Amadeo Bordiga nel cammino della rivoluzione

- II -

(«il comunista»; N° 121; luglio 2011)

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La serie che abbiamo intitolato "Amadeo Bordiga, nel cammino della rivoluzione", in occasione del quarantesimo dalla sua morte, ha visto finora la pubblicazione di una prima puntata nello scorso numero 117, del giugno 2010. Contavamo di proseguirne la pubblicazione numero dopo numero, ma i diversi lavori in essere relativi alle molteplici attività di partito e al seguire le grandi rivolte nei paesi arabi del Nord Africa e del Medio Oriente, ne hanno rimandato di qualche numero la continuazione. La prima puntata è stata dedicata alla trattazione della questione della teoria marxista, come corpo unico e indivisibile e nella sua invarianza storica, caratteristica questa che da Engels a Lenin e poi alla Sinistra Comunista d'Italia, di cui per l'appunto Amadeo Bordiga è stato il più coerente rappresentante, è sempre stata tenacemente ribadita, difesa e propagandata quale arma insostituibile della rivoluzione proletaria in tutti i paesi del mondo. Riprendiamo la pubblicazione in questo numero con la seconda puntata dedicata al tema del programma del partito, che altro non è se non la definizione sintetica della direzione, dei compiti e degli obiettivi che il partito di classe, sulla base della teoria marxista, si dà di fronte al proletariato di tutto il mondo.

 

 

Classe che deve ancora trovare il suo programma è frase vuota di senso. Il programma determina la classe

 

1848

Il programma del partito

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Il programma politico definisce i limiti entro i quali il partito intende contemplare la propria attività e la propria azione in funzione della realizzazione dei propri compiti nell'intero arco storico che lo divide dal periodo della lotta di classe del proletariato internazionale diretta verso la rivoluzione anticapitalistica all'avvio - attraverso il lungo periodo della dittatura proletaria internazionale - della trasformazione economica e sociale della società intera.

Il programma politico del partito comunista rivoluzionario discende direttamente dalla teoria marxista (collegando i principi agli obiettivi storici del comunismo rivoluzionario) e guida il partito alla realizzazione dei suoi postulati nelle diverse situazioni storiche di sviluppo della lotta fra le classi e nei diversi paesi, tenendo conto della maturazione reale dal punto di vista sociale e politico, oltre che economico, dello scontro rivoluzionario tra le forme economiche e politiche della vecchia società e lo sviluppo dei modi di produzione nello loro successione storica, della presenza e dell'attività di forme organizzate delle masse rivoluzionarie, sia dal punto di vista degli interessi immediati che degli interessi storici, e della presenza e dell'influenza dei partiti rivoluzionari in grado di rappresentare e guidare i movimenti rivoluzionari delle masse lavoratrici.

Nelle diverse fasi storiche di sviluppo del capitalismo e della lotta fra le classi, e nella necessità di evidenziare con maggior peso alcuni passaggi storici da una fase all'altra, il programma del partito comunista rivoluzionario ha contenuto formulazioni che nel tempo sono state superate dallo stesso sviluppo del capitalismo a livello mondiale e della lotta rivoluzionaria del proletariato. La validità del programma del partuito comunista rivoluzionario nelle diverse fasi storiche è data dal suo contenuto sostanziale e non da singole formulazioni legate necessariamente al reale sviluppo delle diverse situazioni in cui si svolge la lotta fra le classi e, in particolare, la lotta rivoluzionaria anticapitalistica.

Il programma politico del partito comunista rivoluzionario ha visto la luce per la prima volta, superando le diverse formulazioni ancora condizionate dall'ideologia nazionalrivoluzionaria borghese e dall'utopismo, col Manifesto che Marx ed Engels scrissero su incarico della Lega dei comunisti per il suo secondo congresso dell'autunno 1847, e che sarà reso pubblico nel febbraio del 1848. Il Manifesto di Marx ed Engels, in realtà, è molto di più di un programma politico; è  la sintesi del materialismo storico e dialettico che sta alla base della teoria del socialismo scientifico, cioè del comunismo, e quindi della dottrina che lo stesso Engels non avrà alcun timore di chiamare marxista pur avendo contribuito alla sua elaborazione fin dai primissimi passi con i suoi lavori come i Lineamenti di una critica dell'economia politica,  del 1843-44, La situazione della classe operaia in Inghilterra del 1845, e la fittissima collaborazione fra i due negli anni 1844-47 che sboccò  ad esempio ne La Sacra Famiglia e nell'Ideologia tedesca,  a dimostrazione della loro piena sintonia che durerà per tutta la loro vita di militanti del comunismo rivoluzionario. E' noto che il Manifesto del 1848 è stato preparato da Marx ed Engels non solo sulla base del comune lavoro di elaborazione teorica e politica appena ricordato, ma anche sulla traccia che redasse Engels intitolata Principi del comunismo, che doveva essere il testo della professione di fede dei comunisti e che, avendo la struttura di domande e risposte a mo' di catechismo, riproponeva un metodo molto comune ai tempi per distinguersi da altre scuole e altre correnti. E' lo stesso Engels che sollecita Marx a lavorare per consegnare alla Lega dei comunisti un testo che fosse insieme una dichiarazione di principi, un programma politico, un'affermazione di punti dottrinali, che avesse cioè la struttura di un testo atto alla propaganda e all'azione di un partito, e fu il Manifesto del Partito Comunista.

Il periodo in cui questo Manifesto vede la luce è lo svolto storico delle grandi rivoluzioni in Europa che confermavano non solo l'interpretazione dello sviluppo storico delle società di classe data dal marxismo, ma la prospettiva nella quale quello sviluppo inseriva oggettivamente, e storicamente, la lotta del proletariato come portatrice di una nuova società, della società senza classi, e l'azione rivoluzionaria necessaria perché quello sbocco storico avvenisse. Il capitalismo, a quel tempo, non era sviluppato al suo massimo grado, come lo sarà settant'anni più avanti quando Lenin  chiamerà il suo ultimo stadio di sviluppo "imperialismo", ma aveva mostrato a sufficienza tutte le contraddizioni fondamentali del suo modo di produzione e delle forme sociali e politiche del dominio di classe borghese, e le sue tendenze storiche che solo la teoria marxista ha potuto interpretare e prevedere. Molti paesi d'Europa, e quasi tutti gli altri al mondo, salvo gli Stati Uniti d'America, avevano ancora di fronte compiti rivoluzionari borghesi, compiti di abbattimento delle vecchie strutture produttive feudali e di sviluppo economico capitalistico, e compiti di progresso politico di liberalizzazione della vita sociale e politica che corrispondesse all'apertura dei mercati all'incedere vorticoso della produzione industriale; nello stesso tempo, la classe proletaria più sviluppata, in Inghilterra e in Francia, con la sua partecipazione decisiva  alle rivoluzioni borghesi e con le sue lotte per obiettivi politici antagonistici a quelli borghesi, mostrava concretamente che la rivoluzione borghese, sebbene fosse un enorme passo avanti nella storia del progresso sociale, non era comunque risolutiva di tutte le contraddizioni economiche e sociali e che l'antagonismo fra capitale e lavoro salariato, aveva sì semplificato il rapporto fra le classi ma universalizzandone le caratteristiche ed elevandone l'acutezza.  Ciò poneva, nella prospettiva storica, il proletariato in quanto classe e la sua lotta antiborghese e anticapitalistica come la vera soluzione storica di tutte le contraddizioni economiche e sociali accumulatesi nelle società divise in classi.

La coscienza storica di questo compito, condensata nel partito di classe, nel partito comunista, non poteva però astrarre dal movimento storico reale delle forze sociali. Quindi, pur mantenendo la rotta rivoluzionaria sugli obiettivi di classe e storici del proletariato - rivoluzione proletaria, violento abbattimento del potere politico borghese, instaurazione della dittatura proletaria di classe, estensione della lotta rivoluzionaria in tutti i paesi, interventi dispotici nella struttura economica capitalistica per la trasformazione del modo di produzione capitalistico in modo di produzione comunistico - l'azione del partito comunista nelle situazioni date non poteva non contenere anche linee tattiche e misure pratiche che tendessero ad accelerare i passaggi dalle vecchie strutture economiche  precapitalistiche al capitalismo e, in corrispondenza, dalle vecchie sovrastrutture politiche legate ai privilegi aristocratici, clericali e di casta alla democrazia più ampia.

Il Manifesto (1) del 1848 ne dà chiara dimostrazione quando affronta la situazione dei paesi allora più progrediti e nei quali il proletariato si assume il compito storico di fare la sua rivoluzione per costituirsi in classe dominante. Nel capitolo secondo del Manifesto, intitolato "Proletari e Comunisti", si afferma che lo scopo immediato dei comunisti è la formazione del proletariato in classe [quindi in partito politico], l' abbattimento del dominio della borghesia [quindi rivoluzione violenta contro il potere borghese], la conquista del potere politico da parte del proletariato [il proletariato si eleva a classe dominante, e impone la sua dittatura di classe], dominio politico che il proletariato userà per strappare a poco a poco alla borghesia tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello stato, cioè del proletariato organizzato come classe dominante, e per moltiplicare al più presto possibile la massa delle forze produttive, il tutto mediante interventi dispotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione.

La proprietà privata e l'appropriazione priovata della produzione sociale sono le due colonne portanti del diritto borghese, imposto e difeso con la violenza rivoluzionaria, in una prima fase, e poi con la violenza del sistematico sfruttamento del lavoro salariato e della conquista dei mercati a livello mondiale, nella fase successiva.

Il comunismo potrà abolire la proprietà privata (di beni, di capitali, di prodotti, di merci) e l'appropriazione privata del lavoro altrui perché potrà basare il nuovo modo di produzione e i nuovi rapporti di produzione e sociali sul progresso industriale che lo stesso capitalismo ha introdotto e doveva introdurre per potersi sviluppare, avendo come teatro il mondo intero, ma lo potrà fare solo se la forza sociale che rappresenta il capitale, la classe borghese, verrà abbatuta non solo come classe dominante, ma come classe sociale in sé. Il marxismo, mentre dichiarava e ammetteva il formidabile progresso storico del capitalismo e della borghesia rivoluzionaria rispetto alle vecchie società precapitalistiche e alle vecchie classi dominanti dell'aristocrazia, del feudalesimo e del dispotismo asiatico, annunciava la prepotente entrata nella storia del proletariato moderno quale vera e unica classe rivoluzionaria. Sulla base dell'analisi materialistica della storia delle lotte fra le classi, delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni, il marxismo scopre che l'oggettivo percorso storico della lotta fra le classi nella società borghese porta inevitabilmente ad uno sbocco: lo scontro fra proletariato e borghesia, come scontro storico tra la conservazione della società divisa in classi e il suo rivoluzionamento in società senza classi. 

Nell'abolizione della proprietà privata, che è caratteristica essenziale della società borghese in cui i nove decimi dei membri della società sono privi di proprietà e perciò assoggettati alla proprietà dei borghesi capitalisti, si condensa la gran parte delle misure dispotiche del potere dittatoriale del proletariato e, per darne la dimostrazione pratica, questo capitolo del Manifesto si conclude proprio con un decalogo di misure, atte a dare l'avvio al rivolgimento dell'intero sistema di produzione, così definito:

1. Espropriazione della proprietà fondiaria ed impiego della rendita fondiaria per le spese dello stato - 2. Imposta fortemente progressiva - 3. Abolizione del diritto di successione - 4. Confisca della proprietà di tutti gli emigrati e ribelli [borghesi e controrivoluzionari, naturalmente] - 5. Accentramento del credito in mano dello stato mediante una banca nazionale con capitale dello stato e monopolio esclusivo - 6. Accentramento di tuti i mezzi di trasporto in mano allo stato - 7. Moltiplicazione delle fabbriche nazionali, degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano collettivo - 8. Eguale obbligo di lavoro per tutti, costituzione di eserciti industriali, specialmente per l'agricoltura - 9. Unificazione dell'esercizio dell'agricoltura e dell'industria, misure atte ad eliminare gradualmente l'antagonismo fra città e campagna - 10. Istruzione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli. Eliminazione del lavoro dei fanciulli nelle fabbriche nella sua forma attuale. Combinazione dell'istruzione con la produzione materiale e così via.

Inutile dire che misure di questo genere non possono essere prese da alcun potere politico borghese, fosse anche il più democratico rivoluzionario possibile, o il più dittatoriale e accentratore possibile, proprio perché vanno a minare inesorabilmente il diritto borghese all'appropriazione privata della produzione e alla proprietà privata dei mezzi di produzione.  Misure di questo tipo, ed altre ancor più drastiche, invece, solo la dittatura proletaria (a cominciare dalla Comune di Parigi per proseguire con quella instaurata dal partito bolscevico di Lenin attraverso la vittoriosa rivoluzione dell'Ottobre 1917) potevano, e potranno, essere avviate, dimostrando che è questa la via da seguire e non quella del riformismo gradualista o, peggio, collaborazionista.

Va detto che queste specifiche misure furono dagli stessi Marx ed Engel considerate non assolute e, in ogni caso, modificabili secondo le cambiate circostanze storiche prodotte dallo sviluppo del capitalismo e della lotta proletaria a livello internazionale. Infatti, nella Prefazione all'edizione tedesca del 1872 del Manifesto, Marx ed Engels si preoccupano di precisare quanto segue: "Per quanto negli ultimi venticinque anni la situazione sia cambiata, i principi generali svolti in questo Manifesto conservano anche oggi, nelle grandi linee, tutta la loro giustezza. Qua e là si potrebbe correggere qualche particolare. L'applicazione pratica di questi principi, come dichiara il Manifesto stesso, dipenderà sempre e dovunque dalle circostanze storiche del momento; quindi non si dà alcuna importanza particolare alle misure rivoluzionarie proposte alla fine della sezione seconda [i 10 punti sopra ricordati, NdR]. Questo passo suonerebbe oggi diversamente sotto molti rapporti. Di fronte all'immenso progresso della grande industria negli ultimi venticinque anni e all'organizzazione in partito della classe operaia che con quella è progredita, di fronte alle esperienze pratiche della rivoluzione di febbraio prima, e poi ancora molto più della Comune di Parigi, nella quale il proletariato ha tenuto per la prima volta il potere politico, per due mesi, questo programma è oggi invecchiato in vari punti. La Comune ha, specialmente, fornito la prova che 'la classe operaia non può semplicemente prender possesso della macchina statale bell'e pronta e metterla in moto per i propri fini' (si veda la Guerra civile in Francia, l'Indirizzo del consiglio generale dell'Associazione Internazionale degli operai, edizione tedesca p. 19, dove questo concetto è svolto ampiamente). Inoltre è ovvio che pei giorni nostri la critica della letteratura socialista presenta delle lacune, perché giunge soltanto fino al 1847; così è ovvio che le osservazioni sulla posizione dei comunisti rispetto ai vari partiti d'opposizione (capitolo IV), benché siano giuste anche oggi nelle linee generali, tuttavia sono ormai invecchiate nei particolari, già per la sola ragione che la situazione politica si è trasformata totalmente, e perché lo svolgimento della storia ha fatto scomparire la maggior parte dei partiti ivi elencati" (2).

