L’ABC dei comunisti nella questione del parlamentarismo

(«il comunista»; N° 182 ; Maggio-Luglio 2024)

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Due sono gli aspetti emersi dalle scorse elezioni europee: il forte astensionismo – la partecipazione, in generale, è stata al di sotto del 50% degli elettori – e la supremazia elettorale dei partiti di destra e l’avanzata dei partiti di estrema destra. Ciò è stato considerato da tutti i media democratici come un pericolo per la tenuta di sua maestà la Democrazia in Europa, culla della civiltà antica come della civiltà moderna. Sembra, infatti, che l’astensionismo abbia colpito coloro che avrebbero votato per i partiti di “sinistra” o di “centrosinistra” ma che non sono andati a votare perché disgustati dal marciume in cui si sono impantanati quei partiti e delusi dalle troppe promesse di wellfare e di “giustizia sociale” mai mantenute. In altri paesi in cui si sono tenute elezioni presidenziali e parlamentari, come la Russia e l’India, vi è stata un’affluenza alle urne che dimostrerebbe una partecipazione “politica” ai destini del rispettivo paese più attiva, segno che uno dei fondamenti della democrazia moderna, appunto l’elezionismo e la partecipazione alle elezioni tiene anche in un paese sottoposto a un regime fortemente autocratico, come la Russia, e in un paese fortemente diviso tra un tradizionale pacifismo gandhiano e un viscerale bellicismo induista, entrambi funzionanti come carburante per il nazionalismo borghese.

Al di là delle differenze di regimi nei diversi paesi, la democrazia borghese, persa – da più di centocinquant’anni in Europa e in America, e da più di cinquant’anni nel resto del mondo arretrato capitalisticamente – la sua spinta rivoluzionaria, riesce ancora a mietere consensi, a influire ideologicamente sulle vaste masse, nonostante la dimostrazione concreta – rispetto appunto al benessere diffuso per tutti, alla “giustizia sociale”, alla pace e al seppellimento di ogni guerra – di non essere stata e di non essere la soluzione di tutte le contraddizioni economiche e sociali generate senza tregua dalla società borghese.

Con la democrazia è nato il parlamento e non è un caso che questa istituzione si chiami parlamento: i deputati e i senatori, i “rappresentanti” dei diversi partiti, sono delegati a discutere e negoziare tra di loro i diversi interessi difesi dai partiti che li hanno candidati, e a votare di volta in volta le diverse proposte, misure e leggi messe appunto ai voti.

Ma la società borghese è divisa in classi, e le classi sono tali perché poggiano su interessi economici e sociali espressi dalle condizioni materiali in cui le classi si sono formate e dai rapporti di produzione e sociali che le definiscono. La classe borghese, come la classe proletaria, non sono astrazioni, sono forze sociali formatesi nella storia delle società umane attraverso le condizioni materiali di produzione e di sviluppo della vita sociale.

Ogni società che si è sviluppata dal comunismo primitivo in poi ha sviluppato una classe dominante e delle classi dominate (contadini, operai); la classe dominante è la classe che possiede la forza militare per difendere il proprio dominio contro le altre classi dominanti e le stesse classi dominate (schiavi, servi della gleba, lavoratori salariati) e i mezzi di riproduzione della vita (la terra innanzitutto). Ciò significa che lo sviluppo delle società umane è avvenuto sempre attraverso la violenza e il progresso economico, anticipato quasi sempre dallo sviluppo dei mezzi militari da parte delle classi dominanti. Il negoziato nasce dall’esigenza, a un certo punto dello scontro sociale e politico, e a seconda della vittoria o meno dei contendenti, di giungere alla fine dello scontro violento e militare o a un compromesso perché lo sviluppo della vita civile non può sopportare la guerra permanente.

Il parlamento è il luogo in cui – secondo l’ideologia borghese – i contrastanti interessi di classe dovrebbero trovare un equilibrio tra maggioranza e minoranza, attraverso una serie di compromessi che dovrebbero permettere la prosecuzione della vita civile in pace con soddisfazione di tutti; è il luogo in cui tutti i partiti si impegnano a difendere la pace sociale nonostante i forti contrasti di classe esistenti e le tensioni sociali che periodicamente emergono.

