A che cosa sono servite le elezioni europee ?

A intossicare di collaborazionismo i proletari d’Europa.

La via d’uscita non è nel capitalismo sovranazionale, ma nella ripresa della lotta di classe antiborghese e anticapitalistica

(«il comunista»; N° 182 ; Maggio-Luglio 2024)

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Le elezioni per rinnovare il parlamento europeo hanno ribadito per l’ennesima volta che la democrazia elezionista e parlamentare è esclusivamente al servizio delle classi borghesi dominanti. Nei paesi in cui i partiti che hanno governato finora hanno ricevuto una sonora batosta da parte delle destre, come in Francia e in Germania, nuovi clan politici contenderanno la guida dello Stato ai vecchi clan; in quelli dove queste elezioni hanno rafforzato l’orientamento a destra già in essere o lo hanno presentato come la “grande novità” battendo le vecchie socialdemocrazie e le varie fazioni di cosiddetta “sinistra”, non è stata una sorpresa. Questa deviazione verso una politica più decisamente autoritaria è del tutto compatibile con il principio e il metodo della democrazia: la maggioranza degli elettori ha dato il proprio voto ai partiti e alle coalizioni che hanno parlato direttamente alla pancia del corpo elettorale. Ed è esattamente quello che ogni classe borghese dominante si aspetta dalle elezioni: stimolare gli aspetti sociali sui quali la massa popolare è più sensibile, cioè l’ordine, la crescita economica, la difesa dei privilegi già conquistati o ottenuti, un futuro senza scossoni sociali.

In tutti i decenni trascorsi dalla fine del secondo macello imperialistico mondiale, tutte le forze democratiche – anche quelle che si definivano “socialiste” e “comuniste” – hanno collaborato perché l’economia capitalistica di ogni paese riprendesse la sua marcia dopo le immani distruzioni della guerra, e perché le masse proletarie fossero convinte a ulteriori sacrifici per il bene del paese e per la nuova democrazia antifascista. Il fascismo aveva però insegnato una cosa fondamentale: per ottenere più sacrifici dai proletari non ci si doveva affidare soltanto alla repressione diretta, ma sarebbe bastato allestire un nuovo parlamento per dar sfogo alle “battaglie democratiche” attraverso i più diversi partiti; bisognava ottenere dai proletari la collaborazione attiva per rimettere in funzione l’intera macchina produttiva nazionale, ma questa collaborazione doveva poggiare su basi materiali che tenessero conto dei bisogni essenziali del proletariato, cosa che appunto il fascismo aveva istituzionalizzato.

Le politiche degli ammortizzatori sociali non sono che l’applicazione dei propositi riformisti del vecchio socialismo democratico, e sono state queste politiche, fatte proprie da tutte le forze cosiddette “di sinistra” – che, d’altra parte, avevano già dimostrato di essere pronte a questo compito durante la guerra attraverso il movimento resistenziale partigiano –, a rappresentare, dopo il ventennio fascista, la vera bandiera intorno alla quale raccogliere le masse proletarie. Che al governo ci fossero i repubblicani, i democristiani, i socialisti o, come nei tempi più recenti, i destri ex fascisti, l’obiettivo politico principale della classe borghese rimaneva esattamente lo stesso: coinvolgere il proletariato nella collaborazione di classe senza necessariamente fare riferimento al socialdemocratismo, al nazionalcomunismo o al fascismo.

In Italia abbiamo avuto l’intero spettro delle possibilità di governo borghese: dalla democrazia liberale al fascismo, dal fascismo alla democrazia postfascista e da questa democrazia, alternativamente blindata e cristiano-popolare, alla democrazia imperialista che si propone con un governo apertamente di destra, ma sostenuto nelle decisioni più importanti (lotta contro l’immigrazione, appoggio militare ad altri paesi in guerra come nel caso Ucraina e Israele, riarmo, accelerazione delle misure per la crescita economica generale, difesa irriducibile dell’ordine costituito ecc.) dal maggior partito “di sinistra” (il Pd), e pronto a schierarsi con gli imperialismi più forti (leggi soprattutto Stati Uniti) con l’obiettivo di ricavarne più vantaggi politici, economici, commerciali e finanziari di quanti non possa ricavarne aprendo le porte alla Cina o riaprendole alla Russia.

