Sulle « giornate d'azione anti-guerra »

Praga, 24-26 maggio 2024

(«il comunista»; N° 182 ; Maggio-Luglio 2024)

Ritorne indice

 

 

Alcuni gruppi, in genere di tendenza anarchica (come il balcanico Antipolitika) e alcuni sedicentemente rivoluzionari (come il tedesco Antipolitisch-Sozialrevolu-tionären Tendenz), che si richiamano all’internazionalismo e alla lotta contro la guerra imperialista, si sono incontrati a Praga (in questo “congresso anti-guerra” organizzato da actionweek.noblogs.org) per “confrontarsi” sul tema della guerra e su come opporvisi cercando basi comuni per manifestare la loro opposizione e stimolare in questo modo le masse popolari e il proletariato. Avevamo già accennato nel numero scorso de “il comunista” a questa iniziativa, rimettendo in evidenza gli aspetti fondamentali della questione “guerra o rivoluzione”, che ora riprendiamo a “congresso anti-guerra di Praga” terminato.

La chiamata alla “resistenza alla guerra” e alle “pratiche anticapitalistiche” è ciò che, di fondo, accomuna tutte queste organizzazioni, senza alcun accenno agli obiettivi storici della classe proletaria e a quelli della classe dominante borghese. La questione centrale viene individuata nello scontro tra i difensori della nazione, degli Stati e del capitalismo, da una parte, e la “classe sociale” dall’altra, nell’antagonismo “tra i soldati semplici e gli ufficiali, tra i lavoratori salariati e i padroni, tra il proletariato e la borghesia”. Tale impostazione richiama il trito concetto della società borghese divisa tra “ricchi” e “poveri”, tra coloro che subiscono le decisioni del potere centrale (che sono le famose masse popolari, dunque la stragrande maggioranza) e coloro che detengono il potere centrale, cioè lo Stato (che sono la minoranza, appunto i ricchi). Da queste formulazioni del tutto generiche – sulle quali sono d’accordo borghesi grandi, medi e piccoli, preti, bottegai, intellettuali, politicanti di sinistra come di destra, ambulanti, sottoproletari ecc. – che cosa ne discende? Una piattaforma di lotta?, una serie di rivendicazioni, un programma politico? Niente di tutto questo. Si invoca l’azione diretta contro la guerra, quale azione?, diretta di chi e da chi?, considerando qualsiasi guerra solo come espressione di una violenza armata in quanto tale? Si apre così un dibattito su quali azioni organizzare e come farlo e, dopo aver constatato che le azioni individuali di “resistenza” alla guerra (fuga, diserzione, corruzione per attuarle, piccoli sabotaggi ecc.) non fermano alcuna guerra e che, anzi, inaspriscono la repressione dello Stato, si spera di coordinarle in una prospettiva… tutta da costruire…

Parole senza alcun collegamento con la realtà storica della società capitalistica, con la sua formazione storica sulla base dello sviluppo delle forze produttive e con la divisione della società in classi; senza alcun fondamento storico tra guerra imperialistica e rivoluzione, tra lotta di classe del proletariato e rivoluzione, tra rivoluzione e guerra civile, tra presa violenta del potere politico, abbattimento della dittatura borghese e imperialista e instaurazione della dittatura del proletariato e, naturalmente, senza alcun accenno specifico al partito di classe del proletariato che viene, invece, mescolato in un generico rifiuto di qualsiasi partito.

Come si conviene ad ogni gruppo che si rifà più o meno direttamente all’anarchismo, la chiamata ad “unire le forze” è fatta nel pieno rispetto dell’”autonomia politica” di ciascun gruppo e di ciascun individuo. Come scritto nell’appello a partecipare a questo congresso, i promotori intendono rimanere ben separati da tutti i partiti politici, da ogni struttura statale e contro ogni Stato (1). In realtà, il loro rifiuto del partito politico e dello Stato, in quanto organismi centralizzatori, si basa sul rifiuto di qualsiasi autorità, dunque anche dell’autorità del partito comunista rivoluzionario e della dittatura del proletariato esercitata dal partito di classe. L’unica autorità ammessa è quella della “coscienza individuale” alla quale ci si rivolge perché ogni individuo si convinca – dopo aver constatato gli orrori delle guerre, dello sfruttamento e della miseria, e dopo aver deciso di opporvisi – a manifestare il proprio dissenso, anche con azioni di “sabotaggio”, insieme a molte altre “coscienze individuali, a liberarsi dall’oppressione di ogni autorità, di ogni partito, di ogni Stato.

