La lotta in difesa del salario ridiventi centrale

(«il comunista»; N° 97-98; Novembre 2005)

 

 

Precipita il potere d’acquisto dei salari a causa di una sfilza di aumenti generalizzati, dalla casa agli alimenti, dai trasporti alle tasse comunali, dalla sanità agli asili, dalla scuola ai servizi (gas, luce, acqua, ecc.).

I sindacati tricolore hanno richiesto come recupero salariale per i contratti scaduti delle varie categorie, mediamente 90 euro lordi, ciò significa molto meno detratte le tasse e i contributi; ma questi 90 euro lordi vanno riferiti ai livelli retributivi mediamente più alti, mentre a quelli più bassi che sono la maggioranza andrà ancora meno.

Anche per le categorie del Pubblico Impiego o l’Autotrasporto pubblico sostanzialmente non c’è gran differenza nelle richieste salariali da parte dei sindacati tricolore.

In pratica, il collaborazionismo sindacal-tricolore con la miseria di aumenti richiesti alle controparti, sta “assumendosi” in pieno la responsabilità della gestione della crisi di mercato nazionale denunciata dai padroni, facendola pagare però interamente ai lavoratori.

E’ evidente a tutti che gli accordi del ’93, una volta cancellato l’automatismo della Scala Mobile, hanno impedito costantemente ai salari di aumentare mentre i prezzi e il caro vita correva. Di fatto, oggi non si può più parlare di “biennio economico”, ormai è diventato un “triennio” se è vero che per 5,7 milioni di lavoratori a cui è scaduto il contratto, e cioè il 46,2% del totale, il tempo medio di attesa per il rinnovo è di 12,3 mesi (da il Sole 24 ore, 2.9.05). Di più, ai padroni viene data un’ulteriore agevolazione dai sindacati collaborazionisti, che non era scritta negli accordi del luglio 1993, ma che viene tacitamente praticata grazie nelle loro abitudini servili: la diluizione di quel “recupero salariale” nel tempo, con varie tranches invece di ottenere che venga versato tutto al momento della firma.

Non è un caso, quindi, che si stia pensando di mettere mano agli stessi accordi del ’93 diventati per il padronato e per i collaborazionisti obsoleti e superati dalla stessa realtà. Tra le modifiche più urgenti si vogliono allungare i tempi di durata dei contratti e ridurre il peso del salario contrattato centralmente rispetto al recupero dell’inflazione per spostarne una parte più consistente verso la contrattazione aziendale, ma legarla a dei risultati più compatibili con le esigenze che decideranno sempre i padroni, di volta in volta; il che significa: maggiore flessibilità dell’orario di lavoro, e maggiore produttività svolta. L’aumento della produttività comporta sempre un aumento del tasso di sfruttamento della forza lavoro, quindi la sostanza è che si viene sfruttati di più e si guadagna di meno!

E’ esemplificativo il contratto dei Metalmeccanici, per capire a quale prostrazione ha indotto i lavoratori il sindacato tricolore per andare incontro alle esigenze dei padroni dell’Industria, in questo caso, di fronte alla crisi di mercato e di profitto.

Una categoria che è sempre stata di esempio per altre nel passato, sia per combattività e decisione nelle lotte, che attraverso le sue lotte otteneva norme contrattuali meno schifose e conquiste salariali, si trova oggi per la prima volta dopo 9 mesi con il contratto ancora aperto. Non hanno nulla in più in busta paga, e il padronato insiste nell’offerta della metà delle richieste del sindacato, che già sono misere. Ricordiamo che su 105 euro di aumento medio lordo per il 5° livello, chiesto dai sindacati, ne vengono offerti circa 60. E non basta: intendono avere ancora più mano libera sulla flessibilità dell’orario di lavoro in modo da poter utilizzare gli impianti anche nei fine settimana, senza utilizzare nuove assunzioni o lavoro straordinario, quindi per poter avere un’ulteriore riduzione dei costi.

Oggi, con la perdita del potere d’acquisto subita dai salari operai negli ultimi anni e tenendo conto degli aumenti già previsti nei prossimi mesi per effetto del caro Petrolio, e della nuova Finanziaria del Governo , i sindacati solo per andare ad un reale recupero della differenza creatasi tra l’aumento del costo della vita dei lavoratori in questi anni e il loro striminzito salario avrebbero dovuto chiedere anziché 105 euro lordi, almeno 5 volte tanto e cioè 500 euro, ma netti però e riparametrati al contrario in modo che le categorie peggio pagate prendessero l’aumento maggiore.

