La strage di proletari continua

Dopo Kabul, Mazar i Sharif, Bagdad, Falluja, Tikrit, Mosul, Istanbul, Gerusalemme, Jenin, Gaza, Grozny, Mosca, New York, Madrid, ora è la volta di Londra, 7 luglio 2005

Al terrorismo degli Stati imperialisti più forti, fa da contraltare il terrorismo di movimenti confessionali del fondamentalismo islamico

(«il comunista»; N° 97-98; Novembre 2005)

 

 

 

Londra, 7 luglio 2005. Dalle 8.49 ora locale, quando scoppia una prima bomba, alle 10.23 di giovedì 7 luglio, 5 deflagrazioni sconvolgono la grigia mattinata londinese. Le bombe esplodono nelle linee della metropolitana, tra la fermata di Liverpool Station e Aldagate, alla stazione di Edgware Road, e poi a King Cross e a Russel Square, e infine esplode un autobus a Tavistock Square.

Solo alle 12 Blair ammetterà ufficialmente che si tratta di una «serie di atti terroristici», mentre fino a quel momento la polizia continuava a parlare di «guasti tecnici».

In quelle ore nei trasporti pubblici viaggiano come sempre pendolari, normali lavoratori. Decine di morti, se ne contano da subito più di trenta ma si prevede che il numero supererà la settantina, i feriti sono più di 700 e qualche decina sono gravi.

La rivendicazione degli attentati arriva dopo mezzogiorno, attraverso il solito internet, da parte del gruppo Al Qaeda di Bin Laden, già organizzatore dell’attacco alle Torri gemelle di New York nel settembre del 2001 e ispiratore degli attacchi terroristici ai treni pendolari di Madrid nel marzo 2004. Che la rivendicazione risponda al vero, o meno, che si tratti effettivamente di Al Qaeda o di gruppi in concorrenza con Al Qaeda, non ci sono dubbi che questi attacchi terroristici portino la firma della reazione terroristica di movimenti borghesi confessionali del fondamentalismo islamico.

Gli obiettivi dei movimenti reazionari del fondamentalismo islamico non sono i potenti della terra, i «signori della guerra», i governanti borghesi degli Stati imperialisti responsabili delle guerre di rapina in Afghanistan, in Cecenia, in Iraq, ma la popolazione inerme, i lavoratori, i proletari che normalmente si spostano con i mezzi pubblici. Allo stesso modo, gli obiettivi principali dei bombardamenti e delle mitragliate dal cielo e da terra delle truppe militari soprattutto anglo-americane e dei loro alleati italiani, polacchi, francesi, tedeschi, spagnoli, danesi, giapponesi, e chi più ne ha più ne metta, sono stati e sono la popolazione civile, i lavoratori, i proletari ieri nella ex Jugoslavia e poi in Iraq, a Bagdad, Falluja, Tikrit, Mosul, Nassiriya, Bassora, come lo sono stati e lo sono in Afghanistan; alla stessa stregua dei russi in Cecenia, degli israeliani nei Territori Occupati. Il terrorismo di Stato messo in atto con la guerra e con l’occupazione militare e il terrorismo dei movimenti del tipo Al Qaeda esercitato con le bombe fatte esplodere nei luoghi dove maggiore è la concentrazione di persone, convergono inesorabilmente a colpire soprattutto la massa proletaria che, in questo modo, non solo butta sangue nello sfruttamento capitalistico sempre più bestiale giorno dopo giorno, nella fame e nella miseria, ma lo butta anche a causa della concorrenza borghese fatta con la politica delle armi, nella guerra e nella risposta del terrorismo armato.

Le guerre di rapina - trasformazione sul piano militare della politica imperialista di rapina - sono il modo in cui gli imperialismi più forti tendono a controllare quei paesi e quei «territori economici» (Lenin) che di volta in volta, nello sviluppo della lotta di concorrenza a livello mondiale, diventano cruciali, diventano «spazi vitali» per il profitto capitalistico. La reazione terroristica di movimenti nazionalisti (a base laica o a base religiosa fondamentalista) è il modo con cui determinate frazioni borghesi si contrappongono alla pressione dei borghesi imperialisti più forti. L’incapacità materiale di affrontare una guerra aperta fra eserciti simili viene così compensata dall’organizzazione di gruppi relativamente piccoli, molto agili e in grado di mimetizzarsi falcilmente  nella comune vita quotidiana della popolazione. A differenza dei movimenti nazionalisti a base laica, che in genere hanno teso e tendono a colpire in modo molto mirato gli avversari, i movimenti a base religiosa fondamentalista, che - proprio perché religiosi - mescolano l’elemento nazionalista caratteristico di ogni frazione borghese all’elemento ecumenico, universalista, caratteristico di ogni grande religione, hanno teso e tendono a colpire nel mucchio, prendendo di mira soprattutto i proletari, i contadini poveri, i diseredati.