Di fronte ad un proletariato, sconfitto più volte nella storia passata sia sul terreno rivoluzionario che su quello della difesa economica immediata, ripiegato su se stesso da decenni e illuso, soprattutto nei paesi occidentali del capitalismo imperialista, dalle manfrine democratiche che poggiano su alcuni benefici sociali dovuti allo sfruttamento bestiale dei proletariati dei paesi più deboli, questi attuali cultori della “coscienza individuale” e dell’azione “diretta” raggiungono, come livello massimo, di essere i rappresentanti di un conservatorismo della spontaneità proletaria sconfitto teoricamente e politicamente dal marxismo fin dai tempi di Proudhon e di Bakunin. Invece di guardare avanti, verso la rivoluzione comunista secondo il materialismo storico e dialettico marxista, questi novelli antimilitaristi, questi nuovi sbandieratori dell’anti-guerra hanno fatto mille passi indietro rispetto allo stesso concetto di lotta di classe che la borghesia, invece, ha compreso benissimo e sa, per esperienza storica, che la classe sociale da cui temere la rivoluzione, la classe proletaria, non potrà mai portarla alla vittoria in assenza dell’influenza e della guida determinante del partito comunista rivoluzionario, che noi chiamiamo semplicemente partito di classe perché per noi il proletariato, a livello mondiale, non può fare a meno di una teoria rivoluzionaria, di un’unica teoria della rivoluzione, di un unico programma politico e di un unico partito di classe alla guida della rivoluzione mondiale e della dittatura di classe nei paesi in cui la rivoluzione è giunta al vittorioso abbattimento dello Stato e del potere politico della borghesia.

La sola via d’uscita dall’incubo delle guerre capitaliste e della pace capitalista – conclude l’appello citato – sta nel risveglio collettivo: noi dobbiamo visualizzare e sabotare ogni macchina da guerra, rovesciare i suoi rappresentanti e riappropriarci del nostro potere come creatori del mondo”.

Che le guerre capitaliste e la pace capitalista siano un incubo per la stragrande maggioranza dei popoli non c’è dubbio; ma credere che la guerra e la pace capitaliste siano soltanto il prodotto della “macchina da guerra” allestita dai borghesi e dai loro Stati, senza tener conto di quali sono le determinazioni economiche e storiche della formazione delle classi e degli Stati e della lotta fra le classi, porta inevitabilmente a vaneggiare su “azioni di sabotaggio” che agli Stati borghesi non fanno nemmeno il solletico, mentre diffondono un altro tipo di sabotaggio, questo effettivamente dannoso per la lotta del proletariato, il sabotaggio della lotta di classe, l’unica lotta che la storia ha dimostrato essere risolutiva se, nella sua prospettiva di ripresa e di sviluppo, i proletari si riorganizzano partendo dalla difesa dei loro interessi di classe immediati, l’unica lotta che permette ai proletari di ricollegarsi alla teoria della rivoluzione senza la quale il proletariato non riuscirà mai ad orientarsi verso la reale emancipazione dallo sfruttamento da parte della borghesia e a incamminarsi verso la società senza classi, la società di specie.

Perché parliamo di vaneggiamenti? Ecco che cosa scrivono i promotori di queste giornate “anti-guerra”: “Siamo interessati ai modi per sabotare le guerre, come privare i nostri nemici delle risorse, come minare la capacità degli Stati e dei loro eserciti di continuare le guerre”. Ci si dimentica solo che la guerra imperialista non è che la continuazione della politica imperialista di ogni Stato borghese in lotta contro i suoi avversari sul mercato mondiale; ci si dimentica che la guerra con gli strumenti militari non è che una delle manifestazioni del capitalismo imperialista, come lo è la pace imperialista. Per la borghesia, la guerra guerreggiata riassume la guerra di concorrenza, la guerra commerciale, la guerra monetaria e finanziaria, la guerra dei confini, la guerra ideologica: tutte queste guerre sono parti integranti della guerra di dominio della classe borghese che, nella fase imperialista, prende sempre più le caratteristiche del militarismo che non fa sparire tutti i contrasti che lo stesso modo di produzione capitalistico genera.

