Sulla guerra civile in Spagna 1936-39

Le origini del POUM

(«il comunista»; N° 182 ; Maggio-Luglio 2024)

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Nel nostro precedente lavoro, presentato alla riunione generale dell’estate 2023, abbiamo trattato il cosiddetto “processo di unità operaia”, espressione con cui si intende la tendenza alla formazione di nuove organizzazioni proletarie che raggruppavano vari gruppi esistenti in precedenza o che li coordinavano senza fondare una nuova entità. Questo fu un processo caratteristico della Spagna nel periodo 1933-1936 e cominciò con la formazione delle Alleanze Operaie (descritte precisamente nel lavoro precedente) per portare alla creazione del POUM nel 1935-36. Al centro di questo processo vi fu l’insurrezione dell’ottobre 1934, guidata proprio dalle Alleanze dei Lavoratori dove erano più importanti (Asturie) e che sconvolse, a causa della terribile sconfitta inflitta al proletariato, tutti i settori sindacali organizzati. Oltre a ciò ci sarebbe l’unificazione sindacale tra la CNT e i cosiddetti “sindacati di opposizione” (espulsi nel 1932, cosa che spieghiamo nel testo sulle origini del movimento proletario industriale), la cui rilevanza è minore perché non ha avuto effetti significativi nel modificare il corso delle organizzazioni partecipanti a detta unificazione.

 

 

La creazione del POUM può essere compresa per l’impatto della sconfitta dell’insurrezione del 1934, ma bisogna tenere conto che questo “movimento verso l’unità” era già basato sulle basi precedenti dei gruppi che confluivano nel nuovo partito unificato: sia il Blocco Operaio che quello Contadino, come la Sinistra Comunista Spagnola, annoveravano tra i loro postulati politici fondamentali la ricerca dell’unità tra quelli che entrambi consideravano i “gruppi marxisti” spagnoli.

L’insurrezione di ottobre ha significato per queste correnti la conferma, in una certa misura prefabbricata, delle loro parole d’ordine precedenti.

In questo lavoro esamineremo più in dettaglio di quanto fatto finora l’esistenza e le posizioni politiche detenute sia dal Blocco Operaio e Contadino (BLOQUE OBRERO Y CAMPESINO) che dalla Sinistra Comunista Spagnola-ICE (ex Opposizione Comunista di Spagna-OCE).

Già allora avevamo dedicato un lavoro alle posizioni della ICE e anche, ma in misura minore, a quelle del BLOCCO OPERAIO E CONTADINO (1). Si trattava allora di dimostrare l’inesistenza di una sorta di “sinistra comunista spagnola” che alcuni gruppi politici (ormai estinti) rivendicavano come loro predecessore e come fonte di una tradizione di sinistra che avrebbe superato la Sinistra comunista d’Italia perché più duttile, più attaccata al terreno e meno alla dottrina, ecc. In quel momento occorreva dimostrare che questa “tradizione” aveva più a che fare con un’invenzione con la quale si intendeva rileggere la storia in modo volutamente distorto per inventare un passato, e con esso un prestigio, che con un’opera critica. Ed è per questo che il nostro lavoro a quel tempo aveva un contenuto più polemico che storico.

In questa occasione, invece, lavoriamo più in dettaglio sia sulle posizioni politiche della ICE che del BLOCCO OPERAIO E CONTADINO, occupandoci non solo delle manifestazioni più o meno flagranti della loro debolezza politica, teorica e organizzativa, ma anche di una rigorosa caratterizzazione delle loro posizioni generali. La questione non è banale: l’ICE (ex OCE) ha rivendicato un legame con la lotta internazionale di Trotsky e, quindi, con la reazione contro la degenerazione dell’Internazionale Comunista e lo sforzo compiuto per raggruppare i militanti comunisti dell’epoca attraverso i diversi tentativi organizzativi compiuti dal rivoluzionario russo. Se l’ICE e Trotsky finirono per dividersi su tutti i piani possibili, ciò non significa che siano stati tradizionalmente raggruppati nello stesso sacco, tendendo a minimizzare le differenze o a spiegarle con le circostanze del momento.

Da parte del BLOCCO OPERAIO E CONTADINO, malgrado la sua presunta singolarità, malgrado il fatto che fosse un gruppo isolato a livello nazionale e internazionale e che i suoi sbandamenti sulle questioni internazionali lo portassero ora tra le braccia dell’IC di Stalin, ora a una sorta di frontismo con le organizzazioni della sinistra socialdemocratica, viene rivendicata - proprio grazie a questo eclettismo - una purezza marxista e viene utilizzato come esempio di un percorso marxista puramente spagnolo.

Pertanto, è precisamente in quest’ottica, dalla critica alla considerazione del ICE-BLOCCO OPERAIO E CONTADINO e infine del POUM come vera alternativa alla degenerazione del movimento comunista internazionale, che abbiamo impostato questo lavoro.

In questa occasione copriremo il periodo dal 1930 al 1935, anno di fondazione del POUM, perché abbiamo già svolto il lavoro sui suoi testi fondamentali nella parte precedente. Affronteremo lo sviluppo del POUM come partito pienamente costituito e operativo nell’ultima parte di questa serie, quella dedicata agli stessi anni di guerra e che sarà la conclusione di tutti gli aspetti parziali che abbiamo sollevato nelle puntate precedenti.

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1. TROTSKY E LA SPAGNA

 

Nella parte che riguarda Trotsky e la sua corrente, alla quale sono legati i settori critici ed espulsi del PCE che dal 1930 cercarono di costruire l’Opposizione di sinistra in Spagna, non intendiamo rivedere le posizioni da loro tenute in quegli anni, né approfondire le tesi del rivoluzionario russo che espresse nell’epistolario sulla situazione esistente nel paese, ma valutarle per ciò che realmente intendevano in quel momento, per la validità che finalmente può essere loro attribuita alla luce del corso degli eventi che seguirono e del risultato in quello che si trova nel Blocco Operaio e Contadino.

Le classiche posizioni trotskiste, che ora cercheremo di riassumere, rappresentano una deviazione sostanziale da quelle che sarebbero dovute essere corrette in termini marxisti. Ma erano posizioni fondate, senza dubbio, su una piena comprensione della teoria marxista e questa deviazione era dovuta unicamente ad un eccesso nell’adattarle a circostanze sfavorevoli. La reazione contro queste posizioni, sostenuta dalla Sinistra Comunista, significò però una distruzione teorica e politica dei rudimenti fondamentali del marxismo rivoluzionario: con questa reazione non furono risolti gli eccessi trotskisti, non fu posto alcun limite ad un’interpretazione troppo flessibile della realtà e il lavoro dei comunisti in essa, ma questa tendenza alla libertà, al localismo e alla valutazione singolare degli eventi è stata esacerbata. Per questo motivo è necessario fare riferimento, brevemente, alle tesi trotskiste iniziali per rintracciare l’origine delle tesi assolutamente erronee sia della ICE che del BLOCCO OPERAIO E CONTADINO.

