Il nuovo accordo sul contratto dei Metalmeccanici sancisce la miseria salariale degli operai rispetto all’aumento drammatico del costo della vita di questi ultimi anni e un ulteriore peggioramento nelle condizioni di lavoro

(«il comunista»; N° 99; Febbraio 2006)

 

 

Con il nuovo accordo firmato dai sindacati tricolore con il padronato della Federmeccanica, i lavoratori del settore metalmeccanico subiscono un duro colpo alle loro condizioni di vita.

Dopo essere stati spaccati negli ultimi due accordi separati voluti dalla Fiom-Cgil, e da quest’ultima trascinati in scioperi impotenti, si vedono di nuovo le tre sigle sindacali riunificate per ingabbiarli in una nuova stagione di rinnovata collaborazione a difesa della competitività delle aziende, che per gli operai ha sempre voluto dire maggiori sacrifici e nella quale i padroni sono gli unici ad avere dei vantaggi.

Ai padroni non bastava avere una maggiore flessibilità dei lavoratori in entrata sul posto di lavoro con minori garanzie nella durata del loro contratto e del loro salario, ma pretendevano di aumentare la flessibilità degli operai che già sono nell’organico delle aziende, mantenendone i salari al di sotto dell’inflazione reale, legandone una parte sempre più consistente all’aumento della produttività aziendale.

Grazie ai sindacati tricolore, al loro attaccamento alle esigenze della competitività aziendale più che alle esigenze dei lavoratori, alla loro pratica nel condurre le lotte in maniera tale da non incidere significatamente sui profitti dei padroni e a dare loro così un respiro sempre più lungo, l’obbiettivo del padronato è stato raggiunto.

Infatti esaminando il contenuto di questo accordo si vede chiaramente che esso è completamente negativo per gli operai:

1) 12 mesi di mancati aumenti, il contratto precedente era infatti scaduto il 31 dicembre del 2005, quello nuovo andrà in vigore dal 1° gennaio 2006. L’Una Tantum di 320 euro lordi non è neanche un terzo degli aumenti spettanti secondo le stesse richieste dei sindacati tricolore (infatti essi chiedevano 105 euro al 5° livello retributivo, ne hanno ottenuti 100 che, moltiplicati per 12, sono 1200 euro più la tredicesima e l’incidenza degli aumenti sui vari istituti contrattuali che sono stati risparmiati in buona parte dai padroni).

2) un ulteriore allungamento della durata di quello che avrebbe dovuto essere un biennio economico, infatti questo avrebbe dovuto scadere il 31 dicembre 2006, e invece è stato prorogato al 30 giugno del 2007.

3) l’aumento è scaglionato in tre tranches, la prima di 60 euro dal 1°gennaio 2006, la seconda di 25 euro il 1° di ottobre 2006, la terza di 15 euro il 1°marzo 2007, sempre lordi e riferiti al 5°livello retributivo che non rappresenta la maggior parte dei lavoratori, perché la maggior parte di essi è inquadrata prevalentemente al 3° e al 4° livello quindi con stipendi base molto più bassi (mediamente intorno a 1000 euro o al di sotto di questa cifra) , ai quali andrà rispettivamente un aumento lordo di 86,25 euro e 91,25 euro lordi sempre da dividere in tre tranche (netti saranno rispettivamente 62 euro e 66 euro circa).

