A proposito di Hamas e della guerra nella Striscia di Gaza

(«il comunista»; N° 180 ; Dicembre 2023 - Febbraio 2024)

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L’attacco di Hamas in territorio israeliano e la conseguente strage di israeliani in diversi kibbutz, la presa di più di 200 ostaggi portati a Gaza, e l’inevitabile e prevedibilissima reazione israeliana hanno riportato tragicamente la “questione palestinese” in primo piano nel mondo. Questa volta Israele non si è limitato a cannoneggiare e bombardare Gaza dal proprio territorio, ma ha attuato anche l’occupazione militare della Striscia, occupazione che sta proseguendo e continuerà anche nei mesi successivi. L’intenzione del governo di Telaviv, sostenuto fortemente dagli USA, è di eliminare completamente Hamas e di mettere Gaza sotto ferreo controllo israeliano. Ai circa 1.200 israeliani uccisi per mano di Hamas il 7 ottobre scorso,  sono stati ammazzati, ad oggi, gennaio 2024, più di 25.000 palestinesi, perlopiù civili, e senza contare i morti sepoliti sotto le macerie, sotto i bombardamenti e per mano dei militari israeliani che stanno avanzando nelle diverse città gazawi. La parte nord di Gaza e la capitale Gaza City sono ormai un cumulo di macerie; più di 1 milione e mezzo di gazawi sono sfollati a sud, ma anche il sud viene costantemente colpito dai bombardamenti israeliani. I palestinesi, chiusi a Gaza come in una enorme tonnara, subiscono una carneficina sistematica; dal 7 ottobre Israele ha tolto l’energia elettrica, ha bloccato i rifornimenti di cibo, di acqua e di medicinali; gli ospedali del nord e di Gaza City sono stati distrutti; oltre alla morte a causa delle bombe a Gaza si muore di fame, di sete e di malattia non solo perché gli ospedali non possono più curare nessuno, ma anche per via dei cadaveri che rimangono a putrefarsi sotto le macerie. Le litanie sui “corridoi umanitari” degli stessi Stati che sostengono Israele nel suo “diritto a difendersi” con ogni mezzo a disposizione, mostrano per l’ennesima volta il peloso e ipocrita umanitarismo dei democratici di tutte le risme col quale si ripuliscono la coscienza ogni volta che la guerra borghese si annuncia con le stragi di civili inermi.

Qualche parola su Hamas.

E’ un’organizzazione politica islamica che trae origine dai Fratelli Musulmani, contrapposta alla ex OLP e quindi all’Autorità Nazionale Palestinese che controlla la Cisgiordania. Nonostante sia da sempre un’organizzazione fondamentalista islamica che nel suo statuto enuncia di non riconoscere lo Stato di Israele e di volerlo distruggere, è stata tollerata e perfino protetta da Tel Aviv in funzione anti-OLP/ANP. E’ una fazione borghese che, salita al potere a Gaza, svolge il suo compito borghese di controllo capillare dei due milioni di palestinesi che vi abitano e soprattuto del suo proletariato, svolgendo un ruolo di gendarme su di esso per conto degli Stati arabi che lo sovvenzionano, ruolo che avvantaggia anche il nemico Israele.

L’acronimo Hamas significa “Movimento di resistenza” ed è ovvio il collegamento con tutta l’esperienza della resistenza palestinese all’oppressione israeliana attraverso gli attentati, compresi quelli suicidi, con l’organizzazione anche militare nelle forme della guerriglia e la sempre più stretta militanza  fondamentalista islamica.

