La teoria della lotta di classe del proletariato contro la classe borghese e contro l'ordine esistente in ogni paese è alla base della lotta per il comunismo. Il compito dei comunisti marxisti di oggi è di difendere i fondamenti della teoria marxista in tutte le sue parti e di lottare per la costituzione del partito di classe nel solco della continuità teorica, programmatica, politica e tattica tracciato dalla Sinistra comunista d'Italia fin dal 1920
( Rapporti tenuti alla Riunione Generale del 12-13 maggio 2025 )
(«il comunista»; N° 188 ; Agosto-Ottobre 2025)
Dopo la pubblicazione nel numero scorso del primo Rapporto sugli Elementi di economia marxista, pubblichiamo ora il Rapporto sulla Guerra di Spagna (1936-1939), ultima puntata della trattazione iniziata nella Riunione generale del dicembre 2016. Le puntate precedenti sono state pubblicate nei seguenti numeri de "il comunista": 147 (1936-1939. La Guerra di Spagna. Una prima sintesi delle posizioni del partito sugli eventi di Spagna), 148 (Il vero significato della Guerra di Spagna), 153 (Sulla Guerra Civile di Spagna), 157 (Riassunto sintetico della questione della terra nello sviluppo della lotta di classe del proletariato spagnolo), 167 (Il programma agrario delle organizzazioni operaie spagnole nella guerra civile 1936-1939), 176 (Il movimento proletario industriale, I.), 177 (Il movimento proletario industriale, II.), 178 (Il movimento proletario industriale, III.), 182 (Le origini del POUM, I.), 183 (Le origini del POUM, II.), 184 (Le posizione della Frazione del PCd'I all'estero - Bilan). In questa ultima puntata tratteremo ancora le posizioni della Frazione del PCd'I all'estero, ricavandole dal Prometeo dell'epoca.
Le posizioni della Frazione del PCd’I all’estero (“Prometeo”)
Per quanto riguarda questo lavoro sulla Frazione, come abbiamo accennato in precedenza, le posizioni che vengono espresse in Prometeo non differiscono sostanzialmente da quelle che abbiamo evidenziato nel nostro lavoro sui testi di Bilan. Vogliamo dire che non fornisce una spiegazione o una visione sostanzialmente diversa per cui possiamo sorvolare come “contributo” a questa parte del lavoro. Per questo abbiamo voluto soffermarci su un punto che abbiamo brevemente toccato nell’ultima riunione e che, questa volta, è molto ben espresso in Prometeo: il peso che gli eventi di Spagna ebbero sulla sezione nella sua concezione dei termini in cui il partito di classe poteva svilupparsi dopo la sconfitta del periodo rivoluzionario apertosi nel 1917. Non si tratta, quindi, di un lavoro analitico sugli articoli di Prometeo, ma piuttosto di una sintesi di quanto la Frazione sostenne a questo proposito. Riteniamo che questo sia un contributo interessante perché mette in luce punti che solitamente non vengono presi in considerazione e che mostrano la vera natura dell’evoluzione della Frazione, i problemi teorici e politici che ha dovuto affrontare ecc.
Il lavoro sinora svolto sulla questione della lotta di classe del proletariato spagnolo nel periodo della Seconda Repubblica e della Guerra Civile si conclude necessariamente con una valutazione delle posizioni della Sinistra rispetto agli eventi di quel periodo.
Questa puntata è in realtà la continuazione della precedente, che esaminava le posizioni della Frazione all’estero attraverso i testi della rivista Bilan, e una conclusione temporanea del lavoro che abbiamo svolto negli ultimi anni. Si tratta di una continuazione perché ora ci riferiamo ad alcuni articoli pubblicati dalla Frazione sul quindicinale Prometeo (pubblicato dal 1928 al 1938 come organo regolare della Frazione all’estero) che mostrano piena continuità con il lavoro che la Frazione svolgeva col Bilan, ma che mostrano anche le oscillazioni che il gruppo della Sinistra in Francia e in Belgio ebbe nel corso degli anni su alcuni punti cruciali, soprattutto sulla questione del Partito.
Ed è una conclusione perché riferendoci a questi scritti della Frazione mostriamo perfettamente l’arco storico che ci lega al lavoro che essa ha svolto nella sua difesa intransigente delle tesi del comunismo rivoluzionario: le posizioni che questo piccolo gruppo di militanti ha dovuto difendere contro la corrente e persino confrontandosi con quelli che sembravano compagni stretti (come la tendenza raggruppata attorno allo stesso Trotsky) hanno trovato conferma nei decenni che ci separano da loro e costituiscono il bagaglio teorico e politico con cui noi, oggi, affrontiamo la lotta dei nostri giorni.
Questo lavoro deve quindi essere visto come una ricapitolazione di alcuni punti essenziali riguardanti lo sviluppo del proletariato negli anni Trenta. Si tratta di punti già affrontati in precedenza, ma che, se confrontati con le posizioni sostenute dalla Frazione, assumono maggiore rilevanza, esprimendo continuità con le sue posizioni, sia nella loro individuazione che nella loro analisi.