Le stragi di lavoratori e di civili inermi sono patrimonio esclusivo della reazione borghese, scrivevamo a proposito dei proletari massacrati nelle stragi terroristiche di Madrid del marzo 2004, e lo ripetiamo con forza di fronte alla strage del 7 luglio di Londra, come l’abbiamo denunciato di fronte alla strage delle Torri gemelle di New York, alla strage di Beslan e del teatro moscovita Dubrovka, e di fronte ad ogni strage del terrorismo borghese.

La strage di Londra giunge in un momento della politica internazionale degli Stati imperialisti che governano il mondo in cui i contrasti non accennano minimamente a diminuire, semmai ad acutizzarsi. La guerra in Iraq mette sempre più alle corde la politica anglo-americana perché una guerra che doveva essere rapida e «risolvere» una buona parte dei problemi che gli imperialisti hanno individuato nel cosiddetto «terrorismo internazionale», non è stata nè rapida nè «risolutrice»; anzi, a detta degli stessi giornalisti borghesi, in Iraq al tempo di Saddam Hussein non c’era il fondamentalismo islamico se non in minima parte e soprattutto non era armato, mentre la guerra anglo-americana ha praticamente aperto le porte al terrorismo fondamentalista islamico. Quella che doveva essere una guerra «preventiva» inquadrata nella cosiddetta «lotta contro il terrorismo internazionale» si è rivelata per quella che era, e cioè una guerra di rapina imperialista che alimenta e nutre la reazione di tipo terroristico.

I soldati americani, inglesi, italiani, polacchi che sono finora morti in Iraq sono morti per la guerra di rapina dei rispettivi Stati borghesi, in una guerra che proprio per le caratteristiche che ha avuto (non vi è stata alcuna «dichiarazione di guerra» da parte dell’Iraq agli Stati Uniti o alla Gran Bretagna per la quale questi due paesi si potessero considerare «giustificati» nel “contrattaccare”, e non vi è stata alcuna «dichiarazione di guerra» da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna nei confronti dell’Iraq per la quale, a livello del «diritto internazionale» borghese, gli Stati si sentissero coinvolti sui due fronti del conflitto a seconda delle alleanze e degli accordi) è un esempio più che evidente di terrorismo di Stato esercitato contemporaneamente su due fronti: uno, sul fronte direttamente dell’Iraq, delle sue cospicue riserve petrolifere e della sua collocazione geopolitica nel bel mezzo del Medio Oriente, e due, sul fronte indiretto delle alleanze interimperialiste per cui l’azione di forza degli anglo-americani ha obbligato i paesi del mondo, e soprattutto i loro alleati occidentali a prendere posizione pro o contro il binomio Washington-Londra, ammettendo a denti stretti l’eventuale «neutralità» come poi è stato il caso di Francia, Germania e Russia.

Al terrorismo di Stato grande borghese di Washington, Londra, e dei loro alleati attivi nelle operazioni di guerra, risponde il terrorismo di gruppi nazionalisti e religiosi che contrastano in realtà gli stessi obiettivi economici e politici: il controllo delle ingenti riserve petrolifere il controllo del paese, del suo territorio, dei suoi confini; il che significa, anche, il controllo sulla disponibilità della massa di forza lavoro rappresentata dai circa 4 milioni di proletari irakeni.

 

Proletari, compagni

 

Come è già successo molte volte, anche in occasione della strage di Londra, provocata da attentati della reazione terroristica borghese e religioso-fondamentalista, il potere borghese lancia l’appello all’unione sacra, all’unione di tutti i «cittadini» nella «comune» lotta contro il terrorismo, nella lotta della «civiltà» contro la «barbarie», nella lotta contro «atti anticristiani» come si è lasciato sfuggire il Vaticano.

Ai proletari, che sistematicamente vengono sfruttati nei posti di lavoro, che vengono sistematicamente umiliati nella vita quotidiana nella fame e nella miseria, nel disprezzo costante della vita, che vengono maciullati negli incidenti sul lavoro, gettati fuori dalle fabbriche quando ai capitalisti non servono più o costano troppo, dimenticati nella misera vita da pensionati, ai proletari che non contano mai nulla nelle decisioni che i governi prendono sulle loro teste in tutti i fatti di economia, di politica, di guerra, viene chiesto di sacrificare per l’ennesima volta i loro interessi immediati, le loro esigenze di vita per unirsi alle classi borghesi e piccoloborghesi nazionali nella loro lotta di concorrenza contro borghesi e piccoloborghesi, di altre nazioni o di altre fedi.

