Dalle Tesi della Frazione Comunista sul parlamentarismo (maggio 1920)

(Il Soviet, nn. del 6 e 27 giugno 1920)

(«il comunista»; N° 182 ; Maggio-Luglio 2024)

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Riprendiamo qui i punti particolarmente esplicativi delle «Tesi della Frazione Comunista Astensionista sul parlamentarismo» presentate al II congresso della Terza Internazionale nel 1920, in cui si riassume la posizione comune a tutti i comunisti marxisti circa gli istituti elettorali e parlamentari della democrazia borghese:

 

«1. Il parlamentarismo è la forma di rappresentanza politica propria del regime capitalista. La critica di principio dei comunisti marxisti nei riguardi del parlamentarismo e della democrazia borghese in genere dimostra che il diritto di voto accordato a tutti i cittadini di tutte le classi sociali nelle elezioni degli organi rappresentativi dello Stato non può impedire che tutta l’impalcatura governativa dello Stato costituisca il comitato di difesa degli interessi della classe capitalistica dominante, né che lo Stato si organizzi come lo strumento storico della lotta della borghesia contro la rivoluzione proletaria.

«2. I comunisti respingono categoricamente la possibilità che la classe lavoratrice giunga al potere attraverso la maggioranza dei mandati parlamentari, invece di giungervi mediante la lotta rivoluzionaria armata. La conquista del potere politico da parte del proletariato, che costituisce il punto di partenza dell’opera di costruzione economica comunista, implica la soppressione violenta e immediata degli organi democratici e la loro sostituzione con gli organi del potere proletario: i consigli operai. La classe degli sfruttatori essendo così privata di ogni diritto politico, si realizzerà la dittatura del proletariato, ossia un sistema di governo e di rappresentanza di classe. La soppressione del parlamentarismo è dunque un fine storico del movimento comunista: di più, la prima forma della società borghese che deve essere rovesciata, prima ancora della proprietà capitalistica, prima ancora della stessa macchina burocratica e governativa dello Stato, è proprio la democrazia rappresentativa.

«3. Lo stesso vale per le istituzioni municipali e comunali borghesi, che è teoricamente errato contrapporre agli organi governativi. Infatti il loro apparato è identico al meccanismo statale borghese: esse devono parimenti essere distrutte dal proletariato rivoluzionario e sostituite dai soviet locali dei deputati operai.

«4. Mentre l’apparato esecutivo, militare e poliziesco dello Stato borghese organizza l’azione diretta contro la rivoluzione proletaria, la democrazia rappresentativa costituisce un mezzo di difesa indiretta, che agisce diffondendo fra le masse l’illusione che la loro emancipazione possa realizzarsi mediante un pacifico processo e che la forma dello Stato proletario possa anche essere a base parlamentare, con diritto di rappresentanza alla minoranza borghese. Il risultato di questa influenza democratica sulle masse socialiste è stata la corruzione, nel campo della teoria come in quello dell’azione, del movimento socialista della II Internazionale.

«5. Nel momento attuale, il compito dei comunisti, nella loro opera di preparazione ideale e materiale della rivoluzione, è prima di tutto di liberare il proletariato da queste illusioni e da questi pregiudizi, diffusi nelle sue file grazie alla complicità degli antichi capi socialdemocratici per distoglierlo dalla sua storica via. Nei paesi in cui un regime democratico esiste già da lungo tempo, e si è profondamente radicato nelle abitudini delle masse e nella loro mentalità, come anche in quella dei partiti socialisti tradizionali, questo compito ha un’importanza molto rilevante e occupa un posto di primo piano fra i problemi della preparazione rivoluzionaria.

E’ per questa ultima considerazione, relativa ai paesi di lunga tradizione borghese e democratica, che la nostra Frazione propugnò, allo stesso Congresso, l’astensionismo elettorale, pur accettando disciplinatamente la tattica prescritta all’Internazionale del «parlamentarismo rivoluzionario», cioè della partecipazione alle elezioni e al parlamento per svolgervi un’intensa agitazione anti-parlamentare e anti-democratica: in altre parole, la tattica dell’utilizzazione della tribuna elettorale e parlamentare contro le elezioni e il parlamento.