In Spagna stiamo assistendo attualmente a una specie di “rivendicazione” della Frazione da parte di gruppi che, completamente estranei alla Sinistra Comunista d’Italia e, naturalmente, al Partito, credono di intravedere in essa la possibilità di acquisire una sorta di pedigree politico, diventando eredi fraudolenti di un background politico, dottrinale, organizzativo ecc. che serve a convalidare le loro costruzioni teoriche, il loro tentativo di innovare il marxismo. Come abbiamo accennato, la pubblicazione della raccolta di Bilan o la pubblicazione di singoli testi da parte di gruppi diversi seguono questa linea. Ma per i gruppi che cercano di contrabbandare ciò che non possono nemmeno difendere con la loro esistenza quotidiana (tutto ciò costituisce ovviamente una sonora negazione dell’esperienza storica della Sinistra), il loro “avvicinamento” alla Frazione e alle posizioni da essa sostenute nei confronti della lotta proletaria in Spagna non è altro che una rivendicazione esclusivamente formale e vuota, un tentativo di elevarla a feticcio e negarne così la vera validità storica. Essi sostengono che è proprio la sua ambiguità a far sì che abbia costituito un esempio di resistenza e permanenza durante il periodo più duro della controrivoluzione e, allo stesso tempo, abbia ceduto su alcuni punti fondamentali come conseguenza della natura totalmente ostile del tempo e dell’ambiente. In questa ambiguità, che nella Frazione è conseguenza di una lotta condotta in condizioni assolutamente sfavorevoli e senza possibilità di invertire la situazione nel futuro prossimo, queste correnti cercano di trovare una giustificazione al loro eclettismo, al loro dilettantismo e alla loro frivolezza politica, che nel loro caso possono essere spiegati solo dai loro legami con i peggiori prodotti della controrivoluzione mondiale.
Da parte nostra, affrontiamo la questione in modo completamente diverso e non nascondiamo il fatto che gli errori della Frazione nel valutare certi fatti, nell’affermare certe tesi, ecc., sono un prodotto storico che di fatto conferma le nostre tesi. La vera forza della Frazione stava nel fatto che essa portava in sé, nonostante le tante storture subite, il metodo e l’esperienza del marxismo rivoluzionario, che erano il trait d’union con l’esperienza della Sinistra comunista d’Italia e che avrebbero consentito, almeno a buona parte dei suoi membri, di rimettersi in cammino e di contribuire a quel lavoro di bilancio che il Partito aveva saputo iniziare quando la pressione della situazione storica lo aveva consentito.
1. Trotsky e la Frazione: parole d'ordine democratiche e partito
Come è noto, all’epoca della costituzione della Frazione (1928) i suoi rapporti con l’Opposizione di Sinistra guidata da Trotsky erano molto stretti. Fu proprio nello sviluppo degli eventi in Spagna che divennero evidenti le differenze tra le due correnti, rendendo impossibile la continuazione del rapporto che avevano mantenuto fino a quel momento. Sebbene non sia necessario ripercorrere gli eventi accaduti in Spagna, riassunti nei paragrafi precedenti di questo lavoro, è opportuno fornirne una breve panoramica affinché risulti chiaro quanto segue.
Nel 1914, la Spagna rimase neutrale allo scoppio della prima guerra mondiale e mantenne questa posizione (contro l’opposizione del PSOE e di parte del sindacato CNT, che volevano che il paese intervenisse nel conflitto a fianco degli Alleati) fino alla fine del conflitto. Ciò gli procurò alcuni profitti industriali, poiché esportava nei paesi avversari una buona parte dei prodotti che questi ultimi non riuscivano a produrre. Grazie a questi guadagni e alla conseguente espansione commerciale, si sviluppò, soprattutto a Barcelona, un potente proletariato, dando origine a importanti movimenti di protesta a partire dal 1916 e consolidando l’esistenza della Confederazione Nazionale dei Lavoratori (la CNT). La crisi economica seguita alla guerra europea acuì il confronto tra borghesia e proletariato da una parte e tra le diverse fazioni borghesi dall’altra. Come conseguenza della lotta tra borghesia e proletariato, il lungo periodo di terrorismo e antiterrorismo che vide contrapposti i sindacalisti della CNT alla polizia, all’esercito e ai sindacati padronali creò una situazione di estrema tensione in Catalogna, rendendo la regione praticamente ingovernabile. A causa degli scontri tra diversi strati borghesi (alcuni direttamente legati all’establishment militare e interessati a imporre un ordine rigido ispirato all’Italia fascista, altri favorevoli a proseguire con l’ordinamento costituzionale vigente fino ad allora), la situazione politica del paese divenne sempre più fragile. La guerra coloniale, condotta in Marocco contro i ribelli del Rif sotto la guida francese, contribuì ad aggravare la situazione e a far trionfare l’opzione militarista della borghesia, che auspicava una politica più aggressiva contro il nemico interno (il proletariato) e quello esterno (le popolazioni ribelli del Nord Africa). Dapprima a livello locale, rafforzandosi in Catalogna e da lì promuovendo un movimento parafascista diretto apertamente contro il movimento operaio, e poi in tutto il paese con l’ascesa al potere del generale Primo de Rivera, sostenuto principalmente dai settori militari della borghesia catalana e dal padronato catalano.
