La nostra posizione sulla lotta degli autoferrotranvieri e sull’intervento di partito

(«il comunista»; N° 89; Febbraio 2004)

 

Premessa

 

E’ interesse – e dovere – del partito utilizzare i diversi spiragli che si aprono nel fronte del collaborazionismo sindacale e politico, per intervenire e portare ai proletari in lotta e a tutti gli altri proletari le posizioni del partito e indicazioni classiste di lotta. E’ interesse del partito che da ogni episodio di rottura della pace sociale, e di rottura della disciplina sindacalcollaborazionista, i proletari traggano una lezione, anche se limitata, affinché da episodi di rottura di questo tipo i proletari giungano ad un certo punto a riorganizzarsi sul terreno della lotta di classe con obiettivi, metodi e mezzi di classe. In questo senso il partito ha il dovere, sebbene nei limiti delle sue forze e del suo raggio di azione e di influenza, di reimportare nelle file proletarie quelle indicazioni di lotta che favoriscono la riorganizzazione classista sul terreno dell’associazionismo economico e, quindi, la stessa ripresa della lotta di classe.

Il partito non si pone come “costruttore” di sindacati di classe; gli organismi di classe indipendenti dal collaborazionismo tricolore saranno organismi costituiti dai proletari stessi che, ad un certo livello della propria lotta immediata e di “coscienza tradunionista”, si organizzeranno appunto in modo indipendente dal collaborazionismo, su piattaforme di lotta con obiettivi classisti (dunque ad esclusiva difesa degli interessi immediati operai) e con metodi e mezzi adeguati alla costituzione e alla durevolezza di quegli organismi. Di fronte a questo lungo e travagliato processo di ricostituzione dell’associazionismo operaio su basi classiste il partito ha più di un compito; ha il compito di collegare la tradizione classista delle lotte passate alle lotte di oggi e soprattutto a quelle future; ha il compito di trasmettere ai proletari gli obiettivi di classe unificanti, e i metodi e i mezzi di lotta che favoriscano la riorganizzazione classista sulla base delle stesse esperienze che i proletari in lotta fanno; ha il compito di cooperare anche praticamente attraverso i suoi militanti – là dove possono concretamente svolgere la loro specifica azione – alla riorganizzazione classista. Riorganizzazione classista che non avverrà secondo forme pre-stabilite, ma secondo forme che la stessa lotta operaia farà emergere e maturare durante il suo svolgimento.

Nei confronti della lotta degli autoferrotranvieri in rottura con la disciplina sindacaltricolore e resistente al le minacce delle istituzioni borghesi, il partito mentre esprimeva la sua solidarietà aveva il dovere e l’interesse di diffondere fra i proletari la necessità di utilizzare la loro stessa esperienza organizzativa (ad es. le Assemblee di tutti i lavoratori dove sono state prese le decisioni di fare lo sciopero ad oltranza e le altre forme di lotta) perché questa fosse un primo passo concreto di riorganizzazione classista diretta.

Nel dare questo tipo di indicazioni il partito deve stare attento a non sovradimensionare,o sottostimare, l’esperienza organizzativa dei proletari nella specifica lotta immediata, e a non indicare obiettivi di lotta troppo lontani o troppo generali rispetto alla lotta stessa e alla percezione che della lotta hanno gli operai che la stanno facendo. Si è sempre ricordato, sul filo della sinistra comunista, che sul terreno della lotta immediata il partito deve stare un passo avanti al proletariato in modo che le sue indicazioni siano verificabili dai proletari, prima o poi, secondo la loro stessa esperienza di lotta. Dare indicazioni di lotta troppo avanzate (per esempio: costituire oggi un sindacato di classe invitando i proletari ad uscire dai sindacati tricolore) è come scambiare una necessità obiettiva e storica della lotta di classe con un’indicazione immediata di lotta; si cadrebbe nel velleitarismo. Nello stesso tempo, limitarsi a propagandare la necessità della riorganizzazione classista e della ripresa di classe senza sforzarsi di dare indicazioni concrete che la stessa lotta operaia – se condotta sull’effettivo terreno della esclusiva difesa degli interessi proletari immediati – fa emergere, risulta alla fin fine un errore anch’esso; si cadrebbe nel propagandismo. Tutto ciò non va inteso come se la propaganda del partito per gli obiettivi più generali della lotta di classe dovesse essere “rimandata” a quando il proletariato potrà farla propria, o dovesse far parte di un’altra sfera di attività del partito. Questa propaganda è permanente, non fa parte di una “tappa” particolare dello sviluppo del partito; ma non può essere interpretata come la risposta a tutte le esigenze di lotta della classe proletaria, poiché nel campo della tattica e dell’intervento sul terreno immediato il partito deve avere un preciso e definito programma di attività.