4) l’estensione dell’orario flessibile di lavoro a tutto il settore metalmeccanico, prima previsto secondo il Ccnl del ’99 solo per produzioni stagionali ora anche per ragioni produttive o di mercato, in pratica la possibilità di sfruttare gli operai fino a un massimo di 48 ore settimanali per un totale di 64 ore in regime di orario plurisettimanale. Di fatto, se si dovesse stabilire il massimo di 8 ore in più oltre le 40 ore settimanali si tratterebbe di un periodo di 8 settimane, 2 mesi in cui il padrone potrebbe sfruttare tutti gli operai più ore per far fronte a un carico di lavoro superiore, senza assumere nuovo personale in organico, e pagando molto meno le ore di «straordinario» lavorate oltre le 40 settimanali (il 10% dal lunedì al venerdì, normalmente prima era il 25%, e il 15% il sabato, prima era il 30%), e questo perché secondo questo tipo di accordo sindacale nel periodo di flessibilità dell’orario di lavoro si dovrebbe in un secondo tempo andare a contrarre l’orario di lavoro fino ad un minimo di 32 ore settimanali (teoricamente nei periodi in cui l’azienda ha un carico di lavoro al di sotto della media) di modo che l’orario medio di riferimento del periodo rimanga sempre di 40 ore settimanali. A parte il fatto che nessuno può garantire in pratica che in un successivo periodo si andrà a contrarre l’orario di lavoro, e rimanga quindi quello delle 40 ore settimanali, (anche tenendo conto che gli stessi salari bassi spingono gli operai a lavorare più ore), sarà solo in funzione delle esigenze del padrone, che in questo caso risparmierà anche la Cassa integrazione guadagni (che in parte paga anche il padrone) nei periodi di ristagno del mercato.

5) un aumento dello sfruttamento giovanile attraverso una modifica dell’apprendistato che eleva fino a 29 anni la possibilità di assumere con questo tipo di contratto; in pratica, con la «scusa» della formazione si farà risparmiare al padrone nel caso di assunzioni nuove con salari inferiori per un periodo molto lungo (si parla ad esempio di un periodo anche di 42 mesi per un operaio che verrà alla fine inquadrato al 3° livello, una qualifica per cui è previsto un salario intorno ai 1000 euro, ma dovrà partire all’inizio del periodo di apprendistato con un salario di due livelli inferiori a quest’ultimo). Vi è, inoltre, in più, una riduzione dei contributi e degli oneri sociali che il padrone dovrebbe normalmente versare per un operaio non apprendista; tenendo poi conto che questo tipo di istituto è previsto anche per lavori in catena e relativamente semplici, significa che il padrone può impiegare questi lavoratori in produzione già dopo poche settimane pagandoli con un «sottosalario».

Da un accordo che avrebbe dovuto trattare solo l’aspetto economico nel senso del recupero di salario secondo l’aumento reale del costo della vita per le famiglie operaie, i padroni grazie ai sindacati tricolore sono riusciti non solo a risparmiare notevolmente sul salario che avrebbero dovuto dare agli operai se si fosse tenuto conto di ciò che hanno perso in questi ultimi anni, e ottenuto oltretutto dilazioni nel pagamento di quella miseria, ma sono riusciti a mettere le mani in avanti sulla stessa parte normativa del contratto, che sarebbe dovuta scadere molto più in là, cioè alla fine del 2006, ottenendo la disponibilità fin da subito dei sindacati a trattare la flessibilità dell’orario di lavoro in tutte le aziende del settore.

D’altronde, già 13 mesi di «lotta» avevano ampiamente dimostrato che i sindacati tricolori mettevano la loro piena disponibilità a condividere e far condividere agli operai le ragioni delle difficoltà di mercato, della crisi determinata dall’aumentata concorrenzialità dei prodotti esteri e del calo dei profitti dei padroni; si sono fatte 60 ore di sciopero ben diluite in questi lunghi mesi, che in pratica ha dato la possibilità al padronato di resistere molto più a lungo. Il ristagno del mercato e la crisi di determinate produzioni hanno spinto i padroni a mettere molti operai in Cig, quando non li licenziavano attraverso la mobilità. E prima ancora i sindacati tricolore dimostravano la loro piena condivisione delle esigenze padronali con la riunificazione «bastarda» da parte della Fiom-Cgil con la Fim-Cisl e Uilm-Uil, dopo due stagioni contrattuali in cui la Fiom non aveva sottoscritto il contratto dei metalmeccanici, ma aveva trascinato gli operai in scioperi impotenti per obiettivi che sembravano «più vicini» alle esigenze immediate degli operai, ma non essendo supportati da una lotta determinata ad andare fino in fondo e ad incidere realmente sugli interessi dei padroni, facevano buttar via le ore di sciopero demoralizzando, nello stesso tempo, gli operai.