Terminato il mandato britannico della Palestina (iniziato nel 1918, dopo il crollo dell’impero ottomano), Gaza dal 1948-49 (ossia dalla costituzione dello Stato di Isaele) al 1967 era controllata dall’Egitto, mentre la Cisgiordania era controllata dal Regno di Giordania. Dopo la Guerra dei 6 giorni viene occupata da Israele, che nello stesso tempo occupa la Cisgiornania, Gerusalemme Est, la penisola del Sinai e le alture del Golan. Per tutti gli anni ‘70 il movimento che fonderà Hamas combatte contro la corruzione dell’OLP e organizza fondazioni religiose di carità. Negli anni ‘80 inizia a fare attività politica, lottando contro i collaborazionisti palestinesi di Israele. Hamas viene fondato ufficialmente al tempo della prima Intifada (1987) e viene finanziato soprattutto da Arabia Saudita e Siria.Tra i suoi obiettivi (Statuto del 1988) ci sono: il ritorno della Palestina alla sua condizione pre-coloniale, costituzione di uno Stato palestinese e la rivendicazione della jihad (la guerra santa). L’occupazione militare di Gaza da parte di Israele terminerà nel 1994 (secondo i cosiddetti accordi di Oslo) e passerà sotto l’amministrazione della nuova Autorità Nazionale Palestinese che, nel 1995, si occuperà anche della Cisgiordania. Come in Cisgiordania, anche nella striscia di Gaza, si erano costituiti molti insediamenti israeliani (gestiti da coloni), ma secondo gli accordi tra Israele e Arafat nel 2005 sarebbe dovuta avvenire l’evacuazione completa dei coloni (contro indennizzi, ma anche forzata) e la striscia di Gaza avrebbe dovuta essere abitata  soltanto da palestinesi.

Le elezioni del 2006 hanno visto Hamas prevalere nella Striscia di Gaza e al-Fatah prevalere in Cisgiordania; la rivalità tra i due partiti porterà all’impossibilità di formare un governo unico per tutti i territori palestinesi, e alla fine la Striscia sarà governata da Hamas e la Cisgiordania dall’ANP. Hamas è stata sempre considerata dagli USA e dall’UE un’organizzazione terroristica; gli aiuti ai palestinesi che arrivavano dagli USA e dalla UE furono interrotti, mentre proseguivano invece verso l’ANP. Va però sottolineato che gli accordi di Oslo, ancora in vigore, prevedono che Israele mantenga il controllo dello spazio aereo e delle acque territoriali, dell’anagrafe della popolazione, dell’ingresso degli stranieri, delle importazioni, delle esportazioni, del sistema fiscale e della moneta. Non esiste, infatti, una moneta palestinese (d’altra parte non esiste nemmeno uno Stato palestinese): i palestinesi devono utilizzare la moneta israeliana: il nuovo shekel israeliano (il NIS). Non esiste nemmeno una vera e propria industria palestinese, ciò significa che l’economia del territori palestinesi (Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme est) è costituita da un’agricoltura di sopravvivenza, di artigianato e soprattutto di aiuti dall’estero (UE, USA e paesi arabi). Ovvio che una parte considerevole di palestinesi, per sopravvivere, deve recarsi tutti i giorni in Israele a lavorare, mentre la sera è obbligata a tornare nei loro territori. E’ anche questo un modo per obbligare i proletari palestinesi a non stabilizzarsi mai e a dipendere per la vita non solo dalla moderna forma di schiavitù capitalistica come ogni altro proletario al mondo, ma ad essere sottopagati  ed essere ricattati sistematicamente.

Da quando è in corso la guerra Israele-Hamas, i lavoratori palestinesi di Gaza sono stati obbligati a rientrare a Gaza, mentre Gaza veniva sistematicamente rasa al suolo.

Quanto agli “aiuti” ai palestinesi dei Territori provenienti dall’estero vi sono tre flussi: uno riguarda i singoli Stati (ad es. gli USA, dal 1994, dopo gli accordi di Oslo, fino al 2021 hanno versato 5,746 miliardi di dollari, mentre l’Arabia Saudita ha versato 4 miliardi) e da istituzioni come l’UE (che dal 1994 al 2021 ha versato 7,6 miliardi di dollari), un milirado  dall’ONU (soprattutto in aiuti umanitari, cibo, medicinali ecc.) e il terzo flusso riguarda in particolare Hamas, quindi un flusso di denaro (dollari soprattutto) per lo più occulto proveniente dal Qatar, dall’Iran e dagli investimenti immobiliari che Hamas fa da più di dieci anni in Algeria, Arabia Saudita, Sudan, Turchia, Emirati Arabi (cfr. Corriere della Sera, 2.11.2023).

