Appunti sulla popolazione del sahara occidentale e sulla sua autodeterminazione

(«il comunista»; N° 119; Dicembre 2010 / Gennaio 2011)

 Ritorne indice

 

 

I comunisti lottano contro ogni oppressione e quindi anche contro l’oppressione nazionale.

L’oppressione nazionale, attuata da parte dei paesi più forti verso i paesi e i popoli più deboli, è parte integrante del dominio borghese sulla società. Perciò i comunisti inquadrano la lotta contro l’oppressione nazionale nella più ampia e generale lotta proletaria di classe e rivoluzionaria.

L’obiettivo dei comunisti, nei paesi in cui i popoli lottano contro l’oppressione nazionale esercitata da altri popoli, non è l’indipendenza nazionale in sé, ma la rivoluzione proletaria contro ogni oppressione borghese o preborghese; storicamente, la rivoluzione borghese – che prevede lo sviluppo economico capitalistico contro le forme preborghesi e, quindi, l’indipendenza politica che permette lo sviluppo del mercato nazionale e del dominio borghese nazionale – è un passo avanti sia dal punto di vista economico che politico. Ma l’obiettivo dei comunisti, anche nelle aree in cui è all’ordine del giorno la rivoluzione borghese, resta la rivoluzione proletaria per lo sviluppo della quale il proletariato lotta insieme, ma come classe indipendente, con la borghesia per abbattere il potere feudale; lotta che, una volta eliminato il vecchio potere feudale, apre la strada alla lotta diretta contro il potere politico borghese: è la rivoluzione in permanenza di Marx.

Concluso storicamente il grande periodo delle guerre per l’indipendenza nazionale nell’Europa occidentale e in America – che datiamo con la Comune di Parigi del 1871 – resta aperto un altrettanto grande periodo di guerre per lo sviluppo economico capitalistico e contro l’oppressione nazionale di popoli dell’immenso territorio eurasiatico balcanico-russo che si chiude col il 1917 bolscevico e che, a sua volta, apre nelle vaste aree continentali dell’Asia e dell’Africa un successivo periodo di guerre di sistemazione nazionale. In linea di massima, possiamo far concludere questo ulteriore periodo di guerre borghesi per l’indipendenza nazionale e lo sviluppo dell’economia capitalistica con il 1975-76, ossia con l’indipendenza nazionale raggiunta dalle guerre anticoloniali in Angola e Mozambico. Rischiando di essere un po’ troppo schematici, potremmo dire che tutti i popoli che non sono riusciti ad ottenere, armi alla mano, l’indipendenza nazionale entro questo ciclo storico di guerre anticoloniali, rappresentano nazioni “fottute dalla storia”, ossia nazioni che non hanno avuto la forza storica di conquistare anche se solo formalmente l’indipendenza politica sul proprio territorio: è il caso dei palestinesi, è il caso dei curdi, è il caso dei saharawi.

Indiscutibilmente, ognuno di questi popoli ha una storia diversa e motivazioni diverse che possono spiegare la loro storica debolezza, ma resta il fatto che il destino della loro indipendenza politica, anche se cercato con le armi in mano, non rappresenta più un vero passo avanti nella storia anche perché non si tratta di grandi paesi che possono trainare gli altri in uno sviluppo storico. Questo aspetto del problema fa da base alla posizione settaria, ad esempio del nuovo “programma comunista”, che nega la validità per la tattica comunista odierna del “diritto all’autodeterminazione” per questi popoli sostenendo invece che non c’è altra prospettiva se non quella della rivoluzione proletaria in tutta l’area geopolitica interessata e in tutto il mondo (l’esempio è dato dalla “questione palestinese”). D’altra parte, sappiamo perfettamente che l’indipendenza politica che i popoli delle ex colonie hanno conquistato è condizionata, e sempre più condizionata, dal peso dei rapporti di forza con i paesi imperialistici più forti dai quali dipendono le sorti delle loro economie nazionali.

In verità, se è ben vero quanto detto qui sopra, è anche vero che l’oppressione nazionale non è per nulla scomparsa, anzi: con lo sviluppo dei contrasti interimperialistici si rafforza il militarismo da parte di ogni potenza imperialista e, a cascata, seguendo le linee di influenza imperialista nelle diverse aree geopolitiche, da parte dei paesi di seconda, terza o quarta grandezza nella misura in cui essi sono in grado di imporre interessi propri e interessi dei loro protettori imperialisti su altri territori e su altre popolazioni più deboli ancora.

L’esempio del popolo saharawi è emblematico: il territorio del Sahara occidentale è grande quanto l’Italia continentale, con una popolazione saharawi di 250/270.000 abitanti (secondo i dati raccolti da fonti ufficiali come l’ONU). Vi sono risorse minerarie importanti (come i fosfati), di pesca, e sotto la sabbia desertica è probabile che vi siano giacimenti importanti di petrolio: quanto basta per spingere i paesi confinanti – soprattutto il Marocco – ad impossessarsi del territorio usando la forza militare e cacciando dal loro “deserto” i saharawi che si sono rifugiati, infatti, in Algeria.