Storicamente, la Sinistra ha segnato la differenza fondamentale con l’opposizione di Trotsky nella difesa che ha fatto dell’opportunità di slogan democratici riferiti alla situazione spagnola come sostituto del compito fondamentale che era la preparazione del partito di classe sulla base storica delle tesi dell’Internazionale Comunista: per Trotsky la formazione di detto partito di classe poteva realizzarsi attraverso l’agitazione democratica, che doveva polarizzare gli elementi più validi del proletariato attorno alla lotta contro la reazione monarchica e militare. Per la Sinistra, che non si lasciava catturare da questo ottimismo volontarista, questa posizione significava rinunciare ad adempiere al compito più urgente, quello di lottare teoricamente, politicamente e organizzativamente contro la degenerazione stalinista dei partiti comunisti nel mondo, una condizione preliminare ed essenziale per la riorganizzazione di classe del proletariato.

 

All’origine di queste posizioni di Trotsky c’è la considerazione che la Spagna, nel 1930-31 (anno rispettivamente della caduta della dittatura di Primo de Rivera e della proclamazione della Seconda Repubblica) era un paese di tipo semifeudale in cui il cambiamento di regime (caduta della monarchia) rappresentò il primo passo di una rivoluzione democratica che dovette mobilitare diverse classi sociali rivoluzionarie (proletari, contadini poveri, piccoli  borghesi urbani) e anche strati sociali insoddisfatti del regime monarchico (studenti soprattutto).

In lavori precedenti abbiamo mostrato che questa considerazione di una Spagna semifeudale è la conseguenza di una visione superficiale della realtà del paese, un cedimento un po’ involontario alle tesi difese dalla piccola borghesia attraverso i suoi più noti portavoce, che furono portati al governo nel 1931.

Ora non ritorneremo su questo aspetto della questione perché è più importante mostrare come da questa errata concezione siano derivate alcune tesi politiche di Trotsky e dell’Opposizione, tra cui la principale è la considerazione che in Spagna c’era una rivoluzione democratica in sospeso e che, quindi, erano i compiti democratici che i comunisti (l’Opposizione) dovevano mettere in primo piano.

 

Citiamo Trotsky:

Questa via implica, da parte dei comunisti, una lotta risoluta, coraggiosa ed energica per le parole d’ordine democratiche. Non capirlo sarebbe commettere la più grave mancanza settaria. Nell’attuale tappa della rivoluzione, nel campo delle parole d’ordine politiche, il proletariato si distingue da tutti gli altri gruppi “di sinistra” della piccola borghesia, non per il fatto che nega la democrazia, come fanno gli anarchici e i sindacalisti, ma per il fatto della lotta risoluta e aperta per questa parola d’ordine, e che allo stesso tempo denuncia incessantemente le esitazioni della piccola borghesia. Presentando parole d’ordine democratiche, il proletariato non desidera dire che la Spagna vada verso la rivoluzione borghese. Solo freddi pedanti imbottiti di formule di routine potrebbero porre la questione in questo modo. La Spagna si è lasciata da tempo alle spalle la fase della rivoluzione borghese. Se la crisi rivoluzionaria si trasforma in rivoluzione, supererà inevitabilmente i limiti borghesi e, in caso di vittoria, dovrà cedere il potere al proletariato; ma in quel momento il proletariato non potrà dirigere la rivoluzione, cioè raccogliere intorno a sé le più vaste masse di lavoratori e di oppressi e diventarne la guida, se non a condizione di sviluppare attualmente, con e in relazione alle sue rivendicazioni di classe, tutte le rivendicazioni democratiche, nella loro interezza e fino alla fine.

Ciò sarebbe di importanza decisiva soprattutto per il contadiname. Quest’ultimo non può concedere a priori la sua fiducia al proletariato, accettando la dittatura del proletariato come pegno verbale. Il contadiname, in quanto classe numerosa e oppressa, vede inevitabilmente, a un certo punto, nella parola d’ordine della democrazia la possibilità di dare la preponderanza agli oppressi sugli oppressori. Il contadiname metterà inevitabilmente in relazione la parola d’ordine della democrazia politica con la distribuzione radicale della terra. Il proletariato assume apertamente il sostegno a queste due rivendicazioni. Al momento opportuno i comunisti spiegheranno all’avanguardia proletaria in che modo queste rivendicazioni potranno essere realizzate, gettando così il seme del futuro sistema sovietico.

Anche nelle questioni nazionali, il proletariato difende fino in fondo la parola d’ordine democratica, dichiarandosi disposto a sostenere, in un percorso rivoluzionario, il diritto dei diversi gruppi nazionali alla libera disposizione di se stessi, fino alla separazione.

(Trotskij, I compiti dei comunisti in Spagna, 1930, in Rivoluzione in Spagna, a cura della Fondazione Federico Engels)

 

Da queste posizioni si deduce che

a) In Spagna c’è stato un movimento rivoluzionario guidato dalla piccola borghesia (non citiamo la parte precedente dell’articolo per non estenderla inutilmente, ma è dedicata alle mobilitazioni degli studenti come uno dei principali fattori di forza del movimento rivoluzionario)

b) Questo movimento, che lotta necessariamente per obiettivi democratici, si manifesta essenzialmente nel movimento agrario e nella lotta delle “nazionalità oppresse” per la loro libertà.

 

Per quanto riguarda il primo punto, non è necessario entrare più nel dettaglio: la piccola borghesia, colpita dalla crisi capitalista del 1929 e dalla situazione politica creata dalla dittatura del 1923-1930, non ha avuto alcun peso reale nelle mobilitazioni che preludevano l’avvento della Repubblica: essa non fece altro che fornire i quadri politici che, insieme al PSOE e con l’appoggio delle principali correnti della CNT, concordarono con l’alta borghesia spagnola il passaggio ad una forma repubblicana dello Stato e che, quando arrivò il momento, presero il governo. Ma non lo fecero in virtù della loro rappresentatività tra le masse, ma proprio perché questo movimento di massa, composto essenzialmente dal proletariato, non aveva la forza né l’orientamento per imporre la propria rappresentanza.

Riguardo al fatto che gli obiettivi democratici hanno nel mondo agricolo uno dei due principali campi di battaglia, per affermarlo Trotsky parte ancora una volta dalla caratterizzazione semifeudale del contadiname spagnolo. E da ciò nasce la necessità di lottare per la distribuzione delle terre, per la confisca delle grandi proprietà, ecc.

Questo ragionamento è parzialmente vero: non si può negare che nella diversità delle forme sociali che esistevano nelle campagne spagnole nel 1930, persistevano forti reminiscenze precapitaliste che si manifestavano non tanto nell’arretrato sviluppo produttivo quanto nelle forme di proprietà fondiaria . Resta però da aggiungere che in vaste estensioni di campagna il modo di produzione capitalistico era pienamente sviluppato da diversi decenni, che l’“arretratezza produttiva” non era una prova contro la sua esistenza ma piuttosto una conseguenza delle sue particolarità storiche e che, inevitabilmente, con il capitalismo esistevano grandi masse di proletari rurali che, insieme ad altri strati sociali impoveriti, rappresentavano un potenziale rivoluzionario non necessariamente borghese o democratico di prim'ordine.