 

Ed ecco i punti:

 

1. Il partito, nell’esprimere solidarietà verso la lotta operaia di difesa immediata ha il dovere di definire il senso e il significato di questa solidarietà, affinché essa non resti una parola vuota o semplicemente una formalità.

2. Nell’esprimere solidarietà di classe nei confronti delle lotte operaie – specie quando esse vengono attaccate da tutto il fronte borghese e collaborazionista a causa delle forme di lotta che assumono – il partito ha come minimo due possibilità: a) tenersi sulle generali, ossia lanciare parole di incoraggiamento a continuare la lotta e criticando soprattutto l’atteggiamento dell’opportunismo collaborazionista e quello delle istituzioni borghesi; oppure b) spingersi a lanciare indicazioni di lotta, e di organizzazione di lotta, partendo dall’esperienza pratica che i proletari in lotta stanno facendo, o hanno fatto, e portando in queste indicazioni il risultato delle esperienze classiste del passato. Rimane fermo che il tipo di indicazioni che il partito dà ai proletari in lotta (o il tipo di lezioni che i proletari devono tirare dalla lotta che stanno facendo o che hanno fatto) non deve essere in contraddizione con la prospettiva generale della riorganizzazione classista del proletariato sul terreno della lotta immediata e della ripresa generale della lotta di classe. Se il partito adotta la prima soluzione esso si autolimita nella sfera del propagandismo e non si prepara ad alcuna azione nel proletariato o verso di esso. Adottando la seconda soluzione, il partito, al di là delle proprie forze fisiche a disposizione, assolve uno dei suoi compiti fondamentali nell’agire praticamente e direttamente sul terreno della lotta immediata nel quale le masse proletarie hanno la possibilità di incontralo, verificarne la giustezza delle indicazioni e la capacità di perseguirle, riconoscerlo come dirigente coerente e deciso della lotta proletaria.

3. La spinta operaia alla lotta, in clima di collaborazionismo e in periodo di influenzamento opportunista come l’attuale, in genere viene convogliata, o deviata, nell’alveo delle compatibilità, del rispetto della pace sociale, del rispetto delle mille regole che gli accordi tra sindacati tricolore, governo e padronato hanno stabilito. Quando quella spinta tende a superare i limiti imposti dagli accordi sindacaltricolore e dalle leggi, i sindacati sono chiamati in prima istanza a “recuperare” sugli operai e a riportare le lotte che sfuggono al loro controllo nei limiti delle compatibilità. Naturalmente, se i sindacati tricolore non ce la fanno, o ci mettono troppo tempo rispetto ai tempi che i poteri borghesi si danno, arriva puntuale l’intervento giudiziario e poliziesco (“criminalizzazione” delle lotte a causa dei cosiddetti “eccessi” e degli atteggiamenti “incivili” e “illegali”, ecc.). Ma quella spinta operaia, che contiene in sé una quota di spontaneità materiale, è la base reale di ogni lotta e può produrre effetti favorevoli all’andamento della lotta nella misura in cui prende caratteristiche di classe, ossia incide anche dal punto di vista organizzativo sullo scontro con le controparti.

4. La rottura della disciplina sindacalcollaborazionista, e quindi della pace sociale e delle regole che rispettano le mille compatibilità che i borghesi si sono inventati per rendere impotenti e inconcludenti le lotte operaie, che sta alla base di una lotta che tende a forzare le controparti a concedere quanto viene rivendicato, è un passo basilare per i proletari verso la riconquista del terreno di classe e verso la riorganizzazione classista. Ciò vale sia per la comprensione del fatto che la loro unione e la loro combattività si scontrano inevitabilmente con le burocrazie sindacali tricolore, sia per la comprensione del fatto che non basta “premere” più forte sul sindacato perché questo difenda finalmente i veri interessi proletari e contemporaneamente sulla controparte padronale perché questa conceda quanto viene richiesto, ma che è necessario organizzare questa pressione attraverso forme organizzative e di lotta che favoriscano un controllo diretto dei proletari sull’andamento della propria lotta e sui suoi risultati.