Ma la storia del parlamentarismo ha dimostrato che la pace sociale, agognata tanto dai borghesi quanto dagli opportunisti che parlano a nome del proletariato, porta dei benefici sicuramente alla classe borghese, dunque ai proprietari fondiari, agli industriali, ai banchieri, alle aziende di trasporti e servizi commerciali vari, ma non ai lavoratori salariati e ai contadini poveri ai quali, se vengono concessi dei miglioramenti, sono in generale scarsi e temporanei.

Da quando il capitalismo si è imposto come modo di produzione principale – in Inghilterra, in Francia, in Olanda, in Germania ecc. –, la borghesia dominante aveva bisogno di avere a disposizione un esercito sempre più ampio di lavoratori salariati perché è con lo sfruttamento del lavoro salariato che il capitale si valorizza. Per la sua rivoluzione politica, la borghesia doveva mobilitare tutte le classi dominate: i contadini, il proletariato urbano e gli operai di fabbrica; e per mobilitarle doveva promettere loro la liberazione dal peso e dai vincoli personali della società feudale e la partecipazione alla “costruzione” della nuova società: libertà, uguaglianza, fraternità, ricordate?

Questa trilogia doveva trovare posto nei programmi politici, nelle costituzioni, nelle leggi, ma erano parole e concetti buoni solo per la propaganda che la nuova classe dominante borghese costruiva a difesa del suo potere economico, della sua libertà di svilupparlo in tutte le direzioni e, soprattutto, con la libertà più assoluta di sfruttare il lavoro salariato al fine di valorizzare sempre più il capitale, vero e indiscusso sovrano a livello mondiale.

La democrazia, quindi, utilizzata per concedere alle classi contadine e proletarie il diritto di parola in difesa dei loro interessi, è stata l’arma ideologica e politica con cui la classe borghese ha coronato la sua completa vittoria non solo sulle vecchie classi dominanti feudali e schiavistiche, ma anche sulla nuova classe sociale che stava crescendo e imponendosi: il proletariato, il produttore di tutta la ricchezza sociale pur non possedendo nulla di tutta questa ricchezza.

Per svolgere la sua funzione di classe dominante, la borghesia non si serve soltanto del regime democratico, può benissimo instaurare regimi diversi, dalla monarchia costituzionale all’autocrazia, dalle repubblica più democratica e liberale alla dittatura militare e fascista. Naturalmente il cambio di regime non è il risultato di un atto di volontà di capi democratici, di duci o di menti elevate, ma il risultato dello scontro di interessi di classe che agiscono aldilà e al di sopra dei grandi personaggi o della volontà degli individui chiamati ad esprimere le proprie opinioni. Gli interessi di classe, espressi dalle forze materiali e sociali che sono per l’appunto le classi sociali, indirizzano l’azione economica e politica sia delle forze sociali sia dei partiti che ne rappresentano le finalità e la costruzione ideologica.

Il potere politico è il meccanismo complesso con cui la classe dominante difende il suo dominio, i suoi interessi di classe, utilizzando a questo fine tutti gli strumenti che rendano efficaci le sue azioni. Ed è indiscutibile che, oltre all’uso aperto della forza e ai metodi repressivi normalmente applicati dallo Stato, ma anche da organizzazioni di sicurezza parallele, contro ogni ostacolo al corso degli affari economici, finanziari, politici che vedono al loro centro la grande borghesia, i grandi gruppi e le grandi multinazionali, la classe dominante usa la democrazia, nelle sue più diverse applicazioni, proprio per deviare e debilitare le forze sociali – soprattutto il proletariato – che possono o potrebbero mettere a rischio con il loro movimento di classe, anche solo temporaneamente e localmente, i suoi interessi di classe.