La più grande conquista storica del capitalismo, cioè la creazione del lavoro salariato e, quindi l'assoggettamento della stragrande maggioranza della popolazione di ogni paese - anche se inegualmente sviluppato - alla legge del valore (accumulazione e valorizzazione del capitale), esprime nello stesso tempo la più grande forza sociale in grado, col suo movimento rivoluzionario, di far fare all'intera società umana il salto di qualità storico più importante: il passaggio dalle società divise in classi alla società senza classi, dove il lavoro non sarà più il tormento quotidiano per un'esistenza da schiavo, ma l'espressione di un'attività umana collettiva e solidale armoniosamente operante al fine di rendere naturale che ognuno dia alla società secondo le sue capacità e prenda dalla società secondo i suoi bisogni.

Nella società capitalistica il "lavoro" non può essere altro che lavoro salariato, lavoro che schiavizza il proletariato in quanto "fornitore" obbligato di forza-lavoro al capitalista che "compra" il tempo di lavoro degli operai per un prezzo che è la somma dei mezzi di sussistenza necessari per mantenere e riprodurre la forza lavoro in quanto forza lavoro salariata. Il capitale compra forza-lavoro, non uomini, ma in questo scambio mercantile è la forza-lavoro che ci perde (perché una parte sempre crescente del suo tempo di lavoro non viene pagata e si trasforma in plusvalore per il capitale) ed è il capitale (il suo rappresentante nella società, il borghese capitalista) che ci guadagna. Lo sfruttamento del lavoro salariato (il lavoro vivo) serve al capitalista per valorizzare il capitale e per moltiplicare il valore del capitale accumulato (il lavoro morto): nella società borghese il lavoro vivo è soltanto un mezzo per moltiplicare il lavoro accumulato; nella società comunista il lavoro accumulato è soltanto un mezzo per ampliare, per arricchire, per far progredire il ritmo di esistenza degli operai [intesi come produttori, lavoratori, uomini, non come forza lavoro salariata].

La classe dominante borghese, difendendo le condizioni materiali di esistenza della propria classe, quindi i rapporti di produzione e sociali basati sul capitalismo, difende tutte quelle libertà, quei diritti che esprimono e difendono la libertà di sfruttare lavoro salariato, la libertà di commercio, la libertà di accumulare ricchezze sociali in forme private, la libertà di conquistare mercati e di usare liberamente ogni mezzo nella lotta di concorrenza, il diritto di difendere la proprietà privata con le leggi e con la forza del suo Stato. L'ideologia borghese è intrisa di idee sulla libertà, sul diritto, sulla pace, sul libero svolgersi della domanda e dell'offerta nel mercato, come se il mercato - dunque lo scambio delle merci e del denaro - fosse il solo ambito nel quale si possono realizzare i rapporti sociali tra gli uomini. In realtà, nella società borghese, ogni persona ed ogni rapporto tra persone - siano moglie e marito, genitori e figli, datori di lavoro e fornitori di forza lavoro, contadino e proprietario terriero,  piccolo borghese e grande borghese - e ogni oggetto prodotto e scambiato, è o strumento di lavoro o articolo di commercio. Ed è la mercificazione di ogni rapporto di produzione e sociale, come di ogni bene prodotto e messo in circolazione, che fa della società borghese la società in cui lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo ha toccato l'apice.

Ma lo sviluppo del mercato mondiale, la diffusione in tutto il mondo della produzione industriale e delle corrispondenti condizioni di esistenza, hanno universalizzato le caratteristiche della società capitalistica e le leggi del capitalismo in tutti i paesi, nonostante sussistano condizioni di sviluppo anche molto differenti da paese e paese. Questa stessa universalizzazione delle condizioni capitalistiche di vita economica e sociale ha in parte fatto superare le separazioni e gli antagonismi nazionali esistenti nelle società precedenti, sebbene questi antagonismi siano alimentati appositamente per ragioni di concorrenza capitalistica; ciò non toglie che questa tendenza storica al superamento delle divisioni tra nazionalità, se trova nelle borghesie nazionali interesse di classe nella "difesa della patria", trova nella classe del proletariato motivi storici di antagonismo di classe e, quindi, di interesse di classe che supera ogni confine artificiosamente innalzato dalle borghesie nazionali al solo scopo di difendere le proprie aziende e i propri privati profitti.

La lotta del proletariato, in forza delle condizioni materiali del rapporto tra capitale e lavoro salariato, ha le stesse caratteristcihe di fondo in ogni paese del mondo e perciò, più che mai, nel corso di sviluppo del capitalismo a livello mondiale, i compiti storici della classe proletaria sono gli stessi in ogni paese, al di là del grado di sviluppo del capitalismo e del proletariato nazionali. Quindi: proletari di tutti i paesi, unitevi!, non è soltanto un grido di battaglia per raccogliere masse sempre più numerose di proletari sotto la bandiera della rivoluzione e dell'emancipazione dall'oppressione capitalistica, ma l'indicazione della lotta che accomuna i proletari di tutte le nazionalità, di ogni razza, al di sopra delle divisioni e della concorrenza nazionali. Una delle prime condizioni della sua emancipazione - afferma il Manifesto parlando del dominio del proletariato vittorioso nella sua rivoluzione - è l'azione unita, per lo meno dei paesi civili.

 

Scomparendo lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo scompare anche lo sfruttamento di una nazione da parte di un'altra, scomparendo l'oppressione salariale, scompare ogni genere di oppressione di classe.  

Quando le differenze di classe saranno scomparse nel corso dell'evoluzione - continua il "Manifesto" di Marx-Engels - e tutta la produzione sarà concentrata in mano agli individui associati, il pubblico potere perderà il suo carattere politico. In senso proprio, il potere politico è il potere di una classe organizzato per opprimerne un'altra. Il proletariato, unendosi di necessità in classe nella lotta contro la borghesia, facendosi classe dominante attraverso una rivoluzione, ed abolendo con la forza, come classe dominante, gli antichi rapporti di produzione, abolisce insieme a quei rapporti di produzione le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe, cioè abolisce le condizioni d'esistenza delle classi in genere, e così anche il suo proprio dominio in quanto classe. Alla vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi fra le classi subentra una associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti.   

Era necessario, all'epoca, che in un unico documento, come abbiamo ricordato all'inizio, vi fossero riuniti i punti dottrinali essenziali, i principi, gli obiettivi, i compiti immediati che distinguevano il comunismo marxista da ogni altra ideologia "socialista" o "comunista" esistente; perciò al programma politico del partito comunista si accompagnavano le affermazioni teoriche poggianti sulla concezione materialistica della storia e il programma immediato della dittatura proletaria  definendone le misure pratiche. Questo programma immediato non ha perso nulla della sua validità nonostante il progressivo sviluppo del capitalismo non solo in Europa e nelle Americhe ma anche in Asia e Africa, ma dove permangono ancora sacche importanti di arretratezza sia economica che politica.

 

1864

Prima Internazionale

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Una grande assemblea operaia internazionale, preparata negli anni precedenti dai dirigenti delle trade unions inglesi e da un gruppo di lavoratori proudhonisti francesi, ai quali si aggregarono rappresentanti di lavoratori ed esuli politici tedeschi, italiani e di altri paesi, tenutasi a Londra, al St. Martin's Hall, il 28 settembre 1864, deliberò la fondazione della "Associazione internazionale degli operai", in seguito denominata "Prima Internazionale". Prendeva così corpo l'organizzazione politica internazionale della classe operaia sulla spinta dello sviluppo dei movimenti operai inglese e francese che rappresentavano la punta organizzativamente più avanzata in Europa. Ma è l'intervento di Marx, in qualità di rappresentante dei lavoratori tedeschi, che indicherà alla Prima Internazionale la rotta da seguire al fine di far avanzare il movimento operaio nella lotta rivoluzionaria per l'emancipazione della classe operaia e della società dal capitalismo.

L'Indirizzo inaugurale dell'Associazione internazionale degli operai, scritto da Marx e approvato dall'Internazionale il 1° novembre 1864, riporta la critica al sistema capitalistico, che all'epoca aveva il suo punto più avanzato in Inghilterra, al livello del Manifesto del 1848, sottolineando la tesi fondamentale e irrinunciabile dell'internazionalismo proletario di classe che costituisce uno dei fulcri portanti del programma del partito politico della classe operaia in tutti i paesi. L'Indirizzo non poteva che concludersi con lo storico grido di battaglia: Proletari di tutti i paesi, unitevi!

La denuncia che lo sviluppo del capitalismo, e quindi del dominio della classe dei proprietari terrieri e dei capitalisti, comporta inesorabilmente il peggioramento delle condizioni di vita delle classi lavoratrici, è supportata dalle stesse inchieste ufficiali del governo britannico; ma questa denuncia sarebbe rimasta un fatto letterario e politicamente impotente se non fosse stata assunta dal movimento politico del proletariato come dimostrazione materiale dell'antagonismo di classe esistente fra proletariato e borghesia, e non fosse stata motivo per indirizzare la spontanea ribellione delle masse operaie verso un effettivo cambiamento radicale della struttura economica esistente e dei rapporti sociali di produzione fra proletari e capitalisti.

L'Indirizzo del 1864 metteva in risalto proprio la contraddizione principale del capitalismo e del suo sviluppo: accumulazione di ricchezza e benessere da parte della minoranza borghese e possidente, e miseria crescente da parte delle masse proletarie e contadine povere. "Dovunque, la gran massa delle classi lavoratrici è piombata sempre più in basso, nella medesima proporzione almeno con  cui coloro, che stanno al di sopra, sono saliti più in alto nella scala sociale. In tutti i paesi d'Europa è divenuto attualmente una verità, non confutabile da spiriti imparziali e negabile soltanto da coloro che hanno interesse nel rinviare gli altri a un paradiso immaginario, che, né il perfezionamento delle macchine, né le scoperte chimiche, né l'applicazione della scienza alla produzione, né la scoperta di nuove comunicazioni, né le nuove colonie, né la creazione di nuovi sbocchi, né il libero scambio, né tutte queste cose insieme sono in grado di sopprimere la miseria delle classi lavoratrici; e, al contrario, sulla falsa base del presente, ogni nuovo sviluppo della forza produttiva del lavoro scaverà necessariamente un abisso più largo e più profondo fra i contrasti sociali e l'antagonismo sociale ne uscirà più aspro e più acuto. Durante questa 'inebriante' epoca del progresso economico, nelle metropoli dell'impero britannico, la morte per inedia si è elevata all'altezza di un'istituzione sociale. Quest'epoca è segnata negli annali del mondo da ritorni accelerati, da un'estensione sempre più dilatantesi, dagli effetti sempre più mortali, della peste sociale chiamata crisi commerciale e industriale" (3).

A centocinquant'anni di distanza, queste parole hanno ancora una freschezza e una incisività formidabili, con la sola differenza, peraltro prevista dal marxismo, che il capitalismo dai paesi d'Europa si è sviluppato in tutto il mondo estendendo inevitabilmente con lo sviluppo economico che arricchisce una minoranza di capitalisti e proprietari terrieri, la miseria crescente per  masse lavoratrici immensamente più grandi di quelle esistenti a metà dell'Ottocento.

Il perfezionamento delle macchine, le scoperte chimiche, l'applicazione della scienza alla produzione, le nuove comunicazioni, le colonizzazioni e la ricerca di nuovi sbocchi di mercato, hanno continuato a progredire, ma nessuna di queste e nemmeno tutte queste cose insieme sono mai riuscite a sopprimere la miseria delle classi lavoratrici; al contrario - come previsto nell'Indirizzo del 1864 - ogni nuovo sviluppo del capitalismo non ha fatto altro che scavare un abisso più largo e profondo nei contrasti sociali, mentre l'antagonismo sociale non ha fatto altro che diventare sempre più aspro e acuto tanto da spingere il potere delle classi dominanti a controllarne l'andamento sociale sia con una politica di repressione, sia con una politica riformista,  opportunistica e collaborazionista dei sindacati e dei partiti operai.

Affrontando la situazione generale prodottasi dopo le sconfitte delle rivoluzioni del 1848 e le ripercussioni negative sul movimento rivoluzionario operaio europeo, l'Indirizzo non ha mancato di mettere in risalto  fatti che considerava grandi avvenimenti a favore delle prospettive di lotta del proletariato: la conquista della legge sulle dieci ore e il movimento cooperativo delle manifatture.  Con la legge sulle dieci ore, raggiunta in Inghilterra dopo trent'anni di lotta operaia per la drastica diminuzione della giornata lavorativa, passava il principio che solo con la lotta organizzata, tenace e a difesa di interessi esclusivamente operai, la classe lavoratrice poteva ottenere un risultato concreto e, insieme, un riconoscimento istituzionale dei contenuti della sua "economia politica". Con il movimento cooperativo delle manifatture, che Marx certamente non esaltava al di sopra della realtà,  si provava che "la produzione su larga scala e in accordo con le esigenza della scienza moderna può venir esercitata senza l'esistenza di una  classe di padroni  che impieghi quella dei manovali, che i mezzi del lavoro, per rendere, non hanno bisogno di essere monopolizzati né di essere piegati a mezzi di predominio e di sfruttamento contro il lavoratore, e che il lavoro salariato, così come il lavoro degli schiavi,  il lavoro dei servi, non è che una forma sociale transitoria e inferiore, destinata a sparire di fronte al lavoro associato, che espleta il proprio assunto in modo vivace, con spirito alacre e con animo felice" (4).

Proprio per aprire la strada ad una forma sociale superiore, all'emancipazione del proletariato dal capitalismo, la lotta di classe storicamente deve travalicare i confini delle riforme a vantaggio delle classi lavoratrici - riforme d'altra parte ottenibili soltanto attraverso durissime lotte sociali contro la classe borghese dominante - e porsi un obiettivo più alto: la conquista del potere politico. Nell'Indirizzo Marx sottolinea: la conquista del potere politico è divenuto il grande dovere della classe operaia. E aggiunge: "Essa possiede un elemento di successo: il numero; ma il numero non pesa sulla bilancia se non quando è unito in collettività ed è guidato dalla conoscenza". Si ribadisce, quindi, la necessità storica del partito politico di classe, come proclamato nel Manifesto fin dal 1848. E non si tratta di un partito "nazionale", ma del partito internazionale della classe operaia di tutti i paesi, un partito con un unico obiettivo: l'emancipazione del proletariato dal capitalismo; un'unica organizzazione: l'associazione internazionale degli operai di tutti i paesi; un'unica lotta in cui "gli operai dei differenti paesi" devono "stringersi con fermezza gli uni agli altri in tutte le loro lotte per l'emancipazione".