Sono 75 anni che Israele attua una politica di occupazione sia militare che economico-sociale nei confronti del territori palestinesi. Al di là di ogni “accordo”, di ogni “intimazione”, i coloni israeliani hanno continuato una sistematica occupazione di terre palestinesi - distruggendo campi, coltivazioni e case palestiensi - protetti e difesi dall’esercito israeliano. E’ evidente che il disegno sionista della Grande Israele è sempre vivo, mentre rimane in piedi la colossale presa in giro dei “due popoli, due Stati” che i grandi imperialismi hanno continuato ad annunciare come “soluzione” del conflitto israelo-palestinese, ma che non hanno mai perseguito né imposto.

La risposta da parte palestinese, come sappiamo, non ha mai preso la via della rivoluzione nazionaldemocratica - come in Algeria ad esempio - sebbene tutte le organizzazioni della “resistenza palestinese” abbiano adottato la lotta armata contro l’oppressione nazionale. La borghesia palestinese, divisa costantemente in fazioni  rivali, ha sempre avuto la tendenza ad appoggiarsi su potenze regionali o internazionali per ottenere dei sostegni rispetto non solo ad Israele, ma anche alle fazioni concorrenti. D’altra parte, i diversi tentativi che le borghesie arabe fecero, ora sotto la guida di Egitto e Siria, ora sotto la guida dell’Iraq, per “unificarsi” nella prospettiva di costituire un grande Stato panarabo, andarono falliti miseramente e sempre per la stessa ragione di fondo.

Scrivevamo nel 1957, quando Egitto e Siria erano i maggiori centri del moto panarabo:

«Così come stanno le cose nel Medio Oriente, l’unificazione araba resta un’utopia irraggiungibile, finché è affidata - come lo è ora - alla politica degli Stati. La contraddizione insolubile della demagogia pan-arabista consiste nel propugnare l’unità nazionale degli arabi dell’Egitto, dell’Arabia Saudita, della Giordania, dell’Iraq, della Siria, dei diversi principati del Golfo Persico e del Mar Rosso, ma nel pretendere di raggiungerla attraverso intese interstatali, mentre è chiaro che una “nazione araba”, costituita in Stato unitario è concepibile solo attraverso la demolizione delle impalcature statali esistenti e la fondazione di una nuova struttura politica di tipo moderno. Caratteristica fondamentale della rivoluzione borghese è infatti il superamento del particolarismo statale proprio del feudalesimo. (...) L’unificazione araba, di cui si riempiono la bocca gli agitatori ossequienti al governo del Cairo, se ed in quanto resti affidata ai governi costituiti, sarebbe realizzabile ad una sola condizione, e cioè che sorgesse un... moderno Gengis Khan o un Tamerlano di razza araba capace di schiacciare con la forza delle armi le resistenze particolaristiche al pan-arabismo» (Cfr. “La chimera dell’unificazione araba attraverso intese fra gli Stati”, il programma comunista n. 10 del 1957).

Quel moderno Gengis Khan non apparve, dunque la borghese unificazione araba fallì completamente e, a maggior ragione, fallì anche la borghese unificazione palestinese perché soffriva della stessa malattia, il particolarismo proprio del precapitalismo.

