Italia

La schedatura nei campi nomadi fa parte di un giro di vite che ha per obiettivo l’intimidazione generale del proletariato

(«il comunista»; N° 109; Luglio 2008)

 

L’accelerazione data dal governo Berlusconi al cambiamento anche formale dello Stato, da regime di democrazia «parlamentare» a regime di democrazia «governativa», si fonda su un processo di dispotismo sociale e politico da lungo tempo avviato. Processo che non riguarda solo l’Italia, o particolarmente l’Italia, ma in generale tutti i paesi delle democrazie occidentali.

Da quando il capitalismo si è sviluppato a livello mondiale in misura tale da spingere gli Stati borghesi economicamente e finanziariamente più forti a farsi la più spietata guerra di concorrenza per accaparrarsi maggiori quote del mercato mondiale, cioè da quando il capitalismo è passato dalla  «libera concorrenza» al prevalere in campo mondiale dei trusts, dunque alla fase dell’imperialismo moderno,  il regime politico di democrazia liberale ha subito colpi mortali. Il passaggio del capitalismo alla fase imperialista - come ricorda Lenin - non cambia il tipo di capitalismo, non cambio il tipo economico del modo di produzione capitalistico, che è uno e resta sempre uno; cambia la sua gestione politica, cambia la sua gestione statale, elevando la naturale tendenza alla concentrazione e alla centralizzazione del capitalismo ai massimi livelli possibili.

E’ la fondamentale tendenza economica  alla concentrazione e alla centralizzazione che determina una corrispondente politica della classe dominante, non viceversa. Il che non vuol dire che la politica degli Stati imperialisti non abbia influenza sulla loro economia, e sul corso dei rapporti anche economici mondiali. Significa che il modo capitalistico di produzione e di espansione ha sì un solo tipo di sviluppo, ma può avere  forme di sviluppo diverse, differenziate  in base a molteplici fattori, perlopiù legati alle tradizioni economiche dei singoli paesi o delle singole aree geostoriche, alle loro risorse naturali, alla quantità di popolazione che vi abita, alle guerre ecc. Non è d’altra parte indifferente il fatto che il capitalismo si sia sviluppato prima e soprattutto in determinati paesi nella grande epoca delle rivoluzioni borghesi antifeudali - che corrisponde grosso modo a poco più di 120 anni, a partire dalla grande rivoluzione francese - e, in epoca successiva, nel resto del modo, che rappresenta la gran parte dei paesi. Le forme politiche che corrispondevano nella fase storicamente rivoluzionaria e che sono state rappresentate dalla democrazia rivoluzionaria, successivamente si sono trasformate in forme politiche riformiste e conformiste che corrispondevano grosso modo alla democrazia liberale e parlamentare.

Con l’epoca del riformismo, la borghesia tendeva a stabilizzare il proprio potere politico non solo sulla fortissima spinta espansionistica del capitalismo che abbracciava tutto il mondo, ma anche su quella che tendeva a catturare il maggior consenso possibile presso le classi lavoratrici, allo scopo di ottenere la condivisione degli obiettivi capitalisti delle classi borghesi dominanti da una classe proletaria che aveva già dimostrato, con le rivoluzioni del 1848, di essere in grado di organizzare i propri interessi non soltanto immediati ed economici, ma anche politici e storici. Il riformismo classico - ossia quello di segno socialista, dei Turati e dei Treves per intenderci - convergeva obiettivamente con il riformismo borghese, ossia quel riformismo che poteva contare su elargizioni economiche da parte della borghesia a favore delle classi lavoratrici grazie agli immensi profitti ricavati dall’espansione capitalistica in tutto il mondo e al contemporaneo sfruttamento e schiavizzazione di intere popolazioni arretrate.