Il fatto che, in ogni guerra, la borghesia elevi il nazionalismo a ideologia delle difesa della propria nazione, della propria patria, mostra una sua ulteriore contraddizione: è nazionalista perché lotta come Stato contro la borghesia degli altri Stati concorrenti sul mercato internazionale, ma è internazionalista come classe perché lo sviluppo del capitale finanziario obbliga qualsiasi borghesia a intrecciare i propri destini con i capitali monopolistici e multinazionali; è nazionalista perché deve coinvolgere e irreggimentare il proprio proletariato nella guerra di difesa dei suoi interessi specifici nazionali considerando tutte le borghesie non alleate come nemici, come aggressori, ma è internazionalista nel caso in cui debba fronteggiare il pericolo di perdere il potere politico a causa della lotta rivoluzionaria del proprio proletariato anche se sta guerreggiando contro le altre borghesie nemiche.

Essere internazionalisti, per i proletari rivoluzionari, significa essere anti-patrioti, lottare contro il nazionalismo in ogni situazione, non solo di guerra ma anche di pace; significa tessere una rete di solidarietà e organizzativa di classe, ossia antiborghese e, ovviamente, anticapitalistica, sia in tempo di pace sia in tempo di guerra, ma con una finalità ben precisa: la rivoluzione proletaria per la conquista del potere politico. Ma che cos’è la rivoluzione proletaria se non la guerra di classe del proletariato contro la borghesia? E’ mai possibile una guerra di classe non violenta?, una guerra di classe che non sia uno scontro armato tra classe proletaria e classe borghese? I proletari rivoluzionari non possono essere contro la violenza tout court, contro la guerra tout court. La storia delle società si è sviluppata attraverso lo sviluppo delle forze produttive che hanno determinato, ad un certo punto, la divisione della società in classi distinte, le classi che possedevano tutto e le classi che non possedevano nulla o quasi. E’ lo sviluppo delle forze produttive, e il loro progresso, che ha portato, nei millenni, la formazione di società che hanno sempre più semplificato i rapporti tra le classi, fino alla società borghese capitalistica che si distingue non solo per aver formato le due classi antagoniste principali, ma per aver universalizzato il modo di produzione capitalistico per cui in ogni parte del mondo il capitalista è il capitalista e il proletario, cioè il lavoratore salariato, è il proletario. Perciò l’internazionalismo proletario, come sostiene il marxismo, è rappresentato da un’unica teoria rivoluzionaria, da un’unica prospettiva rivoluzionaria e da un unico partito rivoluzionario che rappresenta, nell’oggi, le finalità storiche della lotta fra le classi e la coscienza di queste finalità.

La lotta di classe del proletariato si sviluppa storicamente nella lotta rivoluzionaria per la conquista del potere politico: è la guerra di classe al posto della guerra imperialista. Per conquistare il potere politico si devono fronteggiare la forza armata dello Stato borghese e le milizie armate dei padroni che difendono le loro proprietà e, una volta conquistato il potere politico, non si può lasciare in piedi lo Stato borghese con tutte le sue istituzioni perché continuerebbero a lavorare contro la rivoluzione proletaria: lo Stato borghese e tutte le sue istituzioni devono perciò essere distrutti, e sostituiti con organismi dell’esclusivo potere proletario, cioè lo Stato proletario (che, come dirà Engels, è un non-Stato perché nella prospettiva della rivoluzione comunista mondiale lo Stato come organo centralizzato di repressione delle classi dominate si estinguerà come si estingueranno le classi), lo Stato dei Consigli operai o organismi simili che la stessa lotta rivoluzionaria genererà nel corso del suo svolgimento mondiale.