Dal 1923 al 1929, un periodo di pace dovuto all’annientamento del movimento operaio (la CNT scomparve e il PSOE partecipò al governo della Dittatura), le ripetute vittorie in Africa e la favorevole congiuntura internazionale permisero lo sviluppo di un sistema senza garanzie civili né costituzionali, con l’accordo dei principali settori borghesi, della monarchia e dell’Esercito. Ma la crisi del 1929 pose fine a questo breve periodo di relativa prosperità capitalista. La cattiva situazione economica, particolarmente acuta in un paese che dipendeva quasi esclusivamente dall’agricoltura – ricordiamo che la crisi del 1929 ebbe tra i suoi fenomeni più eclatanti una spiccata sovrapproduzione di prodotti agricoli che spinse nella miseria migliaia e migliaia di piccoli proprietari terrieri e di braccianti giornalieri –, provocò un forte sconvolgimento sociale che mobilitò diversi strati: dalla piccola borghesia, con intellettuali e studenti in prima linea, al proletariato; passando attraverso settori borghesi che, con grande lungimiranza, videro che l’unico modo per incanalare la pressione sociale che cresceva di momento in momento era quello di sbarazzarsi sia della dittatura sia della monarchia stessa. Così, dal 1930 in poi, le tensioni sociali aumentarono e fu allora, un anno prima della proclamazione della Repubblica, che sia la Frazione che l’Opposizione di Sinistra di Trotsky cominciarono a interessarsi alla situazione spagnola, entrambe le correnti considerandola dal punto di vista delle sue possibilità rivoluzionarie, vale a dire, vedendo come gli eventi avrebbero potuto precipitare verso un esito in cui la borghesia non sarebbe più stata in grado di contenere il proletariato.
La posizione di Trotsky e dell’Opposizione di Sinistra sulle possibilità implicite nella questione spagnola, in particolare sulle condizioni in cui essa avrebbe potuto aprire una possibilità rivoluzionaria al proletariato, è estremamente ambigua e incoerente. Questa corrente era pienamente consapevole che la classe proletaria spagnola soffriva di un’arretratezza politica molto significativa, in quanto il partito di classe non si era mai radicato al suo interno: neppure nel vigoroso periodo della rivoluzione proletaria iniziata nel 1917 in Russia, il proletariato spagnolo aveva superato il livello di sviluppo sindacale. Ancor meno nel 1930, quando la controrivoluzione stalinista aveva colpito duramente al cuore la stessa Internazionale Comunista e non esistevano più le condizioni internazionali per lo sviluppo del partito.
Ma l’Opposizione di Sinistra credeva che il proletariato spagnolo, grazie agli eventi che si stavano svolgendo nel paese, potesse uscire sia dall’arretratezza storica di cui soffriva da decenni, sia dalla situazione internazionale del tutto avversa, e generare il suo partito di classe basato sull’esperienza che stava iniziando a vivere. A tal fine, l’Opposizione (sulla cui scia continuava a muoversi la Frazione) affermò che era necessario che i gruppi ad essa legati svolgessero un lavoro costante in difesa delle rivendicazioni democratiche che la caduta della dittatura, sempre secondo l’Opposizione, poneva all’ordine del giorno. Riprendiamo una citazione che abbiamo utilizzato nella puntata precedente, ma che vale la pena di riprendere perché chiarisce perfettamente questa posizione, relativa al peso delle rivendicazioni democratiche nello sviluppo della lotta di classe del proletariato e del suo ipotetico partito comunista:
«Questa via [della rivoluzione democratica] presuppone, da parte dei comunisti, una lotta risoluta, audace ed energica per le parole d’ordine democratiche. Non capirlo sarebbe commettere il più grande errore settario. Nella fase attuale della rivoluzione, nel campo delle parole d’ordine politiche, il proletariato si distingue da tutti gli altri gruppi “di sinistra” della piccola borghesia non negando la democrazia, come fanno gli anarchici e i sindacalisti, ma lottando risolutamente e apertamente per questa parola d’ordine, denunciando incessantemente le oscillazioni della piccola borghesia» .
Proponendo parole d’ordine democratiche, il proletariato non intende dire che la Spagna si stia dirigendo verso una rivoluzione borghese. Solo dei freddi pedanti imbottiti di formule di routine potrebbero porre la questione in questo modo. La Spagna si è ormai lasciata alle spalle la fase della rivoluzione borghese. Se la crisi rivoluzionaria si trasforma in rivoluzione, questa supererà inevitabilmente i limiti borghesi e, in caso di vittoria, dovrà consegnare il potere al proletariato; ma il proletariato non può, in un’epoca simile, dirigere la rivoluzione, cioè radunare attorno a sé le più larghe masse di operai e di oppressi e diventare la loro guida, se non a condizione di sviluppare ora, con le sue rivendicazioni di classe e in rapporto a esse, tutte le rivendicazioni democratiche, pienamente e fino in fondo.
«Ciò avrebbe un’importanza decisiva soprattutto per la classe contadina. Quest’ultima non può concedere a priori la sua fiducia al proletariato, accettando la dittatura del proletariato come una promessa verbale. I contadini, in quanto classe numerosa e oppressa, a un certo punto vedono inevitabilmente nella parola d’ordine della democrazia la possibilità di dare la precedenza agli oppressi sugli oppressori. Il contadiname assocerà inevitabilmente la parola della democrazia politica alla radicale ridistribuzione delle terre. Il proletariato sostiene apertamente queste due rivendicazioni. A tempo debito, i comunisti spiegheranno all’avanguardia proletaria come queste rivendicazioni potranno essere realizzate, gettando così i semi del futuro sistema sovietico. Anche nelle questioni nazionali, il proletariato difende fino in fondo la parola d’ordine democratica, dichiarandosi pronto a sostenere, attraverso la via rivoluzionaria, il diritto dei diversi gruppi nazionali all’autodeterminazione, fino alla separazione»
(Trotsky, I compiti dei comunisti in Spagna, 1930, in La Rivoluzione in Spagna, a cura della Fondazione Federico Engels) (1).
Come è noto, questo fu uno dei punti di rottura tra la Frazione e l’Opposizione. Per la Frazione, che virava eccessivamente in direzione opposta ai trotskisti, parole d’ordine e rivendicazioni democratiche che, sul piano delle lotte nazionali o per quanto riguardava le stesse libertà civili, non avevano alcun significato nel momento in cui venivano vissute, perché erano state eliminate con il pieno sviluppo del capitalismo e il dominio di classe della borghesia.
