Viva il Primo Maggio proletario e comunista!

(«il proletario»; N° 7; Supplemento a «il comunista» N. 116 - Aprile 2010)

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Compagni lavoratori!

Proletari delle città e delle campagne!

Proletari nativi e migranti!

 

Le condizioni generali di vita e di lavoro le conoscete bene: da anni non fanno che peggiorare, diventando sempre più insopportabili.

Miseria, fame, guerre, distruzioni, catastrofi cosiddette «naturali» sono all’ordine del giorno. Mentre da un lato assistiamo ad un’iperproduzione di beni di ogni tipo, spesso più nocivi che utili, dall’altro lato assistiamo alla distruzione sistematica di forze produttive e dell’ambiente naturale: la società presente non ha da offrire più alcun progresso, alcun benessere se non per la classe dominante borghese che rappresenta solo l’estrema minoranza della popolazione mondiale.

La causa profonda di questo continuo e generale peggioramento della vita umana va cercata nel modo di produzione capitalistico, base della società borghese. La classe borghese, la classe dei capitalisti, costituitasi classe dominante per via rivoluzionaria tra il XVIII e il XIX secolo, è ancora stabilmente al potere in tutto il mondo, mentre la sua società, terminata la fase storica di progresso economico e umano rispetto alle società precedenti, si conserva solo attraverso lo sviluppo di contraddizioni sempre più acute: lo sviluppo delle forze produttive non è finalizzato alla razionale vita economica della specie umana e all’armonia sociale, non è finalizzato a soddisfare i bisogni umani, ma ad accumulare la ricchezza sociale nelle mani della sola classe borghese a discapito della stragrande maggioranza della popolazione umana e a soddisfare i bisogni del mercato e del capitale, forze sociali che si dimostrano economicamente sempre più irrazionali e disumane. Il lavoro umano, invece di produrre benessere, conoscenza e sviluppo armonico in una società organizzata, al  cui centro vi sono i bisogni umani, è disumanizzato, è indirizzato totalmente contro le necessità della specie umana a favore esclusivamente del profitto capitalistico.

La classe borghese dominante non ha nessuna possibilità di accumulare le gigantesche ricchezze prodotte dal lavoro umano e matenerne con la forza la proprietà, se non schiacciando l’intera classe del proletariato nelle condizioni di schiavitù salariale, costringendo i proletari di tutto il mondo a farsi sfruttare fino all’ultima goccia di sudore e sangue in cambio di un misero salario, di una vita annichilita nel tormento del lavoro o nel tormento della disoccupazione!

Il proletariato, la classe dei senza-riserve, dei possessori di forza-lavoro che, per sopravvivere, devono venderla ai padroni «datori di lavoro», non è soltanto la classe salariata che i capitalisti sfruttano a loro piacimento, ma è l’unica classe che col suo sfruttamento genera un valore aggiuntivo ad ogni attività umana, un valore che il sistema capitalistico trasforma in profitto a favore soltanto dei capitalisti. La società dal capitale, la società borghese, è interamente organizzata perché i capitalisti possano continuare a sfruttare alle condizioni dettate dai loro interessi il lavoro salariato dei proletari, in ogni angolo della terra. I proletari, se non vogliono essere schiacciati nella miseria più nera, nelle condizioni di veri e propri schiavi affamati e distrutti dalla fatica e dalle umiliazioni, devono per forza ribellarsi, lottare, unire le proprie forze prima di tutto per resistere più efficacemente alla pressione e alla repressione del sistema borghese e capitalistico, e poi, nella maturazione storica delle condizioni favorevoli al superamento dello stato di cose presente, per rivoluzionare da cima a fondo l’intera società.

 

Compagni lavoratori!

Proletari delle città e delle campagne!

Proletari nativi e migranti!

