Un programma : l’ambiente

(«il comunista»; N° 167 ; Gennaio / Marzo 2021)

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In questo articolo del 1913, Amadeo Bordiga, nella lotta condotta dai giovani socialisti contro l'impostazione culturalista dell'attività politica, rimarcava come il materialismo marxista, senza negare l'esigenza di studio e approfondimento della storia delle società e del portato rilevante dello sviluppo della filosofia e della scienza, ribadiva il peso fondamentale che deve avere l'ambiente socialista in cui sviluppare la preparazione rivoluzionaria.

 

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Abbiamo lungamente combattuta l’opinione di quelli che intenderebbero dare al movimento giovanile socialista l’indirizzo di cultura. Abbiamo sostenuto che un tale indirizzo può corrispondere ad un’opera di preparazione democratica, ma non di preparazione rivoluzionaria.

Il nostro argomento teorico fondamentale è stato sempre quello che le opinioni politiche non sono frutto di idee astratte o di cognizioni filosofiche e scientifiche, ma dell’ambiente in cui si vive e delle necessità immediate di questo ambiente. E’ la nostra tesi materialistica, nel senso in cui la intendeva Carlo Marx, contrapposta alle concezioni idealistiche di ogni natura e ben poco scossa dal revisionismo borghese e non borghese. Può non essere accettata da tutti i compagni, ma noi persistiamo a ritenere che al di fuori di essa non vi è possibilità di dare una base all’argine e alla mentalità socialista. Noi crediamo soprattutto che i fatti la vadano sempre più confermando, quando si sa esaminarli al di fuori delle falsificazioni della cultura borghese e senza trascendere a inutili schermaglie intellettualistiche.

L’ambiente proletario che è quello in cui sorge spontaneamente il socialismo, è, come ogni ambiente sociale, determinato e aumentato dalla comunanza di interessi economici. Nel riconoscere questa verità fondamentale, e nel farcene una guida costante per la risoluzione di ogni problema politico e sociale noi non abbiamo mai sognato di negare l’esistenza dei “sentimenti” e nemmeno quella delle “idealità” intendendo con questo termine la coscienza di uno scopo reale da raggiungere nell’interesse di tutti, ma che può in determinati momenti dell’azione esigere il sacrificio di alcuni (ci ripetiamo spesso, ma a ragion veduta). Anzi noi vediamo nell’opinione politica più un fatto di “sentimento” che un prodotto di cultura filosofica e scientifica. Solo noi mettiamo a base del sentimento socialista le condizioni economiche, invece di pretendere che il socialismo discenda ad occuparsi del problema economico per effetto dell’ “istinto mutuato di giustizia” ecc.

Noi crediamo - ed è questo il punto importante! - che gli errori, le debolezze e i tradimenti di qualche compagno vanno attribuiti non a deficienze di cultura, ma all’essersi a poco a poco spostato dall’ambiente e all’aver perduto il “sentimento” socialista. Alle “conversioni” possono credere i preti, non noi.

Così pure al fatto che gli errori siano commessi non da individui rappresentativi, ma proprio da gruppi operai, non si rimedierà mai con la cultura, se non si provvede a dare a quei gruppi l’atmosfera dell’ambiente socialista.

I “culturisti” sono preoccupati del fatto che certe categorie di operai avendo conquistati alcuni privilegi cessano di essere socialisti nel senso vero della parola, e tradiscono la lotta di classe. Essi vorrebbero porre riparo a tale fatto deplorevolissimo, ma disgraziatamente logico, con la “cultura”. Noi crediamo invece che bisogna evitare la formazione di questi ambienti di privilegio e portare gli operai a contatto delle altre categorie, farli vivere al di fuori del loro gruppo locale, ottenendo che essi capiscano che occorre sacrificarsi non solo per il proprio sindacato, ma per tutti i loro compagni lavoratori sfruttati dalla borghesia. Questa non è un’opera di cultura, ma di “formazione di ambiente”. Questa opera deve essere riservata al Partito Socialista, ed ecco perché noi mettiamo la missione rivoluzionaria del partito molto al di sopra di quella dei sindacati, a qualunque chiesuola appartengano i segretari di questi ultimi.

Visto che con l’opera di cultura si vorrebbe rimediare alle defezioni, esaminiamo un po’ meglio questi fenomeni dolorosi. Cominceremo col fare una distinzione tra socialisti operai e socialisti “intellettuali”.

L’operaio diviene socialista quando prende a considerare la sua posizione di vittima non isolatamente, ma insieme a quella dei compagni di lavoro. Questo - l’abbiamo detto tante volte! - è conseguenza del suo stato di disagio economico a cui l’istinto di conservazione gli fa cercare un rimedio. Nel fare questi sforzi per il suo miglioramento, esso finisce col vedere che occorre colpire alla radice il presente regime economico, e per fare ciò bisogna portare la lotta sul terreno politico dirigendola contro le istituzioni attuali.