La ricerca del consenso sociale è iniziato da parte della borghesia nella situazione in cui aveva grande disponibilità economica e politica. L’uso pluridecennale della democrazia liberale nei paesi capitalisti più sviluppati ha prodotto, poi, un «bisogno sociale», il bisogno ideologico da parte della piccola borghesia e del proletariato, di credere che attraverso le libertà ottenute e concesse (di stampa, di riunione, di associazione, di attività economica, di voto ecc.) e la partecipazione diffusa alla vita sociale e politica (suffragio universale, parlamento) la propria condizione sociale poteva migliorare; non importa se a discapito di intere popolazioni coloniali o se si doveva passare attraverso le guerre coloniali. La civiltà borghese, la civiltà della democrazia che combatteva contro l’arretratezza barbara di popoli non ancora deliziati dall’avvento del capitalismo, della «libera concorrenza», del progresso tecnico industriale del lavoro salariato, della vita dipendente dal denaro e dal mercato, questa civiltà era il collante ideologico che la classe dominante borghese alimentava e utilizzava per esercitare il suo dominio con più efficacia. Le libertà democratiche sono così servite sempre più nel corso del tempo allo scopo di assoggettare ideologicamente e materialmente il proprio proletariato civilizzato e, in prospettiva, il proletariato dei paesi coloniali e arretrati capitalisticamente, facendo nascere anche in loro il «bisogno di democrazia», quelle libertà formali che coprono sempre più le illibertà sostanziali..

La fase ulteriore, quella appunto imperialista, in cui pochi Stati in rappresentanza di potenti economie guidate dai grandi trusts dominano il mondo, ha determinato un ulteriore modificazione nella gestione politica della classe dominante. E’ ormai storia conosciuta che negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, la tendenza alla massima centralizzazione del potere economico e politico ha prodotto regimi politici di dittatura aperta: il fascismo e il nazismo. Ma, nonostante la loro dichiarata dittatura della classe dominante, quei regimi hanno avuto comunque bisogno del consenso del proprio proletariato,o comunque della stragrande maggioranza del proprio proletariato. E l’hanno ottenuto principalmente attraverso la realizzazione delle rivendicazioni del riformismo socialista, quel riformismo che non riuscì ad ottenerle coi suoi metodi pacifici, legalitari, parlamentari, ma che è stato possiobile realizzare grazie alla più forte centralizzazione del potere politico nell’aperta dittatura di classe borghese a causa della quale anche strati e frazioni della borghesia venivano ridimensionati e costretti a comportamente economici, sociali e politici meno «liberi», meno individulistici, meno rispondenti agli interessi peculiari di piccoli gruppi.

Non va dimenticato, certo, che il fascismo e il nazismo sono stati anche risposte, in un certo senso obbligate, al grandissimo pericolo che il potere borghese attraversò negli anni della prima guerra mondiale e successivi, a causa dei movimenti rivoluzionari del proletariato europeo, della rivoluzione proletaria vittoriosa in Russia e dalle potenzialità storiche reali in Polonia, in Germania, in Italia, e del sollevamento rivoluzionario dei popoli asiatici influenzato dall’Internazionale Comunista. Ma è un fatto: la potente centralizzazione politica con la quale la classe dominante ha svelato la sua effettiva dittatura di classe disfacendosi di tutti gli orpelli della mistificazione democratica, ha permesso alla borghesia di ottenere un risultato che con una democrazia liberale e parlamentare, ormai in disfacimento con la prima guerra mondiale e le sue conseguenze,  non era più sicura di ottenere: la collaborazione del proletariato.

E’ una costante: la borghesia, passato il periodo inziale in cui ha impedito al proletariato, con le leggi e con la forza di polizia e dell’esercito, di organizzarsi anche soltanto sul piano economico immediato, ha compreso che il metodo migliore per dominare sulla società e per continuare nel suo dominio era quello di «andare incontro» alle esigenze formali delle classi lavoratrici, concedendo quelle «libertà» che di per sé non mettono e non metteranno mai in pericolo il suo dominio, anzi, con l’andare del tempo, alimentano le illusioni di emancipazione delle classi sfruttate e la loro collaborazione con la classe che le sfrutta.

La ricerca della collaborazione con il proletariato è un bisogno politico della classe dominante: che avvenga attraverso i canoni della democrazia o quelli dell’aperta dittatura, è un fatto che dipende dalle circostanze storiche, dall’andamento dei rapporti di forza fra borghesia e proletariato, dallo sviluppo della lotta di classe e delle potenzialità rivoluzionarie del paese ecc.