I proletari metalmeccanici oggi, indeboliti fortemente nel rapporto di forza con il padronato, sono costretti a subire questa miseria offerta loro dagli accordi tra padronato e sindacati collaborazionisti. Sono costretti a subire, oltretutto, un ulteriore arretramento nelle condizioni di lavoro proprio per non aver avuto la forza di lottare in una direzione contraria a quella praticata dai vertici sindacali tricolori, con metodi di lotta determinati a incidere con più efficacia sugli interessi padronali, per una piattaforma rivendicativa del reale recupero del potere d’acquisto perso dai salari, con obbiettivi che tendano ad unificare i proletari, e quindi nella necessità di organizzarsi autonomamente fuori dagli apparati e dalla politica ultracollaborazionista dei bonzi sindacali.

Il lavoro straordinario sempre ampiamente concesso dai sindacati tricolore nei contratti nazionali (fino a 220 ore all’anno per operaio) è diventato per una parte sempre più consistente di lavoratori una forma di recupero individuale del salario perso con il caro vita. Ma viene anch’esso «superato» per ridurre ulteriormente i costi di produzione al padronato attraverso la flessibilità dell’orario di lavoro. Proprio il fatto che una parte di lavoratori fosse già disponibile ad «aumentarsi» l’orario di lavoro oltre le 40 ore settimanali, attraverso gli straordinari, ha dato l’impulso ai padroni, in accordo con i sindacati collaborazionisti, ad estendere l’aumento dell’orario di lavoro settimanale a tutti gli operai, nei periodi in cui il mercato lo richieda e non solo per una particolare produzione stagionale, ma a tutto il settore metalmeccanico: il tutto senza il pagamento della maggiorazione prevista in precedenza per lo straordinario.

In quanto al referendum a scrutinio segreto introdotto da tempo come pratica per l’approvazione o meno degli accordi raggiunti dai bonzi sindacali, va detto che è un sistema adatto a far passare con più facilità gli accordi del collaborazionismo sindacale, bisogna rigettarlo per tornare alle forme più dirette e chiare assunte dai lavoratori in passato per decidere, cioè il voto nelle assemblee per alzata di mano, che permette di verificare direttamente tra i lavoratori chi è d’accordo e chi no, e quindi sviluppa anche una discussione sulle decisioni e la responsabilità che ogni lavoratore si prende davanti ai suoi compagni di lavoro. Inoltre, perlomeno in quella determinata fabbrica o in quel determinato posto di lavoro, i sindacati tricolori non potrebbero smentire un eventuale rifiuto dei loro accordi, proprio perché troppi testimoni tra i lavoratori lo impedirebbero.

Da questo accordo i padroni ricevono un’ulteriore spinta ad accelerare il peggioramento delle condizioni di lavoro degli operai; lo stesso sindacato tricolore si dimostra sempre più disponibile ad accettare più sacrifici per gli operai in nome di un’eventuale ripresa futura in un mercato sempre più asfittico, mentre nell’immediato difende i profitti delle imprese. Il contratto dei metalmeccanici farà da riferimento per tutti gli altri settori dell’industria, proprio per aver colpito un settore importante di lavoratori, e sarà quindi da modello nell’ulteriore peggioramento dei salari e delle condizioni di lavoro di tutti i proletari degli altri settori. L’opera dei sindacati collaborazionisti è tanto più bastarda e vigliacca, quanto più la loro azione imbriglia i proletari dei diversi settori industriali in accordi e concessioni che schiacciano ancor più le già difficili condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori.

Uscire dalle grinfie del collaborazionismo sindacale è un’esigenza primaria per tutti i proletari. Riprendere nelle proprie mani, direttamente, le sorti della difesa delle proprie condizioni di lavoro e di vita, diventa sempre più urgente. Riorganizzarsi sul terreno della lotta di classe, fuori dagli apparati e dalle politiche del collaborazionismo, diventa sempre più vitale per gli operai che non vogliono farsi schiacciare completamente dalla pressione capitalistica.

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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