Così, nel 1931, affermava:
«Ma il problema essenziale sul quale può basarsi il partito in Spagna è il seguente: il capitalismo pone problemi che sono stati oggetto di rivoluzioni borghesi in altri paesi, ma è condannato a non poterli risolvere. D’altro canto, questi stessi problemi sono insolubili in sé e possono essere risolti solo se collegati alle esigenze della rivoluzione comunista. Se il capitalismo li propone oggi in Spagna è per evitare che si intersechino con il movimento diretto all’insurrezione e per la dittatura proletaria. Il partito del proletariato, in questa situazione, deve far proprie, anche temporaneamente, queste rivendicazioni, oppure deve svelare la natura degli esercizi demagogici condotti oggi dalla borghesia e porre tutta la sua azione sulla base fondamentale della lotta per la rivoluzione comunista? A nostro avviso, solo in questa seconda direzione si può costruire un partito in Spagna. Nella prima direzione, invece, il partito non diventa altro che l’ala sinistra del blocco uniforme, che non è affatto orientato verso una soluzione proletaria della crisi, ma piuttosto verso la precipitazione opposta delle situazioni a favore dell’azione di classe sviluppate dal capitalismo».
(Prometeo, La Repubblica in Spagna n. 52, 17 maggio 1931)
Questa divergenza con l’Opposizione precipitò la rottura dei rapporti tra quest’ultima e la Frazione, che da quel momento mantenne una posizione completamente diversa rispetto al problema spagnolo, sia nell’ambito della valutazione teorica della natura degli eventi, sia in quello della critica delle posizioni sostenute dai diversi gruppi, inclusa l’Opposizione che contava pochi membri in Spagna.
Ma, al di là dell’evidente problema delle rivendicazioni democratiche (riguardo al quale la Frazione stessa si è corretta, affermando poi che queste sono in realtà rilevanti per il partito di classe anche in aree storiche in cui la borghesia era già riuscita pienamente a imporre il suo dominio di classe), persiste un errore fondamentale nelle posizioni della Frazione che la collega alle concezioni dell’Opposizione. Si tratta della questione della formazione del partito comunista e delle condizioni necessarie affinché ciò avvenga.
Poche righe prima, nello stesso articolo, la Frazione affermava:
«Il problema ora è stabilire come si possa forgiare un partito ora che siamo in presenza delle condizioni più favorevoli alla formazione di questo organismo e alla sua lotta. Date le condizioni internazionali in cui si trova l’Internazionale Comunista, la costruzione di questo partito dipende unicamente dall’azione politica dell’opposizione di sinistra in Spagna. Se questa opposizione riuscisse a risolvere il problema delle basi politiche del partito, allora, e solo allora, si aprirebbe la possibilità che gli eventi spagnoli contribuiscano direttamente ai problemi della crisi comunista internazionale».
(Prometeo, La Repubblica in Spagna n. 52, 17 maggio 1931)
E in un articolo precedente, riferendosi ai momenti precedenti l’arrivo della Repubblica:
«Gli eventi della scorsa settimana sono estremamente significativi in questo senso. Berenguer si era proposto di portare a termine la sua missione di rilanciare le Cortes per riaprire il periodo precedente l’avvento di De Rivera. La crisi economica ha reso impossibile contenere gli eventi rivoluzionari in un contenitore ridicolmente grande come la convocazione delle Cortes per il mese di marzo. Pertanto, l’ala destra dei costituzionalisti si schierò contro la convocazione delle Cortes. Quello stesso giorno doveva scoppiare lo sciopero dei ferrovieri. Se la manovra astensionista di Romanones fosse fallita, molto probabilmente si sarebbe verificato l’emergere violento del movimento proletario, il quale, pur essendo certamente sconfitto, avrebbe costruito su questa esperienza i dati fondamentali per la vittoria del giorno dopo, cioè la costituzione di un’organizzazione dirigente rivoluzionaria, vale a dire il suo partito di classe».
(Prometeo, Eventi in Spagna n. 47, 1 marzo 1931)
È evidente la differenza con le tesi della direzione trotskista dell’opposizione, che affermano apertamente la possibilità di sviluppare il nuovo Partito Comunista Spagnolo in termini che violano la concezione stessa marxista del partito di classe, poiché ne attribuiscono il destino al contributo della borghesia di sinistra. Ma persiste ancora la convinzione che il partito di classe possa svilupparsi come conseguenza diretta delle lotte immediate del proletariato. Ciò bisogna capirlo bene: non si tratta di negare, come fece l’Opposizione, la natura del partito comunista in quanto tale e il ruolo fondamentale svolto in esso sia dagli aspetti teorici e dottrinali, sia dallo stesso sviluppo politico, ma si tratta di una concessione, indubbiamente conseguenza di una valutazione eccessivamente ottimistica della situazione e di una certa esigenza di vedere un passo avanti, dopo anni di durissima sconfitta, nei termini in cui può presentarsi il partito comunista.
Qual è l’origine di questa concessione, che è essenzialmente teorica, dato che nella pratica la portata limitata della Frazione non la consentiva?