Sebbene questo proletariato agricolo non avesse raggiunto l’indipendenza politica che avrebbe potuto conferirle solo un partito comunista saldamente radicato nell’ambiente agrario e che perciò si sottomettesse continuamente alle politiche e alle rivendicazioni delle altre classi sociali intermedie, ciò non poteva in alcun modo costituire motivo per i comunisti di mettere da parte la lotta di classe strettamente proletaria e cedere a quelle non proletarie, costringendo i lavoratori rurali a legarsi definitivamente alla coda delle rivendicazioni del contadiname. Le rivendicazioni democratiche nelle campagne avevano un significato o un altro a seconda della zona del paese e della sua struttura sociale. Dove l’operaio era il proletario senza terra, la distribuzione della proprietà aveva un significato del tutto secondario rispetto alle necessarie richieste di salario, condizioni di lavoro, ecc. Dimenticare l’agitazione puramente operaia in favore di una rivendicazione democratica astratta ed eccessivamente generale contribuirebbe a smobilitare questi proletari rurali. In definitiva si trattava di rafforzare i legami tra un proletariato molto più avanzato in termini politici, sociali, rivendicativi, ecc. che vivevano nelle città e un proletariato più arretrato come quello rurale. Tra i due era possibile un fronte unico di lotta, antiborghese e rivoluzionario, ma con il rafforzamento delle classi non proletarie del mondo rurale (cosa inevitabile dal punto di vista trotskista), questa possibilità veniva eliminata.

La questione non è banale: il problema fondiario, inteso nel suo insieme, fu fondamentale durante tutto il periodo repubblicano (1931-1937), le mobilitazioni di mezzadri, affittuari, ecc. così come dei proletari e delle altre classi quasi proletarie (mandriani, ecc.) è stata la costante che più ha contribuito a destabilizzare tutti i governi. Ma ci fu una rottura incolmabile tra questi movimenti rurali e i movimenti del proletariato urbano.

Per quanto riguarda le rivendicazioni delle classi sociali intermedie (affittuari, ecc.), il proletariato era indifferente e solo i partiti repubblicani e il Blocco Operaio e Contadino le sostenevano. Per quanto riguardava i movimenti dei lavoratori giornalieri, gli scioperi proletari nelle campagne, ecc., la solidarietà della città con la campagna era minima, come dimostrano gli esempi del 1932, 1933, ecc. quando le insurrezioni libertarie si scontravano con questo muro invisibile che, anche all’interno della stessa CNT, separava i proletari delle campagne da quelli delle città.

Questa divisione non smise di essere sanguinosa finché l’intero proletariato non fu sconfitto dall’azione comune di anarchici, socialisti e stalinisti: la grande massa proletaria che si levò nelle campagne trascinando dietro di sé i piccoli borghesi e le altre classi medie, e che nel 1936 portò a termine fino alla fine gli ultimi compiti democratici, prendendo il controllo del territorio e armando i settori più determinati della classe... fu completamente ignorata dalle forze del proletariato urbano che permisero, cedendo il potere conquistato alla classe borghese prima a Barcellona e poi a Madrid, Valencia, ecc., lasciando così campo libero all’avanzata dell’esercito che insanguinò il proletariato agrario.

Riguardo al problema nazionale, Trotsky applica la tesi marxista fondamentale, che era stata sostenuta da Lenin e che ha validità definitiva. Ma ciò non basta in quanto si ignora il reale svolgimento della lotta di classe proletaria. Il proletariato era molto lontano dal movimento secessionista borghese e non ebbe mai una vera forza: al di là di pompose dichiarazioni e colpi di stato condannati al fallimento (la borghesia catalana disertò già nel 1931 la campagna spagnola), alla difesa dello Stato centrale contro ogni tipo di rivendicazioni regionaliste, la piccola borghesia, senza il sostegno della classe proletaria, non aveva la capacità di andare oltre.

 

C’è un terzo punto che deriva dalle tesi di Trotsky: il partito (rappresentato per lui in forma embrionale dall’OCE) doveva rafforzarsi conquistando le masse popolari e, quindi, difendendo le rivendicazioni caratteristiche di queste classi.

Torniamo a Trotsky:

Ma anche boicottando le Cortes [il parlamento] di Berenguer, gli operai avanzati dovrebbero opporsi ad esse con lo slogan delle Cortes Costituenti rivoluzionarie. Dobbiamo smascherare incessantemente il ciarlatanismo dello slogan delle Cortes Costituenti sulle labbra della borghesia di ‘sinistra’, che in realtà non vuole altro che tribunali di conciliazione per grazia del re e di Berenguer per fare un accordo con le vecchie cricche dominanti e privilegiate. Le vere Cortes Costituenti possono essere convocate solo da un governo rivoluzionario, come risultato dell’insurrezione vittoriosa degli operai, dei soldati e dei contadini. Possiamo e dobbiamo contrapporre i Tribunali rivoluzionari ai Tribunali di Conciliazione; ma, a nostro avviso, sarebbe sbagliato rinunciare, nella fase attuale, alla parola d’ordine delle Cortes rivoluzionarie.

Sarebbe un dottrinarismo deplorevole e sterile opporre semplicemente la parola d’ordine della dittatura del proletariato agli obiettivi e ai motti della democrazia rivoluzionaria (repubblica, rivoluzione agraria, separazione della Chiesa dallo Stato, confisca dei beni ecclesiastici, autodeterminazione nazionale, Cortes Costituente rivoluzionaria).

Le masse popolari, prima di poter conquistare il potere, devono riunirsi attorno ad un partito dirigente proletario. La lotta per la rappresentanza democratica, così come la partecipazione alle Cortes in una fase o nell’altra della rivoluzione, possono facilitare incomparabilmente il raggiungimento di questo compito.

(Trotskij, La rivoluzione spagnola e la tattica dei comunisti, 1931, in Rivoluzione in Spagna, cit.) [le frasi in neretto sono nostra decisione].

Come abbiamo detto, le tesi di Trotsky sulla situazione spagnola e sui compiti dei rivoluzionari soffrono di un’eredità (quella della famosa “elasticità tattica” del terzo e quarto congresso dell’IC, della politica del fronte unico politico, della flessibilità politica e organizzativa come via per risolvere una situazione socialmente avversa) che li trasforma non in un riferimento per unire attorno a sé i marxisti che cercano di superare l’impasse in cui li ha gettati la degenerazione dell’IC, ma in uno strumento che acuisce detto impasse nella misura in cui rappresentano una falsa reazione ad essa. E questo non perché Trotsky si batta per la difesa delle rivendicazioni democratiche nella situazione della Spagna nel 1930-31, o perché consideri i movimenti delle classi medie come l’inizio di una rivoluzione di tipo borghese, ma perché sacrifica a queste posizioni (errate ma correggibili) la preparazione del partito, la difesa del programma comunista che dovrebbe essere alla base della rottura con le correnti staliniste e socialiste.

E questo errore non è stato corretto ma ampliato dagli eredi di questo trotskismo della prima ora. L’ICE, il BLOCCO OPERAIO E CONTADINO e il POUM sosterranno che la concezione rivoluzionaria di Trotsky era ancora troppo rigida, troppo attaccata a “generalità” estranee alla realtà spagnola. E così quello che era un incidente che poteva essere superato divenne per il proletariato un altro ostacolo nella sua lotta.