 

1871

La Comune di Parigi

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Come è successo alla rivoluzione russa dell'Ottobre 1917 e alla dittatura proletaria e comunista del partito bolscevico al tempo di Lenin, è successo anche alla Comune di Parigi del 1871: o si ignora coscientemente il portato storico della classe del proletariato giunta al potere e degli insegnamenti fondamentali per la lotta rivoluzionaria successiva contro l'intera società borghese e capitalistica, oppure lo si stravolge, falsificandone i fatti e le effettive conquiste storiche.  Rispetto alla Comune di Parigi, tutt'al più, gli storici che si definiscono "di sinistra", se non  addirittura "rivoluzionari", ne esaltano il lato romantico, l'eroismo di sapore idealistico ed anarchico che ha spinto le masse popolari, nelle quali vedono sempre immerso il proletariato, a tentare un "assalto al cielo" che non raggiunge lo scopo a causa di una "coscienza" ancora troppo primitiva e poco democratica o per lo "strapotere" di un nemico forte perché possiede tutto e al quale non si è riusciti a strappare, poco alla volta, pezzi di potere. La visione contro cui si sono battuti Marx ed Engels all'epoca della Comune, e dopo di loro tutti i marxisti coerenti e intransigenti massimamente rappresentati da Lenin e, successivamente, dalla Sinistra comunista d'Italia, è quella secondo cui ad una esaltazione esagerata delle possibilità di successo rivoluzionario da parte di un movimento proletario di massa spinto sì materialmente allo scontro supremo con lo Stato, ma ancora  impreparato, non sufficientemente allenato e non influenzato in modo determinante dal partito di classe rivoluzionario, fa seguire, nel momento in cui il movimento proletario si muove, in armi, contro il potere nemico, l'ammonimento a "non accettare lo scontro", a "non prendere le armi" come gridò Plechanov nel 1905. La visione, cioè, di coloro che accetterebbero battaglia "soltanto alla condizione di un esito infallibilmente favorevole" come scriveva Marx a Kugelman, a proposito della Comune, nella sua lettera del 17 aprile 1871.

"La guerra civile in Francia", afferma Engels, insieme al "18 Brumaio di Luigi Bonaparte", è un formidabile esempio di "quella meravigliosa facoltà di cui l'autore dette prova, di afferrare chiaramente il carattere, la portata e le conseguenze necessarie dei grandi avvenimenti storici, nel momento stesso in cui questi avvenimenti si vanno ancora svolgendo sotto i nostri occhi o si sono appena conclusi" (5).

A dimostrazione che il programma del proletariato rivoluzionario, ossia del proletariato costituitosi in partito politico, non è un progetto ideale da realizzare, ma il risultato dello sviluppo storico della lotta di classe fra il proletariato e le classi nemiche, prima fra tutte la borghesia, non vi è solo il Manifesto del 1848, ma, esperienza storica concreta, l'esempio della Comune di Parigi. In Francia, il proletariato, sull'onda di un movimento politico parallelo allo sviluppo vorticoso del capitalismo, già a partire dalla grande rivoluzione del 1789, assume storicamente un peso determinante in ogni svolto rivoluzionario successivo. Come afferma Engels nella citata Introduzione del 1891 a La guerra civile in Francia di Marx, dopo il 1789 "a Parigi nessuna rivoluzione è potuta scoppiare senza assumere carattere proletario, in modo che dopo la vittoria del proletariato, che l'aveva conquistata col proprio sangue, questi presentava le proprie rivendicazioni" (6). Queste rivendicazioni sorgevano dalle condizioni stesse della lotta e dell'andamento della rivoluzione, non facevano parte di un programma già redatto a tavolino. Engels evidenzia il fatto che esse "erano più o meno imprecise, e persino confuse, in relazione al grado di maturità raggiunto dagli operai parigini: ma in definitiva esse tendevano tutte all'eliminazione dell'antagonismo di classe tra i capitalisti e gli operai"; va precisato, contro interpretazioni deviate, che l'eliminazione dell'antagonismo di classe tra i capitalisti e gli operai, di cui parla Engels, è l'eliminazione rivoluzionaria di questo antagonismo, eliminazione che corrisponde all'abbattimento violento del potere politico borghese e al contemporaneo spezzare la macchina statale eretta a difesa dei privilegi politici e del monopolio economico della classe dei capitalisti. Continua Engels: "a dire il vero non si sapeva come ciò dovesse realizzarsi"; dopo le rivoluzioni del 1830 e del 1848, la lotta di classe del proletariato non aveva ancora raggiunto quelle esperienze pratiche e quel grado di maturazione necessari alla definizione di un programma politico che contenesse non solo i grandi obiettivi storici della lotta per l'emancipazione del proletariato dal capitalismo e i metodi rivoluzionari per raggiungerli, ma anche le misure pratiche affinchè la conquista del potere da parte del proletariato si rafforzasse e durasse nel tempo contro ogni tentativo di restaurazione borghese. E' la Comune di Parigi a dare un apporto storico di primaria grandezza alla rivoluzione proletaria nei paesi capitalistici avanzati, nonostante i suoi errori e nonostante l'assenza, alla sua testa, del partito di classe marxista. E' noto, infatti, che a capo della Comune vi era una maggioranza di blanquisti, predominanti nel Comitato centrale della guardia nazionale, e una minoranza di socialisti proudhoniani, membri dell'Associazione Internazionale dei lavoratori, a nome della quale sarà Marx a scrivere i due brevi Indirizzi del 23 luglio 1870 e del 9 settembre 1870 sulla guerra Franco-Prussiana, prima dell'Indirizzo del 30 maggio 1871, presentato, due giorni dopo la fine della Comune, al Consiglio generale dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori d'Europa e degli Stati Uniti, intitolato per l'appunto La guerra civile in Francia, e da questo Consiglio approvato totalmente.

Gli insegnamenti della Comune non potevano essere tratti che dai teorici del comunismo rivoluzionario, non certo dai blanquisti o dai proudhoniani, che pure l'avevano vissuta direttamente e ne erano stati alla testa. I blanquisti per mancanza di chiarezza di principi e per il loro sacro rispetto per la Banca di Francia, i proudhoniani, teorici del piccolo contadiname e dell'artigianato consideravano la concorrenza, la divisione del lavoro, la proprietà privata "forze economiche positive", e per questo avversavano l'Associazione Internazionale dei Lavoratori. Ma la forza sociale della rivoluzione condotta dal proletariato parigino, in realtà, fece fare ai proudhoniani e ai blanquisti, nonostante le loro idee confuse e piccoloborghesi, molte cose giuste.

Seguiamo Engels nella sua Introduzione del 1891, che dice: "La Comune dovette riconoscere fin dall'inizio che la classe operaia, una volta al potere, non può continuare ad amministrare servendosi del vecchio apparato statale; che la classe operaia, per non perdere di nuovo il proprio potere appena conquistato deve, da una parte, eliminare tutto il vecchio apparato repressivo fino allora impiegato contro di essa, ma, d'altra parte deve assicurarsi contro i propri rappresentanti e funzionari, dichiarandoli revocabili senza alcuna eccezione e in ogni momento" (7). Gli organismi che la società, nel suo sviluppo, aveva costituito per la difesa degli interessi comuni, "all'origine mediante una semplice divisione del lavoro", al cui vertice vi era il potere dello Stato, si erano trasformati "da servitori della società, in padroni della medesima", e ciò non riguardava soltanto la monarchia ereditaria ma, già nel 1871!, anche la repubblica democratica, e come esempio Engels riporta nientemeno che l'America del Nord.

Per evitare, quindi, quella trasformazione, continua Engels, "inevitabile in tutti i regimi che si sono succeduti finora, dello Stato e degli organi dello Stato, all'origine servitori della società e padroni di questa, la Comune applicò due mezzi infallibili. In primo luogo, assegnò tutti gli impieghi dell'amministrazione, della giustizia e dell'insegnamento mediante elezione per suffragio universale da parte degli stessi interessati e, beninteso, con la possibilità di revoca immediata in qualunque momento da parte degli stessi. In secondo luogo, retribuì tutti i servizi, da quelli inferiori ai più elevati, con il solo salario che ricevevano gli altri operai. (...) In questo modo si era posto un valido freno alla caccia ai posti e all'arrivismo, senza richiamarsi ai mandati imperativi per i delegati ai corpi rappresentativi, che furono aggiunti in sovrappiù" (8). Mai, in nessuno Stato borghese anche il più democratico possibile, si è mai arrivati ad una misura così efficace nella lotta al burocratismo e all'arrivismo; attraverso misure di questo genere veniva avviata la necessaria trasformazione dello Stato da "padrone della società" a "servitore della società", passo indispensabile per procedere - insieme allo sviluppo della rivoluzione in tutto il mondo - verso la futura estinzione dello Stato in quanto organo repressivo in mano alla classe dominante borghese.

Sempre nella Introduzione del 1891, Engels traccia rapidamente le misure prese dalla Comune fin dal primo giorno della sua proclamazione, che vale la pena riprendere, senza dimenticare che il secondo Impero di Luigi Bonaparte, approfittando delle discordie interne della borghesia francese dopo la rivoluzione del 1848, impostosi nel dicembre 1851 non poteva che rivendicare, prima o poi, i confini del primo Impero, perduti nel 1814. "Di qui - scrive Engels - la necessità di guerre periodiche e di ampliamenti territoriali" e "la rivendicazione della riva sinistra del Reno, in blocco o a bocconi, non era che una questione di tempo"; è quanto avvenne con la guerra austro-prussiana del 1866, nella quale la Francia barattò con Bismark la sua "neutralità" dietro la promessa di una porzione dei territori confinanti con gli Stati tedeschi, promessa non mantenuta da Bismark. Ed è ciò che avvenne poi, con l'improvvisa dichiarazione di guerra del luglio 1870 contro la Prussia. Ma la Francia ebbe la peggio, capitolando due mesi dopo di fronte alle truppe prussiane nella battaglia di Sedan, all'inizio di settembre 1870. "La necessaria conseguenza fu la rivoluzione di Parigi del 4 settembre 1870 - continua Engels, chiarendo la situazione in cui si trovò la Francia e Parigi in particolare -. L'Impero crollò come un castello di carte, fu nuovamente proclamata la Repubblica. Ma il nemico era alle porte: gli eserciti imperiali erano o rinchiusi senza scampo nella fortezza di Metz o prigionieri in Germania. In questo frangente, il popolo consentì ai deputati parigini del vecchio Corpo Legislativo di costituirsi in 'governo di Difesa nazionale'. Ed acconsentì tanto più volentieri in quanto, al fine di assicurare la difesa, tutti i parigini in grado di portare le armi erano entrati nella guardia nazionale e si erano armati, in modo che gli operai ne costituivano ora la grande maggioranza. Ma ben presto l'opposizione tra il governo composto quasi esclusivamente di borghesi e il proletariato armato divampò in conflitto aperto. Il 31 ottobre, battaglioni di operai assalirono l'Hotel de Ville [il Palazzo del Municipio, NdR] e fecero prigionieri una parte dei membri del governo; il tradimento e l'aperta violazione degli obblighi assunti da parte del governo e l'intervento di alcuni battaglioni di piccolo-borghesi subito chiamati, restituirono la libertà ai membri del governo e, per non scatenare la guerra civile all'interno di una città assediata da un esercito straniero, si lasciò in carica il governo costituito" (9).

Ed ecco come il potere a Parigi cadde nelle mani del proletariato. Parigi, il 28 gennaio 1871, affamata dal lungo assedio, capitolava. Ma - sottolinea Engels - "con onori mai visti sino ad allora nella storia delle guerre. I forti vennero consegnati, le trincee esterne di difesa vennero abbandonate, le armi dei reggimenti di linea e della guardia mobile consegnate e i loro componenti furono considerati prigionieri di guerra. Ma la guardia nazionale conservò le sue armi e i suoi cannoni e si considerò in stato di armistizio di fronte ai vincitori. E questi ultimi non osarono neanche penetrare trionfalmente in Parigi. Non osarono occupare che un piccolo lembo di Parigi, per lo più costituito da parchi pubblici e questo per alcuni giorni soltanto! E durante questo tempo, essi, che per 131 giorni avevano stretto d'assedio Parigi, erano a loro volta assediati dagli operai parigini armati, che vigilavano accuratamente perché nessun 'prussiano' varcasse i limiti ristretti di quella minuscola area lasciata all'invasore straniero. Tale era il rispetto che gli operai parigini ispiravano all'esercito davanti al quale tutte le truppe dell'Impero avevano deposto le armi; e i Junkers prussiani, che erano venuti per soddisfare la loro vendetta nel centro della Rivoluzione, dovettero fermarsi con deferenza e fare il saluto proprio davanti alla Rivoluzione in armi!" (10).

Gli è che il primo obiettivo dei borghesi, data la situazione, era quello (e sarà sempre quello) di disarmare gli operai perché la loro rivendicazione, seppure confusa e indeterminata nella sua forma, ma sostenuta con determinazione di classe e con le armi, era sempre quella di eliminare l'antagonismo di classe tra i capitalisti e gli operai; essa conteneva perciò un pericolo reale per l'ordinamento sociale esistente. Questa era la minaccia permanente che Thiers, il nuovo capo del governo dopo la capitolazione di Parigi, sentiva fortemente e, infatti, il suo primo atto fu quello di tentare di disarmare gli operai, inviando truppe di linea, il 18 marzo, con l'ordine di sottrarre l'artiglieria della guardia nazionale, artiglieria che era stata fabbricata durante l'assedio di Parigi con il ricavato di una pubblica sottoscrizione. "Il colpo andò a vuoto, Parigi si sollevò come un sol uomo per difendersi e la guerra tra Parigi e il governo francese residente a Versailles fu dichiarata". Nasce la Comune di Parigi, eletta il 26 marzo e proclamata ufficialmente il 28; e iniziano immediatamente le prime misure del nuovo potere, instaurato dal proletariato parigini in una città assediata dall'esercito straniero e dalle truppe di Versailles! Nasce quella che passerà alla storia come la prima dittatura del proletariato.

Il suo programma? Non fu scritto prima, fu il risultato della lotta che il proletariato di Parigi fece nello sviluppo della situazione di guerra creata dai contrasti tra la Prussia di Bismark e la Francia di Napoleone III  e di Thiers, e nel fuoco della guerra di classe che si innestò nella guerra fra Stati che ebbe conseguenze in tutta Europa e nello stesso movimento proletario internazionale.