La conquista del potere politico da parte del proletariato rivoluzionario è necessaria per poter trasformare l’economia capitalistica in economia socialista, in economia comunista, e la dittatura del proletariato esercitata dal partito comunista rivoluzionario è necessaria non solo per reprimere i rigurgiti e i tentativi di restaurazione borghese (d’altra parte, la borghesia ha fatto esattamente la stessa cosa nei confronti del feudalesimo), ma anche per tutti gli interventi dispotici necessari per trasformare l’economia capitalistica, dunque i rapporti economici e sociali borghesi fondati sulla proprietà privata e sul mercantilismo, in società socialista e, infine, estinte le classi e lo Stato, in economia comunista, attraverso una serie di passaggi per riorganizzare l’economia secondo una programmazione centralistica capace di prevedere i bisogni reali della società umana. Una programmazione economica che prevede l’eliminazione di ogni produzione inutile e dannosa, di ogni spreco, l’utilizzo delle più accertate tecniche di produzione in modo da alleviare al massimo possibile la fatica umana, il coinvolgimento al lavoro di tutta la specie umana diminuendo al massimo le ore giornaliere di lavoro di ciascuno e aumentando con progressione geometrica il tempo a disposizione di ciascuno per le proprie passioni, per approfondire la conoscenza, per il divertimento e l’ozio. Il comunismo non è il paese di bengodi, non è il paradiso in terra, è semplicemente la società finalmente umana che ha vinto definitivamente la disumanizzazione delle società divise in classi e in cui il rapporto con la natura verrà stabilito secondo una materiale soddisfazione delle esigenze della vita sociale umana con la realtà materiale delle forze della natura. Ciò che i promotori di queste “giornate d’azione anti-guerra” riunitisi a Praga hanno abbandonato è anche il semplice sforzo di comprendere la realtà della società borghese. I partiti politici hanno fallito?, i sindacati hanno fallito?, i centri sociali hanno fallito?, i collettivi hanno fallito?, insomma ogni tentativo di organizzazione formale di lotta contro lo stato di cose presente – al di là della loro impostazione democratica, opportunista, spontaneista – viene rifiutato come esperienza negativa. Che cosa fare, dunque, di diverso, di non-borghese, di non-capitalista?

Retromarcia: ci sono i ricchi e i poveri, gli sfruttati e gli sfruttatori, insomma gli individui, e se si parla ancora episodicamente di “classe” non la si intende dal punto di vista della storia delle società, ma dal punto di vista della classificazione della massa umana in strati sociali tanto cara alle statistiche borghesi. Questi “azionisti” molto volenterosi, ma del tutto disorientati, sono riusciti ad andare più indietro addirittura dei borghesi del tempo di Marx, che avevano già scoperto che nella società moderna esisteva la lotta di classe. Ci volle Marx per comprendere che lo sviluppo storico della lotta fra le classi portava inesorabilmente alla rivoluzione della classe proletaria contro la classe dominante. Perché la classe proletaria? Perché è la classe dei lavoratori salariati, di coloro senza i quali non esisterebbe il capitalismo, di coloro che producono tutto ciò che costituisce la ricchezza sociale, ma non possiedono nulla se non la loro forza lavoro che il capitale sfrutta al solo fine di estorcerne il plusvalore. Lavoro salariato e capitale sono le due facce della stessa medaglia, non si può tenere in piedi uno e cancellare l’altro, si sostengono a vicenda, uno domina e l’altro è dominato, ma “vivono” solo in simbiosi. La rivoluzione proletaria ha il compito di distruggere il potere politico della classe dominante per poter intervenire con la forza nei rapporti di produzione e sociali borghesi; per poter cambiare il mondo non basta immaginarsi liberi di agire individualmente, tanto meno pensare che il passaggio avvenga automaticamente attraverso l’attuazione di atti di sabotaggio e di terrorismo come se il buon risultato finale fosse la somma di un numero imprecisato di atti di questo genere.

E’ indiscutibile che le esperienze storiche dei partiti socialisti, socialdemocratici e comunisti finora siano state in generale negative, ma non perché si trattava di partiti, ossia di organismi politici costituiti su basi teoriche e programmatiche definite. I fallimenti sono dovuti non all’essere o meno partiti politici, ma al fatto che nella lotta che la borghesia conduce contro il proletariato essa utilizza tutti i potenti mezzi che si è data in quanto classe dominante, a cominciare dallo Stato, dalla forza armata, dalla scuola, dalla chiesa e, non ultima, dalla potenza economica che le permette di ricattare in generale la classe proletaria e di comprarne ampi strati alimentando la concorrenza tra proletari. I partiti e i sindacati e ogni organismo sociale sono influenzabili dalla borghesia perché subiscono la pressione di tutti quei mezzi di cui sopra. Come farà il proletariato a sottrarsi all’influenza della borghesia che, nel frattempo, è diventata molto più potente di quanto non fosse nell’Ottocento e nel Novecento? Certamente non ripiegando sull’individualismo, come suggeriscono i promotori di questo “congresso”, che è un altro modo per consegnarsi totalmente all’influenza ideologica e pratica della borghesia dominante, anzi il modo più diretto e sicuro di essere totalmente in mano alla borghesia.

