Movimento degli “indignati”:

La corruzione, la burocrazia politica, la disoccupazione… sono inevitabili nel capitalismo e vi si potrà porre fine solo con la ripresa della lotta di classe del proletariato, antidemocratica, antilegalitaria e antipacifista

(«il comunista»; N° 122; ottobre 2011)

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Pubblichiamo la presa di posizione del partito in occasione del primo movimento cosiddetto degli "indignati" nato nel maggio scorso in Spagna, con l'occupazione della famosa piazza Puerta del Sol di Madrid,  e prese il nome di Movimiento de 15 de Mayo caratterizzandosi per la protesta pacifica contro il bipartitismo, contro la crisi e per una illusoria democrazia diretta. - Maggio 2011 –

 

A sette giorni dalle elezioni comunali e regionali che si terranno in tutto lo Stato spagnolo, tranne che nelle comunità storiche e in Andalusia, domenica 15 maggio migliaia di giovani, precari e studenti, hanno manifestato alla Puerta del Sol, cercando di accamparsi lì per passarvi la notte, per protestare contro il “sistema del bipartitismo”, la “crisi economica”, sotto la parola d’ordine “Democracia real ya” [Democrazia reale, adesso!]. Dopo essere stati sloggiati all’alba fra il 15 e il 16, il lunedì successivo sono tornati a manifestare raggiungendo un numero ben superiore a quello del giorno 15.

Nel mezzo della campagna elettorale, una delle più intense degli ultimi anni in quanto sembra che il Partido Popular metterà finalmente le mani praticamente su quasi tutti i comuni compresi quelli che erano stati finora feudi storici e inespugnabili del Partido Socialista Obrero Español, queste manifestazioni, che intendono proseguire nei giorni che ancora mancano alla data delle elezioni, hanno lanciato una serie di proclami con l’obiettivo di esigere una riforma democratica del sistema politico che dovrebbe comportare un’ampia riforma delle istituzioni tale da permettere una vera partecipazione popolare al sistema di governo.

Due anni di crisi capitalistica hanno determinato un terribile aggravamento delle condizioni di esistenza della classe proletaria, l’aumento della disoccupazione, il rialzo dei prezzi dei generi di prima necessità, l’intensificazione dei ritmi di lavoro, l’abbassamento dei salari… E dappertutto questa offensiva della borghesia contro la classe proletaria ha avuto nei sindacati gialli, collaborazionisti, un garante della pace sociale che ha mantenuto i proletari legati mani e piedi, convincendoli che l’unico modo per raggiungere un miglioramento della situazione consistesse nell’accettare sistematicamente tutti i peggioramenti patiti durante tutto questo periodo. Il dominio dell’opportunismo dei partiti cosiddetti operai e della politica interclassista dei sindacati gialli ha mantenuto quindi il controllo della situazione, non solo a livello generale, senza grandi proteste nazionali o regionali, ma anche nell’ambito più elementare della situazione della classe operaia, negando per principio il ricorso allo sciopero, perfino nelle imprese e nelle fabbriche isolate, di fronte a qualunque decisione dell’azienda che avrebbe peggiorato le condizioni di lavoro dei proletari.

Ma la forza dello stesso peggioramento della situazione materiale del proletariato in tutto il mondo non ha potuto essere arginata dalle barriere erette dall’opportunismo politico e dal collaborazionismo sindacale giallo per frenare la naturale reazione dei proletari… Dalla fine dello scorso anno nella zona del Nord Africa, nei paesi del Vicino Oriente, in Siria, Tunisia, Egitto ecc. l’enorme aumento del costo della vita e la penuria dei prodotti di base hanno spinto il proletariato e i contadini poveri della regione a dar vita a una rivolta che ha rovesciato Ben Alì, Mubarak ecc., che governavano con l’appoggio delle potenze imperialiste occidentali in modo dispotico e dittatoriale, attorniati da corruzione, furti, violenza esercitata senza pietà contro le masse impoverite di questi paesi. Il suicidio pubblico di un venditore ambulante a Sidi Bouzid, un piccolo paese nel sud della Tunisia, ha scatenato una rivolta su vasta scala che ha trainato nella lotta grandi masse proletarie che esigevano il miglioramento delle proprie condizioni di esistenza. A questa lotta spontanea, priva di obiettivi chiari, prigioniera infine dell’ambiguità necessariamente generata dalla mancanza di una direzione anticapitalista chiara (carenza determinata da decenni di controrivoluzione permanente in cui si sono coalizzate allacciate  le borghesie locali, l’imperialismo dei paesi occidentali  più sviluppati e le stesse fazioni nazionaliste e religiose alla testa delle opposizioni ai governi di turno) si sono uniti gli strati sociali intermedi, la piccola borghesia, una classe sociale esclusa dal potere nel mondo borghese, particolarmente pressata dalla crisi economica e pungolata continuamente dal dispotismo dei governanti, cose che la portano a sentire il panico della proletarizzazione che la spinge a lottare. Le parole d’ordine di “democrazia”, “libertà politica” ecc. sono il riflesso del modo di sentire politico di questa piccola borghesia che si è posta alla testa della lotta, che dirige l’impulso dei proletari e delle masse proletarizzate verso obiettivi interclassisti, nazionalisti e di coesione sociale per un migliore sviluppo del paese. La normale risposta proletaria alla gravissima situazione di crisi, che ormai arriva a non garantire neppure la semplice sopravvivenza, sbocca in un primo impulso che può accelerare il ritorno della classe operaia al terreno della lotta classista ma non raggiunge automaticamente questa meta, in quanto si trova ancora costretta dal terribile peso dell’influenza borghese sui proletari entro i limiti della lotta democratica.