Siamo qui di fronte ad un piccolo popolo, semicontadino e seminomade, che ha combattuto armi alla mano per la propria indipendenza dalla Spagna, prima, ottenendo nel 1976 l’indipendenza riconosciuta dall’ONU, ma mai di fatto esercitata perché impedita dall’occupazione militare di Marocco e Mauritania (sostenuti soprattutto dagli USA) qualche mese dopo la dichiarazione della nuova Repubblica Democratica del Sahara Occidentale. La popolazione saharawi, di fatto, in gran parte rifugiata nel Sahara algerino, è ridotta nello stato di sopravvivenza precarissima, proletarizzata nel senso puro del termine – senza riserve – e dipendente dalla protezione e dalle sovvenzioni dell’ONU e dell’Algeria che la “ospita”. Nel territorio del Sahara occidentale, secondo fonti ufficiali dell’ONU, su 400mila abitanti attuali (ultimi dati 2004), circa 350.000 sarebbero coloni marocchini; il Polisario, l’organizzazione politica e militare della RDSO, è anch’esso rifugiato a Tindouf, in Algeria, dove ha stabilito il suo governo in esilio, e da anni, deposte le armi, tenta la via diplomatica per ottenere un riconoscimento di “sovranità” anche dal Marocco nel suo territorio originario. L’impotenza della popolazione saharawi e del Polisario è del tutto evidente.

Ciò non toglie che la popolazione saharawi soffra l’oppressione nazionale da parte marocchina, oppressione che si attua non solo impedendo agli esuli di tornare in “patria”, non solo alzando un muro di 2500 km nel deserto proprio per impedire contatti tra gli esuli e i residenti, ma anche attraverso l’affamamento e la repressione militare (come in novembre nel massacro della tendopoli di Laayoune, con diverse decine di morti, centinaia di feriti, centinaia di scomparsi, violenze, stupri e incendi).

I comunisti, di fronte ad un’ennesima dimostrazione della dittatura repressiva della borghesia e del massacro di una popolazione inerme, hanno il dovere non solo di denunciare la repressione e il massacro, ma di propagandare, verso il proletariato dei paesi oppressori - marocchino in particolare, ma anche maritano e spagnolo- il “diritto all’autodeterminazione” del popolo saharawi, denunciando allo stesso tempo la borghesia saharawi di un’impotenza congenita che la spinge ad abbandonare il “proprio popolo” alla mercé della soldataglia marocchina, e lanciando la prospettiva della lotta di classe internazionalista alla quale sono interessati oggettivamente tutti i proletari toccati direttamente dalla “questione del sahara occidentale”, i proletari marocchini, mauritani, algerini, e naturalmente spagnoli vista la precedente oppressione coloniale esercitata dalla borghesia di Madrid.

Dunque, sostenere “il diritto all’autodeterminazione” del popolo saharawi da parte nostra non significa lottare per il riconoscimento concreto di una indipendenza nazionale già formalizzata nel 1976, ma lottare contro l’unione sacra fra proletariato marocchino e borghesia marocchina, come lottare contro il falso interesse comune alla patria saharawi fra borghesia e proletariato saharawi; sapendo però che i proletari saharawi non si fideranno mai dei proletari marocchini se questi non romperanno la collaborazione di classe con la propria borghesia, come non si fideranno mai dei proletari mauritani, algerini, spagnoli se questi non lotteranno contro l’oppressione nazionale esercitata oggi dalla borghesia marocchina, come ieri da quella mauritana e, soprattutto, dalla borghesia spagnola.

E’ d’altra parte evidente, per noi, che il superamento di ogni oppressione, da quella nazionale a quella femminile a quella salariale, può essere avviato soltanto dalla vittoriosa rivoluzione proletaria e dalla tenuta della dittatura di classe fino alla trasformazione economica della società con la distruzione del modo di produzione capitalistico sostituendolo con il modo di produzione socialista e, infine, comunista. Ciò non toglie che, di fronte alla persistente oppressione e repressione nazionale da parte della borghesia marocchina (spalleggiata, non dimentichiamolo, dagli Stati Uniti, dalla Francia e dalla Spagna, particolarmente interessati alle risorse minerarie del territorio sahariano-occidentale), la posizione dei comunisti deve unire in un arco storico l’attualità della lotta contro l’oppressione nazionale e la prospettiva della rivoluzione proletaria internazionalista, posizione necessariamente dialettica: verso il proletariato marocchino, e gli altri proletari dei paesi interessati all’oppressione nazionale dei saharawi, sostegno della parola d’ordine del “diritto all’autodeterminazione del popolo saharawi” nella prospettiva della lotta rivoluzionaria del proletariato di tutta l’area contro le borghesie arabo-berbere; verso il proletariato e i contadini poveri saharawi la rivendicazione della lotta indipendente proletaria di classe contro la propria borghesia venduta alle potenze imperialistiche concorrenti degli Usa dalle quali ottiene una certa protezione politica ed economica; verso il proletariato spagnolo, europeo e statunitense la rivendicazione del “diritto all’autodeterminazione” del popolo saharawi come di qualsiasi altro popolo oppresso nazionalmente è accompagnata strettamente alla rivendicazione della lotta di classe proletaria contro le rispettive borghesie imperialiste che sostengono, a seconda dei propri interessi imperialisti, ora la borghesia massacratrice marocchina contro i saharawi, ora quella israeliana contro i palestinesi, ora quella turca contro i curdi ecc.