Seguiamo ancora con Engels le tappe fondamentali della Comune, dalla sua proclamazione in avanti, che Marx analizza in dettaglio nel suo La guerra civile in Francia: "Il Comitato centrale della guardia nazionale, che fino allora aveva esercitato il potere, rassegnò le dimissioni nelle mani della Comune, dopo aver decretato la soppressione della infame 'polizia del buon costume' di Parigi. Il 30 marzo, la Comune abolì la coscrizione obbligatoria e l'esercito permanente e proclamò la guardia nazionale, nella quale dovevano arruolarsi tutti i cittadini atti alle armi, come sola forza armata; differì il pagamento di tutti gli affitti dall'ottobre 1870 fino all'aprile, stabilendo che quelli già versati si dovessero considerare come acconto di quelli futuri e sospese ogni vendita di oggetti impegnati al municipale monte di pietà. Lo stesso giorno gli stranieri eletti a far parte della Comune furono riconfermati nelle loro funzioni, perché 'la badiera della Comune è quella della repubblica universale'. Il primo aprile venne deciso che lo stipendio più elevato di un impiegato della Comune, e pertanto anche quello dei suoi membri, non dovesse superare i 6000 franchi. Il giorno seguente la Comune decretò la separazione della Chiesa e dello Stato e la soppressione di tutti i versamenti dello Stato per i culti religiosi, come pure la trasformazione di tutti i beni ecclesiastici in patrimonio nazionale; come conseguenza, l'8 aprile fu deciso di bandire dalla scuola tutti i simboli, immagini, preghiere, dogmi religiosi, insomma 'tutto ciò che riguarda la coscienza individuale', misura che venne attuata a poco a poco. Il giorno 5, in risposta alle esecuzioni di combattenti della Comune fatti prigionieri, eseguite quotidianamente dalle truppe versagliesi, fu promulgato un decreto che prevedeva l'arresto di ostaggi, ma esso non fu mai attuato. Il 6, il 137° battaglione della guardia nazionale andò a requisire la ghigliottina che venne pubblicamente bruciata tra l'esultanza popolare. Il 12, la Comune decise di abbattere la colonna Vendome, fusa con i cannoni presi da Napoleone dopo la guerra del 1809, quale simbolo dello sciovinismo e dell'istigazione all'odio tra i popoli. La decisione fu attuata il 16 maggio. Il 16 aprile la Comune ordinò un censimento delle fabbriche che erano state chiuse dagli industriali e l'elaborazione di progetti per consentire la gestione di queste aziende da parte degli operai che sino allora vi avevano lavorato e che si dovevano raggruppare in società cooperative, al fine di organizzare queste società in una sola grande federazione. Il 20 la Comune abolì il lavoro notturno dei fornai, come pure gli uffici di registrazione e collocamento della manodopera, monopolizzati a partire dal secondo Impero, da individui reclutati dalla polizia e sfruttatori di prim'ordine degli operai; questi uffici vennero affidati ai municipi dei venti circondari di Parigi. Il 30 aprile, ordinò l'abolizione dei monti di pietà, considerandoli uno strumento di sfruttamento privato degli operai, in contraddizione con il diritto degli operai ai loro strumenti di lavoro e al credito. Il 5 maggio decretò la demolizione della cappella espiatoria innanlzata in riparazione all'esecuzione di Luigi XVI.

Così, a partire dal 18 marzo, si delineò, netto ed incisivo, il puro carattere di classe del movimento parigino che era stato fino ad allora relegato sullo sfondo dalla lotta contro l'invasione straniera. Come nella Comune vi erano quasi solo operai o rappresentanti riconosciuti degli operai, così anche le sue deliberazioni avevano un carattere chiaramente proletario. O decretava riforme che la borghesia repubblicana aveva trascurato per pura bassezza, ma che rappresentavano una base indispensabile per la libertà d'azione della classe operaia, come l'attuazione del principio che, di fronte allo Stato, la religione non è che un semplice affare privato; oppure promulgando deliberazioni prese direttamente nell'interesse della classe operaia, e che da un lato incidevano profondamente sull'antico ordinamento sociale. Però in una città assediata, tutto ciò non poteva andare più in là di un inizio di realizzazione. E fin dai primi giorni di maggio, la lotta contro le truppe del governo di Versailles, sempre più numerose, finì con l'assorbire tutte le energie" (11).

Nonostante il tempo brevissimo di questa formidabile esperienza storica, che Lenin non ha difficoltà a definire come "un sicuro passo in avanti della rivoluzione proletaria mondiale" (12), gli insegnamento che Marx ha tratto da essa sono universali, soprattutto sulla questione dello Stato, tanto che, come abbiamo già osservato in un capitolo precedente, hanno spinto Marx ed Engels ad apportare un unico emendamento al Manifesto del partito comunista del 1848 - vedi la Prefazione del 1872 ad una sua nuova edizione tedesca firmata da entrambi. Non lo si ripeterà mai abbastanza: "(...) La Comune, specialmente, ha fornito la prova che la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per i suoi fini (...)". Ma ciò non significa, come hanno voluto interpretare gli opportunisti di ogni colore e di ogni epoca, che si sarebbe trattato di una lenta trasformazione in una macchina statale diversa, in contrapposizione alla conquista violenta del potere. Marx afferma, durante la Comune, in una lettera a Kugelmann (13), che già nell'ultimo capitolo del 18 Brumaio egli sosteneva che "il prossimo tentativo della rivoluzione francese non consisterà nel trasferire da una mano ad un'altra la macchina militare e burocratica, come è avvenuto fino ad ora, ma nello spezzarla, e che tale è la condizione preliminare di ogni reale rivoluzione popolare sul Continente. In questo consiste pure il tentativo dei nostri eroici compagni parigini". Ciò che all'epoca valeva per il Continente europeo, ma non per l'Inghilterra e l'America dove erano assenti militarismo e burocrazia, nel 1917, in piena guerra imperialistica, come Lenin rileva giustamente (14), non valeva più nemmeno per questi due paesi, precipitati interamente nel lurido, sanguinoso pantano, comune a tutta l'Europa, delle istituzioni militari e burocratiche che tutto sottomettono a sé e tutto comprimono.

Ma perché la macchina statale borghese non poteva allora, e tanto meno successivamente, essere utilizzata dal potere proletario ai propri fini? E' lo stesso Marx a rispondere: "Il potere centralizzato dello Stato, con i suoi organi dappertutto presenti: esercito permanente, polizia, burocrazia, clero a magistratura - organi prodotti  secondo un piano di divisione sistematica e gerarchica del lavoro - trae la sua origine dall'epoca della monarchia assoluta, quando servì alla nascente società borgehse come un'arma formidabile nelle sue lotte contro il feudalesimo. (...). Via via che il progresso della industria moderna sviluppava, allargava, accentuava, l'antagonismo di classe tra capitale e lavoro, il potere dello Stato assumeva sempre più il carattere di una forza pubblica organizzata ai fini dell'asservimento della classe operaia, di un apparato di dominazione di classe". Lo Stato è un organo di potere della classe dominante, quindi è organizzato in modo tale da rispondere al meglio alla difesa degli interessi della classe dominante; se la classe dominante è la borgehsia, che rappresenta il capitale, i suoi interessi sono antagonistici agli interessi della classe che opprime, la clase dei lavoratori salariati. Esercito permanente, polizia, burocrazia, clero e magistratura, cioè la macchina statale della borghesia, hanno la funzione di mantenere oppressa, asservita, la classe lavoratrice per poterla sfruttare al massimo della sua potenzialità lavorativa, e per poterla inquadrare, in tempo di guerra,  a difesa del dominio di classe borghese. Questa funzione storica che risponde al dominio della minoranza borghese sulla maggioranza proletaria, e contadina, può essere sostituita da una funzione storica contraria solo se quel dominio - e quindi gli organi di quel dominio - viene spezzato, distrutto. La storia delle lotte fra le classi, delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni ha dimostrato esattamente questo, ed è questo che costituisce il più profondo e universale insegnamento della Comune di Parigi.

"Il primo decreto della Comune fu la soppressione dell'esercito permanente, e la sostituzione ad esso del popolo armato", riprende Lenin da La guerra civile in Francia di Marx, e sottolinea: "Questa rivendicazione figura oggi nel programma di tutti i partiti che desiderano chiamarsi socialisti" (15) - oggi diremmo comunisti rivoluzionari. Ma, come ogni marxista sa, i programmi valgono se vi è la volontà precisa di attuarne le rivendicazioni e le indicazioni. La Comune di Parigi ha scritto il proprio programma col sangue del proletariato in lotta contro il nemico esterno e contro il nemico interno, contro l'invasore straniero e contro la propria borghesia nazionale, e in questo fatto vi è un insegnamento ulteriore. Il proletariato in armi, che si batte per i propri interessi di clase, per i propri obiettivi storici nella prospettiva dell'emancipazione dal capitalismo, fa paura a tutti i poteri di classe esistenti, dal più reazionario e barbaro al più civile e democratico. I proletari di Parigi hanno avuto contro, infatti, sia le truppe prussiane di Bismark che le truppe di Thiers.

Marx dipinge in questo modo l'attitudine dei governi nazionali nei confronti del pericolo rivoluzionario rappresnetato dal proletariato di Parigi: "Che dopo la guerra più sconvolgente dei tempi moderni, il vinto e il vincitore fraternizzino per massacrare in comune il proletariato, questo fatto senza precedenti [siamo nel 1871,  che costituirà un precedente storico a massacri successivi nella lunga e tormentata storia della lotta rivoluzionaria del proletariato, NdR] prova non come pensa Bismark, lo schiacciamento definitivo di una nuova società al suo sorgere [la società borghese, rappresentata dalla Francia, NdR], ma la decomposizione completa della vecchia società borghese. Il più alto slancio di eroismo di cui la vechia società è ancora capace è la guerra nazionale; ed è ora dimostrato che questa è una semplice mistificazione dei vari governi, la quale tende a ritardare ed affossare la lotta delle classi, e viene messa in disparte non appena questa lotta di classe divampa in guera civile. Il dominio di classe non può più mascherarsi sotto una uniforme nazionale; contro il proletariato i governi nazionali sono tutti federati!"(16). Insegnamento prezioso di cui, insieme agli altri, fece tesoro il partito bolscevico che nell'Ottobre 1917 guidò il proletariato russo alla conquista del potere spezzando definitivamente la macchina statale dello zarismo ed organizzando la difesa del potere conquistato non solo contrastando e sbaragliando le oppozioni interne al paese ma sostenendo e vincendo nella guerra civile le truppe delle guardie bianche foraggiate e finanziate da tutte le potenze imperialiste del mondo venute in soccorso - contro il potere proletario e comunista - dello zarismo.

Che la Comune di Parigi fosse una forma politica che per la prima volta si realizzava in un paese avanzato in modo completamente diverso dalle diverse forme del potere borghese conosciute dal 1789 in poi, era evidente anche agli stessi borghesi, anche perché ogni governo precedente aveva messo "l'accento sulla repressione" da parte della classe dominante sulle classi dominate. Il vero segreto della Comune, afferma Mrax, fu questo: "che essa fu essenzialmente un governo della classe operaia, il prodotto della lotta della classe dei produttori contro la classe degli appropriatori, la forma politica finalmente scoperta che consentiva di realizzare l'emancipazione economica del lavoro. Senza quest'ultima condizione, la costituzione della Comune sarebbe stata una cosa impossibile e un inganno. Il dominio politico dei produttori non può coesistere con la perpetuazione del loro asservimento sociale." (17). Il governo della classe operaia, dunque,  apre una prospettiva storica che Marx descrive in questo modo: "La Comune doveva pertanto servire da leva pere estirpare le basi economiche sulle quali si fonda l'esistenza delle classi, e quindi dell'oppressione di classe. Compiuta l'emancipazione del lavoro, ogni uomo diviene un lavoratore e il lavoro produttivo cessa di essere l'attributo di una classe".

Proletariato in armi, rivoluzione e presa del potere politico, spezzare la macchina dello Stato borghese, governo della classe operaia per estirpare le basi economiche del capitalismo, dell'oppressione di classe e, quindi, eliminazione dell'antagonismo di classe. Questa prospettiva che teoricamente era stata già definita nel Manifesto del partito comunista del 1848, trova nella Comune di Parigi la conferma pratica: la lotta di classe del proletariato, che contingentemente può svilupparsi anche in un solo paese, ma che coinvolge oggettivamente i proletari di tutti i paesi perché le borghesie di tutti i paesi sono interessate ad allearsi contro il proletariato insorto e giunto al potere, se portata fino in fondo va necessariamente nella direzione svelata dalla lotta dei comunardi parigini; e le rivoluzioni russe del 1905 e del 1917, afferma Lenin (18), continuano, in una situazione differente, in altre condizioni, l'opera della Comune e confermano la geniale analisi storica di Marx.

Engels, non a caso, termina la sua Introduzione del 1891 alla Guerra civile in Francia di Marx con queste parole: "Il filisteo socialdemocratico recentemente è stato preso da un salutare terrore sentendo pronunciare l'espressione: dittatura del proletariato. Ebbene, signori, volete sapere come è questa dittatura? Guardate la Comune di Parigi. Quella fu la dittatura del proletariato" (19).

 

1875

Critica al Programma di Gotha

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Secondo il marxismo, il comunismo non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi; il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente (Marx-Engels, Ideologia tedesca, 1845-46).

In questa sintetica ed essenziale frase vi è contenuto il fondamento teorico del marxismo, il materialismo storico e dialettico con il quale il marxismo sotterra per sempre l'idealismo, il contingentismo e l'individualismo tipici dell'ideologia (e della filosofia) borghese. Il movimento reale nella società borghese corrisponde alla lotta fra le classi, lotta che vede sempre una classe dominante che opprime le classi dominate, mentre le classi dominate, spinte da condizioni materiali di vita, ad un certo punto dell'evoluzione storica delle forze di produzione esistenti, si scontrano violentamente con le forme di produzione attraverso le quali le classi dominanti - che si sono succedute nella storia delle società di classe - difendono il loro privilegio, il loro potere, il loro dominio di classe.

L'idealismo borghese vede la storia delle società, e quindi degli uomini, come un tracciato nel quale il pensiero umano, evoluto e rappresentato da uomini particolarmente dotati di intelletto e di ragione, inteviene per modificarne il percorso a seconda dell'idea che l'uomo si è fatto osservando la realtà che scorre ai suoi piedi.  Secondo questa visione del rapporto tra realtà materiale e pensiero, è l'idea che modifica la realtà; perciò l'ideale - ad esempio la libertà, l'eguaglianza, la fraternità - guida l'azione degli uomini. Come se lo sviluppo delle forze produttive non fosse dovuto al lavoro associato, al commercio, alle rivoluzioni tecniche e alle scoperte scientifiche (notoriamente e storicamente dovute a circostanze casuali e a successive approssimazioni provenienti dalla sistematica e paziente osservazione dei risultati ottenuti da molteplici tentativi e azioni casuali), e alla sempre più diffusa proprietà privata dei mezzi di produzione, e dei prodotti, ma fosse dovuto all'applicazione dell'idea di libertà che i borghesi avevano maturato all'interno delle loro botteghe e dei loro laboratori. La libertà dei borghesi, secondo il loro idealismo, andava a sostituire in una certa misura il mito religioso secondo il quale un'entità soprannaturale, un dio, del tutto misteriosa e imperscrutabile, aveva deciso nella notte dei tempi di dotare l'animale-uomo di una qualità immateriale chiamata spirito, o se volete, anima, grazie alla quale ogni singolo animale-uomo perderebbe la perenne dipendenza dal suo essere animale acquisendo una qualità dovuta esclusivamente a quello spirito, a quell'anima. In realtà, è invece la qualità dell'uomo in quanto "essere sociale" ad aver sviluppato, nel corso della sua millenaria evoluzione storica, dei mezzi per procurarsi il cibo sempre più efficaci ed utilizzabili da tutti, sviluppando nel contempo la produzione di utensili, oggetti, mezzi di trasporto e gli stessi mezzi di produzione più svariati; è quella "qualità" che ha fatto fare alla specie umana un percorso storico nel quale i gruppi umani si sono organizzati in società sempre più ampie, e sempre più in contrasto tra di loro perché lo sviluppo dell'organizzazione sociale umana, dopo un lungo periodo chiamato di comunismo primitivo in cui non esistevano divisioni sociali dovute a particolari privilegi di casta o di classi, doveva passare attraverso la divisione della società in classi sociali contrapposte in cui la classe dei possesori e proprietari dei mezzi di produzione dominava sulle altre classi sociali.

