di classe che da decenni tutte le forze opportuniste e di conservazione sociale hanno contribuito ad organizzare e a consolidare, dimostrando, se mai ce ne fosse ancora bisogno, di essere la lunga mano della borghesia dominante nelle file proletarie.

Non saranno certo la carta costituzionale e i diritti sanciti dalle leggi borghesi che potranno rappresentare le rivendicazioni operaie; la stessa borghesia – col pretesto di un’emergenza che si allunga per anni, come dicono i virologi di tutto il mondo – è la prima a non rispettare le sue stesse leggi; lo fa tutte le volte che sono in pericolo i suoi affari, i suoi profitti, figuriamoci se non lo fa quando un’emergenza sociale come l’attuale le dà l’occasione per mettersi a posto la coscienza e propagandare che lo deve fare per il “bene comune”. I proletari sono stati sprofondati nella condizione di totale asservimento alle esigenze degli interessi immediati e futuri della borghesia. Da questo abisso, se non vogliono vivere e morire da schiavi, devono uscire, e per farlo devono per forza spezzare i vincoli che li tengono incatenati alla sorte dell’economia e dei poteri borghesi. Dovranno trovare la forza nelle condizioni stesse di brutale schiavitù in cui sono precipitati, sapendo che anche soltanto per lottare sul terreno democratico borghese dovranno usare la forza, la forza della loro posizione nei rapporti di produzione: senza sfruttamento della loro forza lavoro non c’è valorizzazione del capitale, e i borghesi non possono intascare i profitti per i quali hanno impegnato i loro capitali. I capitalisti colpiscono i proletari nel loro punto più debole: il salario, perché senza salario non si compra nulla e non si vive in questa società. Anche i proletari devono colpire i capitalisti nel loro punto più debole: la produzione di plusvalore, quindi di profitto. E siccome i borghesi non si limitano a colpire i proletari sul salario (leggi anche posto di lavoro), ma estendono l’orizzonte dei propri bersagli ai servizi sociali e ai diritti civili, i proletari devono estendere la loro lotta, pur partendo dall’azienda in cui lavorano, dal quartiere o dalla città in cui abitano, a tutte le altre categorie, agli altri quartieri, alle altre città, coinvolgendo i proletari di ogni età, di ogni settore, di ogni nazionalità in una lotta incentrata nella reale difesa degli interessi di classe, cioè degli interessi che riguardano esclusivamente i proletari senza arretrare di fronte all’inevitabile offensiva delle forze dell’ordine e dell’opera demoralizzante e divisoria delle forze opportuniste. Difficile? Sicuramente, molto difficile, ma è l’unico modo per iniziare a riprendere in mano la propria vita e il proprio futuro.

 


 

(1)   Cfr. David Quammen, Spillover, Adelphi Edizioni, Milano, 2014.

(2)   Sono diverse le tecnologie applicate alla produzione dei vaccini. Diamo qui sinteticamente la spiegazione ricavata dalle riviste specializzate. La tecnologia più recente è quella chiamata a RNA messaggero (mRNA) che consiste in questo: invece di inoculare l’antigene (sostanza che, introdotta nel sangue o nei tessuti, stimola la produzione di anticorpi) verso il quale si vuole indurre una risposta immunitaria, si inocula la sequenza genetica con le istruzioni per produrre l’antigene che entra nelle cellule dell’individuo vaccinato; l’RNA messaggero, entrato nelle cellule, ma non nel loro nucleo, codifica la proteina spike di Sars-CoV-2 (proteina presente sulla superficie esterna del virus, nella forma di protuberanze come di una corona, e utilizzata dal virus per entrare nelle cellule e replicarsi) e permette al sistema immunitario di produrre gli anticorpi specifici allenandolo a rispondere a qualsiasi futura esposizione al virus Sars-CoV-2. Non entrando nel nucleo delle cellule, l’mRNA non interagisce e non modifica il DNA dell’individuo vaccinato. Per vaccino inattivato si intende un vaccino che usa virus uccisi e mescolati a un adiuvante (idrossido di alluminio) prima di essere iniettati nei pazienti, ottenendo così una risposta immunitaria senza causare infezione. Questo tipo di vaccini è stato utilizzato per molti vaccini esistenti, come quelli contro il morbillo, la poliomielite, Ebola; ha meno efficacia rispetto agli altri ma ha costi ridotti ed è facilmente trasportabile. La biotecnologia che usa il vettore virale invece utilizza un virus per portare all’interno della cellula un “pezzo” dell’agente patogeno di cui deve prevenire l’infezione.

(3)   Cfr. www.l’inkiesta.it/2020/11/fauci-vaccino-anti-covid-meta-dicembre/

(4)   Con la sua investigazione, The Bureau of Invetigative Journalism – con base a Londra –, in collaborazione con il giornale peruviano Ojo Publico, ha svelato le condizioni di vero e proprio strozzinaggio che la Pfizer voleva imporre ai governi latinoamericani e del Caribe nei negoziati avviati per la fornitura dei suoi vaccini anti-Covid.

Le condizioni imposte dalla Pfizer non riguardavano soltano le clausole che riducevano la responsabilità dell’azienda sui possibili effetti negativi del vaccino; pretendevano in più delle indennità addizionali contro qualsiasi tipo di reclamo civile che i cittadini avrebbero potuto presentare in caso di danni dovuti al vaccino; ma alla Pfizer non bastava ancora, e pretendeva, ad esempio dall’Argentina e dal Brasile, che le granzie fossero date dagli immobili strategici e dai fondi sovrani delle rispettive Banche centrali. Ovvio il rifuto da parte dei governi di Buenos Aires e Brasilia. Ciononostante la Pfizer è riuscita a vendere alle sue condizioni il suo vaccino a 9 paesi latinoamericani e caraibici: Cile, Colombia, Costa Rica, Repubblica Dominicana, Ecuador, Messico, Panama, Uruguay e Perù (https://ojo-publico.com(2502/las.abusivas-exigencias-de-pfizer-con-las-vacunas-covid-19 e www.lavocedellevoci.it/2021/02/27/pfizer-lo-strozzinaggio-in-sud-america/ )

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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