Solo una rottura netta e irrevocabile con le abitudini parlamentari e le inerzie democratiche dei vecchi partiti socialisti avrebbe permesso, da un lato, di costituire dei partiti comunisti liberi da ogni «nostalgia» elettoralesca, legalitaria e gradualista, dall’altro di orientare seriamente le avanguardie del proletariato sulla via della rivoluzione e della dittatura rosse.

«6. La partecipazione alle elezioni e all’attività parlamentare, nel periodo in cui nel movimento internazionale del proletariato la conquista del potere non si presentava ancora come una possibilità vicina, e non poteva ancora parlarsi di preparazione diretta alla realizzazione della dittatura proletaria, poteva offrire alcune possibilità di propaganda, di agitazione e di critica. D’altro lato, nei paesi in cui una rivoluzione borghese è tuttora in corso e crea nuove istituzioni, l’intervento dei comunisti in questi organismi rappresentativi in formazione può offrire la possibilità di influire sullo sviluppo degli avvenimenti, per far sì che la rivoluzione sbocchi nella vittoria del proletariato».

Era il caso, secondo Marx ed Engels, della Germania 1848 e, secondo Lenin, della Russia 1917 e delle colonie e semicolonie a partire dalla Cina e dall’India come sostenuto senza equivoci dalle Tesi dell’Internazionale sulla questione nazionale e coloniale. Ed è stato il caso, sebbene in una situazione mondiale molto modificata rispetto al primo dopoguerra, di molti paesi dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Oriente nel secondo dopoguerra, come chiaramente sostenuto dalle posizioni del nostro partito nei tre decenni che seguirono la fine della seconda guerra imperialistica mondiale; il ciclo delle rivoluzioni borghesi in quelle aree terminò in generale nel 1975 con l’indipendenza dell’Angola e del Mozambico, come ricordato nel Manifesto di partito: «Dalla crisi della società borghese alla rivoluzione comunista mondiale, del 1981.

«7. Nel periodo storico attuale, aperto dalla fine della guerra mondiale con tutte le conseguenze sull’organizzazione sociale borghese, dalla rivoluzione russa come prima realizzazione della conquista del potere da parte del proletariato, e dalla costituzione della nuova Internazionale in antitesi al socialdemocratismo dei traditori – e in quei paesi in cui il regime democratico ha da tempo completato il processo della sua formazione – non esiste invece alcuna possibilità di utilizzare per l’opera rivoluzionaria dei comunisti la tribuna parlamentare, e la chiarezza della propaganda non meno che l’efficacia della preparazione alla lotta finale per la dittatura esige che i comunisti conducano un’agitazione per il boicottaggio delle elezioni da parte dei lavoratori.

«8. In queste condizioni storiche, il problema centrale del movimento essendo divenuto al conquista rivoluzionaria del potere, tutta l’attività politica del partito di classe deve essere consacrata a questo scopo diretto. E’ necessario spezzare la menzogna borghese secondo cui ogni scontro tra partiti politici avversari, ogni lotta per il potere, deve necessariamente svolgersi nel quadro nel meccanismo democratico, attraverso elezioni e dibattiti parlamentari; e non vi si potrà riuscire senza rompere col metodo tradizionale di chiamare gli operai alle elezioni – alle quali essi sono ammessi a fianco coi membri della classe borghese – e senza smetterla con lo spettacolo di delegati del proletariato che agiscono sullo stesso terreno parlamentare con i delegati dei suoi sfruttatori.

