Movimenti di lotta del napoletano

I nodi vengono al pettine Titolo del articolo

(«il comunista»; N° 99; Febbraio 2006)

 

Il giorno 15 febbraio, a Napoli, durante un presidio alla provincia, vengono arrestati una quindicina di manifestanti. Tre di loro resteranno in stato di fermo e condotti al carcere di Poggioreale. L’accusa è di lesioni e violenze a pubblico ufficiale e invasione di pubblico ufficio.

E’ questa la conclusione di una giornata all’insegna del riacutizzarsi dello scontro sociale che vede protagonisti i movimenti di lotta del napoletano.

La mancata erogazione dello stipendio ai dipendenti della PAN (Protezione Ambiente e Natura) e la negata assunzione di 20 dipendenti su 144 della ex SMARTWAY all’erede SIS (Social Innovation Services), entrambe società miste della Provincia, riscalda gli animi e tiene alta la tensione.

Appena qualche giorno prima una riunione del consiglio provinciale veniva interdetta dalla protesta di un gruppo di manifestanti nei confronti del presidente. Protesta cui davano risalto un po’ tutti i quotidiani locali in chiave scandalistica e criminosa.

Il pomeriggio tranquillo del 15 febbraio veniva sconvolto dal passaggio casuale, ma evidentemente molto provocatorio, dell’assessore provinciale ai lavori pubblici insieme ad un funzionario proprio in prossimità del presidio.

La sua inaspettata apparizione provoca immediatamente una reazione verbale di alcuni manifestanti che lo mette in fuga nella vicina Questura centrale. Qualcuno grida alla provocazione e di lasciar perdere. Qualcun altro, invece, in preda al livore per essere stato per giorni e giorni preso in giro, insegue l’assessore e il suo funzionario fino in questura. Pare nasca una colluttazione che viene sedata con l’arresto dei manifestanti. I quotidiani parlano di aggressione e pestaggio.

In un attimo scatta la rabbia di una cinquantina di manifestanti che irrompono negli uffici della questura liberando prontamente i compagni. Dopo un primo momento di smarrimento, la digos si riorganizza «in silenzio» e ordina alla celere, accorsa di rinforzo, di attaccare i manifestanti. Presi inspegabilmente di sorpresa, un folto gruppo viene arrestato e portato dentro. L’episodio echeggia in tutte le sedi dei movimenti di lotta e subito accorrono sul posto alcuni loro rappresentanti. La questura viene letteralmente blindata dai celerini, mentre le varie liste si organizzano sul da farsi.

In serata, larga parte degli arrestati viene liberata, ma tre restano dentro. Saranno traferiti al carcere di Poggioreale per essere giudicati. Il Sindacato dei Lavoratori in Lotta, di cui fanno parte i manifestanti, indica per la giornata successiva una manifestazione con corteo dalla stazione centrale fino al carcere.

Come sempre è accaduto in episodi repressivi, anche questa volta il movimento si ricompatta e al corteo partecipano tutte le liste di lotta. Vi partecipano circa 2000 manifestanti, sfilando dietro lo striscione con la scritta: «Fuori i compagni arrestati - libertà per chi lotta», ed al grido «libertà, libertà».

Visto il clima di campagna elettorale è prssente al corteo un significativo personaggio di Rifondazione Comunista, capogruppo alla Regione. Una delegazione viene ricevuta in carcere ed incontra solo due degli arrestati. Il corteo prosegue quindi verso il Centro direzionale e la sede dell’Assessorato regionale al lavoro dove una delegazione viene ricevuta dall’assessore di R.C. per discutere sulle problematiche dei Corsi di formazione per i disoccupati e delle Società miste.

Il problema della repressione diventerà sempre più prioritario, ma della vicenda viene ora al pettine il nodo delle Società miste.

Noi abbiamo sempre preconizzato il fallimento di queste società perché esse sono il prodotto di una mistificazione che vogliono lo Stato, l’Ente locale, le istituzioni: con esse si alimenta l’illusione di «creare lavoro», mentre nei fatti lo si «inventa». Le Società miste, in realtà, sono servite, e servono, a mitigare lo scontro sociale, indebolendo e dividendo un potenziale fronte di lotta.

Siamo in piena crisi di sovraproduzione di capitale e di merci ed in questa fase lo Stato privilegia ancor più il capitale sul lavoro. La lotta potenziale o attiva, come nel caso dell’ex «Movimento di lotta LSU», ha costretto la borghesia a cedere quote di profitto sotto forma di salario - comunque misero e del tutto insufficiente per sopravvivere - mascherandolo come salario «da lavoro», mentre nei fatti è un salario di disoccupazione.

