La  tragica  diffusione  di  pesticidi  in  alto  Adige dimostra  la  natura  irrazionale  del  regime  capitalista

(«il comunista»; N° 183 ; Agosto-Settembre 2024)

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Il modo di produzione capitalistico, come tutti sappiamo, è caratterizzato da una grande irrazionalità di fondo: al posto di tentare di migliorare le condizioni dell’uomo, è mosso dal profitto di una sola classe, la meno numerosa, quella che detiene i mezzi di produzione, la borghesia. Non ci stupisce dunque osservare, nel corso degli anni, come questa irrazionalità sviluppi assurde contraddizioni e peggiori le condizioni di vita generali dell’umanità. In questo caso, si tratta della Val Venosta e della coltivazione di mele.

La divisione tra campagna e città è per il capitalismo fonte di immense contraddizioni produttive, ove la meccanizzazione ed automazione della produzione agricola risulta molto più difficile della meccanizzazione ed automazione della produzione di fabbrica e manifattura. I tentativi di aumentare i margini di profitto in ambito agricolo sono dunque particolarmente importanti nel quadro generale del capitalismo. Spesso, per giungere a questi profitti, la borghesia procede in modo affrettato e spregiudicato, introducendo pesticidi ed abusandone per eliminare quanti più insetti dannosi e malattie. L’abuso dei fitofarmaci, come l’abuso degli antibiotici in ambito medico, risulta particolarmente rischioso, perché crea intere popolazioni (di batteri, insetti o parassiti d’altro tipo) resistenti al farmaco medesimo, riducendo l’efficacia del farmaco medesimo. I pesticidi hanno però anche l’effetto di rimanere a lungo in circolazione nell’ambiente naturale, diffondendosi in modo trasversale e giungendo anche a colpire, di ritorno, l’essere umano. Ciononostante, sul breve periodo, l’impiego ed abuso di pesticidi permette un aumento del margine di profitto, ed è dunque una pratica utilizzata spesso nelle aziende agricole.

Una ricerca indipendente, pubblicata sulla rivista scientifica Nature (la più eminente al mondo in ambito accademico per queste pubblicazioni), ha evidenziato il terribile stato dell’agricoltura e dell’ecosistema in Alto Adige, analizzandone le cause. La conclusione? L’abuso di fitofarmaci, soprattutto quelli utilizzati nella coltivazione delle mele, sta colpendo in modo generalizzato l’ecosistema alpino, venendo rilevato fino al Parco Nazionale dello Stelvio. In Alto Adige, in realtà, la produzione di mele costituisce un’occupazione fondamentale: il giro di affari intorno alle sole mele (senza contare nessuna attività connessa come produzione di succhi, concentrati ecc. ecc.) si attesta ivi ad oltre 700 milioni di euro, una quantità di denaro che, considerando la piccolezza del numero degli abitanti della Provincia autonoma, è piuttosto ingente. L’articolo in questione sottolinea come, in realtà, le osservazioni del 2017 (che erano costate ai ricercatori una denuncia per diffamazione da parte dell’assessore all’agricoltura) dell’Istituto Umwelt di Monaco di Baviera fossero completamente corrette nel delineare una situazione di rapida contaminazione dell’ecosistema. Ai tempi era stato rilevato l’impiego di principi attivi estremamente pericolosi e l’esposizione multipla. Ogni meleto viene trattato in media 38 volte in un anno (1). La follia capitalistica viene così una volta per tutte smascherata, nonostante le ignobili denunce che possono essere state mosse ai tempi contro una ricerca scientifica indipendente.

Il grado di diffusione delle sostanze dannose è stato ulteriormente chiarito dalla ricerca su Nature, dimostrando come in Val Venosta (che rappresenta un terzo della produzione altoatesina)  i prati vallivi vicino ai meleti sono stati contaminati con un massimo di 13 diversi pesticidi di uso comune, principalmente insetticidi e fungicidi. Inoltre, residui di pesticidi di uso comune sono stati rilevati in tutti i siti di campionamento, anche nei prati alpini remoti a 2.318 metri di altitudine (1). I residui di pesticidi stanno dunque invadendo pressoché l’intero ecosistema alpino, delineando una situazione tragica da cui sarà difficile uscire. Del resto, l’attuale non è il primo caso in cui si scopre (che sorpresa, ci viene da aggiungere!) che l’uso smodato di pesticidi è gravemente dannoso: ricordiamo, per fare un esempio celebre, il caso del DDT, che ha dimostrato in modo decisivo quanta poca cura venga impiegata dai legislatori borghesi e dagli agricoltori spregiudicati per aumentare a dismisura la produzione, senza alcuna considerazione effettiva della salute dei consumatori o dell’ambiente naturale. La diffusione di sostanze tossiche permanenti nell’ambiente è considerata ormai la norma.