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2. L’OPPOSIZIONE COMUNISTA DI SPAGNA E LA SINISTRA COMUNISTA SPAGNOLA

 

Nel 1930, quando iniziò l’effervescenza sociale che portò alla caduta della dittatura e alla proclamazione della Seconda Repubblica (effervescenza che, di fatto, non si esaurì fino al maggio 1937), il Partito Comunista di Spagna praticamente non esisteva: dal 1925 la sua attività era stata messa fuorilegge dal regime di Primo de Rivera e la sua direzione e i suoi quadri non furono in grado di mantenere la vita organizzativa nella clandestinità.

Il PCE, in realtà, nasce nel 1920 dalla scissione della parte più significativa della Gioventù Socialista. Nel 1921 si fuse, sotto la direzione dell’IC, con un’altra scissione del PSOE (Partito Comunista Operaio Spagnolo, costituito dalla corrente centrista di detto partito) per dare origine ad un’organizzazione di maggiore estensione numerica e collocata sulle posizioni predominanti nell’Internazionale.

Dal 1921 al 1924, il Partito, da un lato, non riuscì a raggiungere il radicamento tra le masse proletarie, che era l’obiettivo della fusione, e, dall’altro, visse una crisi organizzativa dopo l’altra. L’arrivo al potere del militare Primo de Rivera e l’illegalizzazione di tutte le correnti operaie ad eccezione del PSOE (che partecipava al governo) finirono per liquidare il PCE.

Dal 1925, con il “gruppo Bullejos” a capo del Comitato Centrale, l’unità politica del Partito stesso andò in pezzi e con ciò si giunse ad una frammentazione nella organizzazione in cui diversi comitati locali pretendevano di essere i veri rappresentanti nazionali del Partito.

Questa situazione non era dovuta né alla repressione subita dallo Stato né all’opera distruttiva del gruppo dirigente, ma piuttosto all’assenza nel Partito di basi teoriche e politiche marxiste a cui fare riferimento per affrontare le diverse crisi politiche e organizzative. Nemmeno gli eredi del Partito del 1920 (l'opposizione di Madrid, alcuni elementi in esilio, ecc.) avevano un minimo supporto teorico con il quale poter intraprendere il compito di restaurare le corrette posizioni marxiste. Fu in questa situazione che si formò la corrente trotskista che diede origine prima all’OCE, poi all’ICE e infine al POUM.

I contatti più stabili tra i membri del PCE e Trotsky avvennero, naturalmente, attraverso Andrés Nin.

Nin visse in Unione Sovietica dal 1920, quando fu nominato delegato della CNT presso l’Internazionale Sindacale Rossa, e servì da contatto tra il partito bolscevico prima e l’Opposizione di sinistra poi, fino a quando fu espulso nel 1930 e tornò in Spagna. È' necessario soffermarsi minimamente su Andrés Nin.

La sua tragica fine, assassinato per mano dello stalinismo per aver rifiutato di cedere alle sue richieste, lo ha trasformato in una sorta di mito del cosiddetto “marxismo spagnolo”, dell’antiautoritarismo o della lotta democratica per il socialismo. Al di là di questo, Nin incarna perfettamente la nostra posizione sul significato e sulla validità storica di questi “grandi personaggi”: socialista nei suoi primi passi militanti, fu un repubblicano nazionalista catalano fino all’adesione alla CNT e fu in virtù di queste posizioni, lontane dall’antipoliticismo del sindacato anarchico, che lottò per la sua integrazione nell’ISR. Non era affatto un marxista quando si recò in URSS nel 1920, né in seguito; si schierò con Trotsky nelle prime battaglie contro il triumvirato Stalin-Zinoviev-Kamenev.

Quando rafforzò i suoi contatti con Trotsky, influenzò in maniera decisiva alcuni elementi del PCE fino a farli rompere con l’inerzia antipolitica che si stava facendo strada nel partito spagnolo, ma al ritorno in Spagna cadde rapidamente nelle reti delle sue vecchie posizioni che non erano affatto marxiste e innanzitutto reclamava una “via spagnola al socialismo”, essendo assolutamente incapace di mantenere le posizioni che aveva difeso solo pochi mesi prima e incapace anche solo di discutere questo cambiamento con il suo maestroTrotsky.

Nin è stato un elemento prezioso in tutte le organizzazioni di cui è stato partecipe  si è distinto in tutte e ha lottato con energia per tutte... era un perfetto agente di forze sociali più grandi di lui, ma non è mai stato in grado di resistere alla pressione dell’ambiente sociale, grande vassallo se avesse un grande signore, solo che il signore è la forza impersonale della storia e non un individuo particolare.

Oltre a Nin, i primi contatti politici e organizzativi dell’Opposizione trotskista furono con il gruppo PCE che era andato in esilio in Belgio durante la dittatura. Fu questo gruppo che cominciò a pubblicare i primi testi sul quotidiano trotskista francese La Verité e che fece eco ai testi di Trotsky sulla situazione spagnola fino al 1931 quando, al loro ritorno in Spagna e già in contatto diretto con Nin (che a sua volta era tornato dall’URSS a Barcellona) formarono l’Opposizione Comunista di Spagna, con una prima conferenza a Madrid che costituì formalmente il gruppo.

Non è interessante fare una cronologia degli avvenimenti poiché essa si può ritrovare con relativa facilità nei lavori accademici pubblicati sulla corrente trotskista e in tante altre pubblicazioni più o meno militanti. Per noi è più importante la critica politica e per questo basta farsi carico di pochissime date importanti. Abbiamo già citato la prima fondazione dell’OCE, avvenuta nel 1931.

La seconda sarebbe il 1932, quando la III Conferenza del gruppo cambiò nome in Sinistra Comunista di Spagna con l’idea di non riferirsi più ad un’opposizione interna al PCE e di apparire come un gruppo a sé stante. Tra le due date, il lavoro dell’OCE si allontanò sempre più dalle posizioni di Trotsky, senza tuttavia rompere con l’Opposizione internazionale. Dopo il 1932 la rottura sarebbe stata inevitabile se non si fosse verificato un analogo cambiamento nell’Opposizione internazionale, anche se per ragioni diverse (formazione della Lega dei Comunisti Bolscevico-Leninisti, preparazione della Quarta Internazionale, ecc.).

Infine, il 1934, data della fusione tra l’ICE e il BLOCCO OPERAIO E CONTADINO, formazione del POUM e, quindi, rottura con l’Opposizione internazionale.

Di seguito presentiamo una valutazione delle posizioni dell’OCE-ICE con la quale intendiamo mostrare quali furono le basi politiche e teoriche della corrente proveniente dal trotskismo che finì per convergere nel POUM e spiegare, quindi, gli antecedenti diretti delle posizioni sull’”unità marxista” di cui abbiamo discusso nella precedente puntata.

 

Nel documento intitolato PIATTAFORMA POLITICA DELL’OPPOSIZIONE COMUNISTA DI SPAGNA e presentato alla II Conferenza dell’OCE, si sviluppano le posizioni fondamentali di critica alla direzione del PCE e all’evoluzione del Partito negli anni precedenti. L'obiettivo politico dell’OCE, come del resto dell’Opposizione internazionale, era quello di garantire che il Partito guidato dalla corrente centrista (stalinista) correggesse il suo corso e rompesse la deriva che la degenerazione dell’IC gli aveva imposto. Per fare questo, dal punto di vista dell’OCE, si trattava di far assumere al PCE sia il carattere della rivoluzione democratica in atto (allora i partiti della IC erano immersi nella politica del cosiddetto “terzo periodo”, contraria ad ogni considerazione simile) sia la necessità di un’alleanza con le classi intermedie che si mobilitarono nel contesto di detta rivoluzione.