Ma la collaborazione di classe tra borghesia e proletariato, soprattutto nei paesi a capitalismo sviluppato, è diventata vitale, indispensabile alla borghesia che, in ogni caso, la cercherà con le buone o con le cattive. Questo dimostra, per altro verso, che il destino, non solo economico ma anche politico, della classe borghese è condizionato fortemente dai rapporti di forza che stabilisce con la classe del proletariato. Anche la collaborazione di classe che il proletariato alla classe dominante borghese viene estorta alla classe proletaria, come gli viene estorto il plusvalore. Sul piano economico, la falsa eguaglianza fra datore di lavoro e lavoratore - l’imprenditore è libero di impiegare tutta la forza lavoro che ritiene necessaria per la sua impresa ad un prezzo (il salario) di mercato, l’operaio è libero di accettare o meno il lavoro e lecondizioni economiche offerti dal datore di lavoro - nasconde la dittatura dell’economia capitalistica che costringe la stragrande maggioranza della popolazione trasformata in proletariato, in senza riserve, a doversi procurare un salario per vivere. Sul piano politico, la falsa eguaglianza fra tutti i cittadini, virtualmente strappati dalle loro specifiche condizioni economiche e sociali di sopravvivenza - ogni cittadino ha diritto di voto e può votare chi gli pare, ogni cittadino è uguale di fronte alla legge - nasconde la dittatura sociale della classe dominante che, forte del suo dominio economico, usa  giganteschi apparati di propaganda, di educazione, di istruzione, di religione, insomma di condizionamento ideologico delle masse per strappare loro il consenso politico di cui ha bisogno per governare durevolmente sulla società.

La democrazia borghese, che è il rivestimento ideologico e politico della classe dominante borghese utilizzato per dominare sulla società e soprattutto sul proletariato, serve perciò esclusivamente per ottenere la collaborazione fra le classi. Il proletariato è comunque escluso dalle decisioni fondamentali in campo economico, politico, solciale e militare; i mezzi e i metodi della democrazia vigente attraverso i quali la classe dominante richiede la collaborazione da parte del proletariato sono tali per cui il proletariato in prima persona, direttamente, non ha alcuna voce in capitolo. Tutto passa attraverso le rappresentanze riconosciute dalla classe dominante, e quindi dallo Stato e dalle sue leggi: i governi, il parlamento, i partiti, i sindacati, le diverse associazioni legalmente riconosciute.

Ma la complicata e pesante macchina della democrazia, con i tempi parlamentari lunghi, con i continui sforzi per mediare i diversi e contrastanti interessi particolari che vi si incrociano, se risulta funzionale per illudere e ingannare il proletariato, risulta poco funzionale per velocizzare le decisioni che riguardano i grandi affari. Infattiu, queste decisioni non vengono mai prese attraverso le vie parlamentari, ma attraverso incontri e accordi fra capitalisti nel segreto dei loro salotti. Agli istituti della democrazia viene consegnata l’esecuzione della volontà dei grandi banchieri, dei grandi industriali, dei grandi rentier. Agli istituti della democrazia rimane la gestione della corruzione e della concussione riguardo il denaro pubblico, ossia tutto ciò che in aperta dittatura borghese si farebbe alla luce del sole, in democrazia avviene di nascosto. E siccome avviene di nascosto dal grande pubblico, avviene spesso di nascosto anche delle frazioni borghesi più deboli e meno aggressive (che poi sono quelle, in genere, che rivendicano la vera democrazia e che protestano perchè il parlamento viene defraudato dei suoi compiti di controllo e di chiarezza politica).

La democrazia postfascista, in effetti, ha perso molto del suo vecchio onore ed è diventata sempre più una maleodorante copertura degli affari borghesi., di tutti gli affari e soprattutto di quelli criminali. Nonostante ciò, continua a svolgere la sua funzione di ingannatrice del proletariato e di rincretinimento delle masse, sia nel senso di alimentare la fame di «vera democrazia» che nel senso di provocare sempre più disgusto verso i suoi metodi allontando perciò masse consistenti dalla «politica».

L’abitudine a delegare la rappresentaza politica riconosciuta dallo Stato a «difendere» gli interessi proletari nel quadro della collaborazione di classe, che il riformismo socialdemocratico, prima, poi lo stalinismo e successivamente il post-stalinismo, ha indotto e radicato nelle masse proletarie, rende il proletariato incapace di reagire con la lotta quando i suoi interessi non solo non vengono difesi, ma vengono sistematicamente calpestati da tutti gli attori della democrazia: dallo Stato, dal governo, dal parlamento, dai partiti, dalle associaizoni padronali, dai sindacati.