La classe proletaria poggia su tre fattori che la storia della lotta di classe ha forgiato: 1) il fatto di essere indispensabile alla produzione capitalistica e alla valorizzazione del capitale, attraverso appunto l’estorsione di plusvalore che il capitale attua in ogni giornata lavorativa del proletario salariato; 2) il numero sempre più ampio di proletari in ogni paese del mondo; 3) la teoria marxista, forgiata a metà dell’Ottocento, che non si è limitata a interpretare e spiegare la realtà sociale, ma ha desunto scientificamente dallo sviluppo inesorabile delle forze produttive e dai rapporti stessi di produzione non solo le caratteristiche specifiche del capitalismo che nemmeno i borghesi sapevano spiegarsi, ma anche l’inevitabile sviluppo storico della lotta fra le classi verso il necessario e violento superamento della società divisa in classi per giungere alla società senza classi, al comunismo.

Il proletariato nel suo complesso è cosciente di poggiare su questi tre fattori? Ai primi due ci è arrivato e ci arriva per esperienza diretta. Lo sciopero, se organizzato e attuato con mezzi e metodi classisti, a difesa esclusiva degli interessi immediati proletari, incide sui rapporti tra salariati e capitalisti comportando danni ai capitalisti ed è nello stesso tempo più efficace se allargato a più categorie e settori economici. Il numero, l’unione, è una forza nella misura in cui è organizzata e diretta secondo gli interessi esclusivi del proletariato, escludendo a priori la collaborazione di classe coi capitalisti e il loro potere politico, ed è, a sua volta, la base per la solidarietà di classe tra proletari dei diversi comparti economici e dei diversi paesi. Questi primi due fattori fanno parte della lotta che il proletariato spontaneamente è stato ed è spinto ad intraprendere a difesa delle sue stesse condizioni immediate di esistenza e di lavoro. Altro è la teoria rivoluzionaria, che si basa sulla lotta di classe tra il proletariato e la borghesia; essa non nasce dalla lotta immediata del proletariato, ma è il risultato di tutto ciò che l’umanità ha creato di meglio durante il secolo XIX (Lenin), il secolo del capitalismo e della rivoluzione borghese: la filosofia tedesca, l’economia politica inglese e il socialismo utopistico francese. Il marxismo ha fuso nella dottrina del comunismo rivoluzionario il meglio di queste tre parti integranti, superando tutti i loro limiti, fornendo in questo modo all’unica classe storicamente rivoluzionaria che il capitalismo ha creato, il proletariato moderno, la coscienza del suo sviluppo storico in quanto classe rivoluzionaria, definendo materialisticamente i compiti che il proletariato si deve assumere non solo per la propria emancipazione di classe, ma per l’emancipazione dell’intera umanità dalla schiavitù del mercantilismo, della proprietà privata, dello stesso potere classista.

Il marxismo è scienza della rivoluzione e la sua forza non deriva dal fatto di appoggiarsi su una classe – come fece la borghesia – che, all’interno della vecchia società, del vecchio modo di produzione, inizia a costruire un’economia più avanzata sul cui sviluppo basare le sue rivendicazioni politiche di classe. L’economia borghese si è sviluppata all’interno delle forme feudali utilizzando le forme della proprietà privata e dello Stato già esistenti, adattandole ai propri interessi e rivoluzionandole quando quelle forme non corrispondevano più allo sviluppo delle forze produttive che il capitalismo aveva innescato grazie al lavoro associato e alle scoperte geografiche. L’economia socialista potrà vedere la luce solo dopo aver distrutto il potere politico borghese che difende con la forza il modo di produzione capitalistico. Ecco perché il proletariato è obbligato, storicamente, a fare prima la rivoluzione politica anticapitalistica e solo dopo, grazie alla dittatura di classe, intervenire nell’economia capitalistica per trasformarla in economia socialista e, infine, comunista. Ma la coscienza di queste finalità storiche è rappresentata da un organismo politico specifico, il partito di classe, detentore della teoria marxista, della scienza marxista. Rifiutare il partito di classe, dunque il marxismo, significa consegnarsi completamente a quello che si considera giustamente il nemico di tutti gli sfruttati, e fare il suo gioco antiproletario.

 


 

(1) Cfr. https//:www.autistici.org/tridnivalka/aw/2024-congres-anti-guerre-prague-24-au-26-mai-2024

 

 

Partito Comunista Internazionale

Il comunista - le prolétaire - el proletario - proletarian - programme communiste - el programa comunista - Communist Program

www.pcint.org

 

Top

Ritorne indice