Il capitalismo è sempre più armato

Bisogna combatterlo con la guerra di classe!

(«il comunista»; N° 182 ; Maggio-Luglio 2024)

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Come sempre, l’industria delle armi fa affari d’oro sulla pelle delle migliaia di morti nelle guerre che gli Stati imperialisti continuano a provocare. Con lo sviluppo dell’imperialismo, le dotazioni militari sono diventate un punto centrale della politica estera di ogni Stato borghese, sia negli acquisti che nelle vendite.

I media francesi hanno notato con soddisfazione che secondo l’ultimo rapporto del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), Istituto svedese di ricerca sulla produzione e vendita di armi nel mondo, la Francia sarebbe passata al secondo posto mondiale tra i paesi esportatori di armi nel periodo 2019-2023, appena davanti alla Russia (1).

Inutile dire che gli Stati Uniti sono sempre i più grandi esportatori di armi, soprattutto verso i paesi europei e Israele. Nel 2023, le esportazioni statunitensi di attrezzature militari, rispetto al 2022, sono aumentate del 16%, raggiungendo un totale di 238,4 miliardi di dollari. Le armi americane sono destinate principalmente a Germania e Polonia. La Germania, pur avendo una delle più grandi industrie di armi al mondo – la Rheinmetall (che ha visto la sua quotazione in borsa aumentare del 244% nel biennio 2022-2023), è una delle principali fabbriche di cannoni, carri armati e bombe – ha firmato contratti con gli Stati Uniti per gli elicotteri CH-47F Chinook (8,5 miliardi di dollari) e i missili aria-aria a medio raggio AIM-120C-8 (3 miliardi di dollari). La Polonia ha firmato un accordo con gli Stati Uniti per 30 miliardi di dollari (elicotteri AH-64E Apache, sistemi missilistici di artiglieria a lungo raggio – utilizzati da Kiev per colpire il territorio russo –, sistemi di comando integrati per la difesa antiaerea e antimissile, M1A1 Abrams carri armati). Seguono poi Repubblica Ceca (aerei F-35 e munizioni per 5,6 miliardi di dollari), Bulgaria (aerei Stryker per 1,5 miliardi di dollari), Norvegia (elicotteri multimissione MH-60R per 1,5 miliardi di dollari) e via via altri paesi europei membri della NATO.

Per quanto riguarda l’Ucraina, la Casa Bianca, dall’inizio della guerra russo-ucraina, ha già sostenuto militarmente Kiev per un importo di 44,2 miliardi di dollari e sta attualmente discutendo un nuovo pacchetto di 60 miliardi di dollari che prevede forniture militari non solo all’Ucraina, ma anche, in occasione della nuova guerra in Medio Oriente, a Israele.

Nel quinquennio 2019-2023, gli Stati Uniti hanno rappresentato il 42% delle esportazioni mondiali di armi (quota in aumento del 17% rispetto ai 5 anni precedenti) e il loro mercato era composto da 100 paesi, iniziando da Arabia Saudita, seguita da Kuwait, Qatar, Australia, Giappone, Corea del Sud, Paesi Bassi, Norvegia, Regno Unito ecc. Al secondo posto c’è la Francia, con una quota globale dell’11% (più 47%!), i cui mercati principali sono India e Medio Oriente. Al terzo posto si colloca la Russia, anch’essa con l’11% della quota globale; con la guerra in Ucraina ha dovuto registrare un forte calo delle esportazioni di armi: -53%, ma i suoi principali sbocchi restano India, Cina, Egitto e Algeria. Poi tocca alla Cina – che supera di poco la Germania – con il 5,8% (-5,3%); il suo mercato principale è il Pakistan (61% delle vendite), seguito da Nigeria, Bangladesh, Myanmar (Birmania) ecc. Segue la Germania, con il 5,6% delle esportazioni mondiali (-14%). I tedeschi esportano sottomarini soprattutto in Asia e Oceania, ma il loro più grande cliente è l’Egitto. Per l’Italia, sesto esportatore di armi al mondo con il 4,3% (aumento record dell’86%), il mercato principale è ancora l’Egitto, seguito da Qatar, Turchia, Kuwait e Turkmenistan. Segue il Regno Unito, con una quota globale del 3,7% (-14%), che vende anch’esso principalmente in Medio Oriente, Arabia Saudita e Qatar, e poi India. La Spagna, con il 2,7%, occupa l’ottavo posto nella classifica mondiale delle esportazioni di armi e i suoi mercati principali sono Australia, Belgio e Stati Uniti. Israele è al nono posto (2,4%); i suoi mercati principali sono l’India e gli Stati Uniti. Con il 2% della quota mondiale, chiude la top ten mondiale dei massacri la Corea del Sud, i cui principali sbocchi sono le Filippine, seguite da India, Indonesia, Norvegia e Nuova Zelanda.