Per raggiungere questo obiettivo, l’OCE riteneva essenziale porre fine alle forme organizzative imposte sia dall’IC che dalla direzione spagnola, che avevano finito per espellere dal Partito buona parte dei suoi membri fondatori e interi settori che avevano dichiarato la ribellione al centro nazionale.

A questo punto è necessario sottolineare che una di queste sezioni “ribelli” era la Federazione Comunista Catalano-Baleari, di cui parleremo più avanti poiché fu il seme del Blocco Operaio e Contadino. Questa Federazione, guidata dal dirigente Maurín, non si era mai pienamente integrata nel partito: le sue origini unioniste e la sua appartenenza nazionalista e repubblicana non erano mai scomparse del tutto e la facevano entrare a pieno titolo nella lotta per una sorta di libertà federale per le sezioni regionali. Secondo i trotskisti spagnoli, nel 1930 si trattava poco più di un’altra “cricca di burocrati” che lottava per ottenere il controllo del Partito senza mantenere una propria posizione politica differenziabile da quella del centro nazionale, né in materia di politica interna né in materia di la lotta dell’Internazionale Comunista.

Dal punto di vista organizzativo, l’OCE aspirava a ricostruire il PCE attraverso una conferenza che riunisse tutti i comitati, i gruppi locali e le federazioni regionali esistenti a partire dal 1925. Questo compito doveva essere svolto recuperando lo spirito e la lettera politica dei primi quattro congressi dell’IC, la cui applicazione era necessaria per comprendere correttamente i termini in cui si sviluppava la rivoluzione democratica in Spagna.

Per quanto riguarda la questione sindacale, l’OCE criticava aspramente la politica scissionista portata avanti dal PCE. Nel giugno 1930 aveva indetto una “conferenza per la ricostituzione della CNT” sotto la sua assoluta influenza e ignorando intenzionalmente il fatto che la stessa CNT era già stata ricostituita in modo indipendente pochi mesi prima. Questa manovra del PCE era servita a porre alcuni sindacati (soprattutto nella regione di Siviglia) sotto il suo controllo diretto e così riguadagnare un minimo della “base sindacale” di cui era stato privato negli ultimi anni.

La posizione dell’OCE era contraria a questa politica ed esigeva che il Partito combattesse per una reale unità sindacale. Questa unità avrebbe dovuto strutturarsi attorno alla CNT perché l’altro grande sindacato spagnolo, l’UGT, era considerato completamente perduto per la lotta proletaria.

 

L’unità sindacale basata sulla fusione dell’UGT con la CNT è del tutto impossibile. Anche se non ammettiamo come possibile un’aperta opposizione da parte della CNT (non è concepibile, poiché essa rappresenta un’ampia maggioranza di iscritti rispetto all’UGT), non c’è dubbio che i dirigenti dell’UGT, che oggi arbitrariamente e con mezzi dittatoriali escludono qualsiasi elemento che combatte la loro politica collaborazionista, si sforzeranno di rendere impossibile l’unità che li avrebbe detronizzati.

L’unità sindacale del proletariato rivoluzionario spagnolo può e deve essere realizzata, e questa deve basarsi sulla CNT. I comunisti spagnoli devono difendere questa formula unitaria, l’unica giusta e realizzabile; ma avendo grande cura di difendere la democrazia sindacale che consente la libera espressione di tutte le opinioni, senza che ciò implichi, in alcun modo, l’annullamento della disciplina sindacale essenziale.

È una condizione essenziale per il raggiungimento dell’unità sindacale che tutti i comunisti e gli elementi rivoluzionari ancora attivi nell’UGT e nei sindacati autonomi lottino con energia e abilità per incorporare le rispettive organizzazioni, in cui sono attualmente attivi, nella CNT. Il Comitato per la Ricostruzione di Siviglia deve essere sciolto. La posizione di combattimento dei comunisti, a livello sindacale, è nella CNT. Le organizzazioni di base della CNT devono intraprendere lo studio di tutti i problemi che affronta oggi il proletariato spagnolo, sia nazionali e internazionali, e alla luce di una discussione democratica, ampia e disciplinata, stabiliscano la loro posizione rivoluzionaria”.

(estratto dalla Piattaforma Politica del 1931)

 

Si può facilmente verificare che, al di là del rifiuto della posizione del PCE, le tesi dell’OCE sottopongono la lotta sindacale del proletariato alle vicissitudini del sindacato CNT. La concezione secondo la quale ogni aspettativa di lotta in campo economico all’interno dell’UGT deve essere abbandonata e liquidata in virtù del tradimento dei suoi dirigenti (i dirigenti del PSOE), implica la rinuncia al ruolo politico e sindacale che i comunisti sono obbligati a svolgere tra i proletari per non abbandonarli nelle mani di dirigenti riformisti e opportunisti.

È vero che la CNT era, nel 1931, il sindacato più sviluppato e che riuniva buona parte del proletariato rivoluzionario spagnolo, ma è altrettanto vero che essa era completamente assoggettata alla dittatura dei dirigenti anarchici esattamente come lo era l’UGT a quello dei leader socialisti. Il corso degli anni successivi dimostrò che entrambe le situazioni presentavano difficoltà dello stesso tipo per lo sviluppo del lavoro comunista nei rispettivi sindacati e la stessa Sinistra Comunista finì per abbandonare la lotta all’interno della CNT a favore dei sindacati che per primi si erano staccati da essa e, più tardi, dalle Alleanze Operaie. Basta riferirsi alle posizioni che l’ICE mantenne sull’insurrezione asturiana del 1934 per verificare che la posizione sulla lotta sindacale di questa organizzazione fu guidata, più che da una seria valutazione marxista che andava oltre gli aspetti congiunturali, da un capriccio che ne rese difficile l’attuazione negli ambienti proletari organizzati.

 

Per quanto riguarda la questione nazionale, altro dei punti essenziali non solo dell’OCE ma di tutte le organizzazioni politiche dell’epoca, si precisa che:

Il movimento di emancipazione nazionale in Spagna è emerso con particolare vitalità in Catalogna e Vizcaya, cioè nei due centri industriali più potenti della penisola, esprimendo così la tendenza naturale di ogni borghesia a costituirsi in uno Stato, la lotta dei popoli economicamente più progrediti contro il centralismo assorbente e reazionario della Spagna monarchica e semifeudale.

La lotta per l’emancipazione nazionale è uno degli aspetti della rivoluzione democratica e, di conseguenza, è strettamente legata alla lotta di classe. Nello specifico: la lotta per l’emancipazione nazionale non è altro che una delle forme della lotta della borghesia contro il feudalesimo. In essa compaiono tutte le caratteristiche del movimento democratico in generale. Come in questo, la borghesia, in ogni momento decisivo, è incline alla capitolazione, alle concessioni al nemico (si ricordi tutta la politica della borghesia catalana guidata da Cambó), mentre la piccola borghesia tende a soluzioni radicali (Maciá e “Estat Català”), mostrandosi però incapaci di metterli in pratica fino in fondo.