Questa mistificazione tiene lontani ed esclusi i disoccupati da qualsiasi rivendicazione salariale vera e propria che non sia quella «da lavoro». I corsi di formazione propedeutici ad un fantomatico futuro lavoro è il massimo che la piazza è finora riuscita a strappare in nove anni di lotte. Ma i proletari disoccupati devono vivere, e per vivere hanno bisogno di un salario adeguato: che gli venga dato o no un lavoro, che siano sfruttati direttamente o meno da quello specifico capitalista o da quella particolare istituzione capitalistica. Le illusioni ed i raggiri che l’Amministrazione pubblica ha utilizzato in tutti questi anni portano all’esasperazione; questa vera e propria violenza istituzionale che getta masse proletarie nella precarietà di vita e nella miseria permanente provoca disperazione e rabbia e la violenza con cui i proletari si ribellano a condizioni di sicura invivibilità risulta essere la forma attraverso la quale mettere sul piatto della bilancia il proprio diritto a vivere, il diritto alla «legittima difesa».

D’altra parte, i posti di lavoro di comodo sono appannaggio di fasce protette di piccola borghesia e di aristocrazia operaia, comunque di ceti privilegiati che rappresentano un vero e proprio mercato affaristico-clientelare e strumento di consenso politico utilizzato cinicamente e con grande abilità dai partiti che detengono il potere, localmente o nazionalmente. La vecchia rivendicazione della «Assunzione nella Pubblica Amministrazione», nonostante la sua evidente non percorribilità poichè essa non è in grado di assorbire se non una infinitesima parte delle migliaia di disoccupati esistenti, rappresenterebbe comunque a tuttoggi una spina nel fianco della strategia politica borghese proprio perché la borghesia non si permette (non si permette ancora) di abbandonare la politica degli ammortizzatori sociali sebbene ridotti sempre più ad una miseria.

E’ la realtà economica e sociale che dimostra l’impossibilità da parte della borghesia di dare un lavoro - e quindi corrispondere un salario da lavoro - a tutti i proletari. Per questa ragione il grido di battaglia dei proletari deve essere: Salario da lavoro o Salario di disoccupazione!

Nei fatti, i disoccupati che ricevono oggi un salario, certamente misero e insufficiente, attraverso i corsi di formazione o le società miste che nascono e muoiono ogni sei mesi, ricevono un salario di disoccupazione, incerto, temporaneo, ma salario di disoccupazione. Di questo i movimenti di lotta prima o poi dovranno rendersi conto.

E’ nella tradizione del proletariato di pretendere un salario adeguato contro un lavoro; ma il lavoro che i capitalisti privati e pubblici danno risponde a ben precise leggi di mercato in forza delle quali i capitalisti, privati e pubblici, devono ricavare dal lavoro salariato impiegato quella determinata quota di plusvalore, e quindi di profitto. In situazioni di crisi di mercato - come dicevano sopra, di sovraproduzione di capitali e di merci - i capitalisti sono spinti a mantenere, ed aumentare, la quota di plusvalore estorta dal lavoro salariato, soprattutto aumentando lo sfruttamento di ogni singolo lavoratore; il che comporta la convenienza dei capitalisti di escludere dai processi produttivi quantità consistenti di lavoratori, aumentando nello stesso tempo la produttività dei lavoratori che rimangono al lavoro.

La massa dei disoccupati, il famoso «esercito industriale di riserva» di cui parlava Marx centocinquant’anni fa, è parte integrante del proletariato, ed è un fenomano normale, costante, permanente dello sviluppo del capitalismo. I capitalisti trattano i disoccupati come lavoratori di rincalzo quando le condizioni di mercato sono favorevoli all’aumento della produzione, ma soprattutto li usano come arma di pressione sulla massa di proletari ancora occupati per abbatterne i salari e per impedire l’avanzata di rivendicazioni attraverso le quali il «costo del lavoro», per i capitalisti, aumenterebbe inevitabilmente.

I proletari hanno l’interesse esattamente opposto: la vita, finché esiste il modo di produzione capitalistico e la società borghese che lo difende e lo mantiene nel tempo, dipende dal salario, e il salario dipende dal lavoro. Ma il conto vero che fa la classe borghese è appunto un conto di classe, un conto generale; il tasso medio di profitto è appunto una media sui profitti di tutti i capitalisti, come il costo del lavoro è costo medio del lavoro tenuto conto di tutta la massa lavoratrice, occupata e disoccupata. Solo nel rapporto di forza fra proletari e borghesi questi due perni del rapporto fra capitale e lavoro salariato possono dare risultati diversi. Ecco perché la lotta proletaria, perché sia efficace e perché sfugga alle trappole della concorrenza fra proletari e alle divisioni in mille rivoli e compartimenti stagni, deve svilupparsi sul terreno degli interessi di classe, sul terreno dell’inconciliabilità fra borghesi e proletari, e tendere a sviluppare l’unificazione dei proletari in un grande movimento di classe.

La rivendicazione: Salario da lavoro, o, in mancanza di lavoro, Salario di disoccupazione, è una rivendicazione unificante, che tende a unire prima di tutto i disoccupati fra di loro e, in seconda battuta, i disoccupati con gli occupati, in una lotta che vede al centro il diritto a vivere in modo civile di tutti i proletari.

La nostra solidarietà ai compagni arrestati a Napoli è incondizionata, perché nella repressione di cui sono vittime riconosciamo l’attacco della borghesia alle condizioni di lotta e di vita del proletariato tutto e, in particolare, l’obiettivo di stroncare un movimento di lotta che, nonostante le sue contraddizioni, fa da esempio per tutto il proletariato.

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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