Nel nostro testo Il Partito Comunista Internazionale nel solco delle battaglie di classe della Sinistra Comunista e nel tormentato cammino della formazione del partito di classe (www.pcint.org), si illustrano le tesi della Frazione sulla questione del partito, sulla possibilità della sua ricostituzione e sulla situazione storica che può o non può favorire questa possibilità, e si afferma:
«La Frazione insistette sulla sua posizione secondo cui non era ancora giunto il momento di formare un partito, ritenendo che il momento storico non fosse favorevole alla nascita di un partito. La posizione era la seguente: noi, come Frazione, seguiamo il movimento oggettivo, la curva delle condizioni storiche oggettive, e solo quando le condizioni storiche oggettive condurranno alla rivoluzione – cosa che inevitabilmente accadrà alla fine della guerra – in quel momento ci costituiremo come partito. Noi non ignoriamo le condizioni oggettive, ma ciò che le condizioni oggettive permettono o non permettono è, in ogni caso, lo sviluppo del partito, l’influenza del partito sul proletariato, ma di per sé non ne impediscono la nascita; ciò è dovuto soprattutto a condizioni soggettive, che non possono certo ignorare la situazione storica oggettiva nel senso sopra sottolineato: di fronte a certi eventi storici devono maturare le condizioni affinché certe forze – se hanno mantenuto nel tempo e nelle condizioni più sfavorevoli il collegamento con la teoria marxista e con le lotte di classe per difendersi da ogni deviazione e aggressione opportunistica – possano fare il bilancio di questi eventi. Da questo punto di vista, il partito può nascere indipendentemente dalle condizioni oggettive favorevoli alla soluzione rivoluzionaria delle contraddizioni e degli antagonismi sociali».
Il testo citato si riferisce alla prospettiva assunta rispetto a questi punti di fronte alla Seconda Guerra Mondiale, ma vale anche per spiegare ciò che concerne la situazione spagnola. La Frazione, sostenendo che il partito comunista può apparire (riapparire) solo quando le situazioni oggettive portano alla rivoluzione, il che equivale a sostenere che il partito dovrebbe esistere solo in situazioni rivoluzionarie, presuppone che la base di questa riapparizione sia l’impulso che gli dà il movimento della classe proletaria. L’esistenza del partito, quindi, non dipende dalla formazione storica della classe proletaria, dalle forze sociali messe in moto dall’avvento del modo di produzione capitalistico e dalla scienza della rivoluzione comunista che appare con esse, il marxismo, ma dagli aspetti più contingenti, più limitati temporalmente, che si verificano nei momenti di massima tensione sociale. Il punto fondamentale, quindi, sarebbe che il partito dipenda da situazioni oggettive temporaneamente favorevoli alla sua esistenza e che, pertanto, queste situazioni non favoriscono l’espansione del partito ma piuttosto la sua stessa creazione; cioè non dovrebbero contenere un campo d’azione particolarmente benigno per il partito, bensì piuttosto gli elementi che danno origine alla sua formazione.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, e in particolare a partire dal 1952 con la fondazione del nostro Partito, la lezione principale appresa è stata che la forza centrale del Partito, la base della sua azione politica e della sua stessa organizzazione, sia nei momenti favorevoli che in quelli sfavorevoli, risiede nel legame che esso stabilisce tra i suoi membri e il partito storico, cioè l’intera teoria marxista e lo sviluppo che essa ha subito nel corso di decenni di lotta rivoluzionaria. Il Partito ha quindi al suo centro la dottrina, ed è attorno ad essa che si raccolgono i suoi militanti. Questi militanti saranno necessariamente pochi in periodi di pace sociale, ma potranno aumentare di numero quando la situazione diventerà favorevole alla lotta di classe, quindi alla lotta del partito. Secondo questa tesi, dopo un periodo di controrivoluzione così intenso come quello sperimentato con la sconfitta del periodo 1917-1928, il partito formale potrà riemergere quando sarà raggiunto il bilancio di detta controrivoluzione, quando la teoria marxista, che consiste nello studio scientifico delle condizioni in cui il proletariato può rovesciare la società borghese, sarà restaurata sulle giuste basi e posta nuovamente come asse centrale dell’organizzazione rivoluzionaria.
Per la Frazione, nel 1931, non è in questo bilancio della controrivoluzione (che non richiede una congiuntura storica favorevole per essere considerata rivoluzionaria) che va cercata la guida per la ripresa dell’attività del partito, ma nel risveglio della classe proletaria. Ed è questa deviazione che si collega a quella precedentemente enunciata: se è la lotta proletaria (non in termini storici, ma in termini contingenti) a far nascere il partito, è necessario vedere nelle lotte immediate, economiche, della classe almeno i preliminari di tale nascita.
Pertanto, i movimenti sociali che si verificarono in Spagna dopo la crisi del 1929 e che, per la loro potenza, costrinsero persino la borghesia a cambiare regime, furono interpretati dalla Frazione come l’inizio di questa “costituzione di un’organizzazione dirigente rivoluzionaria, vale a dire, del suo partito di classe”.
Bisogna tener conto che questi movimenti non sono andati oltre l’ambito sindacale; i loro limiti erano esclusivamente sindacali e, di fatto, la loro leadership fu affidata agli elementi piccolo-borghesi che guidavano l’opposizione alla monarchia. È da questa situazione che l’Opposizione trae la sua tesi assolutamente errata di un’alleanza tra le classi come base del partito comunista della rivoluzione spagnola... ma la Frazione cade anch’essa nell’errore di credere che da questo movimento, liberato dalla sua durezza borghese (da quelle parole d’ordine democratiche che essa invita a rifiutare tout court), sarebbe rinato il partito di classe. Ovviamente, questa concessione che la Frazione fa al corso degli eventi non può servire a condannarla o ad annullare la validità del lavoro che, per quanto riguarda gli eventi spagnoli, sviluppò negli anni successivi. Essa infatti, nel periodo dal 1931 al 1936, poté sostenere che ciò che caratterizzò questi eventi fu la mancanza di un partito comunista e l’impossibilità della sua creazione, sia sulla base di partiti e gruppi già esistenti, sia sull’azione di un proletariato che non riuscì mai a rompere con l’influenza delle grandi organizzazioni socialiste, anarchiche e staliniste. Ma è importante collocare questo “errore”, questa valutazione errata, nel suo giusto ordine per spiegare il vero corso del lavoro della Frazione durante quegli anni, perché è alla base di altri errori più sistematici e strutturati e perché ci consente di delimitare il valore reale di quel lavoro.
