Per un salario che recuperi l’aumento del costo della  vita !

Per un salario di disoccupazione a tutti i proletari licenziati !

Da qui e’ necessario ricominciare a lottare !

(«il proletario»; N° 3; Supplemento a «il comunista» N. 111 - Gennaio 2009)

 

I lavoratori devono lottare per l’aumento del salario perché esso fa parte della lotta più generale dei proletari per la loro sopravvivenza; infatti se lottano per il recupero del potere d’acquisto perso del loro salario quando sono ancora occupati, sono anche in grado di porre un fronte di difesa domani quando l’azienda per cui lavorano chiude, lottando per un salario di disoccupazione.

Se non si lotta per difendere il salario, diventerà ancora più facile per i padroni sbarazzarsi degli operai ritenuti in esubero: così passano i licenziamenti, passa la cassa integrazione e la mobilità, e i padroni riducono le loro perdite di fronte alla crisi di mercato mentre i lavoratori salariati vanno in malora.

Se tutta una serie di conquiste fatte negli anni Settanta è scomparsa è perché la classe operaia non è scesa in campo a lottare con metodi e mezzi classisti nel momento in cui quelle conquiste venivano rimesse in discussione dai padroni e dai governi; è perché essa ha delegato al collaborazionismo sindacale tricolore la gestione di quelle conquiste. Quando la scala mobile fu levata completamente a partire dal ’93, il salario ha cominciato drasticamente la sua discesa fino a dimezzarsi oggi nel suo potere d’acquisto. Gli operai negli anni Settanta hanno lottato molto duramente nonostante l’influenza e la direzione del collaborazionismo tricolore, e non si sono sottratti agli scontri di piazza con feriti e morti: potevano contare ancora  su una determinazione e un’abitudine alla lotta che derivava da una tradizione classista che non si era persa del tutto e che nessuna scuola borghese certo insegna mai. Quella tradizione classista va riconquistata!   

Non lottare per l’aumento del salario significa agevolare i padroni nella sua riduzione e nel peggiorare contemporaneamente le condizioni di lavoro; aumenta inevitabilmente la concorrenza fra proletari, fra gli stessi operai italiani e fra gli operai italiani e gli immigrati. Da tempo aumentano i ritmi e i carichi di lavoro per coloro che rimangono in produzione: ma tutto questo non li garantisce dal licenziamento come ormai è più che dimostrato in moltissime aziende ed è più che minacciato dai padroni e dal governo; gli operai perdono e perderanno il posto di lavoro senza nemmeno un salario di disoccupazione!

I salari già bassi continuano a diminuire contro un continuo aumento del costo della vita: ma i padroni continuano a licenziare, a mettere in cassa integrazione sempre più lavoratori, a chiudere le aziende. Questo dimostra che non lottare non fa conservare il posto di lavoro, ma, al contrario, lo si perde più facilmente; dimostra che il non lottare per difendere il potere d’acquisto del salario non ha fermato la sua continua diminuzione, ma al contrario l’ha facilitata!

La crisi in cui sta precipitando il capitalismo è crisi di sovrapproduzione: troppe merci da un lato, troppi affamati e proletari immiseriti dall’altro. Il mercato non dà da mangiare a miliardi di uomini, ma si “blocca” per l’enorme quantità di merci che non si vendono. Così tutta la catena della produzione di merci va in tilt, falliscono le aziende, i licenziamenti e la disoccupazione aumentano a dismisura. L’unico modo che la borghesia conosce per uscire dalla sua crisi è la grande distruzione di tutte queste merci attraverso nuove guerre regionali in un crescendo continuo fino ad una nuova guerra mondiale, per poter di nuovo riprendere l’osceno ciclo di produzione e riproduzione del capitale a tassi di sfruttamento del lavoro salariato più alti ancora.

I proletari devono tornare a lottare sul terreno della lotta di classe, dell’antagonismo che li oppone oggettivamente contro la classe borghese e i suoi servi; devono lottare per unire giovani e meno giovani, pensionati, immigrati, disoccupati, precari, per impedire la nera prospettiva in cui la classe borghese e il suo sistema capitalistico li vogliono gettare: verranno istigati dal nazionalismo a farsi la guerra gli uni contro gli altri, ma tutti proletari egualmente in miseria e alla fame; saranno spinti a massacrarsi come già oggi in guerre cosiddette etniche o anti-terroristiche e a difendere quello stesso capitalismo che li affama, li getta in miseria, li tratta come carne da macello.

 

LA  BORGHESIA  NON  TROVERA’  UN  POSTO  DI  LAVORO  AI  DISOCCUPATI,  BENSI’  UN  POSTO DOVE MORIRE  IN UNA GUERRA CHE SERVIRA’ SOLO AD UNA  SPARTIZIONE DIVERSA DEL MERCATO MONDIALE!

Riprendere la lotta di classe significa avere molte possibilità di bloccare questa  prospettiva di guerra borghese; se i proletari non riprendono a lottare con obiettivi, metodi e mezzi di classe essi continueranno a subire le misure e la politica della borghesia fino al mastodontico massacro mondiale. I lavoratori salariati devono rifiutarsi di delegare la propria sorte ai sindacati collaborazionisti e ai partiti opportunisti: la propria vita non va messa in mano a chi ha dimostrato fino alla nausea di difendere gli interessi e le esigenze del mercato, quindi della borghesia dominante.

 

La classe proletaria ha già dimostrato nella sua lunga storia di lotta antiborghese di avere la capacità e la possibilità di affrontare la classe borghese dominante sul terreno dell’aperto scontro di classe: il terreno controrivoluzionario è anche il terreno della rivoluzione. La lotta può cominciare anche solo sul terreno degli interessi immediati, per un salario decente o per una giornata di lavoro più corta. La solidarietà di classe, la coscienza della propria forza cresceranno con il procedere della lotta, perché sarà sempre più una questione di vita o di morte!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

Dicembre 2008

www.pcint.org

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