L’emancipazione nazionale non può essere che l’opera delle grandi masse popolari. La borghesia vi ha fatto affidamento per tutto il corso del XIX secolo. Oggi questo non è possibile, perché è emersa una nuova forza, il proletariato, il cui ruolo nella vita economica lo pone di fronte alla borghesia e lo spinge a esercitare l’egemonia in tutti i grandi movimenti popolari. Per questo motivo la borghesia, in tutti i momenti decisivi, si ritira tradendo il movimento. L’emancipazione nazionale è una delle esigenze della democrazia e, per questo motivo, il proletariato non può ignorarla, adottare un atteggiamento di inibizione nascondendosi dietro un internazionalismo astratto, che diventa, di fatto, un sostegno alla politica del centralismo reazionario, dell’oppressione di alcune nazionalità da parte di altre.

Concepire che la rivoluzione sociale è possibile [diceva Lenin] senza l’insurrezione delle piccole nazioni nelle colonie e in Europa, senza le esplosioni rivoluzionarie di una parte della piccola borghesia con tutti i suoi pregiudizi, senza i movimenti delle masse proletarie e semi-proletarie poco coscienti contro i proprietari terrieri, il giogo clericale, monarchico, nazionale, ecc., pensare così significa rinunciare alla rivoluzione sociale... Chi si aspetta una rivoluzione sociale ‘pura’ non la vedrà, è un rivoluzionario a parole che non capisce la vera rivoluzione.

Il proletariato rivoluzionario deve quindi esprimersi in modo chiaro e categorico rispetto alla questione delle nazionalità, come fa riguardo a tutti gli aspetti della rivoluzione democratica”.

(estratto dalla Piattaforma Politica del 1931)

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Se sulla questione sindacale le posizioni dell’OCE risultano superficiali e motivate da valutazioni troppo circostanziate, la resa alle illusioni del momento, alla magnificazione del momento storico che si stava vivendo allora è molto maggiore in questa valutazione della questione nazionale. In essa si va molto oltre di quanto fece lo stesso Trotsky nel considerare il movimento nazionalista come un vettore rivoluzionario di cui bisognava tener conto: l’OCE arriva a proporre che il movimento proletario debba guidare la lotta per la liberazione nazionale (da Vizcaya - nei Paesi Baschi - e Catalogna) nella lotta per la rivoluzione democratica.

Abbiamo già sottolineato come questo movimento indipendentista popolare non esistesse se non come gruppo composto da piccoli settori della piccola borghesia radicale catalana e come, di fatto, questi tradissero ripetutamente il proprio programma secessionista per unirsi allo Stato centrale nella lotta contro il proletariato catalano e spagnolo. Le posizioni dell’OCE su questo tema mostrano come, sulla base trotskista su cui si è costituita l’organizzazione, il “movimento reale” produce un’incessante erosione che finisce per deviarlo fino a collocarlo sul terreno antimarxista della lotta popolare, inizio della serie di concessioni sul terreno politico e teorico che faciliteranno la formazione del POUM nei termini che abbiamo già spiegato.

 

Al di là delle posizioni presentate nelle conferenze dell’OCE, è interessante fare riferimento al testo di Andrés Nin Il proletariato spagnolo prima della rivoluzione, anch’esso datato 1931 e che espone più chiaramente aspetti chiave delle tesi dell’allora movimento trotskista spagnolo.

In primo luogo, riguardo alla caratterizzazione economica e sociale della Spagna dell’epoca, afferma che:

 “(…) la Spagna non ha ancora realizzato la sua rivoluzione democratico-borghese. Questa è stata la causa fondamentale dell’acuta crisi del paese, che non ha potuto essere risolta nel quadro del regime economico e politico dominante”, per poi evidenziare i fattori che caratterizzerebbero questa assenza di rivoluzione democratica borghese (e, quindi, praticamente del capitalismo): da un lato il predominio agricolo nell’economia, in particolare l’agricoltura a basso rendimento e le estese proprietà semifeudali. D’altro lato, il fatto che l’industria pesante fosse poco sviluppata nel paese.

 

Passa poi a caratterizzare la crisi economica del paese (derivata dalla crisi mondiale del 1929) e la crisi politica e sociale che ne deriva e che si conclude con la dittatura di Primo de Rivera. Va notata l’assurdità di sostenere che è stata l’assenza di una società democratica borghese, come dice Nin, ad impedire che la crisi economica venisse risolta nel quadro del regime esistente: secondo questa tesi, le crisi capitaliste non dovrebbero mai implicare convulsioni sociali. Ovviamente con questa affermazione portiamo all’estremo le conclusioni che Nin non ha mai voluto affermare, ma lo facciamo per mostrare le conseguenze che seguono necessariamente da questo feticismo democratico, da questo desiderio astorico di una rivoluzione borghese pura che non è mai arrivata. Infatti, poche pagine dopo, Nin, a proposito del governo repubblicano istituito dopo la caduta della dittatura e che era composto da rappresentanti di tutte le frazioni borghesi e del PSOE, afferma quanto segue:

È evidente che un simile governo non può risolvere nessuno dei problemi fondamentali della rivoluzione democratica: quello della terra, quello delle nazionalità, quello dei rapporti tra Chiesa e Stato, quello della trasformazione dell’apparato burocratico amministrativo del vecchio regime e quella della lotta alla reazione (…) Tutto ciò dimostra in modo indiscutibile ciò che abbiamo costantemente sostenuto in questi ultimi mesi: la rivoluzione democratica borghese non può essere condotta dalla borghesia, detta rivoluzione non può essere che opera del proletariato al potere, che fa affidamento sulle masse contadine che rappresentano il settanta per cento della popolazione attiva nel nostro paese. Più precisamente: la rivoluzione democratica borghese può essere raggiunta in Spagna solo attraverso l’instaurazione della dittatura del proletariato”.

 

Vale a dire che la stessa classe borghese e i governanti piccolo-borghesi e operai saliti al potere nel 1931 erano incapaci di risolvere questi problemi e che solo la classe proletaria poteva portare avanti la rivoluzione democratica in corso. Ma la storia del movimento operaio per più di vent’anni è stata la storia della rottura con le correnti repubblicane e con i loro programmi democratici e nel 1931 il potere cadde nelle loro mani proprio a causa della pressione che il proletariato esercitò sulla borghesia al fine della sua dittatura. A parte il fatto innegabile che certe parole d’ordine strettamente democratiche sono vitali per il proletariato tanto quanto lo è la lotta sul terreno della difesa immediata delle sue condizioni di esistenza, che senso aveva continuare a propagandare una rivoluzione democratica che non avesse nemmeno una base sociale? Nel caso di Trotsky veniva copiato uno schema della Rivoluzione di febbraio del 1917 ed era già un eccesso che, come abbiamo detto, cercava di colmare – con un super-eclettismo politico – la differenza tra una situazione sociale sempre più tesa e una classe proletaria che, privata del suo partito, non seppe affermare una posizione indipendente rispetto al resto delle classi sociali. Nel caso dell’OCE prima e dell’ICE poi, si cercò di limitare la lotta di classe del proletariato a obiettivi strettamente democratici, il che significava limitare oggettivamente la sua forza sociale.