La democrazia ha avuto il suo massimo effetto contro gli interessi di classe del proletariato nei decenni che hanno preceduto lo scoppio della prima guerra imperialistica mondiale. I partiti socialisti e socialdemocratici, i partiti “operai” di allora, infarciti di riformismo fino al midollo, nonostante i loro programmi evocassero la lotta di classe contro la borghesia, la rivoluzione antiborghese e anticapitalistica, il socialismo, quando fu il momento di mostrare praticamente la loro coerenza con le parole e i programmi che inneggiavano al socialismo tradirono – salvo pochissime eccezioni: il partito bolscevico di Lenin, gli spartachisti tedeschi di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, la Sinistra comunista d’Italia, il partito serbo – e votarono i crediti di guerra in tutti gli Stati belligeranti, decretando il fallimento totale della Seconda Internazionale. Con la rivoluzione d’Ottobre 1917 il comunismo rivoluzionario di Marx ed Engels si riscattò pienamente, fece tesoro delle lezioni tratte dalla sconfitta della Comune di Parigi del 1871, organizzò la Terza Internazionale per guidare il movimento proletario mondiale alla rivoluzione comunista in tutto il mondo.

Con le tesi del secondo congresso del 1920, la Terza Internazionale, chiamatasi Internazionale Comunista, costruì le basi teoriche, programmatiche, politiche, tattiche e organizzative su cui dovevano risorgere i partiti proletari rompendo nettamente con qualsiasi forma di riformismo e socialdemocratismo che avevano precipitato i partiti socialisti precedenti nel pieno opportunismo. Uno degli aspetti più caratteristici dell’opportunismo fu proprio l’adesione dei partiti socialisti e socialdemocratici all’ideologia, ai principi e ai metodi della democrazia borghese, al suo elezionismo e al suo parlamentarismo.

Il socialsciovinismo, contro cui Lenin e tutti i comunisti rivoluzionari lottarono, con la guerra imperialista si era rivelato in tutta la sua forza antiproletaria, zampettando in tutti i parlamenti democratici quanto nelle stanze regali degli imperi centrali. La guerra imperialistica, in realtà aveva aperto chiaramente l’antitesi tra l’attività elettorale e parlamentare e la via rivoluzionaria, la via dell’insurrezione.

Sulla base dell’esperienza politica in Italia, uno dei paesi capitalistici di vecchia democrazia, si levò con grande forza la Frazione di sinistra del PSI – che fonderà nel 1921 il Partito Comunista d’Italia –, esponendo chiaramente la sua posizione antiparlamentare che non riguardava solo l’Italia, ma tutti i paesi in generale. Quell’esperienza teneva conto del fatto che il movimento marxista, dal Manifesto del 1848 in avanti, era degenerato in movimento socialdemocratico che riguardò sia i sindacati che i partiti socialisti avanzando al posto della via rivoluzionaria, della lotta violenta e della dittatura del proletariato la soluzione, appunto socialdemocratica, gradualista, pacifista, parlamentare, di compromesso con la borghesia dominante. Contro questa lunga degenerazione lottò Lenin restaurando la teoria marxista della lotta di classe, della rivoluzione violenta, dell’abbattimento dello Stato borghese, dell’instaurazione della dittatura del proletariato esercitata dal partito comunista come unica prospettiva per l’emancipazione della classe proletaria e, per suo tramite, dell’intera società umana dal soffocante e distruttivo modo di produzione capitalistico.

L’Internazionale Comunista, negli anni 1919-1921, non poteva basare la sua forza teorica e politica che sul partito bolscevico di Lenin che, a sua volta, si basava sulle condizioni storiche in cui si era sviluppata la rivoluzione russa – ossia di rivoluzione doppia, come si disse all’epoca, che assumeva contemporaneamente i compiti di rivoluzione borghese e i compiti di rivoluziona proletaria – che non erano le condizioni storiche in cui si sarebbe sviluppata la rivoluzione nei paesi capitalisti e democratici dell’Europa occidentale e dell’America.

La frazione di sinistra del PSI, forte della sua formazione teorica e politica marxista e del bilancio del movimento proletario e socialista dei decenni di democrazia borghese che portarono alla guerra imperialista e alla degenerazione del movimento socialista internazionale, portò le sue Tesi del maggio 1920, basi per la costituzione del partito comunista in Italia, come contributo alle tesi dell’Internazionale Comunista del II congresso del luglio-agosto 1920.