E così succede che le misure che i governi prendono sul terreno delle tasse, delle pensioni, della sanità, dei trasporti, dell’ordine pubblico, anche se appaiono chiaramente in tutta la loro volontà di colpire soprattutto le condizioni di vita e di lavoro proletarie, non vengono seriamente contrastate. Una specie di rinuncia preventiva, di rassegnazione, si impossessa delle masse proletarie che sembra abbiano perso voce e forza come un soldato ferito alla gola dal «fuoco amico».

Spese per l’ennesima volta grandi illusioni sul governo delle sinistre, le masse di elettori si sono rivolte alle destre un po’ per «punire» i partiti di sinistra che non hanno fatto praticamente nulla per fermare il peggioramento delle condizioni di vita delle masse, un po’ nella speranza che apparendo più «decisioniste» le destre avrebbero fatto magari poco ma qualcosa di concreto per migliorare la situazione, se non altro a livello di tasse. Naturalmente, alle illusioni per i governi di sinistra si aggiungono le illusioni rispetto ai governi di destra. Immancabilmente il miliardario Berlusconi e i suoi accoliti, ottenuta una consistente maggioranza alle ultime elezioni, usano il potere politico prima di tutto per i propri affari, e poi per dare segnali di fermezza e di ordine ad unasocietà - quella italiana- che appare troppo sfilacciata. Fermezza e ordine, sono le parole chiave di ogni governo borghese, di sinistra o di destra che sia, mescolati nel loro cocktail con le diverse parti di centro che ogni democrazia che si rispetti è in grado di riproporre sempre.

Fermezza e ordine. Fermezza nel difendere interessi capitalistici nazionali di fronte alla concorrenza internazionale sempre più agguerrita. Ordine nella società, nelle strade, nelle fabbriche. Fermezza e ordine richiedono, decisione, volontà di ottenere risultati, uso del «dialogo» e della «forza» in tutte le occasioni necessarie senza tentennamenti. Ci sono problemi di rifiuti a Napoli e del loro smaltimento? Si decidono le discariche e si inviano i soldati a difenderle dalle proteste degli abitanti. La casta politica ha problemi con la giustizia? Si decide di riformare la giustizia, piegandola agli interessi della casta politica. Ci sono problemi con gli abitanti delle valli dalle quali deve transitare la grande velocità ferroviaria? Si negozia quel tanto che basta per strappare un accordo, si passa all’esecuzione del progetto e se ci saranno altre proteste...ci sono sempre i soldati da mandare, come a Napoli. Ci sono problemi con gli abitanti delle periferie e dei campi nomadi? Si interviene schedando tutti i presenti espellendo i sans papiers, smontando anche con la forza i campi «abusivi» e strappando i figli minori alle rispettive famiglie per «proteggerli meglio». Fermezza e ordine!

Nella società la crisi economica sta gettando in condizioni di miseria crescente decine di migliaia di famiglie. E’ prevedibile che prima o poi montino tensioni sociali ad alta temperatura. La classe dominante si prepara da tempo ad eventualità di questo genere, perché sa che l’aumento della disoccupazione combinato con l’aumento del costo della vita possono formare una miscela esplosiva. Già nel napoletano e in buona parte della Campania da anni questa miscela è presente e non ci vuole molto perché l’incendio scoppi; la presenza della camorra che intimidisce ma nello stesso tempo «dà lavoro», la presenza di società e cooperative esistenti sulla carta e che «danno un miserro salario» ma non «danno lavoro», l’invio di soldati a presidiare discariche già valutate come altamente inquinanti ma data l’emergenza risultano ora tranquillamente utilizzabili, sono alcuni fattori utilizzati per ottenere il consenso sociale e la collaborazione di classe da parte di un proletariato che può essere preso come esempio di proletariato sistematicamente calpestato nella sua dignità, nella sua sopravvivenza e nel suo futuro.

