Spagna : Acerinox, lotta operaia e repressione

(«il comunista»; N° 183 ; Agosto-Settembre 2024)

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Riprendiamo dal nostro periodico in lingua spagnola, El proletario n. 32, giugno-luglio 2024, questo articolo in cui si evidenzia come la spinta materiale dei proletari a lottare in difesa dei propri interessi immediati li porti oggettivamente a lottare contro il collaborazionismo sindacale e politico e ad organizzarsi sul terreno di classe, cioè sul terreno della difesa esclusiva degli interessi proletari. Aldilà del successo immediato che possono avere queste lotte - e all'Acerinox  non è avvenuto, anche perché i proletari sono rimasti isolati nella propria lunga lotta - resta valida la lezione da trarre nella dimostrazione dell'alleanza antiproletaria del governo borghese, del padronato e delle organizzazioni collaborazioniste sia in campo sindacale che politico, e nella dimostrazione che la lotta proletaria, anche la più dura e combattiva, ha bisogno della solidarietà di classe, della mobilitazione degli operai delle altre fabbriche e degli altri settori per opporre alla forza unitaria di borghesia, Stato e organizzazioni opportuniste falsamente operaie e "comuniste", una forza altrettanto unita e compatta. 

 

 

È durato quasi quattro mesi lo sciopero dei lavoratori della fabbrica Acerinox, nelle campagne di Gibilterra. Durante questo periodo lo sciopero ha mobilitato i 1.800 lavoratori dello stabilimento, che chiedono un aumento salariale annuo del 3%, mentre l’azienda offre l’1,75% e un ulteriore 0,5% in più per ogni 35 milioni di profitti annuali riportati nel bilancio. Inoltre i lavoratori rivendicano un aumento del premio di produzione fino a 550 euro, mentre l’azienda vuole darne solo 425. Infine, i lavoratori rifiutano la flessibilità del lavoro che l’azienda vuole introdurre imponendo la creazione di una rete di sorveglianti che resti di guardia per soddisfare le esigenze della produzione: esigono che detta rete sia formata da volontari e sia pagata con una retribuzione specifica, mentre l’idea dell’azienda è quella di imporre turni obbligatori. Per imporre le sue esigenze, l’azienda afferma che lo stabilimento di Palmones non è redditizio, che la produzione è più costosa rispetto agli altri stabilimenti dell’azienda e che “il mercato” impone una flessibilità nella struttura produttiva. 

Lo sciopero non solo è di lunga durata, ma è anche complicato. Ai 130 giorni senza salario, che incideranno anche sul pagamento degli straordinari e sui contributi sociali, si aggiunge la durezza della repressione che l’azienda e lo Stato stanno esercitando. Il 23 febbraio, durante una giornata di mobilitazione, gli operai hanno bloccato l’autostrada A-7 e la polizia antisommossa ha caricato duramente. Il risultato non è stato solo il consueto rosario di feriti e di arrestati, ma anche la condanna di un operaio a un anno di carcere (condanna record nell’arco di tre giorni!). Dopo questi eventi, anche se il conflitto non ha più raggiunto livelli simili, la situazione è rimasta sempre tesa e la repressione continua ad essere un’arma fondamentale a disposizione dei padroni e dell’intera borghesia per porre fine allo sciopero.

Da diversi anni la tensione tra lavoratori e padronato nel settore metalmeccanico rimane costante. Nel 2019, la firma dell’accordo settoriale a Vizcaya ha portato a dure manifestazioni, scontri tra polizia e lavoratori ecc. Già allora era evidente che la crisi economica, che si concentrava soprattutto nei settori siderurgico e metalmeccanico e che si manifestava sotto forma di sovrapproduzione di merci in tutti i suoi rami, avrebbe comportato un inasprimento delle pretese dei padroni nei confronti dei proletari del settore. La situazione creata dalla pandemia durante il 2020 e quasi tutto il 2021 ha ritardato l’inevitabile emergere della tensione latente, ma, alla fine del 2021, gli scontri tra i lavoratori delle industrie ausiliarie di Cadice e il padronato locale hanno nuovamente posto di fronte a tutti la realtà di una crisi irrisolta. Poco prima, c’era stato il lungo sciopero di Tubacex a dimostrare sia la forza di una classe proletaria che non era disposta a lasciarsi sopraffare impunemente, sia la determinazione dell’associazione padronale a non cedere di un centimetro, sempre consapevole che ogni battaglia che combatte è vitale sia per gli imprenditori coinvolti che per buona parte della borghesia.

Dopo i due scioperi, il primo duramente represso dalla polizia e dai sindacati di maggioranza, il secondo vittorioso, si è verificata una cascata di scioperi in diverse province (Pontevedra, Cantabria, Catalogna...) pur dovendo negoziare per ogni sciopero accordi provinciali. In tutte queste occasioni, la politica del padronato è stata chiara e rivelatrice: aumenti salariali, sì, ma al di sotto dell’inflazione, il che corrisponde a una diminuzione dei salari reali. In aiuto dei padroni sono intervenute, come sempre, le grandi organizzazioni sindacali, che hanno cercato di spezzare le lotte dove erano più forti (Vigo, Cantabria...), e il governo nazionale che, con alla testa la ministra del PCE, ha fatto di tutto per ottenere l’accettazione delle esigenze padronali da parte dei lavoratori.