5. Di fronte allo sciopero ad oltranza di Milano del 1° dicembre tutti i sindacalisti hanno denunciato le forme di lotta degli autoferrotranvieri milanesi come “incivili”, “illegali”, che andavano “contro” altri lavoratori che dovevano usare i mezzi pubblici per recarsi al loro posto di lavoro, oltre al fatto che quella forma di lotta avrebbe messo la “cittadinanza” contro gli autoferrotranvieri. Ma questo fronte anti-operaio non ha impedito che l’esempio “milanese” fosse poi seguito in molte altre città, sfidando non solo i vertici sindacali, ma gli stessi prefetti con la loro precettazione e la minaccia di sanzioni amministrative e giudiziarie. La forma organizzativa che ha sostituito la delega al sindacato tricolore è stata semplicemente l’assemblea operaia; di più, l’assemblea permanente durante tutte le ore di sciopero. All’assemblea operaia vi partecipano tutti i proletari, direttamente, e in questo luogo sono state prese le decisioni di fare quel tipo di sciopero, di sospenderlo, di riprenderlo, di collegarsi con gli altri depositi dei mezzi pubblici della città e delle altre città. Nelle assemblee operaie è stata messa in discussione la conclusione della trattativa che i vertici sindacali hanno fatto col governo, e che non hanno sottoposto all’accettazione delle assemblee operaie; è uno dei motivi della ripresa degli scioperi ad oltranza (“i sindacati sono andati a trattare col governo senza il nostro mandato”, “noi non riconosciamo l’accordo tra sindacati e governo perché non ha rispettato le nostre richieste”, queste le frasi di operai dei depositi che giustificavano la ripresa degli scioperi).

6. L’assemblea operaia non va mitizzata. Da anni e anni il sindacalismo tricolore ha trasformato le assemblee operaie in pure formalità per far passare senza troppe difficoltà la loro linea e i loro accordi, tanto che ormai le assemblee operaie vengono regolarmente disertate dagli operai. Ma quando la spinta alla lotta viene dal basso, ed è forte, gli operai hanno un solo modo per verificare la propria volontà di lotta: riunirsi in assemblea, misurarsi con quella spinta, contarsi e decidere di lottare. Allora l’assemblea operaia prende un altro significato e diventa il luogo dove finalmente ci si guarda in faccia, e tutti possono verificare chi è d’accordo e chi è contrario a determinate rivendicazioni e a determinate forme di lotta. E’ un luogo dove si misurano anche le capacità organizzative di proletari che non hanno mai organizzato la propria lotta (visto che da decenni vige la delega totale ai sindacalisti, ai mestieranti della lotta sindacale), e che si cimentano magari per la prima volta con la responsabilità diretta verso la propria lotta. L’assemblea diventa, o può diventare, il luogo dove si fanno i bilanci delle lotte passate, dove si passano al vaglio gli atteggiamenti e le posizioni dei sindacati tricolore e di quegli elementi che passano per “avanguardie di lotta”, dove si discute non solo della propria lotta ma in generale delle condizioni di vita e di lavoro operaie, dove maturano, o possono maturare, i fattori di solidarietà e di unificazione della lotta e dove la necessità che la forza della lotta messa in campo non vada perduta si può trasformare in necessità di organizzazione classista più duratura, che oltrepassa il periodo di svolgimento di quella lotta specifica.

7. Se i delegati sindacali ufficiali perdono, nel caso specifico, la loro influenza e la loro credibilità – anche se permangono le condizioni generali nelle quali le controparti riconoscono soltanto i delegati sindacali ufficiali come “rappresentanti” dei lavoratori – i proletari in lotta hanno comunque bisogno di designare qualcuno di cui si fidano di più che li rappresenti nelle trattative con le controparti. E allora può risuccedere quel che successe ad esempio nel 1978 durante la lotta degli ospedalieri italiani, e cioè che a fianco dei delegati sindacali ufficiali (riconosciuti dalle controparti per le trattative) vi erano i delegati delle assemblee dei lavoratori (costituitisi in comitati di lotta, comitati di sciopero, o similia) che sorvegliavano direttamente la conduzione delle trattative ed intervenivano sui delegati sindacali ufficiali per impedire loro di accettare quel che le assemblee dei lavoratori non avevano precedentemente definito. E’ in base anche a quell’esperienza che nel nostro volantino sulla lotta degli autoferrotranvieri sono state riprese indicazioni che già allora fecero parte del bagaglio di intervento del partito.