Il marxismo, proprio perché materialista storico e dialettico, non applica alla storia umana né le categorie dell'idealismo né tanto meno quelle del moralismo, perciò è l'unica teoria dell'evoluzione umana in grado di leggere i grandi progressi che appartengono a tutte le società divise in classi nei loro periodi storicamente rivoluzionari. Progressi che, inevitabilmente, ad un certo grado di sviluppo, si trasformano in conservazione sociale e, infine, in reazione attraverso cui le classi dominanti tentano di prolungare indefinitamente il loro dominio sociale. In tutte le società divise in classi che si sono succedute nella storia vi è una costante: il periodo rivoluzionario attraverso il quale si impone lo sviluppo delle forze produttive richiede un'organizzazione sociale diversa da quella esistente fino allora, e a questo provvede la classe o le classi che esprimono la spinta rivoluzionaria delle forze produttive; lo schiavismo nei confronti dell'economia naturale e del comunismo primitivo, il feudalesimo nei confronti dello schiavismo, il capitalismo nei confronti del feudalesimo. Ma, nelle società divise in classi, ad ogni periodo storico rivoluzionario che potremmo raffigurare come uno sviluppo verticale dal basso verso l'alto, succede un periodo storico di "riformismo", di conservazione sociale, che potremmo raffigurare come uno sviluppo orizzontale in cui le forze produttive si diffondono nei settori economici più diversi e in aree di attività sempre più ampie; a quest'ultimo, succede poi un periodo storico di "conformismo", di controrivoluzione, di reazione violenta e sistematica delle classi al potere per difendersi dalla lotta che le forze sociali che rappresentano lo sviluppo delle forze produttive sviluppano contro di loro (20).

Essendo questo il reale sviluppo storico delle società umane, e dovendo trarre dal corpo teorico del marxismo il programma politico del partito di classe, è evidente che questo programma politico non è comunista, dunque rivoluzionario, se attenua o trasforma concetti e indicazioni rispondenti alle finalità rivoluzionarie dell'azione del partito in concetti e indicazioni rispondeti al riformismo o alla controrivoluzione.

Con la Critica al Programma di Gotha, Marx ci dà una grande lezione di coerenza rivoluzionaria e di battaglia di classe, e non è un caso che Lenin, nell'aprile del 1917, nel suo scritto I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione (21) col quale proponeva al partito che ancora portava il nome di socialdemocratico un nuovo programma politico (chiamato Piattaforma del partito proletario) e il cambiamento del nome in Partito comunista, si ricollegasse direttamente a questo testo di Marx.

Va detto subito che Marx, a proposito del Programma che doveva inaugurare l'unificazione dei due partiti operai tedeschi, nella lettera a W. Bracke del 5 maggio 1875 con la quale spedisce a Geib, Auer, Bebel e Liebknecht la sua Critica, ci tiene a precisare che "è mio dovere non riconoscere nemmeno con un silenzio diplomatico un programma che, secondo la mia convinzione, deve essere assolutamente respinto e che demoralizza il partito" (22). Ed è in questa lettera che è contenuta una delle famose frasi di Marx che sempre sono state strumentalmente falsificate al fine di negare la validità sostanziale per il partito di classe di darsi un programma politico chiaro, coerente con la teoria rivoluzionaria, impegnativo per tutti i militanti del partito soprattutto perché non è il risultato di compromessi e di commercio di principi, ma di bilanci dinamici degli svolgimenti storici che vedono protagonista il movimento reale del proletariato; la frase è la seguente: Ogni passo del movimento reale è più importante di una dozzina di programmi

La critica di Marx va in profondità svelando le mille trappole con le quali il programma politico del partito operaio - redatto per il congresso di unificazione dei due partiti operai tedeschi, uno "lassalliano" e uno "eisenachiano", che si tenne a Gotha (22-27 maggio 1875) e infine adottato dalla nuova organizzazione che si chiamò Partito Operaio Socialista Unificato di Germania - si trasformava in un programma politico opportunista. In sostanza, di fronte alla politica reazionaria e di dura repressione del movimento operaio attuata da Bismark, e ad una forte spinta verso l'alleanza e l'unità dei due partiti operai, la smania dell'unità a tutti i costi fece sì che il partito di Eisenach abbandonasse la propria piattaforma più radicale e di classe  e abbracciasse la piattaforma del partito popolare lassalliano con le sue formule del tutto confuse e, soprattutto, opportuniste. I lassalliani, infatti, sostenevano di poter giungere al socialismo non attraverso la rivoluzione, la conquista violenta del potere politico, la dittatura proletaria esercitata dal partito di classe, ma per via pacifica, attraverso l'organizzazione di cooperative di produzione sostenute dallo Stato e l'alleanza delle associazioni operaie con le associazioni dei proprietari terrieri prussiani.

Marx ed Engels, esiliati in Inghilterra, non potevano partecipare direttamente al congresso, e non erano stati nemmeno informati per tempo da W. Liebknecht (che con A. Bebel, in quel frangente in prigione, era a capo del partito "eisenachiano") del proggramma di unificazione che avevano intenzione di realizzare. Ma nella Critica al Programma di Gotha Marx chiarisce in modo netto la differenza sostanziale tra un programma socialdemocratico e opportunista e un programma proletario di classe, e quindi rivoluzionario. E' grazie a queste caratteristiche che la Critica al Programma di Gotha [d'ora in poi la citiamo come Critica]può essere considerata la base di tutti i programmi politici dei partiti proletari marxisti da quel momento in poi. Le formulazioni che vi si trovano affrontano i problemi fondamentali della teoria del socialismo scientifico: rivoluzione socialista, Stato e dittatura del proletariato, periodo di transizione dal capitalismo al comunismo e le due fasi del comunismo (comunismo inferiore, o socialismo, e comunismo propriamente detto), produzione e distribuzione del prodotto sociale, internazionalismo proletario e prassi del partito proletario di classe. Ma prima di entrare nel vivo della Critica scritta da Marx, vogliamo richiamarci ad Engels per dimostrare la loro perfetta sintonia di vedute, di impostazione e di critica.

 Engels, il 18 [28] marzo 1875, scrive a Bebel (23), capo del partito operaio tedesco, criticando aspramente il Programma di Gotha.

Dopo aver chiarito che "né Liebknecht né alcun altro ci ha mandato una qualsiavoglia comunicazione" su "questa storia dell'unificazione", afferma che il progetto di programma ricevuto "ha destato in noi [Engels e Marx, NdR] non poco stupore", proprio perché "il nostro partito non ha assolutamente nulla da imparare dai lassalliani in campo teorico, cioè in ciò che è decisivo per il programnma". In quel progetto di programma, invece, si accettano tutte le posizioni dei lassalliani; e ciò faceva dire ad Engels che se questo programma verrà approvato, "Marx e io non potremo mai considerarci aderenti al nuovo partito creato su questa base, e dovremo riflettere molto seriamente quale posizione - anche pubblicamente - dovremo prendere nei suoi confronti" proprio perché "all'estero si considera noi come responsabili di ogni parola e di ogni atto del Partitro socialdemocratico operaio tedesco".

Ma andiamo a sintetizzare i punti critici che Engels mette in evidenza.

"In primo luogo - scrive Engels -si accetta la frase lassalliana sonora, ma storicamente falsa, che rispetto alla classe operaia tutte le altre classi costituirebbero una sola massa reazionaria. Questa affermazione è vera solo in singoli casi eccezionali, per esempio in una rivoluzione del proletariato come la Comune, o in un paese in cui non soltanto la borghesia ha foggiato a propria immagine lo Stato e la società, ma dopo di essa anche la piccola borghesia democratica ha portato questa trasformazione sino alle sue ultime conseguenze"; e non era certo il caso della Germania di quel tempo.

Marx, nella Critica, ricorda il passo del Manifesto del Partito comunista in cui è scritto che "Di tutte le classi, che oggi stanno di fronte alla borghesia, solo il proletariato è una classe veramente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e periscono con la grande industria, mentre il proletariato ne è il prodotto più genuino". Affermare questo non significa che "tutte le altre classi costituiscono soltanto una massa reazionaria" come scritto nel Programma di Gotha; ma perché il proletariato è, rispetto alla borghesia - che è quindi considerata rivoluzionaria rispetto ai feudali - la classe veramente rivoluzionaria? Perché "cresciuto egli stesso sul terreno della grande industria, si sforza di strappare alla produzione il carattere capitalistico che la borghesia cerca di eternare" (24).

"In secondo luogo - continua Engels nella citata lettera a Bebel - il principio del carattere internazionale del movimento operaio viene per il presente completamente negato (...). La posizione degli operai tedeschi alla testa del movimento europeo riposa essenzialmente sul loro atteggiamento schiettamente internazionalistico durante la guerra; nessun altro proletariato si sarebbe comportato così bene", atteggiamento internazionalistico trasformato nella "pallida prospettiva, non di una futura cooperazione degli operai europei per la loro liberazione, no, ma di una futura 'fratellanza internazionale dei popoli', degli 'Stati uniti d'Europa' dei borghesi della Lega della pace"!

Marx, nella Critica, si rifa al movimento reale del proletariato che per avere la possibilità di combattere "si deve organizzare ne proprio paese, in casa propria, come classe, e che l'interno di ogni paese è il campo immediato della sua lotta. Per questo la sua lotta di classe è nazionale, come dice il Manifesto comunista, non per il contenuto, ma per la 'forma' ".

 "In terzo luogo - Engels prosegue - i nostri si sono lasciati imporre la lassalliana 'legge bronzea del salario' che riposa su una concezione economica del tutto antiquata, cioè che l'operaio riceve in media solo il minimo del salario e precisamente perché secondo la teoria della popolazione di Malthus vi sono sempre troppi operai (questa era la dimostrazione lassalliana)". E qui Engels si limita a ricordare a Bebel che Marx "ha ampiamente dimostrato nel Capitale [I, 585-618] che le leggi che regolano il salario sono molto complicate; che a seconda della situazione prevale ora l'una, ora l'altra dui esse, che esse non sono quindi per niente bronzee, ma alcontrario molto elastiche; e che il problema non può affatto venire risolto con un paio di parole, come si immaginava Lassalle".

Marx, nella Critica, a questo proposito, torna sulla differenza tra i concetti di salario e di lavoro, e il concetto di lavoro salariato, e sulla teoria della popolazione di Malthus da cui la "legge bronzea" lassalliana discende, per affermare che se questo rapporto tra teoria della popolazione di Malthus e legge bronzea del salario di Lassalle "è esatto, io non posso eliminare la legge, se anche elimino cento volte il sistema del lavoro salariato, perché in questo caso la legge non regola soltanto il sistema del lavoro salariato, ma ogni sistema sociale". E ne evidenzia l'uso che ne fanno gli economisti borghesi: "è precisamente poggiandosi su questo che gli economisti hanno dimostrato da cinquant'anni e più cghe il socialismo non può eliminare la misrria essendo questa di origine naturale, ma può solo renderla generale, distribuirla contemporaneamente su tutta la superficie della società!" (25). Addio, dunque, alla visione catastrofista, rivoluzionaria dell'emancipazione del proletariato dalla schiavitù salariale e, quindi, dal modo di produzione capitalistico. Marx, proseguendo nell'argomentazione, va al punto nodale. Lassalle, dice Marx, "non sapeva che cosa fosse il salario, ma, seguendo gli economisti borghesi, prendeva la parvenza per la sostanza della cosa". Lassalle riteneva, cioè, che il salario fosse l'espressione del valore del lavoro e fosse il prezzo del lavoro; Marx, al contrario, dimostrò che il salario non è il prezzo del lavoro ma l'espressione del valore della forza lavoro, il prezzo della forza lavoro, prezzo che equivale mediamente al valore necessario per riprodurre la capacità lavorativa, per riprodurre giorno per giorno la forza lavoro. E solo attraverso questa dimostrazione Marx potè, inoltre, dimostrare che il guadagno del capitalista sta nel pagare solo una parte del tempo giornaliero in cui viene impiegata la forza lavoro - la parte che corrisponde al valore necessario alla riproduzione della forza lavoro - mentre l'altra parte di valore della forza lavoro che corrisponde al tempo di lavoro non pagato (il pluslavoro, dunque il plusvalore) viene intascata direttamente dal capitalista. Marx non si risparmia nella spietata critica di questo programma che, denuncia, rappresenta un rivoltante regresso rispetto alla maturazione cui il partito era giunto. 

Riprendiamo Engels: "In quarto luogo, il programma presenta come unica rivendicazione sociale l'aiuto statale lassalliano nella sua forma più sfacciata (...) Il nostro partito non poteva umiliarsi di più". Questa misura lassalliana, tra numerose altre, che scopo avrebbe dovuto raggiungere? Sarebbe servita, come detto nel progetto di programma, "per avviare la soluzione della questione sociale". E qui Engels non può non arrabbiarsi: "come se per noi esistesse ancora una questione sociale teoricamente insoluta"!

Marx, nella Critica, mette in risalto come la esistente lotta di classe viene sostituita nel Programma di Gotha con la questione sociale per la soluzione della quale, invece di un processo di traformazione rivoluzionaria della società, si rivendica l'assistenza dello Stato chiamato a creare esso stesso - e non gli operai - cooperative di produzione. Quindi una nuova società, la società socialista, può sorgere solo... con l'aiuto dello Stato... il che vuol dire, in Germania, con l'aiuto di Bismark! Di fatto, conclude su questo punto Marx, col Programma di Gotha il partito operaio tedesco è "tornato indietro, dal punto di vista del movimento di classe, a quello del movimento di sètte" (26).