In Spagna gli effetti della crisi economica sul proletariato non sono stati devastanti quanto lo sono stati nei paesi della periferia capitalista e questo si deve alla sopravvivenza di ammortizzatori sociali concessi dalla borghesia nei decenni di crescita economica per attenuare la tensione sociale. Questo, insieme alla decisa politica dell’opportunismo degli agenti della borghesia nelle file proletarie, dell’opportunismo operaio e del sindacalismo giallo, che di fatto hanno agito come garanti della messa in atto di tutti i mezzi antioperai necessari al capitalismo del paese (comportandosi come veri pompieri sociali e organizzando la passività del proletariato a tutti i livelli), ha determinato che, nonostante le condizioni di lavoro e di vita di settori sempre più ampi del proletariato peggiorino rapidamente, la pace sociale sia stata la nota dominante.

Senza dubbio in questi ultimi anni la tensione sociale non ha potuto far altro che crescere, in modo lento ma visibile anche se sfumata dalle mille soluzioni individuali o collettive che il sistema capitalistico offre. Il movimento “15 de mayo” che da giorni continua a manifestare alla Puerta del Sol è un riflesso di questa tensione sociale. La composizione essenzialmente piccoloborghese di questo movimento non impedisce che si esprime un malessere generalizzato che è presente in tutti gli strati sociali che vedono peggiorare progressivamente la propria situazione. Di fatto è la piccola borghesia più impoverita – composta da giovani universitari senza un futuro lavorativo praticabile data l’estrema precarizzazione del lavoro, da liberi professionisti ecc. – quella che può sentire, in una situazione come l’attuale, i primi impulsi ad agire, proprio perché in determinati momenti il grado di esclusione che subiscono nel sistema capitalistico può diventare molto più palpabile di quello subito dal proletariato (verso il quale sono dirette le politiche di aiuti sociali, i sussidi ecc.).

Ma al contrario di quanto accade nei paesi del sud del Mediterraneo, dove la rivolta dei proletari e dei contadini poveri si è ritrovata sotto la direzione di una piccola borghesia indubbiamente più colpita dalla crisi rispetto a quella spagnola, in Spagna, a Madrid,che è la città in cui queste manifestazioni hanno il loro epicentro e la loro cassa di risonanza, la protesta è sorta in una situazione di totale assenza di lotte operaie non solo generalizzate, ma neppure parziali. Le manifestazioni dei “giovani indignati” hanno preso come obiettivi della protesta la “partitocrazia”, la “degradazione della democrazia” ecc., cercando con questo di tentare di rigenerare un sistema che in realtà non garantisce “il futuro” delle classi medie, che non promette un lavoro ben remunerato agli universitari e che, infine, minaccia la piccola borghesia con l’impoverimento e la proletarizzazione.

La rivendicazione generica che dà il nome al movimento “Democracia real ya!” riassume perfettamente queste aspirazioni. La democrazia è il sistema di governo con il quale la borghesia preferisce governare dopo la sua epoca rivoluzionaria. È il sistema che si basa sull’uguaglianza dei cittadini nella gestione della cosa pubblica, almeno idealmente. Perché le stesse condizioni naturali del capitalismo implicano che la società che si sviluppa a partire da esso sia divisa in due classi fondamentali e opposte: la classe di coloro che possiedono i mezzi di produzione, cioè la classe dei borghesi, e la classe dei senza riserve, che per sopravvivere possono solo vendere la propria forza lavoro, ossia la classe dei proletari. Le due classi si affrontano continuamente, anche negli aspetti più infimi dell’esistenza, in quanto, per la borghesia, il suo dominio sociale dipende dallo sfruttamento sempre maggiore del proletariato, dal cui lavoro ricava il plusvalore che garantisce la sua stessa sopravvivenza come classe dominante. Da parte loro i proletari sentono di dover respingere questo crescente sfruttamento e, in momenti di grande tensione sociale, il dominio stesso della classe borghese. La democrazia appare qui come il modo di governare utilizzato dalla borghesia per contare sul consenso proletario nella misura in cui vi inocula continuamente la forza dell’interclassismo, del superiore interesse nazionale nel cui nome deve effettuare tutte le concessioni che gli vengono richieste. Pertanto, più democrazia significa sempre e inevitabilmente più capitalismo. Per questo la richiesta di “Democracia real ya!” comporta l’esigenza da parte della piccola borghesia – che patisce anch’essa gli effetti del governo dispotico della classe borghese, dei monopoli, del sistema fiscale con cui viene garantito il funzionamento dello Stato di classe – di essere inclusa nel governo della società, di rifiutarsi di essere proletarizzata per effetto della concorrenza capitalistica. Una concorrenza che nel capitalismo è ineluttabile, che genera corruzione, ruberie e malversazioni proprio come il sistema parlamentare bipartitico. Una concorrenza che, infine, è alla base di tutti i mali dai quali la piccola borghesia si sente afflitta e contro cui, senza dubbio, la sua stessa prospettiva di classe non le permette di combattere. La democrazia che esiste oggi tanto nei paesi del centro del capitalismo quanto in quelli della periferia è l’unica che può esistere, la più reale.

