Spagna

Viva i VIOLENTI di Linares

Contro la disoccupazione, la miseria e la repressione della polizia, che esploda la rabbia proletaria!

(«il comunista»; N° 167 ; Gennaio / Marzo 2021)

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Linares, una città della regione di Jaén, in Andalusia, con circa 60.000 abitanti, è un perfetto esempio della realtà di cui soffrono migliaia di quartieri e città operaie in tutto il paese.

Secondo l’Istituto nazionale di statistica, quasi il 45% della popolazione è disoccupato, il che colloca questa città in cima alla lista dei comuni per tasso di disoccupazione. Fra l’altro, 1.200 famiglie devono ricevere un qualche tipo di aiuto finanziario a causa dell’estrema povertà. Anche se storicamente la regione di Linares-La Carolina è stata un’importante zona industriale, in un primo tempo per gli insediamenti minerari da cui si estraeva il piombo fino alla metà del XX secolo e, successivamente, per l’insediamento nell’area dell’azienda metallurgica Santa Ana, seguito poi da quello della casa automobilistica Santana Motor, nel suo momento di massima produzione arrivò ad impiegare quasi 4.000 operai, l’area è stata «convertita al settore terziario», cioè l’intera industria è scomparsa e, a parte le poche cooperative agricole che sono sopravvissute, l’unica occupazione possibile per la popolazione consiste nel piccolo o grande commercio. Da quando, nel 2011, la società Santana Motor, che era diventata di proprietà pubblica per decisione della Giunta dell’Andalusía nel 1995, dopo che Suzuki, principale azionista della società, ha scelto di cessare di produrre lì i suoi veicoli, Linares è diventata esportatrice di migranti. Il numero di abitanti, secondo le statistiche ufficiali, è diminuito del 6% nell’ultimo decennio a causa della fuga soprattutto dei giovani in età lavorativa e che non trovano lavoro nella città.

La crisi economica, seguita alla pandemia di Covid-19, ha aggravato la situazione: una delle poche grandi aziende ancora presenti nella città, El Corte Inglés, ha annunciato che chiuderà il suo centro a marzo a causa del netto declino delle vendite nel corso dell’ultimo anno. Solo un mese fa la stampa locale ha dato la notizia di una grande manifestazione di abitanti del paese alle porte di questi grandi magazzini con l’obiettivo di appoggiare i dipendenti e protestare contro la tragica situazione che la città sta attraversando. Questa manifestazione si è aggiunta a quella del 7 febbraio, svoltasi con le stesse rivendicazioni, e, molto prima ancora, alla grande manifestazione del settembre 2017 contro il declino economico della regione.

Che risposta hanno ricevuto i proletari di Linares dopo le loro proteste pacifiche e le loro richieste di dialogo con le istituzioni nazionali e regionali? La più dura e più forte repressione.

Come è noto, venerdì 12 febbraio, due agenti della polizia nazionale in borghese hanno pestato selvaggiamente un abitante del paese e la figlia minorenne. Rapidamente la miccia si è accesa. Migliaia di residenti della città, soprattutto giovani, si sono raccolti davati al tribunale per protestare contro l’accaduto e chiedere la punizione per i colpevoli. La risposta della polizia è stata immediata: gli agenti presenti hanno caricato i manifestanti, sparando a salve in aria, picchiando chiunque passasse per strada... in attesa dell’arrivo dei rinforzi antisommossa dalle città di Granada e di Jaén. Appena le forze antisommossa sono comparse, la città è diventata un campo di battaglia. Le immagini diffuse principalmente attraverso i social danno un’idea di quanto accaduto: la Polizia Nazionale che spara con proiettili veri, auto civili da cui escono agenti della polizia segreta per picchiare e arrestare alcuni giovani, fucilate con proiettili di gomma… Una vera dimostrazione di forza contro una popolazione fondamentalmente proletaria per la quale la violenza della polizia è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso dopo decenni di frustrazione e povertà. Da parte loro, i manifestanti non si sono fatti scoraggiare: in diverse occasioni i poliziotti sono dovuti retrocedere, una delle loro auto è stata bruciata ecc. Nonostante oggi ci siano ancora due i giovani ricoverati in ospedale a causa di colpi d’arma da fuoco sparati dalle forze dell’ordine, i proletari scesi in piazza hanno mostrato forza e determinazione nella loro capacità di combattere contro l’ennesima violenza esercitata dalla borghesia e dal suo Stato. La rabbia proletaria, la risposta spontanea ma vigorosa data alla polizia, al di fuori dagli sterili canali democratici e pacifisti che portano coloro che sono coinvolti nella lotta a demoralizzarsi e ad arrendersi facilmente, ha dato prova della forza che può raggiungere la classe proletaria.