Il nostro Partito può vantare di aver sempre fornito una bussola di orientamento su come, alla fin fine, il sistema capitalistico sia radicalmente opposto alle possibilità di convivenza con l’ambiente naturale e di mutuo sviluppo della società e dell’ecosistema. Vogliamo ricordare, a tal riguardo, il volume Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale, in cui vengono raccolti molti articoli ed interventi sui più disparati temi di rilevanza sociale ed ambientale, dimostrando sempre come, alla fin fine, il sistema capitalistico sia inevitabilmente distruttore dell’equilibrio con la natura. Come infatti l’anarchia del mercato danneggia l’uomo, creando immense schiere di schiavi salariati ed un piccolo numero di borghesi agevolati, così l’anarchia di mercato danneggia l’ambiente naturale, rendendo impossibile la sussistenza sul lungo periodo della nostra società nei termini in cui la conosciamo. Non solamente infatti i governi capitalistici non prendono alcuna misura per limitare gli effetti dell’inquinamento e per prevenire dunque le catastrofi naturali, ma anche il sistema capitalistico di per sé favorisce l’inquinamento, fornendo lauti profitti nell’ambito del petrolio e dei gas naturali.

Ogniqualvolta vediamo le tragiche scene di allagamenti, di malformazioni congenite, di pandemie come quella che abbiamo appena passato, è necessario ribadire sempre come la colpa non sia fuori dalle attività umane, ma come invece vi siano chiarissime responsabilità nella gestione e mancata prevenzione delle catastrofi naturali da parte della borghesia. L’uomo dispone ormai di mezzi tecnici straordinari per impedire e limitare quanto più possibile le catastrofi che si abbattono sul genere umano. Basti pensare a quanto più facile sarebbe stato gestire la pandemia di Ncov-SARS-2 da cui siamo appena usciti, se le frontiere nazionali, i nazionalismi dei vari governi e le vicendevoli accuse capitalistiche non avessero impedito una tempestiva risposta coordinata su scala globale. Il capitalismo è disorganizzato anche nei termini di risposta alle calamità naturali. Perché? Perché è un sistema sociale fondamentalmente irrazionale, contraddittorio nella sua natura e dunque incapace di dirigere in modo coordinato le forze sociali umane. Gli unici casi in cui osserviamo una grande capacità politica sono quelli in cui l’esistenza stessa del capitalismo è minacciata, come è avvenuto in Russia nel 1920, con l’intervento internazionale di tutti i Paesi avanzati contro la dittatura proletaria, o come avvenuto anni prima nel 1871, con l’unione delle forze franco-prussiane, fino a pochissimo tempo prima in guerra tra loro, per sterminare i comunardi.

Tutto ciò dimostra in modo incontrovertibile come il capitalismo non sia la fonte del benessere dell’umanità, ma una forma inefficiente ed irrazionale di produzione, che piuttosto di guardare in faccia la realtà e proporre soluzioni realistiche, preferisce imporre fame, malattia, guerra e morte al proletariato. Tutte le contraddizioni fondamentali, per quanto ogni organismo del potere borghese si sforzi vanamente di rassicurare la popolazione, non sono risolvibili all’interno di questo sistema. La soluzione è cessare di ragionare in termini di profitto, di aziende, di mercato, di denaro, e cominciare ad usare l’umanità come metro per le nostre azioni: questo non potrà essere fatto finché la forma sociale capitalistica continuerà a sussistere.

Il compito storico della classe proletaria, dunque, l’eliminazione del capitalismo e della classe borghese tramite la rivoluzione armata, la costituzione di una nuova società, il comunismo, non è solamente una necessità per l’avanzamento della Storia, ma è anche l’unica condizione per assicurare la futura salvezza ai milioni di proletari oggi sterminati dalla guerra, dal lavoro sfiancante e dalle catastrofi ambientali. Il comunismo saprà, una volta per tutte, eliminando tutta la lordura del profitto, dei monopoli, dei signori della guerra, creare una società non solamente giusta, ma anche armonica, in pieno accordo con l’ambiente in cui l’uomo vive.

Adattando ciò che dice un fondamentale testo di Partito (2): il comunismo sarà il dimenticare, rinnegare, strapparsi dalla mente e dal cuore la classificazione in cui (ci) iscrisse l’anagrafe di questa società in putrefazione, e vedere e confondere sé stessi in tutto l’arco millenario che lega l’ancestrale uomo tribale lottatore con le belve al membro della comunità futura, fraterna nella armonia gioiosa dell’uomo sociale. Nella piena armonia storica con l’umanità passata, l’umanità futura potrà vivere, finalmente, in pace con sé stessa e con l’ambiente, senza dover rincorrere folli tassi di produzione e di profitto, senza dover sopportare oppressioni e divisioni nazionaliste, senza dover più soffrire il lavoro come una pena.

 


 

1) Nicola Borzi, La coltivazione intensiva di mele avvelena di pesticidi la Val Venosta, 16 Febbraio 2024, Il Fatto Quotidiano

2) Considerazioni sull’organica attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole, punto 11, 1965

 

 

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