 

La crisi economica che si presenta sistematicamente dopo brevi periodi di «prosperità e di ripresa economica», torna regolarmente a pesare sulle spalle di milioni e milioni di proletari. Gli stessi mezzi di propaganda borghesi parlano chiaro: le aziende falliscono e chiudono, i lavoratori vengono gettati nella disoccupazione e nella più terribile precarietà, il potere d’acquisto dei salari precipita e i proletari vengono spinti sempre più ai margini di una società che hanno contribuito a rendere civile e florida. Con la crisi economica crescono i fattori di degenerazione della società, la delinquenza, la prostituzione, l’uso e l’abuso di alcool e droghe; crescono la violenza economica e il ricatto materiale con cui tutti i padroni rendono sempre più soffocante il comando sul lavoro degli operai, cresce il dispotismo nelle fabbriche, negli uffici, nei campi e nella società, crescono sempre più la violenza e i soprusi delle forze di polizia che agiscono al riparo di una tacita immunità giustificata da leggi inique e antiproletarie, cresce sempre più la concorrenza tra proletari, messi gli uni contro gli altri ad esclusivo beneficio dei padroni e di un sistema sociale che continua a sopravvivere alla condizione di perpetuare la schiavitù salariale, lo sfruttamento bestiale della forza lavoro proletaria, la distruzione di vite nei posti di lavoro, sulle strade o nelle guerre di rapina che le borghesie continuano a farsi al solo scopo di sopraffare il concorrente assicurandosi una fetta di mercato in più!

La crisi economica della società capitalistica costringe ogni governo ad adottare misure economiche, sociali e politiche definite «d’emergenza»; ma la storia di tutte le crisi economiche che hanno punteggiato il corso di sviluppo del capitalismo dimostra che le misure che la borghesia adotta di volta in volta non risolvono le crisi: si limitano a spostare nello spazio e nel tempo i fattori di crisi che si ripresentano successivamente con più forza distruttiva. Il capitalismo, sviluppando se stesso sviluppa necessariamente i fattori della sua crisi più generale in un crescendo storico che può essere interrotto soltanto in due modi: o con la guerra fra gli Stati capitalisti, sempre più generale e portatrice di spaventose distruzioni e stermini giganteschi, finalizzata ad un nuovo ordine nei rapporti di forza fra gli imperialismi dominanti, oppure con la rivoluzione proletaria nella quale il partito di classe organizza, e oppone alla violenza delle classi borghesi e dei loro Stati, la violenza rivoluzionaria con la quale strappare dalle mani borghesi il potere politico e indirizzare le energie di classe e sociali al superamento definitivo delle cause profonde delle sistematiche distruzioni di beni e di forze produttive, al superamento del capitalismo come sistema sociale e come modo di produzione, aprendo in questo modo la storia della specie umana ad una società superiore, al comunismo.

 

Compagni lavoratori!

Proletari delle città e delle campagne!

Proletari nativi e migranti!

 

La borghesia dominante, attraverso i suoi governi e le sue istituzioni centrali e locali, attraverso le molteplici organizzazioni sociali, politiche, economiche, culturali, religiose, sportive, e con l’ausilio delle forze opportuniste sia in campo immediato e sindacale che politico più generale, per far fronte con più efficacia alla crisi della sua società e per un più forte controllo sociale, usa contemporaneamente metodi pacifici, legalitari, democratici e metodi di brutale repressione, sia in campo legislativo – come le leggi anti-immigrazione e di sostanziale restrizione dei famosi «diritti» di associazione, di libertà di culto, di stampa, di espressione e di informazione ecc – che nel campo dell’azione pratica – arresti, sfratti, cariche contro picchetti di sciopero e occupazioni operaie, pestaggi nelle camere di sicurezza delle questure o nelle carceri ecc – con cui impedire il più possibile che i proletari organizzino una difesa efficace delle loro esigenze di vita e delle loro condizioni di lavoro e di lotta.