Nel corso dei decenni il contadiname palestinese fu trasformato forzatamente in proletariato, in una grande massa di forza lavoro salariata, soggiogato dai contrasti delle diverse fazioni borghesi - e deviato, come lo è stato il proletariato di ogni paese del mondo, dallo stalinismo  e dal post-stalinismo -  ma non riuscì a svilupparsi in forza di classe indipendente per la quale non bastava il coraggio e la predisposizione a combattere armi alla mano per la vita o per la morte. Ci sarebbe voluta la presenza, l’attività e l’influenza del partito comunista rivoluzionario, del partito di classe, un partito che non nasce automaticamente dalla lotta proletaria, anche se armata, ma da un lungo processo di decantazione teorica e politica reso indispensabile proprio a causa della micidiale falsificazione e distruzione del partito di classe attuata dallo stalinismo contro cui si opposero solo modestissime forze comuniste rivoluzionarie collegate strettamente alla Sinistra comunista d’Italia e che, con grandi difficoltà oggettive e soggettive, riuscirono a mantenere vivo il filo del tempo che collega il marxismo e la rivoluzione bolscevica di Lenin ad una futura ripresa di classe del proletariato d’Europa e del mondo.

E’ per questo partito di classe influente e in grado di preparare se stesso e il proletariato alla lotta rivoluzionaria di domani che noi lavoriamo.

Il proletariato palestinese, da cui molte formazioni politiche sedicenti comuniste e rivoluzionarie si aspettano il miracolo della rivoluzione proletaria in tutto il Medio Oriente, in realtà - come molti proletariati delle nazionalità oppresse nei diversi paesi del mondo - è stato abbandonato al suo tremendo destino proprio dai proletariati dei paesi imperialisti, paesi che decidono le sorti  delle popolazioni del mondo, e soprattutto dei relativi proletariati. Certo, non è un abbandono razionale e mirato; esso è il risultato di una malattia politica ancor più grave del particolarismo precapitalistico di cui soffriva e soffre la borghesia araba e palestinese: la malattia della collaborazione di classe in cui sono imprigionat i proletari dei paesi capitalistici avanzati e che li lega alle proprie borghesie imperialiste. Perciò non c’è da stupirsi se, di fronte alla sistematica oppressione nazionale attuata da Israele nei confronti delle masse palestinesi - oppressione cadenzata da continui massacri che vanno ad aggiungersi alla soffocante soggezione economica, sociale e politica esercitata dai governi di Tel Aviv - queste stesse masse si affidino ad ogni organizzazione borghese che dimostri una qualche reazione contro l’oppressione e che riesca ad ottenere, grazie alle  relazioni intrattenute con questa o quella potenza regionale o internazionale, un aiuto per poter sopravvivere. Nella Striscia di Gaza, in particolare, in cui si sono radunate le masse palestinesi più combattive, Hamas ha effettivamente rappresentato, per un certo periodo, un’alternativa alla corrotta ANP, ed ha anche rappresentato la volontà di organizzare una risposta alla violenza militare di Israele con la stessa violenza, entrando però incoscientemente nel gioco mortale di una sistematica carneficina.

Dopo decenni in cui i palestinesi hanno subito ogni tipo di violenza ed ogni atto di terrorismo statale da parte di Israele e dagli altri Stati arabi, a cui le risposte organizzate non potevano che essere di carattere terroristico, si è giunti ad un punto in cui l’asticella dei ripettivi terrorismi si è alzata ad un livello per il quale il conflitto non può più rimanere soltanto tra le milizie palestinesi e l’esercito di Israele. Un conflitto che tende a riallargarsi a tutto il Medio Oriente, coinvolgendo direttamente gli Stati che un tempo stavano a guardare come, innanzitutto, l’Iran degli ayatollah che da tempo sostiene Hamas ed Hezbollah, ma al solo scopo di impegnare Israele in scontri o in una guerra per metterlo in difficoltà, mentre a fronte del vecchio contrasto con l’Arabia Saudita - temporaneamente attenuato per l’intervento della Cina -   esiste un altro contrasto importante, anche se finora non ha provocato azioni di guerra reciproche, quello col Pakistan, uno dei più popolosi paesi a maggioranza sunnita, mentre l’Iran è senza dubbio il campione degli sciiti a livello mondiale.