Il caso del partito Fratelli d’Italia della Meloni che si appiattisce sulla politica guerrafondaia della Nato, dopo aver passato decenni a rimasticare l’odio per le plutocrazie occidentali, come nel caso dell’ex Pci, diventato poi Pd, che partecipò attivamente con le forze Nato, agli ordini di Washington, a bombardare la Serbia e il Kossovo nella guerra jugoslava del 1995, dimostrano che, aldilà dei teatrini innescati nel parlamento o nelle piazze, i partiti del cosiddetto arco costituzionale lavorano, ognuno facendo la “propria parte”, all’obiettivo comune: difendere l’ordine costituito borghese e Sua Maestà il Capitale.

Ma la politica degli ammortizzatori sociali che ha retto per tre decenni, dal 1945 fino al 1975, e che giungeva nel 1970 allo Statuto dei lavoratori vantato dai sindacati e dai partiti come un faro nella politica sociale, ha subito anch’essa le conseguenze delle crisi capitalistiche, a partire proprio dalla grande crisi mondiale del 1975. E così, governo dopo governo, non importa se di centro, di centrosinistra o di centrodestra, piano piano il grande castello di riforme che hanno permesso alla borghesia italiana di risollevarsi dalle distruzioni della guerra mondiale, e di tornare a giocare il suo piccolo ruolo tra i Grandi della Terra, si è sgretolato, gettando sempre più lavoratori salariati nella precarietà, nell’insicurezza, nella povertà.

Nessuna misura economica dell’attuale governo, come del resto di quelli precedenti, è riuscita e riuscirà a riportare le condizioni materiali di esistenza e di lavoro delle masse proletarie alle condizioni degli anni Sessanta, degli anni del famoso “boom”. La miseria crescente, di marxista memoria, è una tendenza che colpisce inesorabilmente le masse lavoratrici e più cresce l’economia capitalistica, più crescono la ricchezza della minoranza borghese e la miseria della maggioranza proletaria. Mentre il valore medio generale della forza lavoro tende a diminuire, il valore del capitale tende a crescere.

E’ lo stesso meccanismo del lavoro salariato, combinato con la concorrenza sempre più agguerrita tra proletari, che produce la miseria crescente che colpisce i lavoratori. Nessuna riforma, nessuna misura, nessun intervento possono cambiare la tendenza materiale e storica di un modo di produzione che, mentre si sviluppa economicamente, aumenta la miseria che si riversa su masse sempre più vaste di lavoratori nel mondo, e aumenta nello stesso tempo le crisi che soltanto il capitalismo conosce: le crisi di sovraproduzione, quelle crisi che, una volta saturati i mercati, provocano la necessità oggettiva di distruggere quantità sempre più grandi di prodotti. E che cosa c’è di più distruttivo della guerra guerreggiata?

La borghesia di nessun paese riuscirà mai a fermare la guerra perché dalla guerra essa rinasce, perché dalle distruzioni di guerra si aprono vastissime possibilità di ricostruzione, e ricostruzione, per il capitalismo, significa rimettere in marcia tutta l’economia basata sul profitto.

Ogni classe dominante borghese, mentre cerca di usare tutti i mezzi, legali e illegali, per far crescere la propria economia, e per tenere sottomesso il proletariato, sa per esperienza che la sua politica estera, prima o poi, si dovrà trasformare in politica di guerra – non solo guerra commerciale, monetaria, finanziaria, ma guerra guerreggiata. E a questa guerra vuole portare il proprio proletariato usando la sua forza lavoro come un sostegno vitale dello sforzo economico e sociale di guerra, e usare la sua massa come carne da cannone. Basta guardarsi indietro negli anni e osservare cosa sta succedendo in Ucraina, a Gaza e in tutti i paesi dell’Africa e del Medio Oriente dove la guerra stimolata dai vari imperialismi in contrasto tra di loro non è mai terminata, per capire che il futuro che le classi borghesi di tutti i paesi stanno preparando sarà un ennesimo e gigantesco macello mondiale.

La sola alternativa storica al capitalismo non è il capitalismo dal “volto umano”, non è una ripartizione della ricchezza “più equa” o un capitalismo riformato in modo che ogni borghese abbia il suo profitto e ogni lavoratore salariato abbia un salario che gli consenta di vivere decentemente: tutti i tentativi di questo genere hanno fallito miseramente, e non perché i borghesi illuminati sono stati battuti dai borghesi cattivi; semplicemente perché i borghesi non fanno che agire secondo le leggi economiche del modo di produzione capitalistico che li tiene in piedi, e queste leggi economiche non sono che la fonte di ogni diseguaglianza, di ogni sopraffazione, di ogni violenza, di ogni guerra.