In effetti, il periodo che copre gli anni 1930-1934 può essere compreso partendo dal doppio movimento: l’ascesa del proletariato, con una sempre maggiore capacità di mobilitazione pur privato del suo organo di classe per eccellenza, il partito, e la discesa di una classe borghese che, perdendo continuamente terreno, riusciva politicamente a ripararsi prima dietro la repubblica, e poi dietro i repubblicani e i socialisti per, una volta ritrovate le forze, contrattaccare attraverso forme politiche fasciste. La sconfitta della classe proletaria è iniziata quando essa non è stata capace di spezzare gli ostacoli repubblicani, costituzionalisti e operaisti che la borghesia aveva eretto. E finì quando, esaurito il suo slancio sociale, terminò per accettare il programma strettamente repubblicano (anzi repubblicano degradato: antifascista!) dopo l’insurrezione del 1934.

Lo si vede chiaramente nel paragrafo successivo, estratto dallo stesso articolo:

Esigere che la rivoluzione democratica sia veramente compiuta deve essere oggi il nostro grido di battaglia. Bisogna dimostrare che il problema della terra, problema fondamentale della rivoluzione democratica, non può essere risolto con decreti e dichiarazioni vuote, con la creazione di commissioni il cui scopo essenziale è evitare la soluzione rivoluzionaria, secondo cui l’unico modo per risolvere questo problema è abolire il diritto di proprietà privata sulla terra, espropriando i proprietari terrieri e stabilendo il principio che la terra deve essere di chi la lavora. Per quanto riguarda la questione delle nazionalità, è necessario fare vedere alle masse che esiste una sola via per risolverla: riconoscere il diritto indiscutibile dei popoli a disporre liberamente dei propri destini, senza escludere il diritto alla separazione, se questa è l’evidente volontà della maggioranza.

Dobbiamo accogliere con favore le misure adottate dal governo provvisorio, sotto la pressione delle masse popolari, contro gli elementi reazionari. Ma va detto allo stesso tempo che questa lotta sarà del tutto inefficace se non si distrugge la base su cui si fondava la reazione: la Chiesa e i beni feudali, e se, come complemento indispensabile, non si scioglie la Guardia Civil, incarnazione vivente della monarchia dispotica scomparsa, e si arma il popolo . (…)

Questo è il terreno esclusivo, lo ripetiamo, in cui le masse possono essere conquistate e portate, attraverso la loro stessa esperienza, sul terreno della lotta diretta contro il dominio borghese”.

Non sono necessari ulteriori commenti perché risulti evidente che, nella concezione dei trotskisti spagnoli, il partito di classe, allora assente, doveva acquisire la sua influenza tra le masse proletarie non attraverso il programma marxista, non attraverso l’agitazione e propaganda dei suoi obiettivi ultimi (dittatura del proletariato e trasformazione socialista della società), ma adottando integralmente e senza eccezioni le rivendicazioni democratiche, ponendosi anche dietro al governo provvisorio per lottare contro la reazione.

Le annotazioni successive di questo articolo, in cui la situazione del 1931 viene confrontata con quella della Germania nel 1848, della Russia nel 1905 o della Cina nel 1926, mostrano infine la portata che questa interpretazione della rivoluzione borghese in Spagna ebbe nell’Opposizione spagnola.

Due anni dopo, nella III Conferenza Nazionale, quando l’OCE si trasforma in Sinistra Comunista di Spagna, questa visione verrà ratificata e con essa si consoliderà l’allontanamento dalle tesi trotskiste originarie per passare ad una propria elaborazione mille volte più lontana. dal marxismo.

Così, il documento LA SITUAZIONE POLITICA SPAGNOLA E LA MISSIONE DEI COMUNISTI, riferendosi all’evoluzione del regime repubblicano, che già nel 1933 aveva avuto modo di reprimere duramente i diversi moti proletari lasciando libertà d’azione ai cospiratori monarchici e militari, afferma

L’esperienza dei primi dieci mesi di esistenza del nuovo regime è arrivata a dimostrare ciò che abbiamo sempre sostenuto da comunisti: che la rivoluzione democratica borghese non può essere realizzata dalla borghesia, che detta rivoluzione può essere soltanto opera del proletariato, appoggiandosi sulle masse contadine, attraverso l’instaurazione della sua dittatura. La Repubblica non ha risolto, né può risolvere radicalmente, nessuno dei problemi fondamentali della rivoluzione democratica: il problema agrario, il problema delle nazionalità, il rapporto con la chiesa, la trasformazione dell’intero meccanismo burocratico-amministrativo dello Stato. La soluzione del problema religioso (soluzione apparentemente radicale, visto che resta in piedi tutto il potere economico della Chiesa), l’eventuale concessione di una misera autonomia alla Catalogna e una timida riforma agraria, che, in sostanza, lascerebbe indenni i diritti della grande proprietà, sono il limite estremo al quale la borghesia può giungere nel cammino della rivoluzione democratica.

Il governo della Repubblica, a causa delle circostanze in cui è avvenuto il cambio di regime, è stata una diga che si è opposta all’avanzata della rivoluzione; ma il vasto movimento popolare che lo ha originato, e la necessità di appoggiarsi ad esso nei primi momenti, l’hanno costretta in alcune occasioni a fare delle concessioni, per la verità, puramente verbali nella maggior parte dei casi, alle illusioni democratiche delle masse. Sfruttando abilmente queste illusioni e la permanenza dei socialisti al governo, che hanno svolto sia il ruolo di parafulmine che quello di pompieri, la borghesia ha avuto la possibilità, da aprile, di rafforzare le sue posizioni e non solo di impedire l’avanzata della rivoluzione, ma anche di preparare la reazione più sfrontata. Questo progressivo avanzamento della reazione borghese è stato tanto più possibile in quanto l’assenza di un vero PC, l’influenza ancora esercitata dai socialisti su gran parte delle masse operaie e contadine e il confusionismo anarco-sindacalista hanno lasciato la classe operaia senza guida e hanno reso possibile il mantenimento della finzione democratica”.

 

La Sinistra Comunista di Spagna, provenendo da un gruppo che ha fatto della difesa della democrazia una questione non più contingente ma di principio, dice molto più contro di essa che contro coloro che intende criticare: ponendosi dietro la bandiera della rivoluzione democratica borghese, distante quindi dalla classe proletaria e dalle sue lotte immediate, abbandonava ogni possibilità di indirizzarle, di sistematizzarle, superando il terribile stadio di spontaneismo che le imprigionava. Ignorando i grandi scioperi del 1932 e del 1933, al punto da non comprenderne il carattere chiaramente antiborghese, ne affidò la guida alle correnti libertarie più avventurose, che inevitabilmente portarono il movimento, di volta in volta, alla sconfitta più clamorosa:

La politica reazionaria del governo della Repubblica ha inferto un duro colpo alle illusioni democratiche delle masse operaie e contadine. Ma sarebbe un errore credere che siano state completamente liquidate. È ancora molto diffusa l’opinione che se al potere ci fossero i “veri” repubblicani (quelli dell’estrema sinistra piccolo-borghese, per esempio) la politica sarebbe più favorevole agli interessi delle classi lavoratrici. (…).