I proletari non devono farsi intimidire! La loro forza non sta solo nel numero, ma nella loro organizzazione classista, nella loro unione nella lotta in cui riconoscere gli interessi comuni a tutti in quanto proletari, interessi che accomunano i proletari nativi e i proletari migranti, la gioventù proletaria e i proletari anziani, occupati inoccupati o disoccupati, a tempo pieno, precari o cassintegrati, a qualsiasi settore merceologico appartenga l’azienda o le aziende per cui lavorano o lavoravano, sia nel settore del capitalismo privato che nel settore del capitalismo pubblico.

La borghesia dominante, aiutata dal collaborazionismo sindacale e politico dei falsi sindacati «operai» e dei falsi partiti «dei lavoratori» o «comunisti», muove le sue azioni contro il proletariato con lo stesso cinismo con cui affronta la concorrenza sul mercato: gli interessa perseguire il massimo profitto possibile da ogni attività industriale, commerciale, bancaria, finanziaria o di servizio in cui il capitalismo esprime la sua esistenza quotidiana, al costo più basso possibile e col maggior tasso di sfruttamento possibile della forza lavoro impiegata. Ai capitalisti non importa se uno o più operai si infortunano o muoiono nei posti di lavoro o sulla strada che devono fare per andare nelle galere capitaliste: importa sborsare nulla o il meno possibile per questi «incidenti» e riprendere velocemente lo sfruttamento di tutti gli altri operai ancora vivi – la strage di infortuni e di morti  sul lavoro è permanente, come dimostrano in modo eclatante i minatori in America come in Cina, gli edili e i braccianti in qualsiasi cantiere e in qualsiasi campo del mondo – e se la loro fabbrica versa in cattive acque a causa della concorrenza, i capitalisti non ci pensano due volte: licenziano ed eventualmente sostituiscono gli operai licenziati con operai migranti o clandestini pagandoli molto meno o non pagandoli proprio, come è successo coi braccianti africani di Rosario cacciati dal paese una volta finito il grosso del raccolto e come vendetta rispetto alla loro vigorosa rivolta contro i continui attacchi alla loro vita e alla loro dignità di uomini.

I proletari non hanno molte scelte, è un fatto ormai chiaro a tutti: o si piegano sempre più alla sopraffazione e alle vessazioni dei capitalisti e delle istituzioni centrali e locali che difendono la proprietà privata e l’appropriazione privata della produzione sociale, o si rassegnano a subire per tutta la vita e per le generazioni future le sistematiche angherie e i soprusi legali e illegali con cui i borghesi vivono nei loro privilegi e nel loro turpe mondo mercantile, oppure si ribellano, si organizzano e lottano sull’unico terreno nel quale il loro numero, la loro forza virtuale possono diventare una forza reale, una forza attraverso la quale prima di tutto resistere alla pressione e alla repressione capitalista e borghese e, successivamente, capovolgere i rapporti di forza fra le due classi decisive in questa società, proletariato e borghesia!

Tutte le forze sociali, in qualsiasi campo agiscano, che prospettano il dialogo, la compartecipazione, la collaborazione, la comunanza di interessi e di ideali tra proletariato e borghesia, tra sfruttati e sfruttatori, difendono esclusivamente lo statu quo, la società presente, la conservazione sociale, insomma il capitalismo e la sua società borghese. Tutte le forze sociali che si illudono, e illudono i proletari, che attraverso gli stessi mezzi che utilizza la classe dominante borghese per difendere meglio il suo potere e il suo dominio, come la democrazia,, sia possibile cambiare effettivamente la società e rendere questo mondo borghese un mondo «sostenibile» e «vivibile» per tutti, non fanno che prolungare nelle file proletarie l’azione velenosa e intossicante che la borghesia dominante svolge in permanenza attraverso i suoi grandi canali di propaganda, come la scuola, il cinema, l’informazione di stampa, radio, televisione o internettiana, la cultura, lo sport, il turismo, la religione. Sì, perché ogni azione che la borghesia dominante svolge e fa svolgere dai suoi mille centri nervosi ramificati nella società è necessariamente indirizzata a sfumare le differenze e le contraddizioni di classe, a mistificare in una specie di grande marmellata sociale lo scontro reale di interessi di classe che oppongono la borghesia al proletariato e viceversa. Più questa mistificazione resiste e perdura nel tempo e più la borghesia si assicura una vita longeva al potere. E a questo scopo, i sindacati tricolore e collaborazionisti, affiancati dai partiti parlamentari e falsamente «comunisti», svolgono un importante ruolo: quello di luogotenenti della borghesia nelle file proletarie, quello di infiltrati e traditori della causa proletaria, e, non ultimo, quello di vere e proprie sanguisughe che vivono solo ed esclusivamente succhiando il sangue dei proletari indebolendo le loro forze e annebbiando le loro menti, e per tutto questo vengono pagati e protetti dai loro burattinai, i borghesi capitalisti.