Senza dubbio il proletariato non rimane indifferente di fronte  questo tipo di movimenti. In primo luogo perché il suo corpo è infestato dal virus democratico e vede in queste mobilitazioni il riflesso del suo credere nella giustizia sociale che la stessa borghesia promette. Ma anche perché la sua situazione come classe sfruttata, in assenza di una prospettiva seria e coerente di ripresa della lotta anticapitalista, non può che trovare nella lotta per una democrazia “autentica” un surrogato della sua lotta di classe. Perciò questo tipo di movimenti possono addirittura ostacolare la lotta di classe operaia sul terreno immediato, per la sopravvivenza e le condizioni di esistenza. Ma le rivendicazioni espresse da queste correnti non corrispondono in assoluto alle esigenze che la classe operaia, come classe sociale antagonista all’intero mondo capitalista, deve esprimere.

In effetti, davanti l’inesistenza di un riformismo politico sindacale credibile sul terreno della difesa, anche solo a parole, degli interessi operai, movimenti come quello del 15 Maggio possono giocare il ruolo di un riformismo di rincalzo, là dove il riformismo tradizionale ha perduto la sua influenza a causa della sua lunga storia di collaborazione con la borghesia

Il proletariato deve lottare per difendere le sue condizioni di vita di fronte all’offensiva borghese, che si accompagna a tutta la serie di corruzioni, furti, prevaricazioni ecc. che peggiorano la sua situazione. Ma ha ben poco da aspettarsi dalla lotta “democratica”, riformista, che pretende di offre soluzioni all’interno dello stesso quadro dello sfruttamento capitalista e della relativa politica codificata in elettoralismo, legalitarismo, pacifismo ecc. Per portare al successo la sua lotta di classe, il proletariato dovrà necessariamente ricollegarsi alla via dello scontro diretto con la borghesia e anche con i suoi alleati più subdoli attraverso la difesa intransigente delle sue condizioni di vita, di lavoro, di alloggio ecc. E questa lotta passa inevitabilmente dal risorgere di organizzazioni classiste immediate che combattano sul terreno economico esclusivamente per rivendicazioni operaie senza fermarsi a considerare la loro opportunità rispetto alla situazione economica del paese, dell’impresa o semplicemente del comune. Ma anche questa lotta di classe si vedrà limitata ad attenuare gli effetti del capitalismo se non passerà al terreno della battaglia politica. E qui il proletariato dovrà riincontrarsi con il suo partito di classe, il partito comunista rivoluzionario, internazionale e internazionalista, assolutamente indipendente da qualunque interesse che non sia quello storico della classe operaia che passa attraverso la distruzione del potere politico borghese, democratico o totalitario a seconda delle necessità della classe dominante, l’instaurazione attraverso mezzi violenti e illegali della sua dittatura di classe, dispotica e terroristica contro i propri nemici e l trasformazione socialista della società verso un mondo senza proprietà privata, senza lavoro salariato… verso la società di specie.

Quando i proletari sentiranno sulla loro pelle questa ardente necessità di comunismo e vedranno la possibilità della sua realizzazione pratica, allora il sentimento ipocrita e religioso dell’indignazione, che oggi la piccola borghesia sbandiera come emblema della sua morale da bottegai, verrà sostituito dal sano sentimento di odio mortale verso la borghesia e i suoi lacché, dalla necessità imperiosa della violenza di classe contro i suoi difensori… Sparirà, in definitiva, la rassegnazione e riapparirà la speranza di un futuro senza sfruttamento.

 

Per la difesa intransigente delle condizioni di vita e di lotta della classe proletaria!

Contro la politica e la pratica dell’opportunismo e dell’interclassismo: no alla collaborazione e alla conciliazione fra le classi!

Contro la democrazia, sistema di governo della borghesia che imprigiona il proletariato nella pace sociale!

Contro qualunque cedimento all’ideologia borghese!

Per la costituzione del Partito Comunista Mondiale!

Per la società di specie, senza divisioni fra classi e senza sfruttamento dell’uomo sull’uomo! Per il comunismo! 

 

22 Maggio 2011

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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