I cinque principali esportatori di armi del mondo coprono il 75% del mercato globale e hanno assorbito in media 85 miliardi di dollari all’anno negli ultimi quattro anni. Nello stesso periodo, i conflitti armati hanno causato la morte di decine di migliaia di civili, lo sfollamento di 90 milioni di persone in tutto il mondo e portato alla fame 117 milioni di persone in 19 paesi.

Non possiamo parlare di armamenti escludendo le armi atomiche. Secondo le ultime stime della Federation of American Scientists (FAS, ONG americana nata nel 1945), nel 2022 il numero totale di testate nucleari a disposizione degli eserciti sarebbe stato di 9.440, di cui circa la metà negli arsenali russi (4.477), seguono gli Stati Uniti (3.708), poi l’Europa: Francia (290) e Regno Unito (180); in Medio Oriente l’unica potenza atomica è Israele (90), ma sappiamo che anche l’Iran non è lontano dal possedere armi atomiche, mentre in Asia ce ne sono quattro: Cina (350), Pakistan (165), India (160 ) e Corea del Nord (20).

Rispetto alla situazione esistente tra gli anni ’60 e ’80 non c’è paragone: l’URSS da sola aveva più di 40.000 testate nucleari e gli Stati Uniti più di 31.000. Lo sviluppo di tecnologie militari legate alla produzione, al trasporto, all’installazione di armi nucleari, ai sistemi di risposta automatica ecc. – arrivando a quelle che sono state chiamate “armi nucleari tattiche”, il cui effetto distruttivo può essere in una certa misura controllato – ha permesso di avere meno armi ma più utilizzabili e più efficaci, passando così – dopo gli effetti dei bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki – da una funzione quasi esclusivamente dissuasiva a un utilizzo più pratico sul campo di battaglia.

Inoltre, la tecnologia militare ha raggiunto livelli potenziali di massacro anche in assenza di bombe atomiche: basti pensare alle bombe chimiche, alle bombe al fosforo usate dagli americani in Iraq, alle bombe incendiarie o a frammentazione usate da americani e inglesi in Bosnia, Kosovo e Serbia (così come nell’attuale guerra in Ucraina), ai proiettili all’uranio impoverito a causa dei quali si ammalarono e morirono non solo i civili e i soldati “nemici”, ma anche i “nostri” inviati lì in “missione di pace” (2).

Le borghesie di tutti i paesi, e soprattutto le borghesie imperialiste, usano la propaganda dell’orrore per terrorizzare gli eserciti nemici e le popolazioni coinvolte nelle loro guerre, e usano la propaganda del terrorismo nucleare per sottomettere soprattutto i proletari del proprio paese e dei paesi “nemici” alle esigenze sempre più “vitali” del capitalismo, per cui diventa sempre più “necessario” investire miliardi per modernizzare le loro forze armate, per rafforzarle e renderle sempre più efficienti, sia nelle tecniche militari che negli equipaggiamenti e negli armamenti. La guerra non è più un’eccezione, è costantemente presente, fa parte della vita quotidiana delle popolazioni direttamente e indirettamente coinvolte, che lo vogliano o no. Il capitalismo è la guerra: guerra di concorrenza, guerra di informazione, guerra economica, guerra finanziaria, guerra monetaria e guerra guerreggiata. Le contraddizioni del sistema economico e sociale capitalista sono destinate ad amplificarsi, a diventare sempre meno prevedibili, ad accumularsi in quantità e qualità; rompono costantemente gli equilibri temporanei con cui la politica borghese, in tutti i paesi, tenta di proteggere la sua “fortezza” economica e sociale dalle conseguenze più disastrose di queste contraddizioni.