 

Compagni lavoratori!

Proletari delle città e delle campagne!

Proletari nativi e migranti!

 

I proletari hanno una storia alle loro spalle, una storia gloriosa di lotte e di rivoluzioni.

E’ una storia di grandi battaglie sia sul terreno dello scontro fisico e militare contro gli eserciti, le polizie, le forze legali e illegali del potere borghese, sia sul terreno politico e teorico generale che col marxismo ha raggiunto la vetta più alta che la storia delle lotte di classe e delle società di classe poteva esprimere. In questo lungo periodo storico, che inizia con l’apparizione stessa del proletariato come classe moderna, per due volte – con la Comune di Parigi del 1871 e con l’Ottobre bolscevico del 1917 –, la classe del proletariato ha conquistato il potere politico strappandolo dalle mani della borghesia per avviare la trasformazione della società, dal mercantilismo capitalista al comunismo di specie, segnando in questo modo lezioni indispensabili per le lotte rivoluzionarie future. I comunisti marxisti non hanno mai pensato che la guerra di classe fra proletariato e borghesia si potesse vincere in una volta sola; siamo materialisti storici e dialettici, non idealisti e visionari, e sappiamo che le trasformazioni profonde nella società umana avvengono attraverso la formazione e la determinazione di una serie di fattori oggettivi, e soggettivi, che polarizzano le forze sociali rendendoli favorevoli a quelle trasformazioni e non per volontà di cosiddetti grandi condottieri, o di gruppi o di partiti. 

Ma è una storia, finora,  soprattutto di sconfitte dalle quali il proletariato ha tratto lezioni fondamentali che il suo partito di classe, il partito comunista marxista, ha condensato e codificato in tesi e nel programma del comunismo rivoluzionario. Mentre il proletariato, a causa delle sconfitte sul campo degli scontri fisici e militari, ripiegava inevitabilmente su posizioni sempre più arretrate dalle quali i partiti e i sindacati opportunisti facevano tutto quello che era nelle loro possibilità per impedirgli di uscire, il partito di classe, il partito comunista marxista, pur ridotto ad un pungo di militanti – come già era successo a Marx ed Engels dopo le rivoluzioni del 1848 in Europa sconfitte, a Lenin e pochi altri dopo la sconfitta della rivoluzione russa del 1905 e il grande tradimento della socialdemocrazia di fronte alla guerra imperialista mondiale del 1914, e alla Sinistra comunista italiana dopo la più tremenda delle sconfitte data dalla vittoria dello stalinismo e della teoria del socialismo in un solo paese – continuava a rappresentare sul filo del tempo l’invarianza del marxismo che significa, in sostanza, l’invarianza della finalità, e dei mezzi per raggiungerla, del comunismo per la quale la storia delle lotte fra le classi ha chiamato la classe del proletariato ad essere l’unico vero protagonista.