Dopo la crisi economica del 2007-2013, che ha prodotto disoccupazione, abbattimento dei salari ecc.; dopo la crisi sanitaria e sociale causata dalla pandemia, che ha significato più o meno la stessa cosa, riducendo centinaia di migliaia di proletari in povertà estrema in tutto il paese e di fronte alla crisi più che certa che le economie di tutto il mondo già cominciano a mostrare, queste scene di guerra di classe diventeranno sempre più comuni.

Si tratta di scoppi spontanei, di una tensione che sale rapidamente come schiuma per poi scomparire come se niente fosse successo, e rimangono al massimo le immagini di scontri violenti che quando finiscono sembrano non lasciare nulla. In realtà queste sono piccole pietre miliari di una lotta di classe che oggi è sotterranea ma che prima o poi emergerà in superficie.

La classe proletaria è stata abituata per decenni alle politiche di collaborazione con la borghesia, dirette dai partiti e dai sindacati sedicenti operai e giustificate dalle concessioni, sempre minori, che la stessa borghesia concede a certi settori del proletariato per compensare il generale peggioramento delle condizioni di esistenza della maggioranza dei proletari.

A Linares conoscono perfettamente la storia: con la crisi capitalista degli anni 1970, l’industria automobilistica, che era la principale fonte di sostentamento per i residenti, ha cessato di essere economicamente redditizia. La borghesia locale, nazionale e internazionale era perfettamente consapevole dei gravi problemi sociali che la chiusura delle aziende della zona avrebbe comportato e adottò quindi una politica di liquidazione per fasi: periodicamente si licenziava una parte dei lavoratori, solitamente i più giovani, sotto forma di mancato rinnovo dei contratti, si riduceva la produzione ecc. In queste occasioni l’attacco veniva limitato a un piccolo settore di proletari mentre si utilizzava una serie di ammortizzatori con lo scopo di mantenere la tensione sociale a livelli accettabili: indennità di disoccupazione, pensionamento anticipato ecc. Quando anche queste misure si sono mostrate insufficienti, è stato direttamente lo Stato ad assumersi lo smantellamento dell’industria, nazionalizzando la società principale Santana Motor e pagandone i costi di chiusura per fasi: mentre i proletari delle industrie ausiliarie venivano licenziati ed entravano in disoccupazione, veniva mantenuta viva l’illusione di un «piano di reindustrializzazione», di un recupero o di altre storie del genere. In questo modo i posti di lavoro non sono stati liquidati immediatamente e ciò ha permesso alle organizzazioni politiche e sindacali opportuniste (PCE e Izquierda Unida, CC.OO. e UGT) di gestire la lenta agonia dei lavoratori ancora occupati. Infine, sono stati gli stessi lavoratori della Santana Motor, ai quali la Giunta dell’Andalusía aveva dato la responsabilità della conduzione dell’azienda, che hanno votato per la sua chiusura nel 2005, decidendo una morte annunciata da 20 anni.

Oggi, che tutte queste misure per conciliare e ritardare il conflitto hanno dato i loro risultati, la stessa borghesia non ha più molto spazio di manovra. Le risorse con le quali un tempo finanziava gli ammortizzatori sociali con cui poteva aspirare a mantenere la pace sociale si sono esaurite o stanno per esaurirsi. Non ci sono trattative in corso con cui illudere i proletari che ancora mantengono il posto di lavoro. La realtà di intere città e quartieri degradati a causa della disoccupazione e della crescente povertà è un dato di fatto e, con essa, è innegabile l’aumento della pressione esercitata sui proletari, sotto forma di violenza della polizia, di delinquenza consentita dalle autorità per terrorizzare la popolazione ecc.