A proposito dello Stato, il Programma di Gotha dichiara che "il Partito operaio tedesco si sforza di raggiungere con tutti i mezzi legali lo Stato libero - e - la società socialista; abolizione del sistema del salario con la legge bronzea del salario - e - dello sfruttamento sotto ogni aspetto; l'eliminazione di ogni disuguaglianza sociale e politica".

Sulla concezione popolar-democratica e pacifista-legalitaria espressa nel Programma del partito operaio tedesco, Marx prende giustamente le distanze: Stato libero, che cosa è?

Non è compito della lotta della classe operaia rendere libero lo Stato. Marx sottolinea che è "la società presente", ossia la società capitalistica, la "base dello Stato esistente", negando quindi allo Stato la caratteristica di "organo sovrapposto alla società", e precisa che questa interpretazione vale non solo per la società presente e per lo Stato esistente, ma anche per la società futura (la società socialista, come prima fase della società comunista) e per lo Stato futuro (lo Stato proletario).

Nella lettera a Bebel, che abbiamo citato e che seguiamo ancora per un tratto di strada, Engels sottolinea quanto segue:

"Lo Stato popolare libero si è trasformato in Stato libero. Secondo il senso grammaticale di queste parole, uno Stato libero è quello in cui lo Stato è libero di fronte ai suoi cittadini, quindi uno Stato con governo dispotico. Bisognerebbe lasciar perdere tutte le chiacchiere sullo Stato, specialmente dopo la Comune, che non era già più uno Stato nel senso proprio della parola.(...) Non essendo lo Stato altro che un'istituzione temporanea di cui ci si deve servire nella lotta, nella rivoluzione, per schiacciare con la forza i propri nemici, parlare di uno Stato popolare libero è un puro non-senso: finché il proletariato ha ancora bisogno dello Stato, ne ha bisogno non nell'interesse della libertà, ma per tenere sottomessi i suoi avversari, e quando diventa possibile parlare di libertà, allora lo Stato come tale cessa di esistere" (27).

Sulla cosiddetta e fumosa "legge bronzea del salario" abbiamo già detto. Quanto alla "eliminazione di ogni diseguaglianza sociale e politica", Engels - sempre nella lettera a Bebel citata - rileva che sarebbe stato molto più corretto dire "Soppressione di tutte le differenze di classe", poiché "sussiterà sempre una certa disuguaglianza di condizioni di esistenza, che si potrà ridurre al minimo, ma non si potrà mai sopprimere del tutto"; e porta l'esempio banale degli abitanti delle Alpi e gli abitanti della pianura. Sottolinea comunque che tale "rappresentazione della società socialista come regno dell'uguaglianza è una unilaterale rappresentazione francese, derivante dal vecchio 'libertà, uguaglianza, fratellanza' ". Marx, a sua volta, nella Critica, annota secco: "si doveva dire che con l'abolizione delle difrferenze di classe, scompaiono da sé tutte le disuguaglianze sociali e politiche che ne derivano" (28).

 Il punto nodale, alla fin fine, secondo Marx, è: quale trasformazione subirà lo Stato in una società comunista?

A questa questione, afferma Marx, si può rispondere solo scientificamente, e anche se si componesse migliaia di volte  la parola popolo con la parola Stato "non ci si avvicina alla soluzione del problema nemmeno di una spanna".

Marx , nella Critica, scrive quanto segue: "Tra la società capitalistica e la società comunista sta il periodo della trasformazione rivoluzionaria della prima nella seconda. Ad esso corrisponde anche un periodo di transizione politica in cui lo Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato" (29).

Qui è espresso in modo netto e inequivocabile il concetto marxista secondo il quale il proletariato, nella sua lotta di classe contro la classe borghese e per l'emancipazione dal lavoro salariato, dopo essersi storicamente costituito in classe, quindi in partito, si costituisce in classe dominante attraverso la propria dittatura rivoluzionaria di classe.

Ma Marx va oltre nella critica del Partito operiao tedesco rappresentato dal Programma di Gotha: "Poiché il Partito operaio tedesco dichiara espressamente di muoversi entro l'odierno Stato nazionale e quindi entro il suo Stato, entro il Reich prussiano-tedesco (...) esso non dovrebbe dimenticare la cosa principale, e cioè che tutte quelle belle cosette poggiano sul riconoscimento della cosiddetta sovranità del popolo e perciò sono a posto solo in una repubblica democratica. Poiché non si ha il coraggio - e saviamente, giacché le circostanze impongono prudenza - di esigere la repubblica democratica, come fecero i programmi operai francesi sotto Luigi Filippo e sotto Luigi Napoleone, non si sarebbe dovuto ricorrere alla finta, che non è né onesta né dignitosa, di richiedere cose che hanno senso solo in una repubblica democratica, a uno Stato che non è altro se non un dispotismo militare guarnito di forme parlamentari, mescolato con appendici feudali, già influenzato dalla borghesia, tenuto assieme da una burocrazia, tutelato da una polizia; e per giunta assicurare a questo Stato che ci si immagina di potergli imporre cose del genere con 'mezzi legali' " (30). D'altra parte, il preteso "controllo democratico del popolo lavoratore"con cui si imporrebbe allo Stato l'aiuto per l'istituzione di cooperative di produzione, si rivela essere una formulazione demagogica e priva di contenuto poiché se quelle rivendicazioni vengono fatte allo Stato esistente, significa che il controllo dello Stato non è per nulla in mano "al popolo lavoratore".

Pretendere, come è scritto nel programma lassalliano di Gotha, "l'istituzione di società di produzione con l'aiuto dello Stato, sotto il controllo democratico del popolo lavoratore" e che "l'organizzazione socialista di tutto il lavoro" nasca da quelle società di produzione istituite con l'aiuto dello Stato esistente, è, come dice Marx, rigettare il programma del partito proletario in un "democratismo entro i confini di ciò che è permesso dalla polizia e non è permesso dalla logica" (31).

Dunque, lo Stato popolare libero, o lo Stato libero, non sono "rivendicazioni" proletarie, e tanto meno comuniste, perciò la loro presenza nel programma di un partito che si definisce operaio, socialista, comunista, rivela il contentuo opportunista e, in fin dei conti, controrivoluzionario, del programma con cui si caratterizza quel partito, e del partito stesso.

Engels, nella lettera a Bebel, a proposito dello "Stato libero" alle osservazioni critiche già riportate, aggiunge un passo di notevole importanza riguardo l'estinzione dello Stato: "Noi proporremmo quindi [Engels parla a nome suo e di Marx, NdR]di mettere ovunque invece della parola Stato, la parola Gemeinwesen [comunità], una buona vecchia parola tedesca che corrisponde benissimo alla parola francese Commune" (32). A questo passo si allaccia Lenin che, in Stato e Rivoluzione, riprende la questione generale dello Stato, in tutti i suoi aspetti, tracciando i compiti concreti che la rivoluzione proletaria poneva urgentemente in Russia. Lenin  - siamo nel 1917, imperante il kautskismo a livello internazionale - scrive: "Come griderebbero all'anarchia i capi del moderno 'marxismo' adattato alle comodità degli opportunisti se si proponesse loro un simile emendamento del programma! Gridino pure! La borghesia li loderà. Noi, da parte nostra, continueremo la nostra operai. Nel rivedere il progbramma del nostro partito dovremmo assolutamente tener conto del consiglio di Engels e di Marx, per accostarci alla verità, per ristabilire il marxismo, purificandolo da tutte le deformazioni, per meglio dirigere la classe operaia nella lotta per la sua liberazione. E' certo che la raccomandazione di Engels e Marx non troverà oppositori tra i bolscevichi" (33).

E' interessante riprendere il commento che Lenin faceva seguire  all'intero passo di Engels (34), col quale sintetizzava in 8 punti la posizione marxista rispetto allo Stato:

"E' questo forse il passo più significativo e, probabilmente, il più violento, per così dire contro lo Stato, in Marx ed Engels.

(1) "Bisogna farla finita con tutte le chiacchiere sullo Stato".

(2) "La Comune non era più uno Stato nel senso proprio della parola" (che cosa era allora? Una forma transitoria dallo Stato al non-Stato, evidentemente!).

(3) Gli anarchici ci hanno abbastanza 'rinfacciato'  (in die Zahne geworfen, letteralmente: gettato sul muso) lo 'Stato popolare'. (Marx ed Engels, cioè, si vergognavano di questo evidente errore dei loro amici tedeschi; - lo consideravano tuttavia, e nelle circostanze di allora avevano certamente ragione, come un errore senza confronti meno grave rispetto a quello degli anarchici. N.B. questo!!).

(4) Lo Stato "si dissolve da sé ('si scioglie') (Nota bene) e scompare..." (cfr. più tardi: "si estingue") "con l'instaurazione del regime sociale socialista...".

(5) Lo Stato è "un'istituzione temporanea" che occorre "nella lotta, nella rivoluzione..." (occorre al proletariato, naturalmente)...

(6) Lo Stato è necessario non per la libertà, ma per la repressione (Niederhaltung non è, propriamente, repressione, ma impedire la restaurazione, mantenere sottomessi) degli avversari del proletariato.

(7) Quando vi sarà la libertà, allora non vi sarà più Stato. Di solito i concetti di "libertà" e "democrazia" sono considerati identici e vengono usati spesso l'uno in cambio dell'altro. Molto spesso i marxisti volgari (a cominciare da Kautsky, Plekhanov e compagnia) ragionano proprio in questo modo. In realtà la democrazia esclude la libertà. La dialettica (il processo) dello sviluppo è il seguente: dall'assolutismo alla democrazia borghese; dalla democrazia borghese a quella proletaria; da quella proletaria a nessuna.

(8) "Noi" (cioè Engels e Marx) proporremmo di dire "ovunque" (nel programma), invece di "Stato", "Comune" (Gemeinwesen), "Commune"!!! (N.B.!!!).

"Da ciò si vede quanto abbiano involgarito, avvilito Marx e Engels non solo gli opportunisti, ma anche Kautsky. Gli opportunisti non hanno capito nemmeno uno di questi otto ricchissimi pensieri!! Essi hanno preso soltanto ciò che serviva alle necessità pratiche del momento: utilizzare la lotta politica, utilizzare lo Stato moderno per istruire, educare il proletariato, per 'strappare concessioni'. Ciò è giusto (contro gli anarchici), ma è appena 1/100 del marxismo, se ci si può esprimere in questo modo aritmetico (...)

"Dagli anarchici ci distinguono l'utilizzazione dello Stato adesso e durante la rivoluzione del proletariato ("dittatura del proletariato"), punti attuali importantissimi per la pratica (...).

"Dagli opportunisti ci distinguono verità più profonde, "più eterne" circa il carattere "temporaneo" dello Stato, il danno di chiacchierare su di esso ora, il carattere non completamente statale della dittatura del proletariato, la contraddizione tra lo Stato e la libertà, l'idea (concetto, termine programmatico) più corretta della "Comune" invece dello Stato, la "demolizione" (zerbrechen) della macchina burocratico-militare (...)".

Avevamo lasciato Engels alla quarta osservazione; lo riprendiamo quando aggiunge un'ulteriore osservazione a Bebel: "In quinto luogo - prosegue - non si fa parola dell'organizzazione della classe operaia come classe a mezzo dei sindacati di mestiere. E questo è un punto essenziale, perché questa è la vera e propria organizzazione di classe del proletariato, in cui esso combatte le sue lotte quotidiane contro il capitale, in cui si addestra, e che oggi nemmeno la peggiore reazione (come ora a Parigi) non è più in grado di distruggere" (35).

Engels torna poi sulla "questione" del programma, affermando: "In generale il programma ufficiale di un partito ha minore importanza di ciò che esso fa. Ma un nuovo programma è sempre una bandiera innalzata pubblicamente, e il mondo esteriore giudica in base a ciò il partito". Questa puntualizzazione è importante quanto quella di Marx quando scriverà a Bracke, il 5 maggio 1875, inviandogli la Critica, affermando che Ogni passo del movimento reale è più importante di una dozzina di programmi; ma Marx afferma immediatamente dopo che "se si fanno dei programmi di principio (...) si elevano al cospetto di tutti le pietre miliari dalle quali tutti giudicano il livello del movimento del partito" (36).

La Critica al Programma di Gotha è anche occasione per Marx per riaprire una finestra sulla società comunista.

Trattando il paragrafo 3. del Programma di Gotha in  cui si afferma: "L'emancipazione del lavoro richiede la elevazione dei mezzi di lavoro a proprietà comune della società e l'organizzazione collettiva di tutto il lavoro con giusta ripartizione del reddito del lavoro", Marx argomenta così la sua critica.

Il reddito del lavoro, che cos'è?, e che cos'è la giusta ripartizione?

Collegando questo paragrafo al primo, dove si afferma che "Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà e poiché un lavoro utile è possibile solo nella società e mediante la società, il reddito del lavoro appartiene integralmenrte, a ugual diritto, a tutti i membri della società", Marx rileva l'enorme quantità di contraddizioni contenute in queste formulazioni. Il reddito del lavoro, ad esempio,va inteso come prodotto del lavoro o il suo valore, e se si tratta del valore, come valore complessivo del prodotto o solo quella quarte di valore che il lavoro ha aggiunto al valore dei mezzi di produzione utilizzati? E la giusta ripartizione come va intesa? Per i borghesi la ripartizione esistente è "giusta" e, d'altra parte, è l'unica ripartizione possibile sulla base dell'odierno modo di produzione. Ma sono i rapporeti giuridici a regolare i rapporti economici o al contrario sono i rapporti economici a determinare i rapporti giuridici. Se il "reddito integrale del lavoro" deve appartenere "a ugual diritto, a tutti i membri della società", vuol, dire che deve appartenere anche a quelli che non  lavorano? Ma se è "reddito integrale del lavoro" deve appartenere solo a coloro che lavorano, ma allora che fine fa "l'ugual diritto di tutti i membri della società"? Insomma, la concezione lassalliana qui espressa è un coacervo di modi di dire e di concetti contraddittori attraverso i quali si vuole disegnare la nuova società.

Marx mette ordine  e parte dal concetto economico di base sensato: considerando il "reddito del lavoro" come "prodotto del lavoro, il reddito collettivo del lavoro è il prodotto sociale complessivo". Ma da questo prodotto sociale complessivo, per giungere alla ripartizione economica e sociale, si deve, per necessità economica, e  in entità che devono essere determinate "in base ai mezzi e alle forze presenti, in parte con un calcolo delle probabilità, ma non si possono in alcun modo calcolare in base alla giustizia", detrarre le seguenti quantità: "Primo: la copertura per reintegrare i mezzi di produzione consumati. Secondo: una parte supplementare per l'estensione della produzione. Terzo: un fondo di riserva o di assicurazione contro infortuni, danni causati da avvenimenti naturali ecc.". Rimane l'altra parte del prodotto complessivo, destinata al consumo, e non possiamo ancora arrivare alla ripartizione individuale perchè bisogna ancora detrarre: "Primo: le spese generali di amministrazione che non sono pertinenti alla produzione" (parte che verrà sempre più ridotta rispetto alla società attuale). "Secondo: ciò che è destinato alla soddisfazione collettiva di bisogni, come scuole, istituzioni sanitarie ecc." (parte che aumenta notevolmente sin dall'inizio rispetto alla società attuale e continuerà ad aumentare nella misura in cui la nuova società si verrà sviluppando). "Terzo: un fondo per gli inabili al lavoro ecc." (in breve ciò che oggi appartiene alla cosiddetta assistenza ufficiale dei poveri). Soltanto a questo punto si arriva alla ripartizione "che grettamente viene presa in considerazione dal programma, cioé a quella parte dei mezzi di consumo che viene ripartita tra i produttori individuali della comunità" (37).