I proletari vivono costantemente la contraddizione più profonda della storia delle società divisa in classi antagoniste: fanno parte della classe senza lo sfruttamento della quale, quindi senza il lavoro salariato che essa rappresenta, la società del capitale non vivrebbe, ma, nello stesso tempo, fanno parte della classe che, proprio perché è la classe dei senza-riserve ma che produce attraverso il suo lavoro la ricchezza sociale,  ha nella sua prospettiva storica la fine di tutte le classi, la fine della società divisa in classi, quindi la fine del capitalismo che è la società di classe più avanzata, ed ultima, che la storia abbia finora conosciuto.

La lotta del proletariato, proprio in forza di questa contraddizione, ha dialetticamente sempre due obiettivi storici: rafforzare il proprio movimento di classe contro la borghesia nel rapporto di forza fra le classi nella società presente, e – grazie a questo rafforzamento di classe – battersi per la fine di ogni divisione di classe nella società, dunque per il superamento del capitalismo, per il superamento dello stato di cose presente. Il comunismo, la società senza classi, la società di specie, non è un progetto ideale al quale adeguare le forze sociali esistenti per la sua realizzazione, ma è lo sbocco storico necessario, inevitabile, del corso di sviluppo della lotta fra le classi moderne, fra proletariato e borghesia, al di sopra della vita di una o più generazioni di proletari.

 

Compagni lavoratori!

Proletari delle città e delle campagne!

Proletari nativi e migranti!

 

Le condizioni di sfruttamento capitalistico del proletariato spinge i proletari a lottare per non cadere in condizioni peggiori, è naturale. Ma le condizioni di lotta non sono indifferenti nemmeno alla classe borghese che ha altrettanta attenzione per esse quanto per le condizioni del suo sfruttamento economico e sociale. Le imponenti risorse che la classe borghese utilizza per tenere in piedi gli apparati di governo, sia centrali che locali, e per mantenere uno strato numeroso di addetti al consenso sociale la cui funzione non è direttamente produttiva ma gestisce il compito di piegare le masse proletarie a tutte le esigenze della produzione capitalistica e della conservazione della società capitalistica, dimostrano che anche la classe borghese ha tratto delle lezioni dalle lotte del proletariato e dai suoi tentativi di conquista e mantenimento del potere politico. Tra queste lezioni c’è sicuramente quella per cui l’imbonimento e la martellante propaganda della democrazia, come metodo buono per tutti gli usi, sia da parte dei padroni sfruttatori che da parte dei lavoratori sfruttati, continuano ad ottenere buoni risultati alla condizione che tutto questo sia organizzato, non solo dall’alto con i partiti, ma soprattutto dal basso con le associazioni immediate e sindacali.

Ecco perché, soprattutto dopo l’esperienza fascista, la borghesia ha assoldato schiere numerose di opportunisti e venduti alla causa borghese per organizzare ex novo sindacati che somigliassero ai vecchi sindacati operai dei primi del Novecento, ma che avessero un’impronta decisamente tricolore (leggi, antifascista borghese) affinché l’illusione della «riconquistata democrazia» che il fascismo aveva «ucciso» si diffondesse capillarmente nella stragrande maggioranza delle masse proletarie che già erano state condotte al macello imperialistico in una falsa guerra per «la libertà».

Dal secondo dopoguerra in poi, i sindacati tricolore e i falsi partiti «comunisti» e «socialisti» sono stati i solidi puntelli della ricostruzione postbellica, della rinnovata espansione capitalistica, del rinnovato ultrasfruttamento della forza lavoro salariata alla quale sono stati concessi quegli ammortizzatori sociali – ereditati direttamente dall’esperienza fascista – con i quali le masse proletarie dei paesi capitalistici avanzati sono state avvinte in un tossico abbraccio alle sorti dell’economia nazionale e dell’economia aziendale di ogni paese. La competitività delle merci, i costi di produzione, la concorrenza con le altre aziende e gli altri paesi, l’adattamento alle esigenze del mercato, la produttività e la conseguente flessibilità del lavoro, che sono le preoccupazioni dei capitalisti, con l’intervento continuo e assillante dei sindacati tricolore e dei partiti operai borghesi sono diventate preoccupazioni degli operai dalle quali far dipendere il proprio salario, le proprie condizioni di lavoro, le proprie condizioni di vita, l’occupazione o la disoccupazione, la precarietà temporanea o la precarietà permanente, la vita o la morte! Il danno rispetto alla possibilità di resistere alla continua e soffocante pressione capitalistica, e alla possibilità di rispondere con forza in difesa della dignità della propria vita, è incalcolabile. Il collaborazionismo ha strappato dal cuore e dalla mente di almeno 3 generazioni di proletari la memoria e la tradizione di lotta classista, riducendo i proletari di oggi a semplici prolungamenti meccanici dell’apparato produttivo, veri e propri robot al servizio del capitale che vengono sostituiti o avviati al disarmo come qualsiasi altro macchinario. Ma le contraddizioni capitalistiche si acuiscono sempre più e rinnovano i fattori oggettivi della lotta di classe del proletariato.