E’ evidente che quello stesso istinto di conservazione che lo ha spinto su questa strada, lo trattiene poi nel momento decisivo dell’azione rivoluzionaria, e molte volte l’operaio finisce coll’adattarsi alla condizione presente, per tema di arrischiare troppo e di fare un cattivo guadagno. Ma quando certe particolari condizioni economiche esasperano il suo sentimento di ribelle, allora egli non esita più e si lancia nella lotta rivoluzionaria.

Ora il Partito Socialista proponendosi di affrettare tale processo vuole convincere l’operaio della necessità di svolgere quella lotta, unica possibile soluzione del problema sociale nell’interesse del proletariato. L’operaio solidamente convinto di questo è un buon socialista. Quale dunque sarà il metodo per effettuare tale convinzione? Quello della dimostrazione teorica, della cultura? Dovremo allora aspettare vari secoli ancora per “preparare” il proletariato!

No, perdio, la via della propaganda non è la teoria, ma il sentimento, in quanto questo è il riflesso spontaneo dei bisogni materiali nel sistema nervoso degli uomini.

Occorre, se vogliamo vincere le riluttanze egoistiche dell’operaio, fargli vedere le condizioni di tutti i suoi simili, portarlo in un ambiente che gli parli della “classe” e del suo avvenire. Sotto l’influenza di tale ambiente egli non correrà rischio di diventare un rinnegato. E che non sia questa un’opera di cultura lo prova il caso degli intellettuali che “rinnegano” con grande facilità, malgrado la solidità teorica delle loro idee, a cui certo non potrebbero mai giungere gli operai.

Però il caso degli intellettuali è ben diverso. Essi vengono da un ambiente non socialista, per accidente, per istinto forse, più spesso per essersi urtati in qualche spigolo dell’ambiente che lasciano - quasi mai colla cosciente malafede di farsi un piedistallo politico, perché questo vien dopo.

La convinzione vera, in generale, si forma poi, a contatto dell’ambiente operaio, per il confronto con quello che si è lasciato... L’opinione politica non è un atteggiamento di pensiero, ripetiamolo a costo di essere lapidati da idealisti, cultoristi, maniaci della “Filosofia” o della “Scienza”. Conosco molti che in teoria sono socialisti e in politica forcaiuoli. Esiste forse anche qualche caso del... viceversa! Siccome però l’intellettuale e l’operaio credono entrambi, molto spesso, alla superiorità politica dell’uomo più colto, così finiscono col trovarsi in due piani distinti, e l’operaio si abitua a credere che l’intellettuale sia un essere superiore, con possibilità di azione immensamente maggiori... finisce col farsene un idolo, e intanto lo manda fuori dell’ambiente operaio. Comincia così la logica parabola dei borghesi socialisti, riassorbiti dalla società borghese. E’ un processo quasi necessario: il proletariato sottrae alla borghesia alcuni elementi rivoluzionari, evoluti, e li sfrutta contro di essa finché questa non riesce a riprenderli nelle sue file. E’ un passaggio continuo che non recherebbe gran danno al socialismo se quegli intellettuali, andandosene, non lasciassero dietro di loro un seguito di ammirazione personalistica negli operai. Il nemico che ci vediamo contro in questi fenomeni, l’artefice delle defezioni operaie e non operaie dalle nostre file è sempre lo stesso: si chiama “individualismo”. Esso è il riflesso dell’ambiente della società borghese. Esso ha le sue radici sul regime economico della proprietà privata e della concorrenza. E’ un nemico che dobbiamo combattere. Sarà abbattuto quando si potrà instaurare il regime economico comunista, ma bisogna assalirlo anche oggi.

Tutto l’ambiente borghese conduce dunque all’individualismo. La nostra lotta socialista, anti-borghese, la nostra preparazione rivoluzionaria deve essere diretta nel senso di gettare le basi del nuovo ambiente.

Ecco in che cosa noi vediamo tutto un programma del movimento giovanile. Sottrarre la formazione del carattere all’esclusiva influenza della società presente, vivere tutti insieme, noi giovani operai o no, respirando un’atmosfera diversa e migliore, tagliare i ponti che ci uniscono ad ambienti non socialisti, recidere i legami per cui ci si infiltra nel sangue il veleno dell’egoismo, della concorrenza, sabotare, in una parola, questa società infame, creando oasi rivoluzionarie destinate un giorno ad invaderla tutta, scavando mine destinate a sconvolgerla nelle sue basi…

Ma l’articolo è già troppo lungo per svolgerne ora la parte “concreta”. Ne parleremo un’altra volta.

 

Da “L’Avanguardia” del 1° giugno 1913. Firmato: Amadeo Bordiga

 

 

Partito comunista internazionale

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