Sostanzialmente, il “diritto all’autodeterminazione per i popoli oppressi” non è per i comunisti un principio, ma una rivendicazione tattica che ha senso solo se inquadrata nel disegno tattico più ampio e complesso brevemente richiamato sopra. Questa specifica rivendicazione, se non è legata al quadro tattico descritto, e se non è legata ad una lotta armata di carattere nazionalrivoluzionario del popolo oppresso, resta una semplice (e illusoria) rivendicazione democratico-borghese, pacifista e legalitaria, che nasconde una situazione di assoluta impotenza non solo della borghesia nazionale ma dello stesso proletariato.

I comunisti avanzano e sostengono il “diritto all’autodeterminazione dei popoli oppressi” non solo, rivolgendosi alle popolazioni oppresse, per dimostrare di essere contro ogni oppressione, ma soprattutto, rivolgendosi ai popoli che opprimono altri popoli, per indirizzare i proletari dei paesi oppressori verso la presa in carico del dovere politico di classe di lottare perché questo “diritto” sia riconosciuto realmente dalle proprie classi borghesi dominanti. Solo in questo modo i proletari dei popoli oppressi potranno distinguere nettamente la borghesia dal proletariato del paese oppressore, riconoscendo il proletariato del paese oppressore come il vero alleato di classe contro ogni borghesia, quindi anche contro la propria borghesia che mira, invece, ad ottenere dalla borghesia più forte e oppressiva una certa “indipendenza politica” al solo scopo di accaparrarsi una sua quota di sfruttamento del “proprio” proletariato

Non a caso parliamo di “diritto all’autodeterminazione”: è un “diritto” che avanziamo in modo incondizionato ma sul terreno di classe, perché un domani, preso il potere politico, il potere proletario è tenuto a garantire questo diritto in pratica ma, nello stesso tempo, è tenuto anche a sostenere la prospettiva di un’unione tra i popoli al di sopra dei confini nazionali che la borghesia ha eretto ed erige sempre, per la quale prospettiva il potere proletario agisce per una reale fratellanza tra proletari delle diverse nazionalità continuando – da una posizione di forza data dalla vittoria rivoluzionaria e dall’esercizio della dittatura di classe – le stesse posizioni e azioni internazionaliste che hanno preceduto la rivoluzione. La solidarietà che i comunisti esprimono verso le vittime dell’oppressione nazionale (che per la maggior parte sono sempre proletari e contadini poveri) fa parte della lotta che il proletariato del paese oppressore deve attuare materialmente, in modo aperto, sabotando le azioni repressive della propria borghesia dimostrando così che la prospettiva della lotta internazionalista di classe e della rivoluzione proletaria mondiale è una prospettiva reale per la quale ci si batte senza se e senza ma.

Questa rivendicazione ha un ruolo tattico effettivo nel quadro della lotta proletaria in preparazione della rivoluzione, per vincere le divisioni nazionali fra proletari. Ma dopo la rivoluzione, a conquista del potere proletario avvenuta, essa inevitabilmente prenderà un altro peso perché la borghesia lancerà senza alcun dubbio questa stessa rivendicazione contro il potere proletario. Le risposte che il potere proletario dovrà trovare saranno inevitabilmente molto difficili perché dipenderanno dall’andamento della lotta rivoluzionaria internazionale, dai rapporti di forza che il proletariato vittorioso in uno o più paesi riuscirà a stabilire in alleanza con i proletariati degli altri paesi e degli altri popoli (oppressori od oppressi) nei confronti delle borghesie imperialiste più potenti, dalla maturazione reale dei fattori favorevoli alla rivoluzione nei paesi capitalistici più avanzati, dall’andamento della guerra di difesa del potere rivoluzionario contro gli attacchi concentrici dei paesi imperialisti. Le priorità tattiche cambieranno necessariamente, perché la difesa del potere proletario raggiunto sarà l’obiettivo da cui dipenderanno le decisioni tattiche nei confronti di tutti i vari tentativi di restaurazione borghese e per prevenire la formazione e lo scoppio di Vandee controrivoluzionarie, preparandosi a reprimere tempestivamente e senza esitazione ogni pericolo di questo tipo per il potere proletario; da questo punto di vista, se necessario, anche il borghese “diritto all’autodeterminazione” verrà messo da parte rispetto al rivoluzionario diritto di difesa del potere proletario. 

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

Top

Ritorne indice