In generale si può dire che questi cinque anni di lotte nel settore metallurgico hanno significato una sconfitta dei lavoratori sul terreno immediato. Ad eccezione di Tubacex, nel resto dei conflitti ha prevalso la volontà degli imprenditori e, nonostante la durezza delle lotte con cui hanno cercato di contestarla, i proletari non sono stati in grado di articolare una risposta, soprattutto sono stati incapaci di andare oltre i limiti provinciali in cui è stata confinata la lotta e dare, quindi, una risposta di classe.

Ma questa vittoria del padronato non significa che per loro il problema sia risolto. Dal punto di vista economico la situazione del settore metallurgico è estremamente delicata. La sovrapproduzione, sia delle materie prime metalliche nel punto iniziale della filiera, sia dei suoi derivati   in qualunque ramo produttivo del settore, è lungi dall’essere risolta e buona parte della guerra commerciale che si combatte oggi tra Stati Uniti e Cina ha come sfondo la sovracapacità di un settore chiave dell’economia nazionale e internazionale e che ciascuno di questi paesi cerca di controllare per quanto possibile. Recentemente la stampa coreana ha riferito dell’afflusso di acciaio cinese a basso costo in Corea, che ha causato perdite significative nei profitti dei colossi coreani del settore, proprio in conseguenza del cambio di destinazione di questo acciaio, un tempo diretto al mercato nordamericano: l’aumento dei dazi americani (dal 7,25% al   22,5% del valore importato) sull’acciaio cinese intensificheranno la tensione tra la Cina e i potenziali destinatari del suo surplus di prodotto, aggravando la crisi in quei paesi incapaci di controllare le importazioni come fanno gli Stati Uniti.

Questa situazione porterà a disinvestimenti sia in capitali che in impianti della grande industria metallurgica europea e a nuove ondate di licenziamenti come quelle a cui già stiamo assistendo nel settore automobilistico, direttamente o attraverso le risorse che il governo PSOE e Podemos, prima, e PSOE e Sumar in seguito, ha reso disponibili agli imprenditori.

Su questa strada Acerinox, già il 3 giugno scorso ha annunciato che, se le sue richieste non verranno accolte, licenzierà tra 450 e 575 lavoratori e che le imprese ausiliarie che dipendono dalla sua produzione dovranno licenziarne altri 500 per mantenere il suo livello di profitto medio. Ovviamente dichiarazioni di questo tipo vogliono esercitare ulteriore pressione sui lavoratori, già molto provati dal lungo sciopero che stanno conducendo, ma fanno intendere ciò che accadrà sia in Acerinox che nel resto delle aziende del settore. 

D’altronde, al di là delle questioni strettamente economiche, Acerinox è diventata una sorta di bandiera della borghesia. Se in regioni del paese come Paesi Baschi, Vigo ecc., con una classe proletaria più combattiva, i padroni sono stati costretti a giungere ad accordi, a piccole concessioni ecc., oggi nella zona di Gibilterra, come ieri a Cadice, dove la pressione della disoccupazione esistente nella regione è un’arma decisiva in mano ai padroni nella maggior parte dei casi, né i padroni dell’acciaio né la borghesia che li sostiene vogliono permettere una vittoria dei lavoratori.

Non vogliono che si crei un esempio di lotta vittoriosa, tanto meno in una regione che hanno sottoposto alla miseria negli ultimi decenni, condannando gran parte dei proletari alla disoccupazione, precarizzando i posti di lavoro che prima occupavano gran parte della popolazione o permettendo che le mafie della droga si affermino come l’unica via d’uscita per i giovani della zona. Per questo tutta la borghesia, da quella locale a quella nazionale, ha serrato i ranghi a fianco di Acerinox, garantendole tutto l’appoggio mediatico, poliziesco, giudiziario ecc. che si rivelerà necessario.

In realtà, i datori di lavoro vogliono sottomettere i lavoratori di Acerinox proprio perché hanno osato non solo lottare, ma anche organizzarsi al di fuori e contro i tradizionali canali politici e sindacali. Il Comitato di Sciopero di Acerinox non è un Comitato appoggiato dal padronato, come lo sono praticamente tutti quelli che si costituiscono in una lotta consuetudinaria, ma è stato costituito senza tener conto della rappresentatività ottenuta dalle grandi corporazioni sindacali nelle elezioni sindacali di fabbrica. In questo modo, CC.OO. e UGT (tra gli altri), che di solito hanno il compito di impedire la mobilitazione o di smontarla quando non è possibile fermarla in tempo, sono stati ridotti a un ruolo secondario, mentre i sindacati disposti a lottare apertamente contro i padroni, come ATA, si sono messi in prima linea nello sciopero, contribuendo a organizzare un Comitato capace di imporlo, difenderlo e affrontare i nemici sia esterni che interni. Anche la comparsa nelle ultime settimane di un fondo di resistenza (sembra sostenuto, almeno inizialmente, da elementi vicini alla Chiesa), rappresenta una pietra miliare per il mantenimento della lotta. È per questo motivo, per l’esempio che danno i proletari di Acerinox, che la borghesia cerca ad ogni costo di spezzare loro la schiena, per questo farà di tutto perché non vincano: la forza dei proletari di Acerinox può essere un esempio per il resto del settore e della regione, soprattutto perché parte dall’organizzazione e dalla lotta con metodi e mezzi classisti e questo è ciò che più terrorizza la classe borghese.