2. L’isolamento della Frazione
Nei nostri lavori precedenti abbiamo affrontato in modo molto superficiale il problema dei rapporti della Frazione con le altre organizzazioni spagnole.
Dopo la rottura della Frazione con l’Opposizione Internazionale, che era il principale movimento di opposizione ai partiti stalinisti e capofila di una sorta di reazione comune contro la loro leadership sia nei circoli operai indipendenti sia all’interno degli stessi partiti, la Frazione non fu più collegata alla rete creata dall’Opposizione. Non ebbe quindi alcun rapporto con i vari movimenti e gruppi (la Sinistra Comunista, il POUM ecc.) che dominavano in Spagna e che sono sempre stati visti come i protagonisti di una “rivoluzione sconosciuta” contro l’ordine repubblicano e contro i partiti socialista e comunista.
Come è noto, nel 1936 la Frazione subì una scissione tra una corrente (minoritaria) che interpretava gli eventi spagnoli come una rivoluzione proletaria in corso e un’altra (maggioritaria) che caratterizzava la guerra appena iniziata come uno scontro interimperialista tra due schieramenti borghesi.
Questa rottura non portò ancora a una scissione definitiva e, pertanto, permise la pubblicazione sulla rivista Bilan dei testi del movimento minoritario (molti dei cui militanti si recarono in Spagna per combattere sui fronti di guerra). Infatti, diversi delegati della maggioranza si recarono in Spagna per mantenere i contatti con gli esponenti della minoranza, i quali solo nel dicembre 1936, con il decreto di militarizzazione delle milizie, giudicarono che la situazione aveva cessato di essere rivoluzionaria e abbandonarono la partecipazione alla guerra. Questi contatti, come documentato da alcuni storici, ebbero luogo nel 1936 sia sul fronte stesso che nella città di Barcellona, allora epicentro della “rivoluzione antifascista” e dove, ovviamente, la classe operaia possedeva maggior forza.
L’incontro tra le due tendenze si rivelò infruttuoso e servì a confermare che le divergenze tra loro non si erano ancora colmate, ma anzi erano iniziate e si erano ampliate sulla base delle loro posizioni divergenti proprio riguardo gli eventi di Spagna.
In seguito alle informazioni pubblicate in Spagna su tale questione, a seguito di questo incontro, i membri della Frazione hanno tenuto degli incontri con la dirigenza del POUM. Di conseguenza, le divergenze inconciliabili tra questa cosiddetta “sinistra” e la Frazione furono ancora una volta evidenti, al punto che i delegati di quest’ultima furono quasi fucilati da miliziani vicini al POUM e contrari alle tesi sulla natura imperialista della guerra da loro difese.
Queste valutazioni, che non aggiungono nulla che non sia già noto, dovrebbero servire da esempio del fatto che l’isolamento della Frazione deve essere messo in relazione con la sua coerenza con le tesi della Sinistra Comunista d’Italia nel valutare la realtà dello scontro tra le due parti belligeranti in Spagna. Non c’era alcuna possibilità di stabilire legami con nessuno dei gruppi o movimenti esistenti in Spagna, i quali, con piccole differenze, seguivano tutti la politica di collaborazione con la borghesia sostenuta da grandi organizzazioni come il POUM e la CNT. Nessuno dei gruppi tradizionalmente considerati di sinistra del blocco antifascista si avvicinò in alcun momento alle tesi della Frazione, né per conoscenza diretta delle stesse, né perché, nel vivo degli eventi, elaborarono una critica dell’alleanza frontista con la borghesia che aveva caratterizzato tutti i gruppi dopo l’avvento della Repubblica.
E’ necessario chiarire questo punto perché negli ultimi anni abbiamo sentito echi di alcune posizioni che hanno tentato di trovare nelle particolarità di alcuni piccoli gruppi una sorta di approssimazione alle tesi della Sinistra, o almeno la loro partecipazione al movimento della Sinistra.
Riguardo a uno di questi gruppi, quello che a volte è stato chiamato Sinistra Comunista Spagnola e che corrisponde ai resti del trotskismo in Spagna dopo l’arrivo della corrente di Andrés Nin al POUM, abbiamo già scritto in testi precedenti (vedi La guerra di Spagna, II. La presunta “sinistra” comunista spagnola contro la sua “rivoluzione democratica”, in El Programa Comunista n. 54) e tutti i lavori successivi sull’Opposizione di Sinistra possono contribuire a mostrare come questa corrente fosse pienamente allineata sulle posizioni democratiche comuni al resto delle organizzazioni, nonostante la retorica “socialista” che le accompagnava. Da questa base è facile comprendere che questo movimento non poteva in alcun modo rompere con l’antifascismo e il collaborazionismo; che il rifiuto della guerra imperialista e l’inquadramento dei proletari nella lotta contro entrambe le borghesie, fascista e antifascista, non potevano essere sviluppati sulla base delle loro posizioni, neppure in termini meramente testimoniali.