Ci volevano i proletari migranti, i proletari di più giovane formazione sociale, provenienti da paesi e territori in cui la battaglia per la vita si fa tutti i giorni, a ridestare la memoria di una lotta non solo per un aumento di salario o in difesa del posto di lavoro, ma per la dignità di uomini e di lavoratori! Oggi sono i proletari europei e dei paesi avanzati a dover imparare dai loro fratelli di classe africani o asiatici. Oggi i proletari europei hanno la possibilità di riannodare il filo delle migliori tradizioni di lotta classista che le generazioni dell’Ottocento e dei primi del Novecento hanno per decenni inanellato in un crescendo formidabile lanciato verso un «assalto al cielo» col quale iniziare a risolvere le molte contraddizioni che caratterizzano la società delle merci, del denaro, della concorrenza, della spietata riduzione nella  schiavitù salariale della stragrande maggioranza della popolazione mondiale!

I proletari devono riconquistare fiducia nelle proprie forze, nelle proprie possibilità di rispondere in modo vigoroso e decisivo a tutte le umiliazioni, le vessazioni, i soprusi, le fatiche che il capitalismo impone alla classe dei lavoratori salariati; i proletari, ribellandosi alle proprie condizioni di vita e di lavoro, devono riconquistare il terreno dell’aperta e dichiarata lotta di classe anticapitalistica e antiborghese, devono riconquistare la capacità di riorganizzarsi intorno ad obiettivi, mezzi e metodi di classe ad esclusiva difesa dei propri interessi immediati che è il modo, dialetticamente, di prepararsi al salto di qualità della lotta più generale e politica, per la propria emancipazione dal giogo del lavoro salariato.

I proletari sono soli e indifesi soltanto quando abbandonano il proprio terreno di classe, soltanto quando seguono le sirene democratiche, pacifiste, legalitarie, collaborazioniste per rincorrere l’illusione di migliorare con i propri voti e con i propri sacrifici le proprie condizioni di vita e di lavoro! I proletari devono tornare a contare solo sulle proprie forze, che sono eccezionali e potenti se vengono organizzate e indirizzate in difesa degli obiettivi immediati e storici della propria classe; che sono internazionali e invincibili se vengono organizzate e indirizzate sotto i vessilli dell’emancipazione proletaria da ogni oppressione, da ogni sfruttamento, da ogni schiavitù.

Il Primo Maggio potrà tornare a rappresentare la giornata internazionale della lotta di classe proletaria alla condizione che i proletari riconoscano se stessi, sotto qualsiasi cielo, in qualsiasi angolo della terra, di qualsiasi razza o nazionalità, come fratelli di classi pronti alla lotta per la vittoria del comunismo, per la sconfitta definitiva dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo!

Proletari di tutto il mondo unitevi!, non sarà più una frase sbiadita e senza significato, ma il grido della guerra di classe del proletariato mondiale!

                      

          

Partito comunista internazionale (il comunista)

1 Maggio 2010 - Supplemento a «il comunista» n. 115

www.pcint.org

 

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