Le elezioni, anche le più pacifiche al mondo, non hanno mai fermato alcuna guerra. E’ solo la forza sociale del proletariato, organizzata intorno ai suoi interessi di classe opposti totalmente a quelli della borghesia, che può fermare la guerra, o interromperla – come avvenne nella Russia 1917 –, per invertire la rotta stabilita dagli interessi borghesi. E questa inversione di rotta non accade per un’opera di convincimento morale, né tanto meno per una specie di pietà che assale le coscienze dei governanti: accade in un solo modo, trasformando la guerra imperialista in guerra civile, perché la violenza della classe borghese non può essere fermata se non con la violenza della classe proletaria.

E perché la violenza della classe proletaria non sia sprecata, gettata al vento, corrotta da sfoghi temporanei alle tante violenze subite nella vita, è necessario che il proletariato torni ad allenarsi alla lotta di classe, riorganizzandosi sul piano economico e sul piano politico esclusivamente intorno ai suoi interessi di classe, dunque contro ogni forma e tipo di collaborazione interclassista. E dato che questo risultato i proletari non lo otterranno mai nel giro di qualche giorno o di qualche mese, e non lo otterranno nemmeno per una specie di improvvisa “presa di coscienza”, saranno proprio le condizioni materiali della loro esistenza e del loro lavoro che, divenute insopportabili per troppo tempo, faranno scattare una lotta contro lo stato di cose presente che prenderà inevitabilmente, a un certo punto, le dimensioni di una dura lotta generale anche perché la classe dominante borghese, per piegare ancor più alle proprie esigenze le masse proletarie, le dovrà schiacciare e reprimere come mai aveva fatto fino ad allora.

Perché la lotta di classe del proletariato abbia le caratteristiche necessarie al suo sviluppo verso le finalità rivoluzionarie – le sole finalità che la storia stessa delle lotte di classe ha impresso a caratteri di fuoco – è vitale che sia guidata dal suo partito di classe, che non può essere se non il partito comunista internazionale, dotato di teoria marxista e di programma politico rivoluzionario ad essa coerente, ossia un organo politico che non dipende dalle situazioni contingenti e non dipende da finalità e programmi sottoposti alle opinioni dei suoi componenti, ma fermi e validi per tutto il periodo storico che dal capitalismo porterà al comunismo.

Il metodo democratico, oltre a deviare sistematicamente il proletariato su terreni in cui non potrà mai affermare i suoi interessi di classe, abitua il proletariato a credere che la miglior difesa dei suoi interessi di sfruttato sia quella di mettersi nelle mani degli sfruttatori a cui chiedere delle concessioni, o della pietà. I proletari hanno invece bisogno di sentirsi parte di una lotta che li emancipi totalmente dallo sfruttamento capitalistico, lotta i cui obiettivi sono stati determinati dalla storia delle lotte di classe avvenute in ogni parte del mondo, e che i teorici del comunismo rivoluzionario, Marx ed Engels, hanno condensato nelle loro opere a partire dal Manifesto del partito comunista del 1848. Il partito comunista è, per l’appunto, il partito della classe proletaria non di uno o dell’altro paese, ma di tutti i paesi, è un organo internazionalista e internazionale, o semplicemente non è comunista.

 L’astensionismo che ci caratterizza non è un vezzo, non è una moda, e tanto meno un rifiuto della politica, anche perché il parlamento è il luogo della politica borghese, non della politica proletaria. I luoghi della politica proletaria devono essere ancora ricostituiti, dopo lo stravolgimento e la loro distruzione da parte della controrivoluzione borghese e staliniana, e saranno le organizzazioni sindacali di classe, e magari i soviet o organismi simili di domani, ossia organizzazioni esclusivamente proletarie nelle quali il partito comunista rivoluzionario ha il compito di importare la teoria marxista e i bilanci delle lotte rivoluzionarie e soprattutto delle controrivoluzioni, affinché il proletariato possa integrare la sua lotta immediata con la lotta per le finalità storiche che lo porteranno a rivoluzionare da cima a fondo l’intera società capitalistica e avviare non solo la propria emancipazione di classe, ma l’emancipazione dell’intera umanità dal mercantilismo, dal denaro, dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

 

13 giugno 2024

 

 

Partito Comunista Internazionale

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