Solo una politica giusta può contribuire a liquidare definitivamente queste illusioni. A questo dobbiamo dedicarci noi comunisti, non lanciando parole d’ordine che non rispondono al reale stato d’animo delle masse, ma prendendo quest’ultimo come base principale per l’elaborazione della nostra tattica”.

 

Ora è necessario soffermarsi un po’ sulla concezione che l’OCE-ICE ha mantenuto riguardo all’evoluzione del movimento comunista internazionale nel periodo studiato. Ciò è particolarmente importante perché il gruppo appare, come abbiamo detto, inizialmente legato all’Opposizione trotskista e poi ha rotto con la sua leadership internazionale utilizzando, per farlo, argomenti che vanno oltre la questione strettamente spagnola e che si riferiscono alla leadership nel suo insieme. .

Così, nelle Tesi sulla situazione internazionale, documento anch’esso della Terza Conferenza dell’OCE, la situazione internazionale si caratterizza come segnata da una forte corrente controrivoluzionaria che si è manifestata principalmente nell’assenza di una leadership politica rivoluzionaria. Questa è la tesi fondamentale del trotskismo:

I fatti dimostrano che in una situazione come quella attuale, la classe operaia si trova senza direzione né guida, senza che il comunismo, che come tendenza rivoluzionaria riassume l’esperienza del movimento operaio e indica gli obiettivi del proletariato nella fase attuale, sia in grado di conquistare le masse, indirizzarle e guidarle alla vittoria. Il ritardo non può essere giustificato invocando la situazione generale, che è più rivoluzionaria e critica che mai; la colpa è nella direzione. Per ora, dove la classe operaia è entrata in battaglia, è la leadership, è il partito comunista che è mancato. I grandi disastri dell’Internazionale dal 1923 al 1927 non sono serviti a correggerne i difetti”.

 

Ma per quanto riguarda il modo di rafforzare questa leadership rivoluzionaria, che fino ad allora era intesa, anche per la Spagna, come la possibilità di influenzare il Partito comunista stalinista, si comincia a considerarla in modo diverso.

L’Opposizione di Sinistra ha sempre agito nei confronti dell’IC come se fosse all’interno di un’organizzazione unitaria. L’Opposizione, pur essendo stata esclusa dittatorialmente, ha continuato ad agire come se fosse all’interno delle organizzazioni: legandosi alla base dei partiti, si adopera affinché essi adottino i suoi punti di vista. In realtà, l’Opposizione non ha altra politica che quella dei partiti comunisti, poiché non decide di mettere in pratica la sua politica se non nella misura in cui i partiti la accettano. Non importa quanto siano grandi le differenze tra la sinistra comunista e lo stalinismo, in pratica risulta che l’Opposizione non ha altro programma che la ‘riforma del partito’, poiché fa di questa riforma una precondizione per l’attuazione della sua politica. L’atteggiamento tradizionale dell’opposizione è del tutto insufficiente nelle circostanze attuali e, se l’Opposizione persiste, non sarà in grado di trovare una soluzione politica nei momenti decisivi. Perché le riforme parziali che riesce a compiere in campo internazionale non modificano sostanzialmente la natura dello stalinismo. Le cosiddette ‘svolte’ dell’Internazionale non sono, nel complesso, un passo avanti ‘anche se c’è qualche punto che significa un progresso’, ma sono, in realtà, abili cambiamenti di posizione per perseverare negli stessi vizi. Mantenendo coerentemente questa visione, il risultato sarebbe che la classe operaia sarebbe privata della politica di opposizione fino a quando non fosse stata raggiunta la riforma completa dell’IC, prolungando (se non rendendo impossibile) la riforma dell’IC. La mancanza di educazione politica alla quale gli elementi di base dei partiti sono condannati dalla cricca burocratica, così come la continua distorsione dei testi, le calunnie e gli insulti, che costituiscono la tattica della cricca stalinista contro la sinistra comunista, rendono straordinariamente difficile assimilare i nostri punti di vista attraverso mezzi meramente critici. È necessario che l’opposizione sappia presentare, oltre alle sue critiche, l’esempio vivente della sua politica”.

Il grassetto è nostro e serve a sottolineare che l’OCE (d’ora in poi ICE) solleva già nel movimento trotskista la necessità di una rottura politica e organizzativa con la natura faziosa del suo lavoro e con la struttura esistita fino a quel momento: la sua idea è che deve presentarsi come un’organizzazione distinta (e ciò significherà cambiare nome) e non come un soggetto esterno legato al PCE. Con ciò l’ICE cercava di capitalizzare, in qualche modo, una maggiore forza che avrebbe potuto avere rispetto al partito ufficiale spagnolo. Va sottolineato che il suo salto verso il partito non avviene attraverso un lavoro teorico e politico marxista, ma come un mero espediente organizzativo volto a trarre vantaggio da una situazione che ritengono particolarmente favorevole. In questo modo, l’OCE-ICE finisce per cedere alle pressioni dell’ambiente, a quella “rivoluzione democratica” che considerava in atto e che condiziona il proprio assetto organizzativo. Infatti, nelle tesi che continuano i lavori di questa Terza Conferenza a cui ci riferiamo e che trattano del rapporto con il Partito Comunista di Spagna, si afferma la necessità che le diverse correnti organizzate come opposizione convergano in un nuovo partito, sebbene la base del loro confronto con la leadership stalinista non fosse sul piano politico o teorico, ma piuttosto sulla mera competizione per la leadership.  E così si precisa:

Resta il problema di riorganizzare il Partito Comunista di Spagna su basi democratiche. Il punto di partenza della riorganizzazione è l’unificazione incondizionata. Organizzare il partito in modo tale che possa sviluppare la propria politica, dove i leader sono, di fatto, eletti dall’organizzazione; dove la minoranza è soggetta alle decisioni della maggioranza, è il dovere più urgente del proletariato comunista spagnolo. La riorganizzazione dovrà essere intrapresa convocando preventivamente una conferenza nazionale nella quale siano rappresentate tutte le fazioni e tendenze del comunismo spagnolo. La conferenza nazionale deve eleggere democraticamente una commissione provvisoriamente incaricata di dirigere i lavori di riorganizzazione del partito e di portarne avanti la direzione politica fino alla riorganizzazione definitiva del partito. Il lavoro della commissione provvisoria sarà quello di organizzare i lavori preparatori per il congresso nazionale del partito, preparazione dell’ordine del giorno da discutere al congresso, preparazione dei progetti di tesi e invio ai gruppi di discussione.

Dopo che tutti i problemi del congresso saranno stati discussi nelle organizzazioni di base, si passerà allo svolgimento dei congressi regionali di riorganizzazione, e da qui al congresso nazionale del partito comunista, dove, sulla base di un sano regime interno, si studieranno tutti i problemi, si svilupperà un programma di azione politica immediata e un programma generale (che ancora non esiste) del partito comunista”.

Come si vede, a questo punto si è già sollevata la necessità di un raggruppamento con altre correnti sulla base di un criterio strettamente democratico, la necessità di raggrupparsi su base burocratica.

Questo è il primo passo per la fondazione del POUM.         

                      

 (continua)

 


 

(1) Cfr. La presunta "sinistra comunista spagnola" di fronte alla "rivoluzione democratica", in "il comunista" nr. 153, maggio 2018; anche in "El programa comunista" n. 54, novembre 2020)

 

 

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