1979: la "socialista" Cina fa la guerra al "socialista" Vietnam

(«il comunista»; N° 172 ; Marzo 2022)

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Il contrasto cino-sovietico non poteva non avere conseguenze sull'intero Sud-Est asiatico e in particolare sui paesi dell'Indocina  (Vietnam, Cambogia, Laos),  su quelli dell'ASEAN (Filippine, Indonesia, Tailandia, Malesia, Singapore), e naturalmente sul Giappone. Quel contrasto è provocato dalla tendenza espansionistica della Russia nell'estremo Oriente in competizione con la Cina e, viceversa, della tendenza della Cina ad allargare la propria influenza sull'Indocina per controllare una delle vie d'acqua più importanti per i traffici commerciali che passano per il Mar Cinese meridionale e gli stretti di Malacca e di Lombok collegandoli all'Oceano Indiano. Il Vietnam, anch'esso con mire espansionistiche sull'Indocina, appoggiato dalla Russia, nel 1979 con le sue truppe  invade la Cambogia ecaccia dal potere i Kmer rossi (di Pol Pot) sostenuti da Cina e Tailandia. La guerra tra Vietnam e Cambogia è stata praticamente il detonatore di uno scontro che è durato dieci anni, e che ha rotto gli equilibri nel Sud-Est asiatico dopo la vittoria vietnamita nella guerra contro gli americani. In questo decennio è stata l'URSS che ha avuto più possibilità di ampliare la sua zona di influenza nell'area sud-orientale, ma nello stesso tempo ha spinto la Cina a stringere ancor più i rapporti con gli Stati Uniti.

Nel capitalismo, e nella sua fase imperialista in particolare, le guerre sono sempre precedute da trattati di pace. Nel 1978, prima della guerra Vietnam-Cambogia e della guerra Cina-Vietnam, sono stati firmati ben tre trattati di "pace": far Cina e Giappone in agosto, fra Vietnam e URSS in novembre e fra Cina e USA in dicembre.

«Quanto più parlano di "pace" - scrivevamo nel febbraio 1979 -, tanto più i vari capitalismi si preparano alla guerra; come il marxismo ha sempre sostenuto inevitabile tra una pausa di "pace" e l'altra, una terza carneficina mondiale diviene sempre più lo sbocco necessario (anche se non immediato) dei contrasti interimperialistici».

Nell'articolo successivo evidenziavamo  come quella guerra veniva sfruttata dalla borghesia internazionale «per intensificare la sua campagna contro il marxismo», in particolare per «indicare nel "settarismo dei comunismi" una causa di guerra, diversamente da quanto succederebbe nell'Occidente "democratico", in cui regnerebbe invece la pace». Era chiaro allora, quando le borghesie occidentali incolpavano i "comunismi" di volere la guerra, come lo è oggi quando parlano dei "totalitarismi" contro cui oppongono sempre e comunque la "democrazia", che lo scopo di queste campagne di propaganda era, ed è, di «preparare il terreno ideologico per potere ancora una volta mandare i proletari di tutto il mondo a scannarsi vicendevolmente in nome della "democrazia". Magari, quel giorno, alcuni pretesi "socialismi"», come la Cina?, «saranno dalla parte delle "democrazie", e magari alcune "democrazie" saranno nel campo dei "socialismi". Che importa? dei primi si dirà che sono socialismi dal "volto umano" e "pluralistici", e delle seconde che sono democrazie statolatre e in via di totalitarizzazione. Del resto non è certo la coerenza delle definizioni ideologiche che ci possiamo attendere dai ladroni imperialistici: guarda caso, nel primo conflitto mondiale lo zarismo era buon alleato delle democrazie occidentali contro il "militarismo" tedesco; nel secondo la cosa si è ripetuta con le etichette del "socialismo" moscovita e delle "democrazie plutocratiche" contro nazismo e fascismo».

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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