I borghesi, a difesa dei loro interessi, e soprattutto quando sono in guerra contro altri borghesi per difendere i loro profitti e le loro fette del mercato mondiale, sono capaci di qualsiasi menzogna, di qualsiasi contorsione, di qualsiasi compromesso, pur di ottenere l’appoggio del proletariato; le menzogne sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein si sono accompagnate alle menzogne sui legami tra Saddam Hussein e Al Qaeda: eppure, su queste menzogne le classi borghesi al potere hanno costruito la giustificazione della guerra contro l’Iraq, di una guerra che si è dimostrata sempre più una guerra di rapina nella quale, oltretutto, le bombe uccidono soprattutto proletari e civili inermi.

La chiamata alla solidarietà nazionale, che accomuna tutti i governi borghesi, da Blair a Bush, da Berlusconi a Chirac, da Schroeder a Putin allo stesso Zapatero, è la trappola che la borghesia tende sistematicamente al proletariato quando si trova in difficoltà nei rapporti con le borghesie concorrenti. Il proletariato, tutte le volte che ha ceduto alle lusinghe di questa chiamata, ha dovuto successivamente constatare che la sua situazione di lavoratore salariato, sfruttato quotidianamente esclusivamente in funzione del profitto che intascano i capitalisti, non si è modificata: resta uno sfruttato a vita, con tutti i rischi di fame miseria disoccupazione e morte che ogni sfruttato corre tutti i giorni!

I proletari devono scrollarsi di dosso il peso della pressione ideologica e materiale che la borghesia esercita attraverso i mille canali che ha a disposizione, fra i quali i più importanti sono, sul piano ideologico, quelli collegati all’opportunismo e al collaborazionismo, e sul piano materiale quelli legati alla concorrenza fra proletari che la borghesia costruisce e alimenta appositamente stratificando la classe proletaria in mille categorie e utilizzando allo scopo ogni genere di divisione, sessuale, razziale, religiosa.

I colpi che i proletari subiscono attraverso gli attentati terroristici non sono dissimili dai colpi che i proletari ricevono, costretti a subire la guerra borghese, obbligati al lavoro salariato in condizioni di brutale intensità dei ritmi di lavoro, di nocività degli ambienti di lavoro e delle lavorazioni, nelle condizioni di disoccupazione e di emarginazione in cui il sistema capitalistico e borghese li costringe.

Non ci sono interessi comuni fra proletari e borghesi, nè sul piano immediato nè tantomeno sul piano politico più generale o sul piano storico. La vera solidarietà i proletari la possono dare e ricevere solo da altri proletari, di qualsiasi altra nazione o razza, ma solo da altri proletari. Tutte le volte che i borghesi, e gli opportunisti per conto loro, tendono la mano ai proletari chiamando questo gesto «solidarietà», ingannano profondamente il proletariato, perché l’aiuto che chiedono in quel  gesto non è all’insegna di un aiuto «reciproco» ma di un aiuto a difendere gli interessi borghesi, i profitti borghesi, le proprietà borghesi, le leggi borghesi, lo Stato borghese. Gli interessi, i profitti, le proprietà, le leggi, lo Stato della classe borghese non sono mai «messi in comune» con gli interessi e le esigenze di vita del proletariato, sono sempre contro, al posto di, nella più evidente e classica sopraffazione che ogni classe al potere esercita sulle classi dominate.

La lotta contro il terrorismo borghese il proletariato non la potrà mai fare insieme ai borghesi, meno ancora se diretto dalle classi borghesi. La lotta contro il terrorismo borghese il proletariato la può fare soltanto nel quadro della sua lotta di classe contro la borghesia, contro gli interessi, i profitti, le proprietà, le leggi e lo Stato della classe borghese. Al di fuori della lotta di classe, della lotta proletaria in difesa esclusivamente dei suoi interessi di classe e delle sue condizioni di lavoro ed esigenze di vita, non vi è alcuna possibile ed efficace contrapposizione alle innumerevoli azioni di sopraffazione e di sfruttamento che le classi borghesi esercitano sistematicamente. Il terrorismo borghese è il prodotto della spietata lotta di concorrenza fra borghesi per accaparrarsi fette di mercato e quote di profitto nella permanenza dello sfruttamento del lavoro salariato. I proletari, rompendo con l’ideologia nazionale e democratica della borghesia, rompendo con la collaborazione interclassista alla quale li ha portati e abituati l’opportunismo politico e sindacale, liberano le proprie forze e le proprie energie per la propria lotta di classe. E’ questa la strada, nessun’altra strada è possibile al posto di questa.

 

10 Luglio 2005

Partito comunista internazionale

(il comunista – le prolétaire – programme comuniste – el programma comunista – the proletarian)

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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