Eccoci allora entrare nel rapido schizzo che Marx dà delle caratteristiche fondamentali della società comunista.

"All'interno della società collettivista, fondata sulla proprietà comune dei mezzi di produzione, i produttori non scambiano i loro prodotti; tanto meno il lavoro trasformato in prodotti appare qui come valore di questi prodotti, come una proprietà oggettiva da essi posseduta, poiché ora, in contrapposto alla società capitalistica, i lavori individuali non esistono più come parti costitutive del lavoro complessivo, attraverso un processo indiretto, ma in modo diretto. L'espressione 'reddito del lavoro', che anche oggi è da respingere a causa della sua ambiguità, perde così ogni senso". Nota Marx che il "reddito integrale del lavoro" del primo paragrafo è diventato già nel terzo paragrafo "reddito del lavoro", il quale, proprio per la sua ambiguità intrinseca, scompare come frase in generale perché al produttore ciò che gli viene sottratto nella sua qualità di individuo privato, gli ritorna direttamente o indirettamente nella sua qualità di "membro della società". Marx contunua nel ragionamento e afferma: "quella con cui abbiamo da far qui, è una società comunista, non come si è sviluppata sulla propria base, ma viceversa, come emerge dalla società capitalistica"; una volta ancora viene ribadito con forza il concetto da cui siamo partiti in questo capitolo, e cioè che il comunismo non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi; il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Continua Marx: una società "che porta quindi ancora sotto ogni rapporto, economico, morale, spirituale, le 'macchie' della vecchia società dal cui seno essa è uscita" (38).

Nella nuova società, fino a quando non si sarà sviluppata completamente, superando anche la minima traccia sul piano economico e sociale della divisione in classi e dei rapporti capitalistici, continuerà a dominare "il principio che regola lo scambio delle merci in quanto è scambio di cose di valore uguale. Contenuto e forma sono mutati, perché cambiate le circostanze, nessuno può dare niente all'infuori del suo lavoro, e perché d'altra parte niente può passare in proprietà del singolo all'infuori dei mezzi di consumo individuali". Il produttore singolo riceve, dopo le detrazioni, esattamente ciò che dà alla società: "Ciò che egli ha dato alla società è la sua quantità individuale di lavoro (...) Egli riceve dalla società uno scontrino da cui risulta che egli ha prestato tanto lavoro (dopo la detrazione del suo lavoro per i fondi comuni), e con questo scontrino egli ritira dal fondo sociale tanti mezzi di consumo quanto costa il lavoro corrispondente. La stessa quantità di lavoro che egli ha dato alla società in una forma, la riceve in un'altra" (39).

Per condurre la società nella direzione come quella qui descritta - direzione che storicamente è lo sviluppo stesso delle forze produttive e la lotta fra le classi nella società capitalistica a prendere - è evidente che non basta scrivere un "programma", ma è altrettanto evidente che un programma politico del genere di quello che ha sancito l'unificazione a Gotha dei due partiti operai tedeschi, non pone nemmeno lontanamente il partito operaio nelle condizioni politiche di imboccare quella direzione, e tantomeno farla imboccare dal movimento della classe operaia. Come è altrettanto evidente, per un dato scientifico storicamente provato, che la transizione dal capitalismo al comunismo non potrà non passare attraverso "uno stadio particolare o una tappa particolare di transizione"; e in questo periodo di trasformazione rivoluzionaria della società capitalistica in società comunista non vi potrà essere che uno Stato "particolare", uno Stato "di transizione", un non-Stato come affermava Engels, che altro non può essere che la dittatura rivoluzionaria del proletariato.

Lenin, in Stato e Rivoluzione, riprenderà efficacemente la Critica al Programma di Gotha e le lettere di Marx ed Engels su di esso, proprio per chiarire tutti quegli aspetti della grande questione della rivoluzione e della dittatura del proletariato che l'ondata opportunista che travolse la Seconda Internazionale aveva completamente mistificato. Siamo oltretutto nell'agosto-settembre 1917, alla vigilia della rivoluzione d'Ottobre, dunque nello svolto storico più importante del XX secolo; Lenin, nel Poscritto alla prima edizione dell'opuscolo, 30 novembre 1917, mentre dichiara che aveva già preparato il piano di un VII e ultimo capitolo (L'esperioenza delle rivoluzioni russe del 1905 e del 1917), ma di non aver scritto nulla di più che il titolo del capitolo, la cui stesura "dovrà essere rimandata a molto più tardi", termina così: "è più piacevole e più utile fare l'esperienza di una rivoluzione che non scrivere su di essa"!

La trasformazione completa e definitiva della società capitalistica in società comunista non può avvenire d'un tratto, per semplice decretazione burocratica e amministrativa, ma avverrà attraverso un lungo periodo storico in cui le resistenze della classe borghese alla sua definitiva sconfitta saranno vinte completamente e le plurisecolari abitudini degli uomini ad essere organizzati in società divise in classi dominanti e classi dominate saranno finalmente seppellite e sostituite dalle abitudini derivate dal fatto che "i lavori dell'individuo diventano parte integrante del lavoro della comunità". Che tale transizione non avvenga grazie alla spontanea evoluzione del modo di produzione capitalistico, né grazie alla graduale modificazione dei metodi di governo passando dalla dittatura della classe borghese, anche se vestita con le svariate forme della democrazia borghese, alla più larga partecipazione democratica del popolo, non è soltanto un'affermazione teorica, ma è una dimostrazione storicamente provata dal corso delle lotte di classe e rivoluzionarie non solo del proletariato, ma della stessa borghesia. Basta rifarsi, per quanto riguarda il proletariato, alla Comune di Parigi del 1871 e alla Rivoluzione bolscevica del 1917.

Al periodo di transizione dalla società capitalistica al comunismo, ossia al periodo della dittatura rivoluzionaria del proletariato in cui il potere proletario interviene dispoticamente non solo sul piano politico  nella guerra di classe contro la borghesia  del paese in cui è stata vittoriosa la rivoluzione e di tutti gli altri paesi (visto che le relative classi borghesi ancora dominanti si alleeranno contro il potere rivoluzionario del proletariato), Marx dedica nella Critica al Programma di Gotha, come abbiamo visto, ampio spazio, essendo questo un punto cruciale di tutta l'impostazione programmatica del partito proletario di classe. D'altra parte è un punto che ritorna costantemente nelle trattazioni di Marx ed Engels, a partire dai Manoscritti economico-filosofici del 1844 e dal Manifesto del Partito Comunista, per proseguire nella Miseria della filosofia e poi nel Capitale, nell'Anti-Duhring ecc.

Il periodo di transizione corrisponde, in sostanza, al periodo che va dalla dittatura rivoluzionaria del proletariato alla società socialista, cioè alla società in cui alcune fondamentali caratteristiche della società capitalistica non ci sono più (proprietà privata dei mezzi di produzione, appropriazione privata dei prodotti, produzione mercantile, accumulazione individuale di ricchezza sociale in beni o in denaro ecc.); è il periodo in cui il lavoro non è più misurato dal salario ma è il lavoro stesso l'unità di misura comune. Siamo ancora nel campo della scambio di valori uguali, come ricordavamo poco sopra, ma l'aspetto prioritario, almeno per un primo periodo della dittatura rivoluzionaria del proletariato, la maggior parte delle energie rivoluzionarie dovranno dedicarsi soprattutto, come sottolinea Lenin (40), a "spezzare la resistenza dei capitalisti sfruttatori". E' perciò che "la dittatura del proletariato, vale a dire l'organizzazione dell'avanguardia degli oppressi in classe dominante per reprimere gli oppressori, non può limitarsi a un puro e semplice allargamento della democrazia". E' grazie allo "spezzare con la forza la loro resistenza" che la dittatura proletaria può intervenire con misure drastiche nei rapporti economici ereditati dalla società borghese.

Lenin, pur nell'imminenza della rivoluzione proletaria non tralascia l'approfondimento dei punti teorici sullo Stato e sulla società che sostituirà l'attuale società capitalistica; e insiste: "abbiamo, nel regime capitalistico, lo Stato nel vero senso della parola, una macchina speciale per la repressione di una classe da parte di un'altra e per di più della maggioranza da parte della minoranza. Si comprende come per realizzare un simile compito - la sistematica repressione della maggioranza degli sfruttati da parte di una minoranza di sfruttatori - siano necessarie una crudeltà e una ferocia di repressione estreme: fiumi di sangue attraverso cui l'umanità prosegue il suo cammino, sotto il regime della schiavitù, della servitù della gleba e del lavoro salariato. In seguito, nel periodo di transizione dal capitalismo al comunismo, la repressione è ancora necessaria, ma è già esercitata da una maggioranza di sfruttati contro una minoranza di sfruttatori. Lo speciale apparato, la macchina speciale di repressione, lo 'Stato', è ancora necessario, ma è già uno Stato transitorio, non più lo Stato propriamente detto, perché la repressione di una minoranza di sfruttatori da parte della maggioranza degli schiavi salariati di ieri è cosa relativamente così facile, semplice e naturale, che costerà molto meno sangue di quello che è costata la repressione delle rivolte di schiavi, di servi e di operai salariati, costerà molto meno caro all'umanità. (...) Infine, solo il comunismo rende lo Stato completamente superfluo, perché non c'è da reprimere nessuno, 'nessuno' nel senso di classe, nel senso di lotta sistematica contro una parte determinata della popolazione" (41). E più oltre: "La condizione economica della completa estinzione dello Stato è che il comunismo giunga a un grado così elevato di sviluppo che ogni contrasto di lavoro intellettuale e fisico scompaia, e che scompaia quindi una delle principali fonti della diseguaglianza sociale contemporanea, fonte che la sola socializzazione dei mezzi di produzione, la sola espropriazione dei capitalisti non  può inaridire di colpo". Se andiamo all'Anti-Duhring di Engels non troveremo che una perfetta coerenza tra Engels e Lenin nei concetti e nelle argomentazioni utilizzati nella strenua battaglia politica contro tutte le deviazioni dal marxismo, non solo da parte anarchica, che è del tutto ovvio, ma anche e soprattutto da parte dell'opportunismo di marca kautskiana che si rivela proprio su una delle questioni centrali della rivoluzione proletaria, e quindi del marxismo, la questione dello Stato. Lenin ricorda che Kautsky tentennò su questo argomento già nella sua polemica contro l'opportunismo di Bernstein (K. Kautsky, Le marxisme et son critique Bernstein, Parigi, Ed. Stock, 1900), e lo dimostra citandone un passo significativo: "Possiamo, in tutta tranquillità - scrive Kautsky contro Bernstein - lasciare all'avvenire la cura di risolvere il problema della dittatura del proletariato"(42). Kautsky, che passava per il maggior teorico marxista dopo la morte di Engels, con alle spalle la Comune di Parigi e i lavori starordinariamente incisivi di Marx ed Engels proprio sulla questione dello Stato e della dittatura proletaria, non trovava di meglio, polemizzando con Bernstein che accusava il marxismo di "blanquismo", che    dimenticare l'insegnamento di Marx tratto dall'esperienza della Comune di Parigi sulla necessità di spezzare la macchina statale, e starsene zitto. Rimandando in tempi più lontani i compiti cruciali della rivoluzione proletaria, di fatto Kautsky capitolava di fronte all'opportunismo perché, come sottolinea Lenin, "gli opportunisti non domandano di meglio che di 'lasciare in tutta tranquillità all'avvenire' tutte le questioni capitali relative ai compiti della rivoluzione proletaria"! (43).

Kautsky si asteneva dall'affermare che la macchina statale doveva essere spezzata dal movimento rivoluzionario del proletariato e sostituita con la dittatura rivoluzionaria del proletariato, ma non si asteneva dal lanciare alla lotta rivoluzionaria del proletariato una prospettiva solo ed esclusivamente opportunista. Lenin, prima ancora del suo Rinnegato Kautsky, in Stato e rivoluzione, mette ben in evidenza la posizione controrivoluzionaria del kautskismo. Rifacendosi ad una polemica tra Kautsky e Pannekoek, Lenin riporta dei brani dalla risposta che Kautsky dà nel suo articolo Die neue Taktik all'articolo di Pannekoek (L'azione di massa e la rivoluzione), brani che sostengono quanto segue:

"Non si tratta di sapere quale forma la socialdemocrazia vittoriosa darà allo Stato futuro, ma come la nostra opposizione trasforma lo Stato attuale. (...)

"Il compito dello sciopero di massa non può essere di distruggere il potere statale, ma soltanto di indurre il governo a fare delle concessioni su una determinata questione o di sostituire un governo ostile al proletariato con un governo che gli vada incontro. (...)

"Ma mai, in nessun caso, ciò [cioè la vittoria del proletariato su un governo ostile] può portare alla distruzione del potere statale, il risultato non può essere che un certo spostamento nel rapporto delle forze all'interno del potere statale. (...)

"L'obiettivo della nostra lotta politica rimane dunque, come per il passato, la conquista del potere statale mediante il conseguimento della maggioranza in Parlamento e della trasformazione del Parlamento in padrone del governo" (44).

Lenin non potrà che concludere che le posizioni espresse da Kautsky sono la rinuncia alla rivoluzione, anche se esse continuavano ad essere adornate di parole e frasi... rivoluzionarie. Lo stalinismo, degno figlio naturale del kautskismo, ha procurato di portare queste posizioni al massimo del cretinismo parlamentare coniando le sue "vie nazionali al socialismo"; oggi, gli sparuti gruppi che ancora vantano legami storici con lo stalinismo, sono caduti talmente nella melma democratica che non trovano di meglio che prospettare la via del "blocco popolare" spacciandola per una "lotta di avvicinamento" alla... rivoluzione.

In sostanza, ciò che sta a cuore a tutti i democratici, ai riformisti, agli opportunisti di ogni specie e colore, è proprio l'effimero campo dei diritti sul quale giocare la propria partita; di fatto, vince che concia meglio di latri la pelle del proletariato. E di diritti, come abbiamo già visto, il Programma di Gotha era intriso fin dal primo paragrafo dove affermava il "diritto uguale a tutti i membri della società" di possedere "integralmente" tutti i prodotti della società.

