La società borghese vive sulla miseria crescente del proletariato

(«il proletario»; N° 3; Supplemento a «il comunista» N. 111 - Gennaio 2009)

 

Lo sviluppo del capitalismo porta necessariamente all’accumulazione di capitale (quindi, nella società borghese, di ricchezza) da una parte e di miseria dall’altra. Questa tesi marxista è confermata sistematicamente da più di centosessant’anni. I capitalisti parlano continuamente di «crescita economica», di «espansione economica», di «aumento della produttività» come obiettivi primari della società nel suo complesso, ponendoli come obiettivi a cui sono interessate tutte le classi sociali, borghesi capitalisti, proprietari terrieri, proletari; e naturalmente tutte le varie categorie sociali della piccola borghesia. Per i borghesi è ovvio parlare in questo modo, come è ovvio governare e dominare la società secondo questi criteri poichè sono criteri inerenti esclusivamente alla valorizzazione del capitale, ossia alla produzione e riproduzione di capitale, il più allargata possibile.

Nei periodi di crisi economica del capitalismo - come quello che stiamo attraversando - viene però più in evidenza,  anche agli occhi delle masse proletarie, che i cosiddetti interessi comuni fra padroni e proletari, fra governanti e masse lavoratrici, alla crescita economica e all’aumento della produttività non esistono. La crisi del capitalismo spinge i capitalisti a sfruttare ancor più il lavoro salariato, perché il loro obiettivo è recuperare le quote di profitto che la crisi brucia. E questo vale per tutti i paesi, a regime repubblicano o monarchico, a capitalismo avanzato o a capitalismo sottosviluppato.

La crisi provoca inesorabilmente una recessione economica, la diminuzione della produzione, la chiusura di fabbriche e aziende, e quindi l’estromissione dalla produzione - dai posti di lavoro - di masse sempre più imponenti di proletari. La disoccupazione aumenta progressivamente: più viene accumulato capitale, più aumenta la produttività del lavoro di ogni singolo lavoratore salariato, più cresce la quantità di operai in «esubero», più cresce la precarietà del posto di lavoro e del salario, più cresce la disoccupazione. Si forma così in ogni paese una enorme massa di proletari non impiegati nelle attività economiche capitalistiche, una sovrapopolazione relativa, il famoso esercito industriale di riserva.

Dunque, sostiene Marx nel Capitale,  Libro I, cap. XXIII: «Quanto maggiore è la ricchezza sociale, ossia il Capitale in funzione, l’estensione e l’energia del suo accrescimento, come anche il numero assoluto dei proletari e la forza produttiva del loro lavoro, tanto più cresce la sovrapopolazione relativa, ossia l’esercito industriale di riserva. Queste stesse cause sviluppano tanto la forza lavoro disponibile, quanto la forza di espansione del capitale. La proporzionale grandezza dell’esercito industriale di riserva crfesce così col crescere della ricchezza. Ma quanto più la riserva è grande in rapporto all’armata attiva di lavoro, tanto maggiormente cresce la sovrapopolazione stagnante la cui miseria sta in rapporti inverso al suo tormento di lavoro. Ed infine, quanto più ampio è questo strato di Lazzaro della classe operaia e l’esercito industriale di riserva, tanto più grande è il pauperismo ufficiale, burocraticamente riconosciuto. Questa è la legge assoluta generale della accumulazione capitalistica».

Questa è legge fondamentale del capitalismo, valida per tutto l’arco storico della sua esistenza. La sua scoperta la si deve al marxismo che, non solo ha individuato i segreti dell’economia capitalistica svelandoli agli stessi borghesi, ma soprattutto ha tirato tutte le conseguenze da questa scoperta: prima di tutto, che il capitalismo è un modo di produzione storicamente determinato e non eterno, poi ché il suo apparire rivoluzionario sulla scena storica è stato seguito da una evoluzione dapprima riformista e in seguito reazionaria e conservatrice incapace di assicurare ad una grande maggioranza della popolazione umana la vita; poi, che il capitalismo rappresenta nella lunga storia dei modi di produzione che si sono succeduti finora l’ultimo modo di produzione che si basa sulla divisione della società in classi contrapposte, e che, infine, la borghesia, appropriandosi della ricchezza sociale prodotta, produce allo stesso tempo i suoi seppellitori, i suoi becchini: la classe del proletariato.

La miseria che aumenta a dismisura negli strati del proletariato in tutto il mondo, combinata con uno sfruttamento sempre più bestiale della parte di proletari occupati nella produzione di merci, e quindi di profitto, e con il progressivo sviluppo delle condizioni materiali  di scontri di guerra fra gli Stati, sono i fattori oggettivi che spingono le masse proletarie a ribellarsi, ad opporsi alla condanna del tormento del lavoro salariato e al tormento della mancanza di lavoro, a resistere alla completa rassegnazione ad una vita di miseria e di fame e ad una morte certa. L’odio con cui la classe dei capitalisti domina e schiaccia la classe dei proletari è spesso mimetizzato sotto le frasi propagandistiche sui valori di una civiltà che in realtà non conosce se non la legge del capitale e del profitto capitalistico che si basa solo sullo sfruttamento del lavoro salariato, sulla privata  appropriazione della ricchezza sociale prodotta e sul cinico utilizzo delle masse proletarie alla difesa degli interessi capitalistici sia quando le impiega a salari sempre più bassi nella produzione, sia quando le espelle dalla produzione e  dal salario, sia quando le irreggimenta militarmente come carne da macello!

La forza sociale che il proletariato rappresenta storicamente, e il suo numero estremamente superiore a quello dei borghesi e dei piccolo borghesi, o viene organizzata sul terreno dello scontro quotidiano con i padroni con obiettivi, metodi e mezzi della lotta di classe - che prevedono la difesa esclusiva degli interessi proletari contrapposti e antagonistici a quelli borghesi - e quindi combatte in modo unificante la concorrenza che i padroni alimentano tra i proletari, o quella forza sociale è usata soltanto ai fini della conservazione del capitalismo. Le forze dell’opportunismo sindacale e politico lavorano esattamente nella direzione della conservazione del capitalismo, per renderlo eterno; le forze classiste e i comunisti rivoluzionari - che rappresentano il futuro del proletariato nel presente capitalistico - hanno il compito di riorganizzare i proletari sul terreno della lotta di classe, l’unico sul quale i proletari possono allenarsi per una lotta ben più alta e storicamente importante, la lotta rivoluzionaria per abbattere la borghesia e il suo Stato e finirla per sempre con il capitalismo, aprendo la strada ad una società in cui la miseria, la fame, gli orrori della guerra non esisteranno più. Per questo fine storico il proletariato dovrà contare sul  partito di classe, il partito comunista di Marx e Engels del Manifesto del 1848, e per il quale noi diamo e daremo il massimo delle nostre forze.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

www.pcint.org

 

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