Non esiste una forza esterna al capitalismo, capace di opporsi direttamente alle conseguenze del suo modo di produzione, delle sue contraddizioni, delle sue guerre: né forza soprannaturale, né dio, né potere spirituale che sorgerebbe al di fuori del capitalismo. Le contraddizioni del capitalismo non sono create al di fuori del suo sistema economico e sociale, sono tutte interne al capitalismo. Questo è il motivo per cui possono essere risolte solo da forze reali, materiali, esistenti all’interno del capitalismo stesso: non sono altro che le forze produttive che il capitalismo stesso ha creato e sviluppato in una società in cui si confrontano due potenti classi sociali: la classe borghese, che oggi domina il mondo intero, e la classe del proletariato, dei salariati, da cui la classe borghese trae il suo dominio attraverso lo sfruttamento economico e sociale. Un dominio che resterà incontrastato finché, come è avvenuto nei secoli passati, le contraddizioni stesse della società odierna, esercitando una pressione irresistibile sulle forme economiche, sociali e politiche che la borghesia cerca freneticamente di rafforzare dopo ogni crisi, non distruggeranno la struttura d’acciaio nella quale sono prigioniere le forze produttive del mondo intero.

Allora, come in una gigantesca eruzione vulcanica, le forze vive della società, le forze produttive rappresentate dal proletariato, saranno spinte ad aprire una breccia nella struttura d’acciaio borghese: quanto più si saranno accumulate le contraddizioni sociali, tanto più la forza eruttiva del proletariato abbatterà con forza tutte le barriere con cui la classe borghese tenterà di ostacolare e fermare la marea rossa rivoluzionaria. Sì, rivoluzionaria, perché la stessa forza produttiva che la borghesia ha creato espropriandola di tutte le riserve, di tutte le proprietà, di tutti i diritti, di ogni libertà, per poterla sfruttare come forza lavoro salariata fino alla morte, sarà la forza sociale che trasformerà la guerra di concorrenza, la guerra dell’informazione, la guerra economica, la guerra finanziaria, la guerra monetaria, la guerra condotta con l’unico scopo di opprimere le nazioni e le popolazioni, in guerra di classe, in una guerra che non punterà più a far prevalere alcune potenze imperialiste sul resto del mondo; il suo scopo non sarà più quello di rilanciare il capitalismo, dopo che ha devastato mezzo mondo, affinché ricominci un nuovo periodo di tormento per i miliardi di proletari che popolano il pianeta, ma a rivoluzionare da cima a fondo la società attuale, affinché la necessità vitale non sia più lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma la libertà di vivere in una società positiva e armoniosa.

E allora non ci sarà nessuna bomba atomica in grado di fermare il movimento vulcanico del proletariato mondiale: nella guerra di classe ci saranno sicuramente dei morti, ma perché la specie umana possa godere appieno della vita e non per questo sia condannata a continui massacri.

 


 

(1) https://www.sipri.org/sites/default/files/2024-03/fs_2403_at_2023.pdf

(2) Un’indagine dell’”Osservatorio Militare” italiano riportava questi dati: soldati morti 366, malati 7.500; nessun riconoscimento o risarcimento da parte dello Stato italiano, se non pochi e dopo numerosi procedimenti giudiziari. Cfr. “Uranio impoverito: colpa di stato”, balcanicaucaso.org, 6/5/2019.

 

 

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