Non è stato per accidente che di campi nomadi incendiati da «cittadini esasperati» non ve ne siano stati in nessuna parte d’Italia, salvo a Ponticelli, Napoli. E’ evidente la manovra di indirizzare il malcontento di gente martoriata quotidianamente dalla mancanza di salario su capri espiatori indicati non per caso nei nomadi, e in particolare nei rom. Gli zingari, come si diceva un tempo, sono sempre stati indicati come ladri, ladri di bambini, imbroglioni, invicili. Il nomadismo che i rom, i sinti, i beduini del deserto e altri popoli, hanno praticato e praticano da secoli caratterizzano popolazioni che non si sono mai adattate alla vita sedentaria e organizzata della campagna come della città. Artigiani, giostrai, mercanti: la loro attività era compatibile con il nomadismo e vi erano talmente abituati che diventava un bisogno fisico, di vita, spostarsi di villaggio in villaggio; i loro spostamenti assomigliavano in un certo senso a quelli dei gruppi di animali che vivono in vasti territori in cui, a seconda della stagione, trovare da mangiare e da bere per sopravvivere. Queste popolazioni potrebbero essere prese ad esempio di una migrazione millenaria che, alla tendenza naturale dei gruppi umani anche primitivi, si è aggiunta la migrazione obbligata per sfuggire alle carestie, alle guerre, alla spoliazione dovuta a popoli più forti e feroci, ai terremoti, alle alluvioni, ecc. Nel medioevo queste popolazioni nomadi hanno subito sistematico ostracismo e sistematica repressione, anche grazie all’attitudine della chiesa cattolica di imporre con la propaganda e con la forza la proprie religione: lo ha fatto con tutti i popoli colonizzati, lo faceva tanto più con i gruppi nomadi che avevano eletto l’Europa come il territorio in cui spostarsi perennemente. L’apparizione della civiltà moderna, borghese e democratica, invece di accettare le tradizioni migratorie di questi popoli, come accettò altre tradizioni sociali a partire da quelle religiose, le combattè in forza della spinta potente del capitalismo che tutto e tutti sottopone alle proprie leggi economiche: privati i contadini delle loro terre, privati gli artigiani delle loro botteghe, privata la stragrande maggioranza della popolazione della sua modesta ma più  sicura sopravvivenza, il capitalismo non poteva sopportare, oltre un certo limite, che nella società sopravviovessero forme organizzate che non si sottomettevano a tutte le  sue leggi. Perciò la tendenza della borghesia è sempre stata quella di trasformare i nomadi, i migranti, in proletari senza riserve alla mercé degli interessi immediati del capitale. E, nella misura in cui questo non avveniva con la pressione ideologica e materiale, la borghesia ha cercato di ottenerlo con la forza e la repressione. La borghesia rappresentava storicamente la classe vincitrice, il modo di produzione capitalistico che essa rappresentava aveva una forza storica incomparbile a qualsiasi altro modo di produzione precedente; perciò, la sopravvivenza di popoli nomadi non poteva che svolgersi ai margini più estremi della società, ed era inevitabile che coloro che non riuscivano a sopravvivere grazie alla loro attività artigiana (ad esempio la lavorazione dei metalli o i giostrai) finivano nel sottobosco del contrabbando, della droga, della microcriminalità o dell’elemosina. 

Il loro rifiuto tradizionale a trasformarsi in  abitanti stabili e inseriti nella società secondo le regole del lavoro salariato, li ha esposti ad essere facilmente indicati come un cancro per la società; sono diventati, anche nelle storielle comuni, i ladri per antonomasia, e ladri di bambini per giunta, «l’uomo nero» che porta via il bambino «cattivo».

E in situazioni di crisi, nelle quali la borghesia ha bisogno di trovare dei capri espiatori sociali su cui dirottare il malcontento e le paure generati dal suo stesso dominio economico e sociale, è ormai un copione già visto indicare i nomadi, i rom, gli zingari come una malattia che dall’esterno attacca la buona società. Una malattia che va curata con mezzi drastici: chiusura e distruzione dei campi «abusivi», schedature di tutti i componenti di quei campi, arresti, allontanamento, espulsioni.

Il governo attuale, che a capo del ministero di polizia ci ha messo un leghista di sani principi, non ha trovato di meglio che iniziare a garantire l’ordine e la sicurezza dei «cittadini» facendo piazza pulita dei campi rom e applicando norme di schedatura perfino ai bambini. Questa normativa è stata considerata da una parte dello schieramento politico esagerata; perfino la chiesa di Roma si è sentita in dovere di intervenire e di sostenere l’innocenza naturale dei bambini, anche se rom. Ma l’intento del governo non è solo quello di indirizzare la rabbia e le tensioni sociali, che stanno montando a causa della crisi economica, verso gli zingari, e naturalmente verso gli stranieri in generale. E’ anche quello di lanciare un monito al proletariato, su cui insiste preventivamente in termini di pressione poliziesca. Se la schedatura dei rom comporta tanto disagio anche alla chiesa, la soluzione è: schedature tutti, dalla carta di identità. Così ognuno potrà essere identificato dalla polizia anche per una semplice distrazione nel traffico urbano, o per aver mandato a quel paese un rumoroso motociclista. L’attività di un governo che intende prendersi il potere decisionale esautorando platealmente quel parlamento dove ha ottenuto una sicura maggioranza elettorale, e attaccando la magistratura che osa indagare su personaggi politici in vista, a partire dal presidente del consiglio, si sdoppia quando si tratta di ordine e sicurezza sociale. In questo campo la magistratura diventa il perno di ogni operazione di polizia: l’importante che non si tocchino i potenti, ma che si intimidiscano le masse proletarie.