8. Ci sono posizioni, come quelle consigliariste, che sostituiscono l’azione del partito, dal punto di vista politico, con posizioni di tipo immediatista; sono quelle che portano la spinta classista che i proletari in lotta esprimono fino al livello della “coscienza di classe” necessaria al proletariato per fare il famoso salto di qualità dalla lotta immediata alla lotta politica e rivoluzionaria, e che relegano il ruolo del partito (che rappresenta invece la effettiva “coscienza di classe” del proletariato) ad archivio delle lotte del passato e ad una attività politico-culturale di sostegno agli organismi operai immediati (i consigli operai di fabbrica, o le assemblee operaie, se si vuole). Posizioni di questo tipo mitizzano le organizzazioni immediate del proletariato, e nello stesso tempo mitizzano la democrazia operaia, la democrazia diretta.

9. Altra cosa è, da parte del partito, dare indicazioni di lotta anche sul piano organizzativo immediato. Il corno del problema non è: dare o non dare indicazioni di questo tipo; il corno del problema è: che tipo di indicazioni di lotta dare anche sul piano organizzativo immediato. Rispetto alla lotta degli organismi immediati del napoletano (disoccupati, lsu, ecc.) ci siamo più volte cimentati nel dare indicazioni di lotta sia a livello di obiettivi e di rivendicazioni, sia a livello organizzativo. Ad esempio, nel volantino di partito del giugno 1999 contro la repressione dei movimenti di lotta dei disoccupati (pag. 27 dell’opuscolo Sui movimenti di lotta del napoletano), dopo aver fatto una valutazione sintetica delle prospettive dei movimenti di lotta, si afferma chiaramente: «Le assemblee proletarie, che sono un passaggio obbligato per la ripresa della lotta di classe, non devono essere solo un momento di discussione e di dibattito, o addirittura puramente informative, ma devono diventare sovrane delle decisioni collettive cui il direttivo, eletto liberamente e revocabile in qualsiasi momento, deve attenersi, devono diventare momenti organizzativi della lotta indipendente di classe».

10. Per quanto concerne la democrazia operaia, o democrazia diretta, va detto che nel campo della lotta immediata, e degli organismi indipendenti di difesa delle condizioni di vita e di lavoro, il meccanismo democratico è un «accidente» inevitabile. Ciò che deve stare a cuore ai comunisti è tutto ciò che riguarda gli obiettivi, i mezzi e i metodi di lotta classista nonostante il necessario utilizzo del meccanismo democratico. Gli operai, per riconquistare fiducia nelle proprie forze e nelle proprie capacità di lotta, devono necessariamente passare per le forme di democrazia diretta, ossia per quelle forme attraverso le quali la loro partecipazione attiva, e responsabile, si misura con la loro presa di posizione, con il loro schieramento, con il loro voto palese e fisicamente riconoscibile. Necessariamente, il sacrificio che comporta lo sciopero, soprattutto se rompe con le regole del collaborazionismo riformista, ha bisogno di essere sostenuto e condiviso da ognuno dei partecipanti; tale sostegno e tale condivisione, perché abbiano l’efficacia adeguata rispetto alla lotta, alla sua tenuta e alla solidarietà nella lotta, devono passare attraverso la presenza fisica degli operai, ognuno dei quali nei momenti e nei luoghi in cui si discutono e si prendono le decisioni inerenti la lotta si confronta con tutti gli altri. In questo ambito, ossia sul terreno della lotta classista, portare la maggioranza degli operai a sostenere obiettivi, mezzi e metodi classisti ha un significato particolare per i comunisti perché in quanto comunisti concorriamo apertamente all’influenzamento della maggioranza dei proletari, combattendo apertamente contro le posizioni e le manovre delle diverse forme di collaborazionismo riformista, facendoci così conoscere direttamente come gli elementi più decisi e preparati alla guida delle lotte operaie. E’ per questa ragione che i comunisti, e dunque il partito, non si possono esimere dal dare ai proletari indicazioni di lotta e di organizzazione della lotta sul terreno immediato.

11. Quanto all’attività e all’azione del partito sul terreno immediato, e rispetto alle lotte operaie, è chiaro che non si esauriscono né nel pronunciamento di solidarietà verso le lotte né nelle indicazioni di lotta eventualmente date. L’intervento del partito sul terreno della lotta immediata, d’altra parte, non si esaurisce nel contenuto dei suoi volantini che possono essere più o meno efficaci, ma che devono in ogni caso non entrare in contraddizione con le posizioni e le linee tattiche definite (vedi l’opuscolo di partito Sulla lotta immediata e sugli organismi proletari indipendenti).

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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