Situazioni come quella vissuta a Linares non metteranno fine di colpo a decenni di collaborazione tra le classi, né liquideranno l’influenza di tutte le correnti politiche e sindacali antioperaie sui proletari. Ma, evidenziando chiaramente il conflitto reale attraversato dall’intera società borghese, mettendo in luce la violenza poliziesca subita dai proletari che li costringe a difendersi rompendo con tutte le pratiche democratiche e pacifiste che per decenni ne hanno sottomesso il corpo sociale, questi scossoni aiuteranno ad abbattere le attuali impalcature sociali mostrando chiaramente la necessità di una lotta classista non più solo spontanea, non più limitata a rispondere a un fatto particolare, ma aperta, organizzata e generalizzata.

A Linares si è verificata una vera esplosione sociale. I media, i portavoce dei governi locali, regionali e nazionali, i giudici, le organizzazioni di polizia... tutti coloro che hanno finto di ignorare che la polizia è entrata in città per uccidere e ristabilire l’ordine, ora invitano i giovani lavoratori di Linares a rimanere calmi, che tutto quel che è avvenuto è stato un errore, qualche “mela marcia” in un cesto perlopiù sano...

Ma i proletari, di Linares e delle altre città, possono essere sicuri di una cosa: nella misura in cui la crisi economica e sociale cresce, e la borghesia porta avanti le sue esigenze sotto forma di attacchi alle condizioni di esistenza dei proletari, soprattutto se essi rispondono agli attacchi lottando, la repressione di ogni tipo andrà aumentando. Sia a livello mediatico che a livello politico e giudiziario, la classe borghese ha sempre più bisogno di stroncare ogni tipo di risposta o resistenza che i proletari possono opporre. La stessa borghesia non ha dubbi sul fatto che i proletari scenderanno nell’arena per combattere; semplicemente non sa quando lo faranno e se riuscirà a contenerli con le armi di cui oggi dispone.

Da parte sua, la classe proletaria deve trarre da questo tipo di scontro le lezioni che le permetteranno di andare oltre.

La classe borghese, nel suo insieme, può far morire di fame un’intera città, può, a causa delle esigenze imposte dall’economia capitalista di cui non è altro che un agente, condannare decine di migliaia di proletari alla disoccupazione e può, in risposta alla rabbia sociale che si accumula, scatenare la sua polizia per far rispettare l’ordine col fuoco. La classe proletaria, da parte sua, deve contrapporre forza a forza, deve porre la propria lotta negli stessi termini in cui è posta dalla borghesia: se la borghesia difende i suoi interessi, deve farlo anche il proletariato. Se la borghesia, a un certo punto, non ha nulla da offrire o su cui negoziare, tanto meno ce l’ha il proletariato. Se la borghesia usa tutta la sua forza contro coloro che oppongono un minimo di resistenza, il proletariato deve essere in grado di sviluppare la propria forza, che è quella dell’organizzazione, quella della lotta per la difesa dei suoi interessi di classe al di sopra della divisione per sesso, razza, età ecc. Se la borghesia ha la polizia, i media, la giustizia ecc. come strumenti di lotta, il proletariato deve trovare i propri: la solidarietà di classe, la difesa dei settori più deboli, l’organizzazione permanente. Se la borghesia, infine, si presenta come una classe con interessi unici e monolitici che impone attraverso la sua dittatura di classe, qualunque sia la forma che essa adotta la classe proletaria deve essere anche capace di superare il livello della lotta immediata e spontanea e di porsi sul terreno della lotta politica, della lotta per la conquista del potere, per la distruzione dello Stato di classe borghese e l’instaurazione della propria dittatura di classe, esercitata dal Partito Comunista, internazionale e internazionalista, secondo la dottrina e il programma che sono quelli del marxismo rivoluzionario.

 

17/02/2021

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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