La protezione dei «cittadini» è compito dello  Stato. Ma quello stesso Stato viene piegato con grande  evidenza agli interessi di una parte della rete di affari che ha il suo perno nelle attività dell’attuale presidente del consiglio. Che la legge sia uguale per tutti è già una barzelletta; che ora la protezione dei singoli cittadini da possibili atti criminali sia in mano a quella stessa polizia che a Genova nel 2001 ha massacrato pacifici dimostranti nelle strade, alla scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto, a quella stessa polizia che reprime senza scrupoli i profughi di mezzo mondo che sbarcano sulle nostre coste imprigionandoli nei centri di permanenza temporanea che in realtà sono veri e propri lager, ci possono credere soltanto coloro che condividono un livore razzista e un sentimento di odio sociale per tutto ciò che non risponde alla rispettabilità borghese. Purtroppo, questo livore e questi sentimenti caratteristci della piccola borghesia , che la crisi spinge verso condizioni sempre più precarie e proletarie, influenzano anche una parte del proletariato e contribuiscono a paralizzare la sua azione di difesa di classe. Anche questo fa parte  del lavorìo borghese sulla collaborazione di classe con il proprio proletariato autoctono, attività che i partiti politici e i sindacati che ancora si dicono «di sinistra» si guardano bene dal contrastare con forti mobilitazioni di massa!

Di fronte alla gragnuola di misure antiproletarie che i governi degli ultimi vent’anni hanno continuato a prendere, passandosi il testimone dalla sinistra alla destra e viceversa, il proletariato resta impietrito, narcotizzato, incapace di movimento autonomo. Non sappiamo quanto la situazione dovrà peggiorare perchè nelle file del proletariato si faccia strada un sentimento di appartenenza ad una classe che non ha nulla da perdere in questa putrida società dell’affare e del profitto capitalistico. E’ certo che la situazione economica delle grandi masse continuerà a peggiorare, come è certo che l’assalto ai nostri confini di paese industrializzato e sviluppato da parte di profughi di mezzo mondo continuerà ed aumenterà. Sarà la situazione sociale che non avrà più la possibilità di arginare le tensioni che si stanno accumulando; allora sarà più chiaro che le intimidazioni di oggi che la borghesia attua nei confronti degli strati più deboli e indifesi, non erano altro che le attività di prevenzione rispetto alla reazione, forte e organizzata, dei reparti proletari più decisi e influenti sul resto delle masse.

Oggi questo futuro di lotta del proletariato è coperto da molti strati della polvere acida e nociva della collaborazione di classe. Ci vorrà tempo e forze perchè questi strati vengano mandati all’aria e la pace sociale così ottenuta venga finalmente rotta da un proletariato che riconquista il suo terreno di lotta. La storia è fatta di forze e di tempo, è mossa da fattori economici e sociali di dimensioni gigantesche e l’avrà vinta su tutte le precauzioni, le attività di prevenzione, che le classi borghesi possono prendere per mantenere il proprio dominio. Il terremoto sociale che sta maturando nelle viscere nella società capitalistica non darà scampo a nessuno: alla classe borghese, che dovrà decuplicare le proprie forze nel tentativo di rimanere al potere, e alla classe proletaria che uscirà con estrema violenza dalla paralisi in cui la collaborazione interclassista  l’ha tenuta per decenni, e che dovrà mettere in campo tutta la sua forza e la sua intelligenza di classe per incamminarsi finalmente sulla strada della lotta di classe e della rivoluzione.

Noi, che lavoriamo perché il partito di classe, il partito della rivoluzione sia all’altezza del compito storico che attende alla classe del proletariato, siamo certi che il corfso storico va in questa direzione, come certi erano Marx ed Engels, Lenin e tutti i rivoluzionari comunisti anonimi che hanno speso la loro vita per questa prospettiva.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

Ritorno indice

Top