Da decenni sia le organizzazioni sindacali collaborazioniste che i cosiddetti partiti operai sono gli organizzatori della sconfitta sistematica della classe proletaria. Il loro compito è di permettere alla borghesia di imporre le sue esigenze non soltanto in un conflitto particolare, ma su scala più ampia. Il deterioramento delle condizioni di vita della classe operaia, i bassi salari, la disoccupazione ecc. sono le conseguenze di quest’opera che gli alleati della borghesia in seno alla classe operaia hanno portato avanti senza alleggerire nemmeno per un momento i loro sforzi.

Anche senza tornare indietro di decenni, riandiamo alla data del 2007, anno dell’inizio dell’ultima crisi capitalistica generalizzata: è evidente che sia il sindacato collaborazionista che l’opportunismo politico hanno fatto sopportare alla classe proletaria il peso della ripresa economica senza che ciò comportasse grossi danni per la borghesia. La loro politica di collaborazione di classe, sviluppata sia all’interno dell’azienda che a livello nazionale, è riuscita a mantenere vivo il mito della «solidarietà tra le classi» strutturata attraverso il sistema democratico, sostenendo l’idea che è possibile lottare solo entro i limiti consentiti dalla democrazia. Così, questo lungo (lunghissimo) periodo di pace sociale, di incapacità della classe proletaria di lanciarsi sul suo terreno di lotta, anche quella più immediata in difesa del salario o delle condizioni di lavoro, si è mantenuto quasi senza crepe. E così, la classe borghese ha accumulato una grande esperienza nel farsi carico di conflitti come quello di Acerinox, nello spezzare la solidarietà proletaria, nell’isolare i lavoratori in sciopero e nel reprimerli mentre il resto della classe non è in grado di venire in loro aiuto.

Per noi, comunisti rivoluzionari, questo tipo di scontri in cui, anche se molto tiepidamente, sembra manifestarsi una forza capace di spezzare alcuni anelli della catena che imprigiona i proletari, hanno un’importanza immensa: è da questi scontri che si possono trarre le lezioni più preziose, dove si intravvede la realtà dell’antagonismo sociale nascosto che sta attraversando la società borghese. Per quanto basse siano le aspettative di queste lotte e per quanto scarse siano le loro possibilità di successo, col rischio di essere totalmente sconfitte, il loro valore risiede in quelle lezioni, nella capacità che esse hanno di indirizzare alcuni proletari verso il terreno della lotta classista, costante e non episodica, e dell’organizzazione oltre i limiti che la stessa borghesia impone.

 

Nel nostro articolo Associazionismo operaio, fronte proletario di lotta e partito rivoluzionario oggi (pubblicato su El Programa Comunista n. 36 dell’ottobre 1980), dicevamo:

«L’organizzazione sindacale, come quella politica, non sono la mera espressione meccanica delle lotte immediate: sono la loro espressione mediata, l’espressione dell’attività delle minoranze della classe. Sono queste minoranze – peraltro molto più vaste di quella del partito – che assicurano la continuità del movimento nello spazio e nel tempo; sono queste che mantengono la continuità della propaganda, dell’organizzazione, dell’agitazione e della mobilitazione sindacale del proletariato, sia nei piccoli eventi contingenti di ogni giorno, sia nelle grandi lotte che trascinano con sé le masse più ampie e profonde della classe».

E non ci allontaniamo di un millimetro da questo dato fondamentale: la ripresa della lotta di classe del proletariato, anche sul terreno immediato, esige la comparsa di queste minoranze capaci di farsi carico della continuità tanto dell’organizzazione nella sua forma più necessaria quanto dell’estensione di ogni conflitto tra il resto dei settori della classe proletaria. Ma queste minoranze non appariranno dal nulla, non arriveranno all’organizzazione attraverso una rivelazione che tocchi direttamente la loro coscienza, ma attraverso la dura esperienza della vera lotta di classe, con le sue inevitabili sconfitte, con tutti i limiti contro cui sempre si scontra la spinta alla lotta.

Scioperi come quello di Acerinox contribuiscono necessariamente a dare a queste minoranze dei punti di riferimento, esempi che contrastano con la realtà di pace sociale che governa ovunque. E questo è il valore, e quindi l’appoggio, che ogni comunista deve dare loro.

 

 

Partito Comunista Internazionale

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