In questo groviglio di contrasti e di motivi per scontri armati di bassa, media ed alta intensità, Israele questa volta sembra puntare ad una “soluzione finale” non solo con Hamas che, attualmente, è certamente il “nemico”in prima linea, quanto con i palestinesi  di Gaza in particolare.

La Striscia di Gaza, per Tel Aviv, diventa sempre più importante sia dal punto di vista territoriale, sia dal punto di vista economico. Il fondo marino antistante la Striscia di Gaza contiene grosse riserve di gas naturale e avere il territorio di Gaza completamente in mano israeliana faciliterebbe non poco lo sfruttamento economico di quelle riserve da parte di Tel Aviv. I due milioni e mezzo circa di palestinesi ammassati a Gaza rappresentano una polveriera sempre più pericolosa, sempre pronta ad esplodere, dando origine costantemente a tenaci milizie antisioniste in grado di fare incursioni in territorio israeliano. Una polveriera che va spenta, fosse anche con la distruzione di una parte considerevole di città e campi profughi gazawi e il massacro della popolazione civile come sta avvenendo da più di tre mesi. Un massacro che, nonostante gli inviti della Casa Bianca a tregue per permettere il passaggio degli aiuti umanitari alla popolazione sflollata di rifugiarsi in altre parti di Gaza e a ridurre i bombardamenti sulla popolazione civile, continua senza soluzione di continuità secondo l’obiettivo dichiarato da Nietanyhau: la guerra terminerà quando Hamas sarà completamente distrutto.Non a caso questa guerra, per voce degli stessi governanti israeliani, sarà ancora lunga, vista la resistenza tenace di Hamas e il sostegno che riceve dagli Hezbollah e ora, su spinta dell’Iran, anche dagli Houti dello Yemen.

Secondo le cifre della Mezzaluna rossa palestinese oltre ai morti dovuti ai bombardamenti, alla distruzione dei tnnel che vengono anche invasi con acqua di mare,quel che si prevede nei mesi e negli anni a venire per Gaza è una situazione ben peggiore, perché a “guerra finita”, o “sospesa”, viste le condizioni in cui l’intera popolazione gazawi è stata precipitata, senza acqua, senza cibo, senza riparo, senza medicinali, senza ospedali, senza lavoro, senza poter seppellire i propri morti, le morti dovute alle malattie saranno ben più numerose come numerosi saranno i disabili e tutti coloro che non potranno vivere e lavorare in modo dignitoso per le amputazioni subite. Il vocabolario borghese non trova le parole per illustrare questa situazione; chi parla di genocidio, chi di pulizia etnica. Ma nella guerra moderna, tecnologicamente avanzata, nella quale vengono usati tutti i mezzi anche i più brutali e antichi, nella quale il terrorismo borghese non si limita a colpire obiettivi singoli, ma espande il suo orizzonte ad una popolazione intera e, in questo caso, concentrata in un territorio ben delimitato come una prigione a cielo aperto, il vero obiettivo non è solo quello di sottomettere una popolazione al proprio dominio, rubando il suo territorio, impossessandosi delle sue risorse e sfruttando la sua forza lavoro; è di annichilire il suo proletariato che rappresenta sempre, anche quando non lotta per se stesso, un potenziale nemico di classe in grado di ribaltare completamente, se presenti determinate condizioni oggettive, i rapporti di forza e rivoluzionare da cima a fondo la società in cui la borghesia è padrona assoluta. 

Finché le masse proletarie palestinesi rimangono docilmente sottoposte al bastone dei capitalisti israeliani - masse che, d’altra parte, sono indispensabili per l’economia di Israele - e non si ribellano, meno che meno con le armi, la classe dominante israeliana si limita ad una oppressione “morbida” facendo naturalmente rispettare le sue leggi secondo le quali i palestinesi sono un popolo di serie B. Ma se i proletari palestinesi alzano la testa allora la reazione sarà sempre più tremenda, massacro dopo massacro.