Ma al sindacato tricolore sta a cuore soprattutto il bene dell’economia aziendale, e sposa senza gran fatica le esigenze padronali. Nel gioco delle parti è ovvio che il sindacato protesti perché le sue richieste, già molto al ribasso, vengono addirittura dimezzate. Ma è un braccio di ferro, le cui spese le fanno i lavoratori. E in questo momento sembra stare a cuore più che i contratti dei lavoratori ben altre trattative con il governo e i padroni: ad esempio il varo definitivo del decreto legge sullo sblocco definitivo del TFR dei lavoratori verso i Fondi Pensione. Questa volta non si tratta più di una percentuale minima, come si era parlato in precedenza, ma di tutto il TFR che matura di anno in anno. Si parla di circa 13 milioni di euro all’anno, per i quali il sindacato chiede maggiori agevolazioni fiscali e normative rispetto agli altri concorrenti, come le banche e le assicurazioni. E non è escluso che i sindacati tricolore per aggiudicarsi la partita maggiore e la corsia preferenziale usino anche i lavoratori come arma di pressione per ottenere vantaggi dal governo rispetto ai suoi diretti concorrenti per l’aggiudicazione della grande torta finanziaria delle liquidazioni operaie. E’ evidente che se riescono a mettere le mani su una fetta di denari abbastanza grande avranno la possibilità di trovare fonti di autofinanziamento più valide e alternative alle stesse tessere d’iscrizione degli operai!

Anche in questo caso stanno trattando la pelle degli operai, perché la vecchia liquidazione ora TFR è una parte del salario che essi dovrebbero ricevere in busta paga, una mensilità all’anno circa, che invece per via di accordi fatti tra sindacati e padroni viene accantonata in un conto dell’azienda la quale in pratica lo adopera come autofinanziamento delle sue attività ad un tasso di interesse risicato (1,5-2% fisso all’anno la rivalutazione del TFR per i lavoratori) e che viene restituito all’operaio solo al momento del licenziamento, o della raggiunta età del pensionamento. All’epoca questo accantonamento veniva giustificato come una specie di “garanzia salariale” al momento del licenziamento nel momento in cui non esistevano ammortizzatori sociali, o al momento di andare in pensione, pensione che veniva elargita immediatamente ma la si doveva aspettare molti mesi. Sta di fatto che anche quando le cose sono migliorate da questo punto di vista, quei soldi sono comunque rimasti nelle mani dei padroni che li hanno utilizzati e investiti come fossero soldi loro. Ora si sta dicendo che potrebbero essere utilizzati per recuperare quel 20% di rendita pensionistica che le varie riforme dello Stato hanno tagliato ai lavoratori di domani, e che, in mano ai sindacati tricolore, dovrebbero dare più “garanzia” nella loro gestione rispetto ai padroni o a qualsiasi altro istituto finanziario speculativo. Ciò che, in realtà, non si dice è che i proletari avranno dallo Stato una pensione da fame e che la vedranno ancora meno garantita dai Fondi Pensione gestiti dai sindacati tricolore, perché i mercati finanziari non hanno mai garantito nulla ai proletari; i sindacati collaborazionisti, se avessero voluto veramente difendere la pensione dei lavoratori, avrebbero dovuto organizzare lotte adeguate al momento dei tagli varati dai governi che si sono succeduti, e invece – come è successo nel ’95 con il governo Dini – ne hanno condiviso addirittura le modifiche.

Il sindacato collaborazionista, da una parte, col pretesto della crisi dell’economia nazionale richiede aumenti salariali assolutamente insufficienti alle reale necessità dei lavoratori, trascina nel tempo le vertenze contrattuali con scioperi-burla senza minimamente incidere sugli interessi padronali, contribuendo così a fornire loro una manodopera al più basso costo possibile e, oltretutto, con una maggiore flessibilità sul posto di lavoro; dall’altra, tenta di ricavarsi un ruolo nella gestione dei Fondi Pensione futuri per poter succhiare una parte di quel sangue operaio che sono le liquidazioni non più in esclusiva ai padroni.

I proletari, invece, devono rivendicare con forza che quel salario accantonato nella liquidazione di fine rapporto gli venga erogato interamente e mensilmente in busta paga. E’ sempre salario, accantonato, ma salario maturato con la fatica di ogni giornata di lavoro, e va corrisposto interamente, impedendo ai padroni di utilizzarlo nel tempo per i loro fini. Naturalmente quella quota di salario non più “accantonata” non risolleverà di molto la loro reale disponibilità immediata: in ogni caso, i proletari lo utilizzeranno per le loro reali esigenze immediate e non per alimentare schiere di sanguisughe che vogliono parassitare sulla loro pelle. Ma i proletari devono anche lottare per effettivi aumenti di salario senza tener conto degli accordi che i sindacati tricolore hanno fatto con i padroni. Questa è l’unica strada per arginare la continua emorragia salariale e l’effettivo abbassamento del salario operaio.

 

 

 

www.pcint.org

 

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