Ancora più difficile è accettare che altre correnti, in particolare l’«opposizione interna» del POUM, guidata dai militanti della Cellula 72 di Barcellona, possano incarnare, in un certo senso, una critica teorica e politica come quella indicata sopra. Evidentemente, l’andamento della guerra in Spagna, che al suo inizio vide una potente mobilitazione proletaria che sconfisse l’esercito in molte città, costringendo la borghesia repubblicana a prendere le distanze dal colpo di Stato, generò una tensione crescente poiché le milizie sul fronte di guerra venivano neutralizzate dall’esercito franchista e successivamente liquidate dalla militarizzazione repubblicana e, come nella retroguardia, le condizioni di guerra venivano imposte principalmente al proletariato. Ciò si rifletteva nelle organizzazioni politiche e sindacali che erano particolarmente sensibili a questa situazione, poiché la ricostruzione dello Stato repubblicano era stata realizzata grazie a loro e, pertanto, dovevano imporre le rivendicazioni belliche della borghesia al proletariato che rappresentavano. Per questo motivo sono nate le “opposizioni” all’interno del POUM o della stessa CNT-FAI (principalmente il gruppo Los Amigos de Durruti). Ma tutti quanti cercavano semplicemente un ritorno (impossibile in ogni caso) alla situazione del luglio-agosto 1936, quando il Comitato delle Milizie Antifasciste (un organismo parastatale che riuniva la borghesia di sinistra con i sindacati e organizzazioni politiche) esercitava ancora un certo potere di fronte al crollo dell’apparato nazionale e regionale (in Catalogna).
Per la Frazione è sempre stato ovvio che da queste posizioni, anche quelle più critiche nei confronti della direzione politica e sindacale delle organizzazioni operaie, era assolutamente impossibile che si verificasse uno spostamento verso tesi marxiste e tanto meno che emergesse un qualsiasi fermento del partito comunista di domani.
Nel 1926, nella celebre risposta di Bordiga alla lettera in cui Korsch proponeva a lui (e quindi alla Sinistra d’Italia) di porsi alla testa di un’alleanza internazionale dei movimenti di sinistra antistalinisti, egli affermò che la ripresa dell’attività di un movimento di sinistra internazionale basato sul marxismo rivoluzionario, come aveva fatto Lenin dopo il crollo della Seconda Internazionale, non sarebbe avvenuta attraverso un raggruppamento di elementi, gruppi e frazioni teoricamente e politicamente eterogenei; che un simile raggruppamento, se realizzato, avrebbe riprodotto molti degli errori che furono all’origine dell’Internazionale Comunista. In effetti, le basi della riorganizzazione internazionale del movimento comunista, come si dimostrò a partire dal 1952 con la nascita del nostro Partito, dovevano essere ricercate nel bilancio della controrivoluzione, profondo e capace di svelarne sia le vere radici sia l’erroneità di certe reazioni, e nel legame che questo avrebbe consentito con il filo rivoluzionario che lo stalinismo aveva spezzato.
È in linea con questa lezione che bisogna criticare la tendenza ad amalgamare, a unire senza altra base che quella di una coincidenza occasionale di alcune osservazioni, questo tipo di corrente (quella trotskista, l’ala sinistra del POUM ecc.) con la Frazione. Non esiste un blocco, né omogeneo né eterogeneo, in cui siano uniti. Non esiste neppure una visione approssimativamente simile per quanto riguarda i problemi della lotta di classe proletaria in Spagna. Non esiste un “campo internazionalista” adatto a tutti. L’isolamento politico della Frazione continua ancora oggi: solo all’interno della Sinistra Comunista d’Italia si è potuto tracciare un bilancio della sconfitta proletaria nel periodo 1917-1927, e solo con gli strumenti di questo bilancio si possono studiare gli avvenimenti spagnoli senza cadere in deviazioni o nell’elogio di gruppi e organizzazioni che nulla hanno a che vedere con il marxismo rivoluzionario.
Ma questo isolamento della Frazione rispetto agli eventi spagnoli deve essere relativizzato se si adotta un’altra prospettiva. La Frazione non strinse legami con nessun partito, movimento o organizzazione spagnola e certamente non credeva che nessuno di essi potesse sviluppare il partito comunista che mancava in Spagna. Ma gli eventi in Spagna giocarono un ruolo decisivo nel cambiare la direzione delle relazioni della Frazione con altri gruppi al di fuori della Spagna. Nello specifico, a partire dalla primavera del 1937, dopo i cosiddetti eventi di maggio, la Frazione decise di intraprendere una nuova strada nei rapporti con gli altri gruppi e tentò di stringere un’alleanza con loro.
Citiamo di seguito il testo Piombo, schegge e prigione: così risponde il Fronte Popolare ai lavoratori di Barcellona che osano resistere all’attacco capitalista (BILAN n. 41, maggio 1937):
«La battaglia internazionale del capitalismo contro il proletariato che si sta svolgendo in Spagna apre un nuovo capitolo internazionale nella vita delle frazioni di tutti i paesi. Il proletariato mondiale, che continua a lottare contro i costruttivisti internazionali, sa che potrà fondare queste organizzazioni solo quando le situazioni provocheranno uno shock nei rapporti di classe, aprendo così la strada alla rivoluzione comunista.
«Ma, di fronte a una battaglia internazionale che preannuncia lo scoppio di agitazioni rivoluzionarie in altri paesi, il proletariato mondiale ritiene che sia giunto il momento di procedere alla costruzione del primo legame internazionale tra le frazioni della sinistra comunista».