Ed è a queste tesi che noi oggi torniamo, perché non sono state concepite – alla pari di tutte le tesi di sinistra del PCd’I del 1922 e del 1926 – come tesi di un partito nazionale, ma come tesi del partito della rivoluzione comunista mondiale. Il grande Lenin, assieme a Bucharin e a Trotsky, dichiarando apertamente di lottare contro la democrazia borghese, contro il parlamento borghese e contro il parlamentarismo riformista e socialsciovinista, si batté perché i partiti comunisti dell’Internazionale adottassero la tattica del parlamentarismo rivoluzionario in quanto le masse proletarie credevano ancora alla lotta parlamentare. I grandi capi della prima rivoluzione proletaria vittoriosa erano convinti che i proletari d’Occidente potessero rendersi conto della demagogia del parlamentarismo borghese grazie alla lotta eversiva, prevista dallo stesso marxismo, che i comunisti avrebbero portato all’interno dei parlamenti borghesi.

La spinta del movimento rivoluzionario del proletariato aveva subito una sconfitta in Germania e in Ungheria ed era in ritardo in Italia e ancor più in Francia e negli altri paesi dell’Europa occidentale e d’America. Ciò aumentava di conseguenza l’isolamento della Russia proletaria e comunista alle prese con gli enormi problemi economici del dopoguerra data la sua situazione di enorme arretratezza economica e dell’enorme sforzo nella guerra civile che lo zarismo in combutta con i paesi capitalisti avanzati aveva scatenato contro la dittatura proletaria.

Era vitale, quindi, l’appoggio rivoluzionario da parte del proletariato occidentale e l’I.C. credeva di poterlo accelerare attraverso il… parlamentarismo rivoluzionario. Nel 1920, la Sinistra comunista d’Italia non fece dell’astensionismo rivoluzionario una questione di principio, accettando disciplinatamente l’impostazione tattica del parlamentarismo rivoluzionario ed applicandola successivamente come Partito comunista d’Italia – uno dei rari esempi di applicazione del parlamentarismo rivoluzionario in Occidente –, ammonendo però, allo stesso tempo, che il pericolo insito in questa tattica consisteva nel trasformare il parlamentarismo da “rivoluzionario” a semplicemente democratico e opportunista.

Le vicende degli anni successivi purtroppo dettero ragione alla Sinistra comunista d’Italia: la preparazione rivoluzionaria, che avrebbe richiesto il massimo sforzo per organizzare la lotta politica e insurrezionale delle masse proletarie, fu oggettivamente e politicamente ostacolata dalla preparazione elettorale, al di là dello sviluppo del fascismo in Italia e Germania, sviluppo e vittoria che furono facilitati proprio dal terreno democratico e parlamentare in cui le masse proletarie furono imbrigliate, confuse e, per l’ennesima volta, sconfitte.

La seconda guerra imperialistica mondiale e il coinvolgimento totale dei proletariati sui due fronti bellici avversari confermavano l’eccezionale arretramento della lotta proletaria di classe su basi nazionalistiche e democratiche.

Seppellite le esperienze della lotta rivoluzionaria del primo venticinquennio del secolo scorso, sotto l’ecatombe di morti nelle guerre imperialistiche e nelle guerre successive in ogni angolo del mondo, e sotto l’influenza tossica della democrazia “antifascista” generata dall’opulenza dei grandi paesi imperialisti e dalle loro politiche sociali di collaborazione di classe, i parlamenti con il loro elezionismo democratico hanno sempre più dimostrato di essere la rappresentazione teatrale di una democrazia putrescente che la stessa borghesia usa chiaramente per continuare a rincoglionire le masse. Se aveva una sua validità storica nel 1920, l’astensionismo rivoluzionario sostenuto dalla corrente di Sinistra comunista del PCd’I l’aveva ancor più alla fine della seconda guerra imperialistica mondiale e nei decenni successivi che hanno visto la fase imperialista del capitalismo sviluppare in modo sempre più acuto tutte le contraddizioni di un sistema economico e sociale destinato ad essere periodicamente travolto da carestie e barbarie che nessuna società precedente aveva mai conosciuto.

 

Oggi più che mai vale il motto:

o preparazione rivoluzionaria

o preparazione elettorale!

 

 

Partito Comunista Internazionale

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