«9. La pratica ultraparlamentare dei partiti socialisti tradizionali la già troppo diffusa e pericolosa concezione che ogni azione politica consista nell’azione elettorale e parlamentare. D’altra parte, il disgusto del proletariato per questa pratica di tradimento ha preparato un terreno favorevole agli errori sindacalisti ed anarchici, che negano ogni valore all’azione politica e alla funzione del partito. E’ perciò che i Partiti comunisti non otterranno mai un largo successo nella propaganda del metodo rivoluzionario marxista se non baseranno il loro lavoro diretto per la dittatura del proletariato e per i consigli operai sull’abbandono di ogni contatto con l’ingranaggio della democrazia borghese.

«10. L’enorme importanza che si attribuisce in pratica alla campagna e ai suoi risultati, il fatto che per un periodo abbastanza lungo il partito le consacri tutte le sue forze e le sue risorse in uomini, in stampa, perfino in mezzi economici, concorre da un lato, malgrado ogni discorso da comizio e ogni dichiarazione teorica, a rafforzare l’impressione che si tratti della vera azione centrale per gli scopi del comunismo, dall’altro conduce all’abbandono quasi completo del lavoro di organizzazione e di preparazione rivoluzionaria, dando all’organizzazione del partito un carattere tecnico affatto contrastante con le esigenze del lavoro rivoluzionario sia legale che illegale.

«11. In quei partiti che per delibera della loro maggioranza hanno aderito alla III Internazionale, il fatto di continuare a svolgere l’azione elettorale impedisce la necessaria selezione dagli elementi socialdemocratici, senza l’eliminazione dei quali l’Internazionale comunista fallirebbe al suo compito storico e non sarebbe più l’esercito disciplinato ed omogeneo della rivoluzione mondiale».

Uno dei problemi centrali che aveva l’Internazionale Comunista era proprio quello di indirizzare le correnti rivoluzionarie, che si erano separate e si stavano separando dal corpo dei partiti socialisti e socialdemocratici, a caratterizzarsi fermamente, non solo sul piano teorico, programmatico e politico, ma anche su quello tattico e organizzativo da ogni tradizione del riformismo, del massimalismo, dell’educazionismo, del gradualismo, del parlamentarismo e dal legalitarismo. Su questo problema centrale – come su altri negli anni successivi – la corrente della Sinistra comunista d’Italia diede il suo contributo anche attraverso le Tesi della Frazione Comunista del 1920, per proseguire poi con le tesi di Roma del 1922 e con le Tesi di Lione del 1926.

«12. La natura stessa dei dibattiti che hanno per teatro il parlamento e gli altri organi democratici esclude ogni possibilità di passare dalla critica della politica dei partiti avversari ad una propaganda contro il principio stesso del parlamentarismo, ad un’azione che oltrepassi i limiti del regolamento parlamentare; allo stesso modo che non sarebbe possibile ottenere il mandato che dà diritto alla parola, se ci si rifiutasse di sottomettersi a tutte le formalità prescritte dalla procedura elettorale. Il successo nelle schermaglie parlamentari sarà sempre e soltanto in ragione dell’abilità nel maneggio dell’arma comune dei principi sui quali l’istituzione stessa si fonda e dei cavilli del regolamento; così come il successo nella lotta elettorale si giudicherà sempre e soltanto dal numero dei voti o dei seggi ottenuti. Ogni sforzo dei partiti comunisti per dare un carattere completamente diverso alla pratica del parlamentarismo non potrà non condurre al fallimento le energie che si dovranno spendere in questa fatica di Sisifo, e che la causa della rivoluzione comunista chiama senza indugio sul terreno dell’attacco diretto al regime dello sfruttamento capitalista».

 

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Nel discorso al II congresso dell’I.C. di Amadeo Bordiga, rappresentante dei comunisti astensionisti, fu messa in chiara evidenza la differenza dell’astensionismo comunista e rivoluzionario, dall’astensionismo degli anarchici (antiparlamentari per principio perché sono per principio contro ogni organizzazione di partito) e dei sindacalisti (perché avversari dell’azione politica del partito), e il fatto che attraverso il parlamentarismo si era diffusa la degenerazione democratica dei partiti socialisti e socialdemocratici. E fu dichiarato senza alcun dubbio che:

«Il primo meccanismo borghese che dev’essere distrutto prima di passare all’edificazione economica del comunismo, prima ancora di sostituire al vecchio apparato di governo lo Stato proletario, è proprio il parlamento. La democrazia borghese agisce fra le masse come un mezzo di difesa indiretta, mentre l’apparato esecutivo dello Stato è pronto a far uso dei mezzi della violenza diretta non appena gli ultimi tentativi di attirare il proletariato sul terreno della legalità democratica siano falliti. E’ quindi di capitale importanza smascherare questo gioco della borghesia e mostrare alle masse tutta la doppiezza del parlamentarismo borghese».

Dopo aver concordato con le tesi sul parlamentarismo rivoluzionario presentate all’I.C. dai relatori (Bucharin e Lenin), Bordiga sottolineerà che: «La divergenza comincia solo là dove si parla dell’utilizzazione delle campagne elettorali e della tribuna parlamentare per azioni di massa. Noi non respingiamo il parlamentarismo perché si tratta di un mezzo legale: ma non si può proporne l’impiego allo stesso titolo della stampa, della libertà di riunione ecc. Qui, si tratta di mezzi di azione; là, di un istituto borghese che deve essere sostituito dagli istituti proletari dei Consigli operai... [perché] contiamo d’infrangere l’apparato democratico e di sostituirlo con la dittatura del proletariato».

 

Quanto alla tattica antiparlamentare, Bordiga nega che la si possa giudicare alla stessa stregua – come aveva argomentato Lenin nel suo opuscolo sull’«estremismo di sinistra» di quella che preconizza l’uscita dai sindacati: «Il sindacato è sempre, anche se corrotto, un centro operaio. Uscire dal sindacato socialdemocratico è condividere la concezione di quei sindacalisti che vorrebbero costituire un organo di lotta rivoluzionaria di tipo non politico ma economico [...], un errore che non ha nulla a che vedere con gli argomenti sui quali poggia il nostro anti-parlamentarismo».

Passando poi all’accusa di essere astensionisti parlamentari perché risulterebbe troppo difficile la sua applicazione, Bordiga risponde che non sono le difficoltà che si incontrerebbero nel combinare l’azione parlamentare con l’azione rivoluzionaria generale a intimorire i comunisti italiani, ma è un problema di «concentrare la maggior parte delle energie del movimento comunista su un terreno d’azione molto più importante di quello del parlamento... [anche perché] per risolvere il problema del parlamentarismo comunista secondo le tesi del relatore, occorreranno sforzi decuplicati, e al movimento resteranno minori risorse ed energie per l’azione veramente rivoluzionaria».

E ribadirà: «Nell’evoluzione del mondo borghese, le tappe che si devono necessariamente percorrere, anche dopo la rivoluzione, nel passaggio economico dal capitalismo al comunismo, non si traspongono sul terreno politico. Il passaggio del potere dagli sfruttatori agli sfruttati porta con sé un cambiamento istantaneo dell’apparato rappresentativo. Il parlamentarismo borghese deve essere sostituito dal sistema dei Consigli operai. La vecchia maschera democratica che tende a celare la lotta di classe deve essere strappata perché si possa passare all’azione rivoluzionaria diretta».

Queste tesi astensionistiche non furono accolte dalla maggioranza dei partiti dell’I.C. e nel caso in cui, come previde Bordiga, passassero le tesi del parlamentarismo rivoluzionario, come in effetti avvenne, Bordiga precisò: «questa questione non può e non deve dar luogo ad una scissione nel movimento marxista. Se l’I.C. decide di assumersi la creazione di un parlamentarismo comunista, noi ci sottoporremo alla sua decisione. Non crediamo che ci si riesca, ma dichiariamo che non faremo nulla per far fallire quest’opera».

 

E così fu. Resta il fatto che la storia ha dimostrato che la Sinistra comunista d’Italia aveva ragione: il parlamentarismo “comunista” si trasformò rapidamente nel più osceno parlamentarismo borghese!

 

 

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