Come abbiamo visto dalla Critica di Marx, il mito del diritto borghese sull'uguaglianza viene spezzato e gettato alle ortiche; il diritto che si fonda sullo scambio di merci considerate valori equivalenti, viene svuotato del contenuto mercantile e capitalistico che ne sostanziano la reale ineguaglianza sociale, e basato invece sulla quantità di lavoro di ogni produttore; quindi gli individui, i produttori , che sono differenti l'uno dagli altri, possono essere misurabili nella loro ineguaglianza fisica, morale, intellettuale solo come lavoratori. Certo, questa ineguaglianza che mette un produttore nelle condizioni di fornire nello stesso tempo più lavoro rispetto ad altri, oppure di lavorare più a lungo, questa ineguaglianza di capacità individuali, a parità di lavoro porta ad una differente somministrazione di beni dal fondo sociale di consumo, porta quindi ad una diseguaglianza tra chi riceve di più e chi riceve di meno. Il diritto, afferma Marx, invece di essere uguale per tutti dovrebbe essere ineguale, "Ma questi inconvenienti sono inevitabili nella prima fase della società comunista, quale è uscita, dopo i lunghi travagli del parto, dalla società capitalista [la fase del comunismo inferiore o socialista, NdR]. Il diritto non può essere mai più elevato della configurazione economica e dello sviluppo culturale, da essa condizionato, della società" (45).

Il programma di Gotha, dopo la parte per così dire teorica e di prospettiva generale, sulla quale ci siamo trattenuti a lungo, contiene una seconda parte di "rivendicazioni" per la cui attuazione nella presente società il partito operaio tedesco doveva impegnare la sua lotta politica. Marx ne tratta in modo succinto, ma, data l'impostazione vacua e contraddittoria anche di queste "rivendicazioni", egualmente critico.

Tra le diverse rivendicazioni del partito operaio tedesco come base dello Stato, Marx punta la sua critica soprattutto su quella che chiede una "Educazione popolare generale ed uguale per tutti da parte dello Stato. Istruzione obbligatoria, insegnamento gratuito". Ci si immagina, qui, una società in cui non ci sia la divisione tra classi sociali antagoniste; ma in realtà la divisione di classe esiste e la richiesta di una educazione "uguale per tutti" nella società borghese è del tutto assurda. Ciò che invece interessa il proletariato è che Stato e Chiesa siano escluse da ogni influenza nella scuola, perciò, sostiene Marx, "è assolutamente da respingere una educazione popolare da parte dello Stato", precisando che altra cosa è "fissare con una legge generale i mezzi delle scuole elementari, la qualifica del personale insegnante, i rami d'insegnamento ecc. , come accade negli Stati Uniti, sorvegliare per mezzo di ispettori dello Stato l'adempimento di queste prescrizioni ligale", dal nominare lo Stato "educatore del popolo". Al contrario, afferma immediatamente Marx, "è lo Stato che ha bisogno di un'assai rude educazione da parte del popolo". Rivendicazioni del genere di quelle contenute nel Programma di Gotha sono infarcite dalla "fede del suddito verso lo  Stato" e dalla "fede democratica nei miracoli", entrambe "egualmente lontane dal socialismo". Quanto alla "libera manifestazione delle opinioni, la libertà del pensiero e dello studio", Marx, che sintetizza in punto in "libertà di coscienza", ricorda che se si voleva ricordare al liberalimso le sue vecchie parole d'ordine - perché queste sono le vecchie parole d'ordine del liberalismo borghese - lo si poteva fare in un altro modo: "Ognuno deve poter soddisfare tantio i suoi bisogni religiosi quanto i suoi bisogni corporei senza che la polizia vi ficchi il naso". Ma, a questo proposito, il partito operaio deve invece sforzarsi "di liberare le coscienze dallo spettro della religione", mentre il programma di Gotha non va oltre il livello borghese (46).

Marx scorre poi alcune altre rivendicazioni, come la "Giornata lavorativa normale rispetto ai bisogni della società". La critica è secca: "Nessun partito operaio di nessun altro paesi si è limitato ad una tale rivendicazione indeterminata, ma tutti hanno sempre fissato la durata della giornata lavorativa, che considerano normale nelle circostanze del momento". Basti ricordare le grandi lotte operaie in Inghilterra per la giornata di dieci ore, e poi, in tutto il mondo, per la giornata lavorativa di otto ore!

E poi: "Divieto del lavoro dei fanciulli, così come del lavoro delle donne nocivo per la loro salute e incompatibile per ragioni morali". 

Sul divieto del lavoro dei fanciulli, afferma Marx, "era assolutamente necessario dare i limiti di età" per due ragioni: perché il divieto generale del lavoro dei fanciulli è "incompatibile con l'esistenza della grande industria", e perché "la sua attuazione - quando fosse possibilke - sarebbe reazionaria, perché se si regola severamente la durata del lavoro secondo le diverse età e si prendono altre misure precauzionali per la protezione dei fanciulli, una combinazione tempestiva tra il lavoro produttivo e l'istruzione è uno dei più potenti mezzi di trasformazione della odierna società". Sulla limitazione del lavoro delle donne, la formulazione è troppo vaga, tanto più che "il regolamento della giornata lavorativa deve già includere la limitazione del lavoro delle donne, per tutto ciò che in quel regolamento si riferisce a durata, interruzione ecc. della giornata di lavoro", ed è quanto le lotte sindacali e politiche del secolo successivo hanno in effetti prodotto. Ma l'osservazione successiva di Marx va a precisare: "altrimenti, può solo significare esclusione del lavoro delle donne da rami di lavoro che sono specialmente nocivi per l'organismo femminile e incompatibili col sesso femminile per ragioni morali. Se si intendeva questo bisognava dirlo".

Insomma, scorrendo tutte le rivendicazioni del partito operio tedesco formulate nel Programma di Gotha - Legge di protezione della vita e della salute dei lavoratori, Controllo sanitario delle abitazioni operaie, Sorveglianza del lavoro nelle officine, nelle fabbriche e negli alteliers come del lavoro a domicilio, Regolamento del lavoro carcerario ecc. - Marx è costretto a concludere che "anche questa appendice si distingue per la sua redazione trasandata" (47).

Il modo di produzione capitalistico, base economica della società capitalistica, si regge su due forze produttive, il capitale e il lavoro salariato. Sottolineiamo lavoro salariato, e non semplicemente lavoro, perchè è dallo sfruttamento del lavoro salariato che il capitale trae il suo profitto. Non è un caso che i marxisti parlano sempre di lavoro salariato e gli opportunisti di lavoro genericamente inteso. Come dicevamo in precedenza, con la definizione "lavoro salariato" si intende mettere in evidenza che il salario non è il prezzo del lavoro (come tutti gli opportunisti intendono), ma è il prezzo della forza lavoro applicata alla produzione capitalistica secondo cui l'operaio salariato vive solo alla condizione di lavorare, ogni giorno per un certo tempo, "gratuitamente per i capitalisti e, quindi, anche per quelli che insieme con i capitalisti consumano il plusvalore". Il sistema di produzione capitalistico, continua Marx, "mira a prolungare questo lavoro gratuito prolungando la giornata di lavoro o sviluppando la produttività, cioè con una maggiore tensione della forza lavoro"; il sistema di produzione capitalistico, proprio perché fa dipendere la vita degli operai dall'obbligo al lavoro salariato, "è un sistema di schiavitù e di una schiavitù che diventa sempre più dura nella misura in cui si sviluppano le forze produttive sociali del lavoro, tanto se l'operaio è pagato meglio, quanto se è pagato peggio" (48). Ed è proprio lo sviluppo delle forze sociali di produzione, costretto nelle forme di produzione capitalistiche, che pone il problema storico della soluzione di questa contraddizione, della soluzione di ogni divisione di classe, dell'antagonismo sociale fra la classe dei capitalisti e la classe dei lavoratori salariati, dei proletari; soluzione non di una generica "questione sociale", formula cara ai Proudhon, ai Lassalle e agli opportunisti di tutti i tempi, ma della questione dell'antagonismo di classe fra borghesia e proletariato, della lotta fra le classi portata fino in fondo, fino alla "trasformazione rivoluzionaria della società" storicamente indirizzata alla "abolizione delle distinzioni di classe" in forza della quale scompariranno "tutte le diseguaglianze sociali e politiche che ne derivano" (49).

Marx si spinge oltre: "In una fase più elevata della società comunista, dopo che è scomparsa la subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, e quinid anche il contrasto fra lavoro intellettuale e fisico; sopo che il lavoro non è divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo onnilateriale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte le sorgenti della ricchezza collettiva scorrono in tutta la loro pienezza, solo allora l'angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!" (50).

Il programma politico del partito proletario non poteva, e non può, contenere concetti diversi da quelli ribaditi nella Critica al Programma di Gotha, pena commettere, come affermava Marx, un mostruoso attentato ai principi stessi del comunismo scientifico.

Il testo della Critica al programma di Gotha, redatto da Marx nel 1875, e condiviso totalmente da Engels, fu inviato a Bracke perché lo facesse avere a Bebel e a Liebknecht; il periodo era quello delle leggi antisocialiste di Bismark e per ragioni, sia di censura che di opportunità nei confronti del partito ormai unificato, spiegate abbondamntemente da Engels nella sua corrispondenza con Bebel e con Kautsky, non fu pubblicato né in quell'anno, né successivamente. 15 anni dopo, in occasione della formulazione del nuovo programma del partito per il congresso di Erfurt dell'ottobre del 1891, Engels prese la decisione di pubblicare la Critica e di mettere il partito operaio tedesco e il movimento internazionale al corrente delle posizioni che loro sostenevano coerentemenete da sempre.

Nella prossima puntata ripartiremo dal programma di Erfurt, che rimetterà il partito sulla direzione programmatica corretta.

(2- Continua)

 


 

(1) L'edizione del Manifesto del Partito Comunista, di Marx ed Engels, utilizzata in questo testo è quella della N

(2) Vedi Prefazione all'edizione tedesca del 1872, Manifesto del Partito Comunista, cit., pp. 308-9.uova Universale Einaudi, della Giulio Einaudi Editore, Torino 1962. 

3) Cfr. K. Marx, Indirizzo inaugurale dell'Associazione internazionale degli operai, 1864, in Marx-Engels, Opere complete,  editori Riuniti, Roma 1987, vol. XX, pp 9-10.

(4) Cfr. K. Marx, Indirizzo inaugurale dell'Associaizone internazionale degli operai, cit. pp. 11-12.

(5) Cfr, F. Engels, Introduzione a "La guerra civile in Francia" di Karl Marx,  18 marzo 1891, in K. Marx, 1871 La Comune di Parigi, Edizioni International, Savona 1971, p. 81.

(6) Ibidem, p. 82.

(7) Ibidem, p. 91.

(8) Ibidem, pp. 92-93

(9) Ibidem, p. 85.

(10) Ibidem, p. 85-86.

(11) Ibidem, p. 86-88.

(12) Vedi Lenin, La Comune di Parigi, Editori Riuniti, Roma 1977, brano ripreso da Stato e Rivoluzione,  al cap. III,  p. 90.

(13) Vedi K. Marx, Lettere a Kugelmann, Edizioni Rinascita, Roma 1950, Lettera di Marx a Kugelmann del 12 aprile 1871, p. 139.

(14) Cfr Lenin, La Comune di Parigi, cit., p. 92.

(15) Cfr Lenin, La Comune di Parigi, cit., p. 95.

(16) Cfr K. Marx, La guerra civile in Francia, cit., p. 157.

(17) Ibidem, p. 137, come la citazione immediatamente successiva.

(18) Cfr Lenin, La Comune di Parigi, cit. p. 111.

(19) Vedi F. Engels, Introduzione del 1891, cit., p. 93.

(20) Per fare un esempio, ricordiamo col nostro Tracciato d'mpostazione (1946), le tre repubbliche francesi del 1793 (antiformista o rivoluzionaria), del 1848 (riformista o conservatrice), del 1871 (confornista o controrivoluzionaria).

(21) Cfr Lenin, I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione, in Opere, vol. 24.

(22) Cfr K. Marx, Critica al programma di Gotha, Editori Riuniti, Roma 1976, p. 20. Il testo del Programma di Gotha che abbiamo a disposizione è in lingua francese, contenuto nel volumetto Marx-Engels, Programme socialistes, ed. Spartacus, Paris 1971.

(23) Vedi Lettera di Engels ad August Bebel, Londra 18-28 marzo 1875, in K. Marx, Critica al Programma di Gotha, Massari editore, Bolsena 2008, Appendice, pp. 88-97; anche in K. Marx- F. Engels, Lettere 1874-1879, Edizioni Lotta Comunista, Milano 2006, pp. 51-56.

(24) Cfr K. Marx, Critica al programma di Gotha, cit., p. 34.

(25) Ibidem, pp. 38-39.

(26) Ibidem, p. 42.

(27) Vedi Lettera di Engels ad August Bebel, Londra 18-28 marzo 1875, cit., p. 94; anche in K. Marx- F. Engels, Lettere 1874-1879, cit., pp. 54-55.

(28) Cfr K. Marx, Critica al programma di Gotha, cit., p. 40.

(29) Ibidem, p. 43.

(30) Ibidem, pp. 44-45.

(31) Ibidem, p. 45.

(32) Vedi Lettera di Engels ad August Bebel,  18-28 marzo 1875, cit., p. 94; anche in K. Marx- F. Engels, Lettere 1874-1879, cit., pp. 54-55

(33) Cfr Lenin, Stato e rivoluzione, Ed. Riuniti, Roma 1981, cap. IV. Spiegazioni complementari di Engels, p. 133-134.

(34)  Cfr Lenin, Stato e rivoluzione, cit., Nota n. 48, p. 132, dal quaderno di Lenin Il marxismo sullo Stato.

(35) Vedi Lettera di Engels ad August Bebel, Londra 18-28 marzo 1875, cit., p. 92; anche in K. Marx- F. Engels, Lettere 1874-1879, cit., p. 54.

(36) Cfr K. Marx, Lettera di Marx a W. Bracke, Londra 5 maggio 1875, cit., in Critica al programma di Gotha, cit., p. 20.

(37) Cfr K. Marx, Critica al programma di Gotha, cit., pp. 28-29.

(38) Ibidem, pp. 29-30.

(39) Ibidem, p. 30.

(40) Cfr Lenin, Stato e rivoluzione, cit., cap. V. Le basi economiche dell'estinzione dello Stato, p. 162-3.

(41) Cfr Lenin, Stato e rivoluzione, cit., p. 164-5.

(42) Ibidem, p. 186.

(43) Ibidem, p. 186.

(44) Ibidem, pp. 195, 199-200.

(45) Cfr K. Marx, Critica al programma di Gotha, cit., p. 32.

46) Ibidem, p. 48.

(47) Ibidem, pp. 48-50.

(48) Ibidem, p. 39.

(49) Ibidem, pp. 40-41.

(50) Ibidem, p. 32.

 

 

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