Come è noto, gli eventi del maggio 1937 consistettero in una battaglia durata più giorni, principalmente all’interno della città di Barcellona, tra le forze di coalizione del governo regionale e dello Stato centrale, con la collaborazione dei battaglioni armati del PCE-PSUC, contro i resti del controllo esercitato dai lavoratori su alcuni aspetti della vita sociale cittadina. In quei giorni, che furono il canto del cigno del movimento operaio organizzato in Spagna, le forze borghesi, rafforzate ora che le milizie operaie erano state praticamente liquidate sul fronte di guerra, attaccarono le posizioni operaie (fabbriche controllate dagli operai, pattuglie operaie, sedi sindacali ecc.) e si impegnarono in uno scontro armato con alcuni settori della CNT, del POUM e di altri gruppi. Soltanto l’intervento dei ministri anarcosindacalisti, che invitarono gli operai ad arrendersi, e la deliberata inazione dei dirigenti del POUM riuscirono a far sì che gli operai, che avevano preso le armi per difendere le poche conquiste che ancora avevano, sconfiggessero (almeno temporaneamente) le forze borghesi.
La Frazione considerò questi eventi decisivi perché, per essa, chiarivano i termini del vero scontro di classe e aprivano la porta alla ricostituzione del partito comunista:
Le morti di Barcellona aprono la strada alla costruzione del partito della classe operaia di domani. Tutte le forze politiche che chiamavano i lavoratori a battersi per separare la lotta per la rivoluzione dalla guerra del capitalismo contro il proletariato sono ora TUTTE dall’altra parte della barricata e, davanti ai lavoratori di tutto il mondo, si apre l’orizzonte luminoso in cui i morti di Barcellona hanno scritto, col loro sangue, una nuova pagina che si aggiunge a quelle scritte dai morti del 1914-18: la lotta dei lavoratori è proletaria solo a condizione che sia diretta contro il capitalismo e il suo Stato, serve gli interessi del nemico se non è diretta contro di esso, in tutti i casi, in tutti i campi, in tutte le organizzazioni a cui danno origine le situazioni e che diventano strumenti del nemico se non restano in costante opposizione ad esso.
Per la Frazione, dunque, il ruolo che necessariamente doveva occupare il lavoro di bilancio della controrivoluzione, di valutazione storica dei termini in cui si era consumata la sconfitta dell’ondata rivoluzionaria apertasi nel 1917, era occupato dalla verità rivelata dagli eventi del maggio 1937. In questa affermazione c’è senza dubbio un certo eccesso retorico, uno slogan infiammato dal contesto, ma ciò che la sottende è una valutazione inadeguata della reale portata di questi eventi. Infatti, nel maggio del 1937, mentre i proletari affrontavano con le armi in pugno le forze della coalizione antifascista spagnola, la vera natura della controrivoluzione non era ancora stata rivelata apertamente, o almeno non forniva gli elementi necessari per comprenderne la vera portata.
Gli operai stessi furono sconfitti non tanto dalla forza delle armi quanto dall’influenza esercitata su di loro dai dirigenti sindacali e politici che avevano innalzato la bandiera antifascista, sintomo del peso che ancora avevano tra loro (e avrebbero continuato ad avere per molti anni a venire) l’opportunismo socialdemocratico e stalinista (dato che la corrente libertaria poteva essere assimilata di fatto, come appendice senza entità propria, a entrambi).
Il maggio 1937 non poteva avere il peso internazionale necessario per correggere la rotta del movimento comunista, né poteva rappresentare un appello al fronte di classe del proletariato italiano, francese o tedesco, ormai totalmente sconfitto. Non fornì gli insegnamenti necessari perché durante gli scontri l’essenza controrivoluzionaria dello stalinismo e dei suoi alleati non era visibile, almeno non abbastanza da invertire l’influenza decisiva che aveva avuto tra i proletari e la diffusa accettazione da parte loro del mito della lotta antifascista.
La Frazione, tuttavia, voleva vedervi un nuovo 4 agosto 1914 e intenderli come un appello alla riorganizzazione politica delle diverse correnti e tendenze in vista della ricostruzione del partito. In questo modo, da una parte, si cercò di risolvere il problema decisivo dell’importanza della controrivoluzione e dell’equilibrio al quale essa doveva necessariamente sottoporsi (questione per la quale, dal punto di vista storico, non esisteva ancora alcuna possibilità) e, dall’altra, di forzare un riavvicinamento con altre correnti, fino ad allora rimaste estranee alla Sinistra Comunista d’Italia e che ora si ritenevano suscettibili di evolversi sulla base degli insegnamenti tratti dagli avvenimenti spagnoli.
Per questo motivo, poco dopo, venne creato l’Ufficio Internazionale delle Frazioni della Sinistra Comunista, con l’intento di unire diverse correnti che condividevano tesi simili. Alla base di questa nuova organizzazione c’era la convinzione che la rivoluzione mondiale fosse più vicina del previsto e che fosse necessario accelerare la formazione del nuovo partito comunista.
In realtà, questo Ufficio non aveva altro scopo che quello di unire una sezione della Lega dei comunisti internazionalisti del Belgio, che aveva rotto con esso proprio a causa della valutazione data della guerra di Spagna come uno scontro imperialista, con la Frazione. Il successivo corso degli eventi avrebbe dimostrato che, nonostante questa unione, la situazione storica era ancora estremamente sfavorevole e ci sarebbero voluti quasi due decenni prima che il compito di ricostruire il Partito Comunista, anche in una forma embrionale, potesse essere portato a termine.
(1) Vedi anche: Trotsky, la Frazione del PCd'I e le "parole d'ordine democratiche" in "il programma comunista" nn. 7 e 9 del 1981.
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