La carneficina di Gaza è un monito che la borghesia israeliana, per conto anche delle borghesie della regione e dei paesi imperialisti che la sostengono,lancia non solo al proletariato palestinese che dimostra di essere indomabile nonostante la costante oppressione e repressione cui è sottoposto e la montagna di inganni e di illusioni di cui è stato fatto oggetto in tutti questi decenni, ma anche al proprio proletariato e ai proletari di tutto il Medio Oriente e, attraverso di loro, di tutto il mondo.

Ecco perché la causa non tanto della Palestina, ma del proletariato palestinese, è la causa dei proletari di tutti i paesi; una causa verso la quale il proletariato israeliano, sia ebreo che arabo, è ancora del tutto sordo, invischiato com’è nei legami di una collaborazione interclassista che alla borghesia israeliana serve non solo per continuare ad opprimere e reprimere i palestinesi che tendono a svincolarsi dall’oppressione nazionale, ma anche per tenere soggiogato il proprio proletariato israeliano. Un proletariato, quest'ultimo, che gode di una particolare protezione da parte della sua borghesia in funzione proprio antiproletaria, oggi contro i palestinesi, ma domani, al minimo accenno di lotta o di ribellione che abbia il sapore anche lontano di un atto classista, si abbatterà su di lui la stessa violenza che da decenni si abbatte sui proletari palestinesi e anche su tutti coloro che, spinti da una solidarietà umanitaria, intendono soccorrere i gazawi portando cibo, acqua, medicinali, come successe alla Freedom Flotilla delle organizzazioni pacifiste guidata dai pacifisti turchi della Insani Yardim Vakfi nel giugno del 2010 durante una delle numerose operazioni militari israeliane contro Gaza, quella volta chiamata “Piombo fuso” (Cfr. “il comunista” n. 117, giugno 2010, “Terrorismo di stato e stragi, un binomio costante della politica borghese israeliana”).

Oggi, come allora, Hamas con le proprie operazioni militari - di cui è difficile credere che l’intelligence israeliana non ne sapesse nulla e fosse stata completamente “sorpresa” dall’incursione del 7 ottobre - tende a mantenere il controllo su Gaza e giungere a negoziati con Israele da una posizione meno debole rispetto a quella con cui viene considerata l’ANP, anche se questo obiettivo costa, come sta costando, un prezzo altissimo per i proletari gazawi in termini di morti e distruzioni. In questa guerra, Hamas - come l’OLP a suo tempo - non può più contare sul forte sostegno di tutti i paesi arabi che erano interessati a contrastare anche militarmente Israele; il suo ruolo anti-israeliano rimane e rimarrà lo stesso nella misura in cui sopravviverà come organizzazione o se si modificherà in seguito alla sconfitta, ma verrà svolto al servizio di un’altra potenza regionale, come in parte già lo è, dell’Iran o della Turchia, o di entrambi.

Comunque vada, il proletariato palestinese verrà per l’ennesima volta illuso e soggiogato e ancora una volta piegato alle esigenze particolari delle diverse fazioni borghesi che, alla guerra contro Israele, aggiungono la guerra fra di loro.

Per uscire da questo groviglio di contrasti borghesi nei quali il proletariato palestinese è la vittima principale, esso deve imboccare una via completamente opposta, l’ardua via della lotta classista, riconoscendosi non più come parte di un popolo oppresso, ma come classe indipendente con propri obiettivi immediati e storici. E’ l’unica via, oltretutto, in cui potrà trovare la solidarietà dei proletari degli altri paesi che hanno lo stesso compito: rompere definitivamente la collaborazione con le proprie borghesie.

 

 

Partito Comunista Internazionale

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